Messaggio Urbi et Orbi di Natale 1943
24 dicembre 1943
Una tradizionale e cara consuetudine ha procurato ancora una volta all'animo Nostro la gioia di vedere oggi adunati intorno a Noi i membri del Sacro Collegio e della Prelatura Romana e di udire dalle labbra del Signor Cardinale Decano, - che compie il suo alto ufficio in ammirevole pienezza di forze e vigoria di mente, - con quali sentimenti d'incrollabile fedeltà e di esemplare devozione essi Ci offrono il dono dei loro auguri e delle loro preghiere in questa previa luce del mistero natalizio.
Nei tempi difficili e aspri in cui, ignari dello svolgimento e della conclusione loro, nota solo a Dio, Noi viviamo e soffriamo insieme con voi, Venerabili Fratelli e diletti Figli, e coi fedeli della Nostra città episcopale di Roma, in profonda comunanza di pensiero e di intenti coi cattolici di tutto il mondo, - è di grande conforto per il Vicario di Cristo, gravato dal peso di tante imprescindibili responsabilità, il veder dominare nella schiera dei suoi più vicini consiglieri e collaboratori nel governo della Chiesa universale quel « cor unum et anima una », che ha ispirato le parole del vostro eminente e venerando interprete.
Questo « cor unum et anima una », che riuniva i primi seguaci di Cristo, fu l'infiammata arma spirituale del piccolo gregge della Chiesa primitiva, il quale, senza mezzi terreni, con la parola, con l'amore disinteressato e col sacrificio anche della vita, iniziò e condusse a termine la sua vittoriosa azione di fronte ad un mondo ostile.
Contro la forza di resistenza, di zelo, di disprezzo dei patimenti e della morte di un tal cuore e di una tale anima non valsero e s'infransero le arti e gli attacchi delle potenze avverse, che ne combattevano l'esistenza, la dottrina, la diffusione e il consolidamento.
Così dall'unione dei cuori e delle anime di tutti i fedeli si formava come un cuor solo e un'anima sola, che la propagazione della fede attraverso i tempi estese e ancora estende per tante regioni e popoli; e un così bel vincolo di cuori e di anime da tutte le terre e da tutti i lidi arriva fino a Noi, e più vivo e forte si rinnova nell'ora presente delle comuni afflizioni e invocazioni e delle comuni brame e speranze, mercé del divino Spirito Vivificatore e Santificatore, che fa e conserva la Sposa di Cristo, sempre la medesima nella sua unità e universalità, anche in mezzo ai rivolgimenti che sovvertono le Nazioni.
Onde con commossa riconoscenza, Venerabili Fratelli e diletti Figli, Noi accogliamo la espressione dei vostri sentimenti, tanto conformi alle antiche tradizioni cristiane, come un dono della Provvidenza ed un chiaro segno che anche la Chiesa militante di oggi sperimenta l'efficacia della preghiera sacerdotale di Cristo: « Pater sancte, serva eos in nomine tuo, … ut sint unum, sicut et Nos unum sumus » ( Gv 17,11.22 ).
Nel corso di quest'anno la tormenta della guerra si è avvicinata sempre più anche alla città Eterna; e dure sofferenze si sono abbattute su molti dei Nostri diocesani.
Non pochi tra i più poveri hanno visto il loro focolare distrutto da attacchi aerei.
Un Santuario, caro al cuore della Roma cristiana e vero gioiello di una venerabile antichità, fu colpito e ricevette ferite difficilmente sanabili.
Nel campo economico e spirituale la confusione e il turbamento si sono diffusi in maniera inquietante.
Se l'interruzione e la paralisi della normale produzione di ciò che è necessario alla vita avesse a procedere col ritmo presente, è da temere che, nonostante le sollecite cure delle competenti Autorità, il popolo di Roma e gran parte della popolazione italiana, tra non molto tempo, verrebbero a trovarsi in condizioni di indigenza, quali a memoria d'uomo non si sono forse mai avverate e sofferte in questa terra già tanto provata.
A tutti, e in particolare agli abitanti dell'Urbe, raccomandiamo instantemente di conservare la calma e la moderazione e di astenersi da qualsiasi atto inconsulto, che non farebbe se non provocare ancor più gravi sciagure.
Davanti a tale oscuro avvenire, il riserbo, inerente alla natura del Nostro ministero pastorale e da Noi sempre mantenuto di fronte alle vicissitudini dei conflitti terreni, Ci sembra in questo momento più che mai necessario, per evitare che l'opera della Santa Sede, rivolta al bene delle anime, corra il pericolo, per false o mal fondate interpretazioni, di venir travolta ed esposta ai colpi del fuoco incrociato dei contrasti politici.
Tuttavia voi comprenderete, Venerabili Fratelli e diletti Figli, quanto la tristezza e la miseria, che angustiano i popoli, pesino sull'animo Nostro, e come la grandezza del bisogno sempre crescente affligga il Nostro cuore.
Ci proponiamo quindi nel consueto Messaggio natalizio, che oggi stesso pronunzieremo, non solo di rivolgere una nuova e calda esortazione a coloro, dalla cui penetrazione e rettitudine dipenderà essenzialmente il raggiungimento di una vera e giusta pace, ma altresì di attirare l'attenzione del mondo sulla penuria che tormenta tanti Paesi della terra, invocando la soccorrevole bontà di quanti, pur fra le esigenze e le restrizioni imposte dalla guerra, hanno ancora la possibilità di dare un appoggio efficace ad una grandiosa opera di amore cristiano e di umana fraternità.
Al Nostro orecchio giorno per giorno, ora per ora, arriva con sempre maggiore insistenza la voce supplichevole dei più poveri tra i poveri, e Noi sentiamo l'amarezza del contrapposto tra il gigantesco numero delle richieste e la penosa ristrettezza dei Nostri mezzi, che le barriere economiche del tempo di guerra rendono ognor più esigui.
Non meno dolorose della miseria, causata dall'immane conflitto in molte parti della Chiesa universale, e degli impedimenti all'opera della carità cristiana, sono le difficoltà, divenute di anno in anno, di giorno in giorno, di luogo in luogo, più ardue a superarsi, per il normale esercizio e svolgimento del sommo ministero apostolico, proprio quando in un mondo diviso e lacerato dall'odio, dalle contese, dall'egoismo e dalla violenza, le forze dell'amore, della concordia, dello spirito fraterno e della giustizia sentono più vivo il bisogno di unirsi e congiungersi nell'azione di sollievo e di soccorso.
Che diverrebbe la società umana dopo la guerra, se quanti si onorano del nome di cristiani, per non collegarsi nell'interiore unità di pensiero e di volere, non fossero in grado di scongiurare il pericolo di una pace effimera, appoggiata e sostenuta dai labili fondamenti della violenza?
Non sarebbe questo un tristo e lamentevole errore, tanto sotto l'aspetto meramente umano, che al lume della coscienza cristiana?
Che se le vie di contatto spirituale con una parte notevole ( non possiamo dire con tutte le regioni ) del mondo cattolico sono finora rimaste senza troppo gravi danni, o almeno non interamente impraticabili; se anzi la forzata separazione dal centro di vita, di moto e di azione della Chiesa ha incitato e animato il cuore dei migliori e dei più fedeli a riempire un tale vuoto; Noi ascriviamo un così gran bene in mezzo a tanti disagi, oltre che alla grazia corroborante e vigile dell'Onnipotente, alla saggia previdenza e prudenza di un solerte Episcopato, allo zelo e allo spirito assiduo e pronto di un clero che sente profondamente il suo ufficio sacerdotale, alla forza di convinzione d'un laicato, sempre più messo alla prova dalle difficoltà e dalle sofferenze; i quali tutti tanto più intimamente affermano e pubblicamente professano l'alta virtù del « sentire cum Petro », quanto più strette e impedite sono rese le strade che li congiungono esteriormente con la Santa Sede Apostolica.
Da questa perenne unione dei fedeli col Vicario di Cristo Noi siamo mossi a ringraziare Iddio che con la sua potenza infinita Ci accordò protezione, or sono poche settimane, nel momento della incursione aerea contro la Città dal Vaticano, appresa con unanime indignazione dagli onesti del mondo intero.
Un simile attacco, - tanto deliberatamente preparato, quanto poco onorevolmente ed efficacemente coperto sotto il velo dell'anonimo volatore, - sopra un territorio sacro ai cristiani, santificato dal sangue del primo Pietro, centro del mondo anche per i suoi capolavori di cultura e di arte, e garantito da solenne trattato, è un sintomo difficilmente superabile del grado di sconvolgimento spirituale e di morale decadimento della coscienza, in cui alcuni animi traviati sono caduti.
In mezzo a tali perturbamenti ben s'intende quanto convenga ad ognuno di mantenersi franco e coraggioso nella pratica morale della vita, mentre non pochi cristiani, anche fra quelli che sono al servizio della Chiesa e del santuario, si lasciano sgomentare dalla tristezza dei tempi, dall'amarezza delle privazioni e degli sforzi richiesti, dalla catena di delusioni, che si stringe e si abbatte su di loro; talmente che non sfuggono al pericolo di smarrirsi d'animo e di perdere quella freschezza e agilità di spirito, quella robustezza di volontà, quella serenità e quella letizia dell'osare e portare a termine ciò che si imprende, senza di cui non è possibile una feconda opera di apostolato.
Ai pusillanimi, agli sfiduciati, agli spossati, uno sguardo al presepio di Betlemme e al Redentore, che dà inizio al rinnovamento spirituale e morale del genere umano in una povertà senza esempio, nella quasi totale separazione dal mondo dei potenti di allora, deve ricordare e ammonire che le vie del Signore non sono le vie illuminate dalla falsa luce di una saggezza puramente terrena, ma dai raggi di una stella celeste ignota alla prudenza umana.
Dalla grotta di Betlemme quando si rivolga l'occhio alla storia della Chiesa, tutti dovrebbero convincersi che ciò che fu detto del divino suo Fondatore: « Sui eum non receperunt » ( Gv 1,11 ), è rimasto sempre la divisa dolorosa della Sposa di Cristo nel corso dei secoli, e che più volte i tempi di dura lotta prepararono vittorie grandiose, d'importanza definitiva per lunghe epoche avvenire.
Se Ci è lecito di penetrare nella visione dei disegni di Dio, dei quali è luce il passato, le ardue e cruente condizioni dell'ora presente altro forse non sono se non il preludio di una aurora di nuovi svolgimenti, nei quali la Chiesa, mandata a tutti i popoli e per tutti i tempi, si troverà di fronte a doveri ignoti ad altre età, che solo animi coraggiosi e risoluti a tutto potranno portare a compimento: cuori non timorosi di assistere al ripetersi e rinnovarsi del mistero della Croce del Redentore nel cammino della Chiesa sulla terra, senza pensare ad abbandonarsi con i discepoli di Emmaus ad una fuga dalla amara realtà; cuori consapevoli che le vittorie della Sposa di Cristo, e specialmente le definitive, sono preparate e ottenute in signum cui contradicetur, in contrasto, cioè, con tutto quello che l'umana mediocrità e vanità si studiano di opporre alla penetrazione e al trionfo dello spirituale e del divino.
Del celeste Bambino, che ora giace nel presepio, Maestro del genere umano e luce del mondo, scrive il Dottore delle genti che « proposito cibi gaudio, sustinuit crucem, confusione contempta » ( Eb 12,2 ).
Dal presepio alla Croce del Golgota corre e splende il sentiero battuto dal Redentore; e su Betlemme e sul Golgota domina l'unità della legge di vita, che l'arte cristiana sentì in tutta la sua maestà.
Dietro il legno della mangiatoia di Betlemme si innalza gigante il legno salutifero della Croce.
Tale visione ebbe già la fede degli antichi cristiani, quando sul coperchio di un vetusto sarcofago, ritrovato recentemente nelle Grotte Vaticane in prossimità della Confessione, scolpiva, di fronte ai Magi recanti i doni al neonato Redentore e dietro il seggio della Vergine Madre col Fanciullo, una grande Croce: tipo archeologico unico nel suo genere, e in pari tempo prova di quanto profondamente i cristiani di quell'età erano penetrati nella conoscenza di quella legge fondamentale del Salvatore e di coloro che dovevano essere salvati.
Segno di salute e di vittoria è la Croce, vessillo di Cristo e di salvezza, che come ora rifulge in cima ai nostri sacri templi, dove preghiamo e ci prepariamo per l'eternità, così sarà fino a quel glorioso momento, in cui, all'aprirsi del cielo e al chiudersi delle porte di vita di questo cammino terreno, apparirà il segno del Figliuolo dell'uomo, e davanti a Lui, eterno Giudice, tutto il genere umano si dividerà, separandosi in benedetti del Padre, quelli i quali, « confusione contempta », restarono fedeli alla Croce, e in reprobi, quelli che si scandalizzarono della sua apparente follia e si smarrirono.
Se oggi dobbiamo portare aiuto al nostro tempo, se la Chiesa ha da essere per gli erranti e per gli amareggiati dalle angustie spirituali e temporali dei nostri giorni quella Madre che aiuta, consiglia, preserva e redime; come potrebbe essa attendere a tanto bisogno, se non disponesse di una acies ordinata, reclutata tra le anime generose, che al di sopra della cara visione del neonato Bambino non temono né dimenticano di sollevare lo sguardo al crocifisso Signore, consumante sul Calvario il sacrificio della sua vita per la rigenerazione del mondo, e ritraggono come forza e valore nel loro vivere e nel loro operare la legge suprema della Croce?
Siano pur semplici fedeli cotesti spiriti generosi; ma al fianco dei ministri del santuario ne emulino l'ardore dello zelo e il vigore dell'operosità, e al pari di essi non si spezzino fra le asprezze dei tempi, bensì piuttosto vi crescano e vi maturino « in virum perfectum, in mensuram aetatis plenitudinis Christi » ( Ef 4,13 ).
Da queste considerazioni Ci sentiamo nell'intimo dell'animo mossi a implorare per voi, in giorni di tanto travaglio, ma anche di fervida speranza e di vigile attesa, quella coraggiosa prontezza che vi faccia forti alle sofferenze e alle lotte, racchiuse nei misteri del Presepio e della Croce, fonti d'ineffabile divino amore sgorgante dal cuore di Cristo, insieme con quella sicurezza della vittoria, che si nutre delle infallibili promesse di Dio, che ha vinto il mondo e ci esortò a confidare in Lui.
Noi preghiamo per il genere umano, avvinto e legato nelle catene dell'errore, dell'odio e della discordia, quasi in una prigione da lui stesso costruitasi, ripetendo la invocazione della Chiesa nel sacro Avvento: O clavis David et sceptrum domus Israel; qui aperis, et nemo claudit; claudis, et nemo aperit: veni, et educ vinctum de domo carceris, sedentem in tenebris et umbra mortis!
Con questa preghiera sulle labbra Noi impartiamo a voi, Venerabili Fratelli e diletti Figli, ai vostri lavori così gravi di difficoltà e pieni di responsabilità, a quanti voi racchiudete nelle vostre orazioni e nei vostri affetti, come pegno di abbondante grazia del Neogenito Figliuolo di Dio, la Nostra paterna Apostolica Benedizione.