XX giornata mondiale della pace
1° gennaio 1987
Il mio predecessore Paolo VI di venerata memoria lanciò un appello a tutte le persone di buona volontà per la celebrazione di una Giornata mondiale della pace il primo giorno di ogni anno civile, come augurio e insieme promessa che fosse la pace « a dominare lo svolgimento della storia avvenire ».
A distanza di vent'anni riprendo questo appello, rivolgendomi a ognuno dei membri della famiglia umana.
Vi invito, pertanto, a unirvi a me nel riflettere sulla pace e nel celebrare la pace.
Far questo in mezzo alle difficoltà - come sono quelle di oggi - significa proclamare la nostra fiducia nell'umanità.
In base a questa fiducia io rivolgo il mio appello a ciascuno, confidando nel fatto che insieme noi possiamo imparare a celebrare la pace quale desiderio universale di tutti i popoli in ogni luogo.
Tutti noi, che condividiamo tale desiderio, possiamo così divenire una sola cosa nei nostri pensieri e nei nostri sforzi per fare della pace una meta che può essere raggiunta da tutti in favore di tutti.
Il tema, che ho scelto per il messaggio di quest'anno, trae ispirazione da quella profonda verità sull'uomo, secondo la quale noi siamo una sola famiglia umana.
Per il semplice fatto di esser nati in questo mondo, noi partecipiamo della stessa eredità e abbiamo la stessa origine con ogni altro essere umano.
Questa unicità si esprime in tutte le ricchezze e diversità della famiglia umana: in differenti razze, culture, linguaggi e storie.
E noi siamo chiamati a riconoscere la radicale solidarietà della famiglia umana come la condizione fondamentale del nostro vivere insieme su questa terra.
Il 1987 segna anche il 20° anniversario della pubblicazione della « Populorum Progressio ».
Questa celebre enciclica di Paolo VI fu un solenne appello per un'azione concreta in favore dello sviluppo integrale dei popoli.
La frase di Paolo VI: « Lo sviluppo è il nuovo nome della pace », precisa una delle chiavi nella nostra ricerca della pace.
Può esistere una vera pace, quando uomini, donne e bambini non possono vivere la loro piena dignità umana?
Può esserci una pace duratura in un mondo regolato da relazioni sociali, economiche e politiche che favoriscono un gruppo o una nazione a spese di un'altra?
Può stabilirsi una pace genuina senza il riconoscimento effettivo di quella stupenda verità, secondo cui noi siamo tutti eguali in dignità, eguali perché siamo stati formati a immagine di Dio, che è nostro Padre?
Questa messaggio per la XX Giornata della pace si collega strettamente al messaggio che indirizzai al mondo l'anno scorso sul tema Nord-Sud, Est-Ovest: una sola pace.
In tale messaggio dicevo ( n. 4 ): « L'unità della famiglia umana ha ripercussioni realissime nella nostra vita e nel nostro impegno in favore della pace … questo significa che noi c'impegniamo per una nuova solidarietà: la solidarietà della famiglia umana … una nuova forma di relazione: la solidarietà sociale di tutti ».
Riconoscere la solidarietà sociale della famiglia umana comporta la responsabilità di edificare su ciò che ci rende una sola cosa.
Ciò significa promuovere effettivamente e senza eccezioni l'eguale dignità di tutti come esseri umani, dotati di certi fondamentali e inalienabili diritti.
Ciò tocca tutti gli aspetti della nostra vita individuale, come pure della nostra vita nella famiglia, nella comunità in cui viviamo e nel mondo.
Una volta che comprendiamo veramente di essere fratelli e sorelle in una comune umanità, allora possiamo modellare i nostri atteggiamenti nei confronti della vita alla luce della solidarietà che ci rende una cosa sola.
Ciò è vero in modo speciale per tutto quanto è in relazione col progetto universale di base: la pace.
Nel corso della vita di tutti noi ci sono stati dei momenti ed eventi che ci hanno collegati nel riconoscimento consapevole dell'unicità dell'umanità.
Dal tempo in cui siamo per la prima volta riusciti a vedere le immagini del mondo dallo spazio, si è verificato un sensibile mutamento nel nostro modo d'intendere il nostro pianeta e la sua immensa bellezza e fragilità.
Aiutati dalle conquiste dell'esplorazione spaziale, abbiamo scoperto che l'espressione « la comune eredità di tutto il genere umano » ha assunto, da quella data, un nuovo significato.
Quanto più noi condividiamo le ricchezze artistiche e culturali proprie di ciascuno, tanto più scopriamo la nostra comune umanità.
I giovani soprattutto hanno approfondito il loro senso di unità nel corso di eventi sportivi di carattere regionale e mondiale e attività similari, sviluppando i loro legami di fraternità come uomini e donne.
Al tempo stesso, quante volte in anni recenti abbiamo avuto l'occasione di entrare in contatto come fratelli e sorelle, per aiutare coloro che erano colpiti da disastri naturali o afflitti dalla guerra e dalla fame.
Siamo testimoni di un crescente desiderio collettivo - al di là delle nostre frontiere politiche, geografiche e ideologiche - di aiutare i membri meno fortunati della famiglia umana.
La sofferenza, ancora così tragica e prolungata, dei nostri fratelli e sorelle dell'Africa subsahariana sta facendo sorgere in ogni luogo forme e progetti di questa solidarietà tra esseri umani.
Due delle ragioni per le quali nel 1986 ebbi la gioia di conferire il « Premio internazionale della pace Giovanni XXIII » all'Ufficio cattolico per i soccorsi d'emergenza e per i profughi ( COERR ) della Thailandia, furono, la prima, quella di poter attirare l'attenzione del mondo sulle persistenti difficoltà di coloro che sono costretti a lasciare la loro patria, e, la seconda, di poter mettere in luce lo spirito di cooperazione e collaborazione che tanti gruppi - cattolici e altri - hanno dimostrato nel rispondere alle necessità di quelle persone dolorosamente provate e senza tetto.
Sì, lo spirito umano può rispondere e risponde con grande generosità alle sofferenze degli altri.
In queste risposte noi possiamo trovare una crescente attuazione di quella solidarietà sociale, la quale proclama con le parole e con i fatti che noi siamo una cosa sola, che dobbiamo riconoscere questa unicità, e che ciò è un elemento essenziale per il bene comune di tutti gli individui e di tutte le nazioni.
Questi esempi dimostrano che possiamo cooperare e cooperiamo in molti modi, e possiamo pure lavorare e lavoriamo insieme per promuovere il bene comune.
Tuttavia dobbiamo fare di più.
Occorre che assumiamo un atteggiamento di fondo nei confronti dell'umanità e delle relazioni che abbiamo con ciascuna persona e ciascun gruppo del mondo.
É così che possiamo cominciare a vedere come l'impegno per la solidarietà da parte dell'intera famiglia umana sia una chiave per la pace.
I progetti che incrementano il bene dell'umanità o la buona volontà tra i popoli, sono un passo verso l'attuazione della solidarietà.
Il legame di comprensione e di carità, che ci spinge ad aiutare coloro che soffrono, mette in luce il nostro essere uno in un'altra maniera.
Ma la sfida soggiacente per tutti noi è di assumere un atteggiamento di solidarietà sociale con l'intera famiglia umana e di affrontare secondo tale atteggiamento tutte le situazioni politiche e civili.
Così, per esempio, l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha scelto il 1987 come Anno internazionale dell'alloggio per i senzatetto.
Nel far così, essa richiama l'attenzione su di un ambito di grande interesse e promuove un atteggiamento di sollecitudine - umana, politica ed economica - nei confronti di milioni di famiglie private dell'ambiente essenziale per una conveniente vita familiare.
Non mancano, purtroppo, gli esempi di ostacoli alla solidarietà derivanti da posizioni politiche e ideologiche, che di fatto condizionano l'attuazione della solidarietà.
Si tratta di posizioni o di indirizzi, che ignorano o negano la fondamentale eguaglianza e dignità della persona umana.
A questo proposito penso in particolare: alla xenofobia che chiude le nazioni in se stesse, o porta i governi a emanare leggi discriminanti a danno di persone nei loro stessi paesi; alla chiusura dei confini in un modo arbitrario e ingiustificabile, cosicché le persone sono effettivamente private della capacità di spostarsi e di migliorare la loro sorte, di riunirsi con i loro cari, o semplicemente di visitare la loro famiglia, o di raggiungere gli altri per averne cura e comprensione; alle ideologie che predicano l'odio o la diffidenza, e ai sistemi che erigono barriere artificiali.
L'odio razziale, l'intolleranza religiosa, le divisioni di classe sono fin troppo presenti in molte società sia in forma aperta che nascosta.
Quando i dirigenti politici erigono tali divisioni all'interno dei sistemi o dei loro programmi che riguardano le relazioni con altre nazioni, allora questi pregiudizi colpiscono il centro stesso della dignità dell'uomo.
Essi diventano una fonte potente di controreazioni che aumentano ancor più la divisione, l'inimicizia, la repressione e lo stato di guerra.
Un altro male, che nel corso dell'anno passato ha causato tanta sofferenza alle persone e grave danno alla società, è il terrorismo.
L'antidoto a tutto questo è offerto da un'effettiva solidarietà.
Invero, se il carattere della medesima è da ravvisare nell'eguaglianza radicale di tutti gli uomini e donne, allora ogni qualsiasi politica che contraddica alla dignità fondamentale e ai diritti umani di ciascuna persona o gruppo di persone, è una politica che dev'essere respinta.
Al contrario, le politiche e i programmi che instaurano relazioni leali e oneste tra i popoli, che producono giuste alleanze, che uniscono gli uomini in un'onorevole cooperazione, devono essere incrementate.
Tali iniziative non ignorano le reali differenze linguistiche, razziali, religiose, sociali o culturali esistenti tra i popoli; e neppure ignorano le grandi difficoltà nel superare divisioni e ingiustizie inveterate.
Ma esse mettono al primo posto gli elementi che uniscono, per quanto esigui essi possano apparire.
Questo spirito di solidarietà è uno spirito che si apre al dialogo.
Esso trova le sue radici nella verità e ha bisogno della verità per svilupparsi.
Esso è uno spirito che cerca di costruire, piuttosto che di distruggere, di unire piuttosto che dividere.
Dato che la solidarietà è universale come aspirazione, esso può assumere molte forme.
Accordi regionali per promuovere il bene comune e incoraggiare negoziati bilaterali possono servire ad alleggerire le tensioni.
Gli scambi di tecnologie o di informazioni per scongiurare disastri o per migliorare la qualità di vita della gente in un'area particolare, contribuiranno alla solidarietà e faciliteranno ulteriori misure a un livello più vasto.
In nessun altro settore dello sforzo umano vi è forse maggior bisogno di solidarietà sociale che nell'area dello sviluppo.
Molto di ciò che Paolo VI disse vent'anni fa nell'enciclica che ora ricordiamo, si può applicare in modo speciale al giorno d'oggi.
Egli vide con grande lucidità che la questione sociale era diventata di ampiezza mondiale ( Populorum Progressio, 3 ).
Egli fu tra i primi a richiamare l'attenzione sul fatto che il progresso economico è di per sé insufficiente e richiede anche il progresso sociale.
Soprattutto insisteva sul fatto che lo sviluppo dev'essere integrale, cioè dev'essere sviluppo di ciascuna persona e dell'intera persona.
Per lui l'umanesimo plenario era questo: uno sviluppo onnicomprensivo della persona - uomo e donna - in tutte le sue dimensioni, aperto all'Assoluto e in grado di offrire « l'idea della vita dell'uomo ».
Un tale umanesimo è la meta comune che dev'essere perseguita da tutti.
« Lo sviluppo integrale dell'uomo - egli diceva - non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell'umanità » ( Populorum Progressio, 42 ).
E ora, dopo vent'anni, desidero rendere omaggio a questo insegnamento di Paolo VI.
Nelle mutate circostanze odierne, queste profonde intuizioni, specialmente quelle concernenti l'importanza di uno spirito di solidarietà ai fini dello sviluppo, sono ancora valide e gettano una grande luce sulle nuove sfide.
Quando riflettiamo sull'impegno per la solidarietà nel campo dello sviluppo, la prima e veramente fondamentale verità è che lo sviluppo è una questione di uomini.
Gli uomini sono i soggetti del vero sviluppo, e lo scopo del vero sviluppo sono gli uomini.
Lo sviluppo integrale degli uomini è la meta e la misura di tutti i progetti di sviluppo.
Il fatto che tutti gli uomini siano al centro dello sviluppo è una conseguenza dell'unicità della famiglia umana; e ciò è indipendente da qualunque scoperta tecnologica o scientifica che il futuro può riservare.
Gli uomini devono essere il punto focale di tutto ciò che vien fatto per migliorare le condizioni di vita.
Gli uomini devono essere operatori attivi, non ricettori passivi in ogni vero processo di sviluppo.
Un altro principio dello sviluppo, in quanto attiene alla solidarietà, è la necessità di promuovere i valori che rechino veramente beneficio agli individui e alla società.
Non basta raggiungere e aiutare coloro che sono nel bisogno.
Dobbiamo aiutarli a scoprire i valori che li mettano in grado di costruire una nuova vita e di prendere il loro legittimo posto nella società con dignità e giustizia.
Tutti hanno il diritto di perseguire e di raggiungere ciò che è buono e vero.
Tutti hanno il diritto di scegliere quelle cose che elevano la vita, e la vita di una società non è in alcun modo moralmente neutra.
Le scelte sociali portano conseguenze che possono promuovere come avvilire il vero bene della persona nella società.
Nel campo dello sviluppo e, in special modo, dello sviluppo dell'assistenza sono stati offerti dei programmi che pretendono di essere « liberi da valori », ma che in realtà rappresentano controvalori per la vita.
Quando si esaminano programmi di governo o sistemi di aiuti che virtualmente costringono comunità e paesi ad accettare programmi di contraccezione o progetti di aborto come prezzo per lo sviluppo economico, allora bisogna dire chiaramente e con forza che queste proposte violano la solidarietà della famiglia umana, perché negano i valori dell'umana dignità e dell'umana libertà.
Ciò che è vero per lo sviluppo della persona mediante la scelta dei valori, che elevano la vita, si applica anche allo sviluppo della società.
Tutto ciò che impedisce la vera libertà milita contro lo sviluppo della società e delle istituzioni sociali.
Lo sfruttamento, le minacce, la soggezione forzata, il rifiuto di possibilità da parte di un settore della società a un altro, sono inaccettabili e contraddicono alla nozione stessa di solidarietà umana.
Simili attività, sia all'interno di una società sia tra le nazioni, possono purtroppo sembrare ben riuscite per un certo tempo.
Tuttavia, quanto più a lungo permangono tali condizioni, tanto più è probabile che finiscano per essere la causa di ulteriore repressione e di crescente violenza.
I semi di distruzione sono già seminati nell'ingiustizia istituzionalizzata.
Il negare i mezzi di un compiuto sviluppo a un qualsiasi settore di una determinata società o a una qualsiasi nazione, può soltanto portare all'insicurezza e alla tensione sociale.
Ciò fomenta l'odio e la divisione e distrugge la speranza di pace.
La solidarietà, che stimola lo sviluppo integrale, è quella che protegge e tutela la legittima libertà di ciascuna persona e la giusta sicurezza di ciascuna nazione.
Senza questa libertà e sicurezza vengono a mancare le condizioni stesse per lo sviluppo.
Non soltanto gli individui, ma anche le nazioni devono essere in grado di partecipare alle scelte che le riguardano.
La libertà, che le nazioni devono avere per assicurare la loro crescita e il loro sviluppo come membri di pari diritto nella famiglia delle nazioni, dipende dal rispetto reciproco tra di loro.
Il cercare una superiorità economica, militare o politica a spese dei diritti delle altre nazioni mette in pericolo qualsiasi prospettiva per un vero sviluppo o per una vera pace.
Per queste ragioni, io ho proposto che quest'anno si rifletta sulla solidarietà e sullo sviluppo come chiavi per la pace.
Ciascuna di queste realtà ha uno specifico significato.
Entrambe sono necessarie per le mete a cui miriamo.
La solidarietà è etica per sua natura, perché implica un'affermazione di valore circa l'umanità.
Per questa ragione, le sue implicazioni per la vita umana sul nostro pianeta e per le relazioni internazionali sono anch'esse etiche: i nostri comuni vincoli di umanità esigono che si viva in armonia e che si promuova ciò che è bene l'uno per l'altro.
Queste implicazioni etiche costituiscono la ragione per la quale la solidarietà è una chiave fondamentale per la pace.
In questa medesima luce lo sviluppo assume il suo pieno significato.
Non è più questione semplicemente di migliorare certe situazioni o condizioni economiche.
Lo sviluppo diventa in definitiva una questione di pace, perché esso aiuta a raggiungere ciò che è bene per gli altri e per la comunità umana nella sua interezza.
Nel contesto della vera solidarietà non c'è pericolo di sfruttamento o di cattivo uso dei programmi di sviluppo a beneficio di pochi.
Lo sviluppo, piuttosto, diventa in tal modo un processo che coinvolge i diversi membri della medesima famiglia umana e li arricchisce tutti.
Se la solidarietà ci dà la base etica per un'azione appropriata, allora lo sviluppo diventa l'offerta che il fratello fa al fratello, in modo che entrambi possano vivere più pienamente in tutta la diversità e complementarietà che sono come i marchi di garanzia della civiltà umana.
É da questa dinamica che proviene quell'armonica « tranquillità dell'ordine », che costituisce la vera pace.
Sì, la solidarietà e lo sviluppo sono le due chiavi per la pace.
Molti dei problemi, che sono di fronte al mondo in questo inizio del 1987, sono realmente complessi e sembrano quasi insolubili.
Eppure, se crediamo nell'unicità della famiglia umana, se insistiamo sul fatto che la pace è possibile, la nostra comune riflessione sulla solidarietà e sullo sviluppo, come chiavi per la pace, può gettare tanta luce su queste situazioni critiche.
Certamente il persistente problema del debito con l'estero di molte nazioni in via di sviluppo potrebbe essere riguardato con nuovi occhi, se ciascuno degli interessati includesse consapevolmente queste considerazioni etiche nelle valutazioni fatte e nelle soluzioni proposte.
Molti aspetti di queste problematiche - il protezionismo, i prezzi delle materie prime, le priorità negli investimenti, il rispetto degli obblighi contratti, come pure la considerazione delle condizioni interne delle nazioni indebitate - trarrebbero vantaggio dalla ricerca solidale di quelle soluzioni, che promuovono uno sviluppo stabile.
In riferimento alla scienza e alla tecnologia, stanno emergendo nuove e marcate divisioni tra coloro che sono forniti di supporti tecnologici e quelli che non lo sono.
Tali diseguaglianze non promuovono la pace e lo sviluppo armonico, ma piuttosto aggravano le già esistenti situazioni di diseguaglianza.
Se gli uomini sono il soggetto dello sviluppo e la meta a cui esso tende, una più ampia condivisione dei progressi delle applicazioni tecnologiche con i paesi meno avanzati tecnologicamente diventa un imperativo etico di solidarietà, come lo è il rifiuto di fare di tali nazioni il campo di prova per esperimenti assai dubbi o un luogo di scarico per prodotti discutibili.
Organizzazioni internazionali e vari stati stanno facendo notevoli sforzi in questi settori.
Tali sforzi rappresentano un importante contributo per la pace.
Recenti contributi sulle relazioni tra disarmo e sviluppo - due dei problemi più cruciali che sono di fronte al mondo di oggi - sottolineano il fatto che le presenti tensioni tra est e ovest e le diseguaglianze tra nord e sud rappresentano serie minacce per la pace del mondo.
Si sta prendendo sempre più chiara coscienza che un mondo pacifico, in cui sia garantita la sicurezza dei popoli e degli stati, richiede un'attiva solidarietà negli sforzi volti sia allo sviluppo sia al disarmo.
Tutti gli stati non possono non subire conseguenze dalla povertà di altri stati; tutti gli stati non possono non subire danno dalla mancanza di risultati nei negoziati per il disarmo.
Né possiamo dimenticare le guerre cosiddette locali, che pagano un pesante pedaggio in termini di vite umane.
Tutti gli stati sono responsabili della pace nel mondo, e questa non potrà essere garantita finché la sicurezza basata sulle armi non sia gradualmente sostituita da una sicurezza fondata sulla solidarietà della famiglia umana.
Ancora una volta io faccio appello perché siano compiuti ulteriori sforzi per ridurre al minimo necessario le armi per la legittima difesa, e perché siano accresciute le misure per aiutare i paesi in via di sviluppo ad acquistare fiducia in se stessi.
Soltanto così la comunità internazionale può vivere in vera solidarietà.
C'è ancora un'altra minaccia per la pace, quella che nel mondo scalza le stesse radici di ogni società: la grave crisi della famiglia.
La famiglia è la cellula fondamentale della società.
La famiglia è il primo luogo dove avviene o non avviene lo sviluppo.
Se essa è sana e integra, allora sono grandi le possibilità per lo sviluppo plenario di tutta quanta la società.
Troppo spesso, tuttavia, non è così.
In tante società la famiglia è ormai diventata un elemento secondario.
Essa viene relativizzata da diverse interferenze e sovente non trova nello stato quella tutela e sostegno, di cui ha bisogno.
Essa non di rado è privata dei giusti mezzi, ai quali ha diritto per poter crescere e vivere in un'atmosfera, in cui i suoi membri possano prosperare.
I fenomeni delle famiglie divise, dei membri di una famiglia costretti a separarsi per sopravvivere, o addirittura incapaci di trovare un riparo per dare inizio a una famiglia o mantenersi come gruppo familiare, sono altrettanti segni di sottosviluppo morale e di una società che ha smarrito il senso dei suoi valori.
Una misura fondamentale della sanità di un popolo e di una nazione è l'importanza che si dà alle condizioni per lo sviluppo delle famiglie.
Difatti, le condizioni vantaggiose per le famiglie promuovono l'armonia della società e della nazione, e questo, a sua volta, favorisce la pace all'interno e nel mondo.
Oggi vediamo lo spettro pauroso di bambini che sono abbandonati o costretti a cercar lavoro.
Troviamo bambini e ragazzi nelle baraccopoli e nelle grandi città spersonalizzanti, nelle quali trovano un magro sostentamento e poca o addirittura nessuna speranza per il futuro.
Il crollo della struttura familiare, la dispersione dei suoi membri, specialmente dei più giovani, e le conseguenti malattie riscontrate su di loro - abuso della droga, alcolismo, relazioni sessuali passeggere e banalizzate, sfruttamento da parte degli altri - sono altrettanti segni negativi per lo sviluppo di tutta la persona, che va promosso mediante la solidarietà sociale della famiglia umana.
Guardare negli occhi di un'altra persona e cogliere le speranze e le inquietudini di un fratello o di una sorella equivale a scoprire il significato della solidarietà.
É in gioco la pace: la pace civile all'interno delle nazioni e la pace mondiale tra gli stati ( cfr. Populorum Progressio, 55 ).
Tutto ciò Paolo VI intuì chiaramente venti anni or sono.
Egli intuì l'intrinseca connessione tra le istanze di giustizia nel mondo e la possibilità di pace per il mondo.
Non è una mera coincidenza che lo stesso anno della pubblicazione della Populorum Progressio segnò pure l'istituzione della Giornata mondiale per la pace, un'iniziativa che io ben volentieri ho continuato.
Paolo VI espresse già il nucleo della riflessione di quest'anno sulla solidarietà e sullo sviluppo, come chiavi per la pace, quando dichiarò: « La pace non si riduce a un'assenza di guerra, frutto dell'equilibrio sempre precario delle forze.
Essa si costruisce giorno per giorno, nel perseguimento di un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini » ( Populorum Progressio, 76 ).
Tutti noi che crediamo in Dio siamo convinti che questo ordine armonico, a cui tutti i popoli ardentemente aspirano, non può realizzarsi solamente mediante gli sforzi umani, ancorché siano indispensabili.
Questa pace - pace personale e pace per gli altri - deve essere cercata in pari tempo nella preghiera e nella meditazione.
Ciò dicendo, ho davanti agli occhi e nel mio cuore l'esperienza profonda della recente Giornata di preghiera per la pace in Assisi.
Capi religiosi, rappresentanti delle chiese cristiane, delle comunità ecclesiali e delle religioni del mondo hanno dato viva espressione alla solidarietà nella preghiera e nella meditazione per la pace.
C'è stato un impegno evidente di ogni partecipante - e di molti altri che a noi erano uniti in spirito - nel cercare la pace, nel farsi pacificatori, nel fare tutto il possibile, in profonda solidarietà di spirito, al fine di operare per una società in cui fiorisca la giustizia e abbondi la pace ( cfr. Sal 72,7 ).
Il giusto Signore, di cui il salmista ci offre la descrizione, è uno che amministra la giustizia ai poveri e ai sofferenti: « Egli ha pietà dei deboli e dei poveri, e salva la vita dei miseri.
Riscatterà la loro vita dall'oppressione e dalla violenza » ( Sal 72,13-14 ).
Queste parole sono oggi davanti ai nostri occhi, mentre preghiamo perché l'ardente desiderio di pace, che ha segnato l'incontro di Assisi, possa essere un forte stimolo per tutti i credenti e, in special modo, per i cristiani.
I cristiani, infatti, possono ravvisare in queste parole ispirate del salmo la figura di nostro Signore Gesù Cristo, colui che ha portato la sua pace al mondo, colui che ha guarito i feriti e gli afflitti, « per annunziare la buona novella ai poveri …, per rimettere in libertà gli oppressi » ( Lc 4,18 ).
Gesù Cristo è colui che noi chiamiamo « la nostra pace » e che « ha abbattuto il muro di separazione, che era frammezzo, cioè l'inimicizia » ( Ef 2,14 ), al fine di fare la pace.
Sì! Precisamente questo desiderio di promuovere la pace, manifestato nell'incontro di Assisi, ci sollecita a riflettere circa la maniera di celebrare in futuro questa Giornata mondiale.
Noi pure siamo chiamati a essere simili a Cristo, a essere operatori di pace mediante la riconciliazione, a essere cooperatori con lui nell'arduo compito di portare la pace su questa terra, promuovendo la causa della giustizia per tutti i popoli e per tutte le nazioni.
E non dobbiamo mai dimenticare quelle sue parole, che riassumono ogni perfetta espressione di umana solidarietà: « Fate agli uomini tutto quanto voi vorreste che essi facciano a voi » ( Mt 7,12 ).
Allorché questo comandamento viene infranto, i cristiani devono rendersi conto che sono causa di divisione e commettono peccato.
Tale peccato ha gravi ripercussioni sulla comunità dei credenti e sull'intera società.
Esso offende Dio stesso, che è il creatore della vita e colui che la mantiene in essere.
La grazia e la sapienza, che Gesù mostra fin dal tempo della sua vita nascosta a Nazaret con Maria e Giuseppe ( cfr. Lc 2,51-52 ), sono un modello per le nostre relazioni vicendevoli in seno alla famiglia, nelle nostre nazioni, nel mondo.
Il servizio degli altri mediante le parole e le opere, che contrassegna la vita pubblica di Gesù, è lì a ricordarci che la solidarietà della famiglia umana è stata radicalmente approfondita, e che a essa è stato assegnato un fine trascendente che nobilita tutti i nostri sforzi umani per la giustizia e la pace.
Infine, il definitivo atto di solidarietà che il mondo ha conosciuto - la morte di Gesù Cristo sulla croce per tutti - apre a noi cristiani la via che dobbiamo seguire.
Se la nostra opera per la pace vuole essere pienamente efficace, occorre che essa partecipi del potere trasformante di Cristo, la cui morte dà la vita a ogni persona nata in questo mondo, e il cui trionfo sulla morte è la garanzia definitiva che la giustizia, quale esigono la solidarietà e lo sviluppo, condurrà a una pace duratura.
Possa l'accoglienza che i cristiani fanno a Gesù Cristo, come a loro Salvatore e Signore, dirigere tutti i loro sforzi!
Possano le loro preghiere sostenerli nell'impegno per la causa della pace mediante lo sviluppo dei popoli nello spirito di sociale solidarietà.
E così insieme diamo inizio a un altro anno: il 1987.
Esprimo l'auspicio che esso sia un anno in cui l'umanità metta finalmente da parte le divisioni del passato, un anno in cui le persone cerchino la pace con tutto il cuore.
Spero che questo messaggio possa offrire occasione a ciascuno - uomo o donna - di approfondire il suo impegno per l'unicità della famiglia umana nella solidarietà.
Sia uno sprone che incoraggi tutti noi a cercare il vero bene di tutti i nostri fratelli e sorelle, in un completo sviluppo che favorisca tutti i valori della persona umana nella società.
All'inizio di questo messaggio ho spiegato che il tema della solidarietà mi ha spinto a indirizzarlo a tutti, a ciascun uomo e donna in questo mondo.
Ripeto ora tale invito a ciascuno di voi, ma desidero fare uno speciale appello nel modo che segue:
a tutti voi, capi di governo e quanti siete responsabili di organizzazioni internazionali: al fine di assicurare la pace, io faccio appello perché raddoppiate i vostri sforzi per lo sviluppo completo degli individui e delle nazioni;
a tutti voi, che avete partecipato alla Giornata di preghiera per la pace in Assisi o che vi siete uniti spiritualmente con noi in quella occasione: io faccio appello perché possiamo insieme testimoniare in favore della pace nel mondo;
a tutti voi, che viaggiate e che siete interessati agli scambi culturali: io faccio appello perché siate strumenti consapevoli di una più grande reciproca comprensione, rispetto e stima;
a voi, miei fratelli e sorelle più giovani, alla gioventù del mondo: io faccio appello perché usiate ogni mezzo per stabilire nuovi legami di pace, in fraterna solidarietà con i giovani di ogni dove.
E oserò io sperare di essere ascoltato da quelli che praticano la violenza e il terrorismo?
Quanto a voi a cui giungerà almeno la mia voce, io vi prego di nuovo - come ho già fatto in passato - di desistere dal perseguire con la violenza i vostri scopi, anche quando questi siano di per sé giusti.
Vi prego di desistere dall'uccidere e far del male all'innocente.
Vi prego di smettere di minare la stessa struttura della società.
La via della violenza non può raggiungere una vera giustizia per voi o per alcun altro.
Se volete, voi potete ancora cambiare.
Voi potete dimostrare la vostra umanità e riconoscere la solidarietà umana.
Faccio appello a tutti voi, dovunque siate, qualunque cosa facciate, perché riconosciate il volto di un fratello o di una sorella in ogni essere umano.
Ciò che ci unisce è tanto di più di ciò che ci separa e divide: è la nostra comune umanità.
La pace è sempre un dono di Dio; eppure, essa dipende anche da noi.
E le chiavi della pace sono in nostro potere.
Sta a noi usarle per aprire tutte le porte!
Dal Vaticano, l'8 dicembre dell'anno 1986.
IOANNES PAULUS PP. II