Messaggio Urbi et Orbi di Natale 1961
24 dicembre 1961
Venerabili Fratelli, diletti figli!
Si possono ricercare altre risonanze del grande mistero per esprimere la pienezza di grazia, di cui ogni credente in Gesù Cristo si allieta in questi giorni: non si esce di là.
Questo l'annuncio di Betlem: gloria di Dio, pace vera, e invito alla corrispondenza della volontà umana a tanto dono.
Gloria in altissimis Deo: pax hominibus: bonae voluntatis. ( Lc 2,14 )
La letteratura dei secoli di ogni paese, su cui passò la luce del Cristo, non si estende oltre questa triplice manifestazione, che si apre agli uomini con la venuta in terra del Figlio di Dio.
Ecco che per la quarta volta, a Natale, l'umile figlio del popolo chiamato al vertice del sacerdozio e del governo della Chiesa - lasciateCelo dire così come è per Noi abituale il pensiero - mette il suo spirito, che la grazia del Signore sostiene, a servizio del grande annuncio di pace.
Negli anni precedenti Ci piacque offrire alla umanità intera la pace di Betlem in una triplice rifrazione.
Sempre la Pace di Cristo, ma splendente nelle sue più nobili manifestazioni: pace e giustizia, pace e unità, pace e verità.
Nella triplice irradiazione palpita il richiamo dei principali e più preziosi beni della umanità.
A voler cogliere l'auspicio, e ripetere l'augurio che gli uomini si scambiano in questi giorni, niente è più espressivo di questa molteplice effusione di ricchezze che il Verbo di Dio, fattosi Uomo, arrecò sulla terra a redenzione e ad esaltazione universale.
Voi diletti figli ben sapete come interpreti fedelissimi dell'insegnamento antico e sempre nuovo delle celesti comunicazioni, sono riconosciuti i Padri della Chiesa di Oriente e di Occidente, Dottori e Pontefici, le cui voci si congiungono e si intrecciano armoniosamente.
Una di queste, a Noi familiare dalla giovinezza, è quella di S. Leone Magno che risolleva quest'anno accenti di novello fervore.
Di S. Leone Magno abbiamo celebrato con la recente Enciclica Aeterna Dei il decimo quinto centenario dalla morte.
Nelle fauste circostanze del novembre passato, quanto Ci fu piacevole prendere ispirazione alle Nostre parole da questo grande Dottore!
Anche oggi, da quei suoi sermoni di Natale - che mantengono intatta la vivacità di uno stile così personale - amiamo sollevare l'attenzione dei vostri occhi verso la Grotta di Betlem.
Sentite: Generatio … Christi origo est populi christiani, et natalis capitis natalis est corporis.
Che parole, diletti figli: « La generazione di Cristo è l'inizio del popolo cristiano; il natale del Capo è pure il natale del corpo ».
E prosegue : « Sebbene ciascuno dei chiamati abbia il suo grado, e i figli della Chiesa sian distinti dalla successione dei tempi, tuttavia la totalità dei fedeli, nata dal fonte battesimale …, è generata con Cristo in questa natività.
… Pertanto, la grandezza del dono che ci è stato conferito, esige da noi una reverenza, degna del suo splendore. …
Ma che cosa possiamo trovare noi di più consono alla dignità della festa odierna, e di meglio corrispondente al Natale di Gesù se non la pace, che giusto nella natività del Signore è stata per la prima volta annunciata dagli angeli?
È essa, che genera i figli di Dio, nutrice di bontà e madre di unità.
… Il Natale del Signore è il natale della pace, poiché dice l'Apostolo: Egli è la nostra pace … ( Ef 2,14 )
La pace degli uomini saggi e retti - vi diremo, parafrasando il pensiero di S. Leone - viene dall'alto e in alto solleva, non vuole confondersi con le facili inclinazioni degli amatori del mondo.
Essa resiste a tutti gli ostacoli, e dalle pericolose dilettazioni sospinge l'uomo verso le vere gioie.
… Fusi come ci sentiamo, in una sola volontà e in una sola convinzione, e concordi nella fede, nella speranza e nell'amore, possa ad essa condurci lo Spirito della pace.3
Elevazioni incantevoli queste di S. Leone.
Esse contengono precisazioni di dottrina e di vita pratica.
Tutto infatti è là: Chiesa santa, in tutti i suoi ordini di fedeli, sacerdozio integerrimo, pontificato supremo in funzione di strumento voluto da Dio per la unione delle genti; ed unione delle genti intesa alla esaltazione vera e duratura della civiltà.
Sì: quanto Ci accadde di segnalare in augurio Natalizio, in questi tre primi anni del nostro incontro di Betlemme, tutto è là.
Ve ne ricordate?
Innanzitutto conoscenza della verità, pax et veritas: che porta all'adorazione del Figlio di Dio, fatto uomo per noi, ed all'accettazione del suo messaggio; pax et veritas, che rafforza i nobili sentimenti, e sostiene i giusti propositi a conoscere e a servire la verità.
Pax et unitas: invito pressante alla fedeltà intorno a questa Cattedra Apostolica, che è centro di unità.
Poi, pax et iustitia, in questa visione della realtà unica della Chiesa, che contiene elementi preziosi per assicurare la solidità della compagine sociale, e per celebrare patti di pacifica convivenza: sia dei cittadini nell'ambito della stessa nazione e nei rapporti di lavoro, sia nel mondo universo che a tutti appartiene, e a tutti deve garantire operosità e tranquillità di vita.
Non credete che a questa triplice illuminazione di pace: in veritate, in unitate, in iustitia, Noi possiamo aggiungere, per questo Natale, un quarto raggi : cioè la bontà, la pax Christi in bonitate, a nostra maggiore e più intensa edificazione spirituale?
Oh! come tornano bene e in irradiazione perfetta le nostre elevazioni verso il regno glorioso di Cristo nella espressione della Santa Liturgia Rex paci ficus magnificatus est, cuius vultum desiderat universa terra.
Rex paci ficus super omnes reges universae terrae ( In Vesperis Nativit. ).
Pax Christi in bonitate adunque.
La prima visione che ci viene innanzi è quella di Lui che ci invita dalla culla di Betlemme, anticipando gli incontri di quando sarà fatto adulto, rispettato ed acclamato come Rabbi, il divino Maestro, fra le turbe commosse, e dirà loro: Discite a me quia mitis sum et humilis corde. ( Mt 11,29 )
Questa voce dalla culla è la irradiazione della bonitas di Gesù di cui egli è sostanza viva, sorgente divina e la cui grazia è magistero universale di pace per tutto il mondo.
Purtroppo questo magistero, soffuso di umiltà e di mitezza, aperto a letizia di pace universale, di fatto nella successione dei secoli rimane segno di contrasto e di ostinata durezza nei rapporti degli uomini fra di loro.
Osservando gli eventi più vicini a noi, si direbbe che in questa nostra epoca lo sgomento e la paura determinino una febbre ed un ardore di vicendevole indisposizione, forse inconsapevole in molti, ma pur sempre avvertibile nelle reciproche relazioni: il che porta ad un continuo turbamento nei rapporti domestici e sociali, civili e internazionali.
Tale costatazione è tanto più dolorosa quando si pensi che il Creatore nel suo piano di provvidenza ha predisposto gli uomini ad intendersi, ad aiutarsi, ad integrarsi gli uni con gli altri: nella fraterna collaborazione di intenti, nella paziente composizione dei contrasti, nella equa distribuzione dei beni terreni: iustitia duce, caritate comite, secondo carità e giustizia.5
Oh! quanto sono chiare a questo proposito le parole dei Profeti e dei Salmi, nell'inculcare a nome di Dio la bontà e l'amore!
Ecco, dice Isaia, « slega i fastelli che gravano: manda liberi gli oppressi, e rompi ogni peso.
Spezza il tuo pane all'affamato, e introduci in casa tua i poveri e i raminghi; se vedi un ignudo, ricoprilo, e non disprezzare la tua propria carne.
… E il Signore ti darà sempre riposo e riempirà di splendori l'anima tua ». ( Is 58,6-7,11 )
Se consideriamo l'insieme dei rapporti scambievoli nell'ambito interno delle nazioni come nei consessi internazionali, possiamo avvertire come si sia ancora lontani dall'insegnamento divino, che brilla nei secoli dell'Antico Testamento, e splende di luce perfetta nella pienezza dei tempi, con l'avvento del Divino Maestro.
Là è tutto un invito alla pace, perchè è proclamata la beatitudine della pace: qui, invece, al di sotto delle belle parole ( quando almeno sia salva la forma, il che purtroppo viene spesso trascurato ) c'è sovente lo spirito di contraddizione alla pace.
È l'orgoglio del potente che soggioga; è la ingordigia di chi accumula, chiudendo le sue viscere davanti alle necessità dei fratelli; ( Cfr. 1 Gv 3,17 ) è l'insensibilità di chi gode, ignorando il vasto sospiro di sofferenza, che è nel mondo; l'egoismo di chi pensa esclusivamente a se stesso.
È sempre la bonitas Christi che manca.
La quale innanzitutto deve comporre l'antidoto a questo spirito di contraddizione e di durezza, un avviamento a più pacata valutazione delle cose.
Nella Nostra Enciclica Mater et Magistra abbiamo voluto sottolineare che « quando si è animati dalla carità di Cristo, ci si sente tutti uniti, e si avvertono come propri i bisogni, le sofferenze, le gioie altrui.
Conseguentemente l'operare di ciascuno … - dicevamo - non può non risultarne più disnteressato, più vigoroso, più umano, poiché la carità è paziente, è benefica … non cerca il proprio interesse … non gode della ingiustizia, ma si rallegra del godimento della verità … tutto spera, tutto sopporta ». ( 1 Cor 13,4-7 )
Ed è ben per questo che la supplicazione di pace, che si leva quest'anno dalla culla di Betlem, vuol essere invocazione di bontà, apprezzamento di vera fraternità, proposito di sincera cooperazione, che rifugga da ogni intrigo, e da quegli elementi dissolvitori, che Noi - lo ripetiamo - chiamiamo per nome senza velo alcuno: orgoglio, ingordigia, insensibilità, egoismo.
L'invito vuol essere tanto più pressante, quanto più la reciproca diffidenza è causa di crescente malessere.
Pensate; anche semplicemente lo stato di trepidazione, in cui le anime restano prese, seguendo gli sforzi di ostentata violenza e di inimicizia fomentata, dà origine al generale raffreddamento, e lo estende sempre di più.
In tale condizione è naturale pensare alla solenne e grave parola del Cristo: come profezia e come minaccia.
Refrigescet rigescet caritas multorum: « per il sovrabbondare dell'iniquità, si raffredderà la carità di molti ». ( Mt 24,12 )
L'uomo non è più all'uomo fratello buono, misericordioso e amabile; ma è diventato un estraneo, calcolatore, sospettoso, egoista.
Quale necessità di conclamare l'unico rimedio nell'accoglimento di Gesù di Betlemme, Agnello di Dio, venuto a togliere il peccato del mondo, ( Cfr. Gv 1,29 ) nel ricorso alla sua grazia, nella pratica del suo insegnamento di misericordia.
Oh! Natale benedetto: incontro di anime semplici, invito ad interiore purificazione, a bontà con tutti, perchè « è apparsa la benignità e l'amorevolezza di Dio nostro Salvatore ». ( Tt 3,4 )
Deplorare il male è triste: ma la sua deprecazione non basta ad eliminarlo.
È bene che dobbiamo volere, compiere ed esaltare.
È la bontà che deve essere proclamata in faccia al mondo, perchè si irradii all'intorno, e penetri in ogni forma del vivere individuale e sociale.
Buono dev'essere l'uomo singolo:
buono perchè specchio di coscienza pura, ove non entri la doppiezza, il calcolo, la durezza di cuore.
Buono perchè dedito a uno studio continuo di purificazione interiore e di vera perfezione;
buono perchè fedele ad una immutabile fermezza di proposito, cui si adegui ogni pensiero e ogni azione.
Buona la famiglia, in cui il reciproco amore palpiti come fiamma nell'esercizio di ogni virtù.
La bontà addolcisce e rafforza l'autorità paterna, e si diffonde dalla delicatezza materna; essa impronta altresì l'obbedienza dei figli, ne tempera la esuberanza, ispira gli immancabili sacrifici.
È ancora la bontà che deve reggere ogni espressione di vita, fuori dell'ambito strettamente domestico, ma collegata con esso: ecco dunque le varie applicazioni, che le si dischiudono, nella scuola di diverso grado, nelle istituzioni varie della vita civica, per la ordinata convivenza dei cittadini nella tranquillità, nel rispetto, nella concordia.
Tutte le relazioni degli ordini sociali debbono ricevere espressione dalla bontà, che ancora S. Leone Magno raccomanda con tratti vividissimi: « compiere ingiustizia, e ripagarla - egli dice - è prudenza di questo mondo; mentre non rendere a nessuno male per male è innocente espressione di cristiana indulgenza.
… Si ami dunque l'umiltà, e i fedeli stiano lontani da ogni arroganza.
Ciascuno anteponga il fratello a se stesso, e nessuno cerchi il proprio interesse, ma quello degli altri: affinché, quando in tutti abbondi l'affetto di benevolenza, in nessuno si trovi il veleno dell'inimicizia ».12
Buona deve essere poi l'umanità.
Queste voci che ritornano dal fondo dei secoli ad ammaestrarci ancor oggi con modernità di accento, ricordano agli uomini il dovere che a tutti incombe di essere buoni: cioè giusti, retti, generosi, disinteressati, pronti a comprendere ed a scusare, disposti al perdono e alla magnanimità.
Come invito all'esercizio di tale dovere, torna opportuno il richiamo - che è stato avvio fiducioso di questo Nostro radiomessaggio - a volere la pace e ad eliminare gli elementi, che la ostacolano.
Ci rifiutiamo di credere che la strapotenza umana possa straripare.
Accanto ad elementi di timore ed apprensione, ci sono dovunque positivi riflessi di buona volontà, costruttiva benefica.
Mentre ne ringraziamo il Signore, datore di ogni bontà, eleviamo l'invito, che Ci urge nel cuore: invito a chi detiene la forza economica, a rischiare tutto, ma non la pace la vita degli uomini; a cercare ogni mezzo che l'odierno progresso mette a disposizione per aumentare nel mondo benessere e sicurezza, non per diffondere sfiducia e sospetto reciproco.
E ancora una volta « rileviamo con tristezza - per usare le parole della Nostra Enciclica Mater et Magistra — che … mentre da una parte si mettono in accentuato rilievo le situazioni di disagio e si fa balenare lo spettro della miseria e della fame, dall'altra si utilizzano, e spesso largamente, le scoperte della scienza, le realizzazioni della tecnica, e le risorse economiche per creare terribili strumenti di rovina e di morte ».13
Invito a chi detiene l'arte di formare l'opinione pubblica, in parte ne ha il monopolio, a temere il severo giudizio di Dio, e anche quello della storia, e a procedere cautamente, con rispetto e senso di misura.
Non poche volte nei tempi moderni - lo diciamo con pena e con franchezza - la stampa ha cooperato a preparare un clima di avversione, di animosità di rottura!
Invito ai responsabili delle nazioni, a coloro che tengono in mano le sorti dell'umanità.
Uomini fragili e mortali, a voi guardano con ansia i vostri simili, prima fratelli che sudditi.
Con l'autorità che Ci viene da Gesù Cristo, vi diciamo: Allontanate, allontanate la suggestione della forza; tremate alla idea di determinare una catena imponderabile di fatti, di giudizi, di risentimenti, che possa concludersi con atti inconsulti e irreparabili.
Potere grande vi è stato dato non per distruggere, ma per edificare; non per dividere, ma per unire; non per far scorrere lacrime, ma per dare a tutti lavoro e sicurezza.
Ecco le varie applicazioni di una bontà, che si deve estendere a tutti i campi dell'umana convivenza.
Questa bonitas è forza e dominio di se stessi, pazienza con gli altri, carità che non si estingue, che non si perde d'animo, perchè vuole realmente il bene attorno a sè, secondo le immortali parole di S. Agostino.
Essa « rimane tranquilla fra le offese, benefica in mezzo agli odii : nell'ira è mansueta, è innocua nelle insidie; nell'iniquità geme, e respira nella verità : inter iniquitates gemens, in veritate respirans ».14
Venerabili Fratelli e diletti figli! Dalla rinnovata contemplazione del Figlio di Dio fatto uomo, venga a ciascuno degli uomini, in tutta la sua chiarezza, il messaggio della bontà e carità evangelica.
Sia ai credenti rinnovato stimolo a viverlo nella sua interezza, portandone l'esempio al mondo ansioso; sia per tutti gli uomini di buona volontà richiamo a riflessioni salutari per l'applicazione costante dei principii, su cui si fonda l'ordinato vivere sociale: L'umile Vicario di Cristo, nel far risonare la sua voce, ha inteso proporre con evidenza più toccante il dovere comune, che scaturisce dall'essenza stessa del Natale.
Nell'atto di porre fine alle Nostre parole, il pensiero commosso si rivolge all'umanità intera, per la cui salvezza si è incarnato il Verbo Divino: in particolar modo ai sofferenti, ai tribolati nello spirito e nel corpo, a chi attende giustizia e carità.
A tutti va l'augurio paterno di ogni consolazione.
Né possiamo tacere l'ansia del Nostro cuore: che la prossima festività Natalizia, albeggiando sul mondo, debba trovare popoli senza pace, senza sicurezza, senza libertà religiosa, angosciati dallo spettro della guerra e della fame.
Per essi sale al Cielo la Nostra fervida preghiera, velata di pianto, coi voti paterni per una equa risoluzione di ogni difficoltà e controversia, e con l'invito, che ancora ripetiamo ai responsabili delle nazioni, affinché per la loro congiunta opera si affermino la giustizia, l'equità, la desiderata pace.
Questa parola di pace, fondata sulla vera bontà, vuol suggellare il Nostro messaggio, a cui si accompagna il saluto beneaugurante e il dono dell'Apostolica Benedizione.
3 | Cfr. Leonis I Sermo XXVI [ in Nativ. Dom. VI], II, III, V |
5 | Pio XII, Ep. Enc. Sertum laetitiae, 1° novembre 1939 |
12 | Serm. XXXVII [ In Epiphaniae sollemn. VII ], IV |
13 | Mater et Magistra 183 |
14 | Serm. CCCL, 3 |