Messaggio Urbi et Orbi di Natale
Sabato, 23 dicembre 1967
Fratelli, Figli, Amici, uomini tutti di buona volontà!
Il Natale pone ancora una volta il tema della pace alla nostra considerazione; e il messaggio che questa beata ricorrenza mette sulle Nostre labbra per voi, per il mondo, non può tacere l'augurio della pace portato da Cristo su questa nostra terra, così avida e bisognosa di pace e così piena di offese e di minacce, sempre più gravi e paurose che sembrano comprometterla.
Lasciate, Fratelli, che il Nostro voto natalizio ripeta ancora quello piovuto dal cielo nella notte misteriosa della nascita di Gesù Cristo in mezzo a noi, sul suolo di questo atomo dell'universo, ch'è la nostra terra, e nel corso millenario dei secoli nel momento preciso, ch'è la nostra storia.
A noi uomini, esseri privilegiati del cosmo, perché segnati dalle sembianze sublimi di Dio, è stata annunciata la pace, come dono che corona ogni altro ricevuto con la vita presente, e che dà alla vita il suo valore, la sua ragione per essere degnamente e felicemente vissuta.
Pace a voi tutti, Fratelli, oggetto della benevolenza creatrice e redentrice di Dio!
Pace in questo giorno benedetto, che per essere dedicato alla Vita nascente, alla Vita di Cristo « primogenito d'ogni creatura » ( Col 1,15 ) e prototipo dell'umanità, vuole estendere la sua luce trasfigurante sopra ogni giorno del tempo nostro, su ogni membro della famiglia umana.
Pace, pace a voi, uomini, che tutti ed ognuno Noi in Cristo sentiamo di amare; a voi specialmente, che appartenete per la fede e per la carità a quel Popolo, che un dolcissimo e gravissimo mandato Ci obbliga, anzi in qualche misura Ci abilita ad amare come Nostro, ed a guidare come cristiano.
Pace, pace a tutti!
E mentre l'augurio, così semplice e così denso di significato, Ci sgorga dal cuore, una serie di questioni non lievi, né facili sembra turbarlo: che cosa è dunque la pace?
e perché, se essa è così collegata con la perfezione della nostra esistenza, ha sempre bisogno di essere desiderata, come elemento mancante o insufficiente?
e basta la parola augurale a far sgorgare la pace nella nostra esperienza esistenziale, o invece, come tutti sappiamo, ben altri fattori, che non le belle e cortesi parole, essa reclama, affinché sia reale e duratura?
E come allora ottenerla, come mantenerla, come farne l'ornamento stabile e caratteristico d'una civiltà come quella moderna, che pretende d'essere progredita e matura?
Solleviamo queste questioni affinché, in questo suo giorno festivo, la pace abbia la sua meditazione, anche se questa meditazione potrebbe avere un'amara conclusione - come purtroppo tanti istintivamente o logicamente le danno - quella dell'impossibilità di raggiungere la pace, e tanto meno di conservarla e di farla fiorire in ordinamenti sempre migliori.
Se così fosse, l'augurio sarebbe irrisorio e quasi provocatorio al pessimismo e alla disperazione.
Ma oggi la conclusione è ben diversa, perché è venuto al mondo il Salvatore, Cristo « nostra pace » ( Ef 2,14 ), per darci la sua pace ( cf. Gv 14,27 ), per effondere fra noi il suo Spirito, di cui dono primario è appunto la pace ( cf. Gal 5,22 ): dove è Cristo ivi è la pace nel cuore.
È il voto dell'Apostolo Paolo: « che la pace di Cristo regni nei vostri cuori » ( Col 3,15 ).
Dove il suo Vangelo è accolto, la pace interiore è, almeno virtualmente, instaurata; non solo per una sua promulgazione intenzionale, ma altresì per una sua misteriosa virtù, che la stimola la pace dell'anima, la fa nascere, la converte da bisogno in dovere, da desiderio in dono e in sapiente capacità di generarla, di goderla.
Questa semplice riflessione induce in questo Nostro fraterno messaggio natalizio il pensiero che lo vuole oggi qualificare.
E cioè: Noi parliamo spesso, tanto spesso della pace - abbiamo in questi giorni invitato il mondo a dedicare nel primo giorno dell'anno civile un pensiero speciale alla pace nel consorzio umano - ( il tema merita questa ripetizione e le condizioni pericolanti del mondo lo impongono ad ogni momento ); ma, come ognuno vede, Noi parliamo ordinariamente della pace fra le Nazioni, fra le classi sociali, fra i membri della comunità umana; parliamo della pace esteriore, della pace politica, militare, sociale, comunitaria, di quella cioè che riguarda il giusto equilibrio nei rapporti fra gli uomini.
Vogliamo oggi, autorizzati dalla spiritualità del Natale, invitarvi a considerare un'altra pace, quella pace interiore e personale, che ogni spirito umano dovrebbe e vorrebbe avere dentro di sé, come luce della propria coscienza, come dominio ordinato delle proprie facoltà, come espressione sintetica e superiore della propria personalità, e come radice intima e feconda della pace esteriore.
Diciamo: la pace del cuore; vero possesso di sé, vero coefficiente di virtù, di serenità e di felicità, vera sorgente della parola buona e sapiente nella sua espressione più intelligente e più forte.
Fratelli! possediamo noi la pace del cuore?
La domanda trova certamente difficile risposta.
Vorremmo eluderla forse, come indiscreta; vorremmo screditarla assimilando la pace del cuore alla rassegnazione passiva, di chi, esperto della propria debolezza e privo di coraggiosa energia « mette il cuore in pace », e si abbandona ad una specie di invincibile fatalismo, falso surrogato della vera pace dell'anima.
Vorrebbero talvolta uomini nobili e pensosi mutuarla alla scuola del migliore stoicismo, che si affranca dall'immediata esperienza delle passioni perturbatrici e degli avvenimenti sempre inquietanti per adeguarsi, al tempo stesso, libero e vincolato, alla profonda realtà delle leggi naturali, ed assimila una virile e imperturbabile insensibilità a delle cose contingenti e spiacevoli alla pace del cuore.
E vi è poi un'immensa gamma di forme di pseudo-pace del cuore nella vita moderna, che placa le esigenze intime del pensiero, deluso di giungere alla verità, e quelle dell'amore, deluso di arrivare a non fallace felicità, con l'indifferenza alle cose dell'anima, ovvero col narcotico di qualche sottile scetticismo, oppure con la affannosa proiezione dell'uomo in una febbrile attività esteriore, che considera abbia ogni meditato ripensamento sul vero destino dell'uomo medesimo, o anche, e pur troppo, con la ricerca di raffinate esperienze del piacere, oppure con la spregiudicata affettazione di disprezzo d'ogni forma d'educata convivenza.
È pace del cuore codesta?
Dobbiamo purtroppo dire che no.
In generale l'uomo moderno manca di vera pace interiore.
Ma tanta è la stima, tanto l'amore, che a noi Cristo insegna ad avere per l'uomo, che noi vogliamo sempre supporre che in ogni spirito umano si nasconda un'aspirazione profonda e connaturata, una nostalgia, una speranza di gustare un giorno una autentica pace del cuore; quella vera, nuova, redentrice dalla comune miseria, quella che ci fa sentire d'essere uomini, e figli di Dio.
E Noi vorremmo, senza ora diffonderci in spiegazioni, che del resto il Natale rende quasi intuitive, annunciare, a gran voce, o meglio con la voce insinuante, che suona dolce e persuasiva al di dentro degli animi, che la pace del cuore esiste, è possibile, è vicina, è oggi a noi offerta come il grande dono di Natale.
Sì, questo è il Nostro augurio, è oggi il Nostro messaggio.
Chi lo raccoglie?
A chi specialmente lo rivolgiamo?
Diremo: Pace a voi che soffrite, perché potete essere consolati.
Pace a voi, che avete fame di pane e di giustizia, perché gli uomini sono dichiarati da Cristo fratelli ( Mt 23,8 ) e quanti lo possono devono a voi l'alimento materiale e morale, di cui avete bisogno.
Pace a voi, che pensate e studiate, perché la verità esiste, e il dramma della vostra insonne ricerca può trovare meravigliose soluzioni: tutto viene dal Verbo, tutto è, almeno in certo grado, intelligibile.
Pace a voi, che avete l'ansia del retto governo del mondo, perché non è vano sperare che finalmente gli uomini si accorgano che possono e che devono amarsi, non armarsi fino alla follia di rischi fatali, non combattersi, non uccidersi.
Voi vedete, Fratelli, a questo punto una cosa semplice e meravigliosa: che la pace esteriore deriva e dipende in grande parte dalla pace interiore.
Occorre che la pace sia nei cuori prima e perché essa si realizzi negli istituti civili e negli avvenimenti storici.
Il cammino può essere lungo, perché le vie del cuore sono lunghe, e spesso ardue ed impervie; sono individuali; sono mobili; è vero: ma questo costituisce il dramma umano, che appunto il Natale viene ad arricchire di forze positive e, per se stesse, risolutive.
Sì, perché la pace è un ordine; l'ordine suppone una perfezione di rapporti.
Fra tutti i rapporti, di cui l'umana esistenza ha bisogno, è primo e indispensabile quello con Dio.
Sappiamo di affermare una verità che molti fra gli uomini d'oggi si rifiutano d'ammettere: si vive bene, anzi meglio, essi dicono, senza religione, la quale è tanto misteriosa, pone problemi estremamente complessi, toglie, non dà pace allo spirito umano.
Eppure no, Fratelli; di Dio abbiamo insaziabile bisogno; non possiamo fare senza di Lui: la nostra vita è a Lui costituzionalmente legata; dimenticare Dio significa spegnere la luce nella nostra vita; tutto senza di Lui diventa oscuro.
Dio è necessario allo spirito umano.
Dio è la nostra felicità.
Dio è la Vita.
Essere a Lui uniti, essere con Lui riconciliati, essere nel piano della sua volontà è la nostra prima pace interiore.
« Non vi è pace per i senza Dio » dice la Sacra Scrittura (cf. Is. 48,22; Is 57,21 ); mentre vi è pace per chi è entrato nell'orbita dei divini voleri: « in la sua voluntade è nostra pace », dice deliziosamente e veracemente Dante alle soglie del suo Paradiso ( III, 85 ).
Ben sappiamo come questo primo fondamento della pace interiore, e conseguentemente della pace esteriore, oggi è contestato; alla religione, nel suo senso positivo ed operante, si nega cittadinanza non solo nel regno di Cesare, dove Cesare è sovrano, e dove il laicismo può essere un doveroso riconoscimento dei limiti del governo temporale davanti alle frontiere del regno di Dio, ma altresì la si nega nel regno dello spirito, dove la religione è chiamata ad affermare un suo proprio regno, fonte di pace interiore e, di riflesso, di quella esteriore.
Come pensare ad un ordine sociale e internazionale senza fare assegnamento sopra un ordine personale e morale negli uomini che dirigono il mondo e che lo compongono?
e come tale ordine personale e morale può essere sincero, sicuro, stabile senza riferimento a quei principi assoluti e trascendenti che solo la religione ispira e garantisce?
La pace con Dio è la sorgente di quella forza morale, di quella rettitudine virile, di quella sapienza fondamentale, da cui può scaturire la pace con gli uomini.
Come trovare l'arte di mettere d'accordo gli uomini senza riconoscere alla fratellanza umana il suo primato nella politica e senza valutare il perdono dei torti subiti o reciproci come principio risolutivo degli umani conflitti?
E non sono questi basilari criteri di pace terrena fondati su dottrine che solo la religione può suggerire e convalidare?
La religione di Cristo, diciamo; quella del Natale; né più diciamo, perché ora la Nostra parola non è lezione, ma solo messaggio augurale.
Forse profetico esso sarà; Dio voglia, nella duplice visione che un giorno quest'umile voce, flebile eco dell'annuncio natalizio, troverà ascolto e porterà gaudio e vitalità nuova al mondo avvicinato a Cristo, e che fin da oggi anime buone e credenti, già invase dallo Spirito di Cristo, sperimentano l'ineffabile conforto della sua pace interiore, e possono dire a se stesse e testimoniare ai fratelli quanto è vera, quanto è gioiosa, quanto è promettente la pace che Cristo ci ha portata, e che senza di Lui il mondo non sa pienamente raggiungere ( cf. Gv 14,27 ).
A voi dunque, Fratelli, a voi, Figli carissimi, a voi, uomini tutti di buona volontà, l'augurio natalizio di quella pace interiore « di Dio la quale sorpassa ogni intendimento, perché essa custodisca i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù » ( cf. Fil 4,8 ), nel cui nome di cuore tutti vi benediciamo.
Paolo VI