Giornata Mondiale dell'Alimentazione 2016
14 ottobre 2016
Al Professor José Graziano da Silva Direttore Generale della FAO
Illustrissimo Signore,
1. La circostanza che la FAO abbia voluto dedicare l'odierna Giornata Mondiale dell'Alimentazione al tema "Il clima sta cambiando.
L'alimentazione e l'agricoltura anche", ci porta a considerare la lotta contro la fame come un obiettivo ancora più difficile da raggiungere, in presenza di un fenomeno complesso come i cambiamenti climatici.
Nella logica di affrontare le sfide che la natura pone all'uomo e l'uomo pone alla natura ( cfr Enc. Laudato si', 25 ), mi permetto di sottoporre alla considerazione della FAO, dei suoi Stati Membri e di quanti partecipano alla sua azione alcune riflessioni.
A che cosa è dovuto l'attuale cambiamento climatico?
Dobbiamo interrogarci sulle nostre responsabilità singole e collettive senza ricorrere a facili sofismi che si nascondono dietro dati statistici o previsioni discordanti.
Non si tratta di abbandonare il dato scientifico di cui abbiamo più che mai bisogno, ma di andare oltre la sola lettura del fenomeno o il contabilizzarne i molteplici effetti.
La nostra condizione di persone necessariamente in relazione e la nostra responsabilità di custodi del creato e del suo ordine ci impongono di risalire alle cause dei cambiamenti in atto e di andare alla radice.
Dobbiamo anzitutto ammettere che i diversi effetti negativi sul clima derivano dai comportamenti quotidiani di persone, comunità, popoli e Stati.
Se abbiamo coscienza di questo, la sola valutazione in termini etici e morali non basta.
È necessario agire politicamente e cioè operare le scelte necessarie, scoraggiare oppure promuovere comportamenti e stili di vita, a vantaggio delle nuove generazioni e di quelle che verranno.
Solo così possiamo preservare il pianeta.
Gli interventi da attuare vanno adeguatamente progettati e non possono essere frutto dell'emotività o delle ragioni di un momento.
È importante programmarli.
In questo lavoro assumono un ruolo essenziale le istituzioni chiamate a operare insieme, dal momento che l'azione dei singoli, pur necessaria, diventa efficace solo se inquadrata in una rete fatta di persone, entità pubbliche e private, apparati nazionali e internazionali.
Questa rete però non può restare anonima, questa rete ha il nome di fraternità e deve agire in base alla sua fondamentale solidarietà.
2. Quanti sono impegnati nel lavoro dei campi, dell'allevamento, della piccola pesca, delle foreste, o vivono nella aree rurali a diretto confronto con gli effetti dei cambiamenti climatici, sperimentano che, se il clima cambia, anche la loro vita cambia.
Sulla loro quotidianità si abbattono situazioni difficili, a volte drammatiche, il futuro diventa sempre più incerto e così si fa strada il pensiero di abbandonare case ed affetti.
Prevale il senso di abbandono, il sentirsi dimenticati dalle istituzioni, privati degli apporti che possono derivare dalla tecnica, e anche della giusta considerazione da parte di tutti noi che beneficiamo del loro lavoro.
Dalla saggezza delle comunità rurali possiamo apprendere uno stile di vita che può aiutare a difendersi dalla logica del consumo e della produzione ad ogni costo, logica che, ammantandosi di buone giustificazioni, come l'aumento della popolazione, in realtà mira solo all'aumento dei profitti.
Nel settore in cui opera la FAO, sta crescendo il numero di quanti pensano ormai di essere onnipotenti e di poter trascurare i cicli delle stagioni o modificare impropriamente le diverse specie animali e vegetali, facendo perdere quella varietà che, se esiste in natura, vuol dire che ha – e deve avere – il suo ruolo.
Produrre qualità che in laboratorio danno ottimi risultati, può essere vantaggioso per alcuni, ma avere effetti rovinosi per altri.
E il principio di precauzione non basta, perché molto spesso si limita a non permettere di fare qualcosa, mentre c'è bisogno di agire con equilibrio e onestà.
Selezionare geneticamente una qualità di pianta può dare risultati impressionanti dal punto di vista quantitativo, ma abbiamo tenuto conto dei terreni che perderanno la loro capacità di produrre, degli allevatori che non avranno pascolo per il loro bestiame, e di quante risorse acquifere diventeranno inservibili?
E soprattutto, ci siamo chiesti se e in che misura concorreremo a modificare il clima?
Non precauzione, dunque, ma saggezza!
Quella che contadini, pescatori, allevatori conservano nella memoria di generazioni e che oggi vedono derisa e dimenticata da un modello di produzione che è a tutto vantaggio di gruppi ristretti e di un'esigua porzione della popolazione mondiale.
Ricordiamoci che si tratta di un modello che, con tutta la sua scienza, permette che circa ottocento milioni di persone soffrano ancora la fame.
3. La questione ha i suoi riflessi diretti nelle emergenze che quotidianamente Istituzioni intergovernative come la FAO sono chiamate ad affrontare e gestire, ben coscienti che i cambiamenti climatici non appartengono esclusivamente alla sfera della meteorologia.
Come dimenticare che a rendere inarrestabile la mobilità umana concorre anche il clima?
I dati più recenti ci dicono che i migranti climatici sono sempre più numerosi e vanno ad ingrossare le fila di quella carovana degli ultimi, degli esclusi, di coloro a cui è negato anche di avere un ruolo nella grande famiglia umana.
Un ruolo che non può essere concesso da uno Stato o da uno status, ma che appartiene ad ogni essere umano in quanto persona, con la sua dignità e i suoi diritti.
Impressionarsi e commuoversi davanti a chi, ad ogni latitudine, chiede il pane quotidiano, non è più sufficiente.
Sono necessarie scelte e azioni.
Molte volte, anche come Chiesa Cattolica, abbiamo ricordato che i livelli di produzione mondiale permettono di assicurare alimenti per tutti, purché ci sia un'equa distribuzione.
Ma possiamo ancora continuare su questa linea, se poi le logiche di mercato seguono altre strade giungendo a fare dei prodotti agricoli una merce qualsiasi, ad usare sempre più il cibo per scopi non alimentari o a distruggere alimenti per il solo fatto che sono in eccesso rispetto al profitto e non ai bisogni?
Sappiamo, infatti, che il meccanismo della distribuzione rimane teorico se gli affamati non hanno un accesso effettivo agli alimenti, se continuano a dipendere da apporti esterni più o meno condizionati, se non si crea un corretto rapporto tra fabbisogno e consumo e, non ultimo, se non si eliminano gli sprechi e non si riducono le perdite di cibo.
A questo mutamento di rotta siamo tutti chiamati a cooperare: responsabili politici, produttori, lavoratori della terra, della pesca e delle foreste, ed ogni cittadino.
Certo, ognuno nelle diverse responsabilità, ma tutti nel medesimo ruolo di costruttori di un ordine interno alle Nazioni e di un ordine internazionale che non permettano più che lo sviluppo sia appannaggio di pochi, né che i beni del creato siano patrimonio dei potenti.
Le possibilità non mancano e gli esempi positivi, le buone pratiche, ci mettono a disposizione esperienze che possono essere percorse, condivise e diffuse.
4. La volontà di operare non può dipendere dai vantaggi che ne possono derivare, ma è un'esigenza legata ai bisogni che si manifestano nella vita delle persone e dell'intera famiglia umana.
Bisogni materiali e spirituali, ma comunque reali, non frutto delle scelte di pochi, di mode del momento o di modelli di vita che fanno della persona un oggetto, della vita umana uno strumento, anche di sperimentazione, e della produzione di alimenti un mero affare economico, a cui sacrificare addirittura il cibo disponibile, destinato per natura a far sì che ognuno possa avere ogni giorno alimenti sufficienti e sani.
Siamo ormai prossimi alla nuova tappa che a Marrakech chiamerà gli Stati Parte della Convenzione sui cambiamenti climatici a dare attuazione a quegli impegni.
Penso di interpretare il desiderio di tanti nell'auspicare che gli obiettivi delineati dall'Accordo di Parigi non rimangano belle parole, ma si trasformino in decisioni coraggiose capaci di fare della solidarietà non soltanto una virtù, ma anche un modello operativo in economia, e della fraternità non più un'aspirazione, ma un criterio della governance interna e internazionale.
Sono queste, Signor Direttore Generale, alcune riflessioni che desidero farLe giungere in questo momento, nel quale si affacciano preoccupazioni, trepidazioni e tensioni causate anche da una questione climatica che è sempre più presente nella nostra quotidianità e pesa sulle condizioni di vita anzitutto di tanti nostri fratelli e sorelle tra i più vulnerabili ed emarginati.
Voglia l'Onnipotente benedire i vostri sforzi a servizio dell'intera umanità.