Messaggio Urbi et Orbi di Natale 1972
25 dicembre 1972
Figli di Roma e del mondo cattolico!
Fratelli di tutta la terra!
Buon Natale! buon Natale!
Voi non vi aspettate altro saluto oggi da noi, non altro messaggio.
Buon Natale!
L'avvenimento che noi commemoriamo e festeggiamo ha in se stesso tale significato, tale virtù da valere per tutti come annunzio a tutti comprensibile, a tutti gradito.
È l'annunzio che fa scaturire nei cuori i sentimenti umani più semplici e primitivi, e al tempo stesso più profondi e più ineffabili: i sentimenti della bontà, dell'amore, della felicità e della pace.
Non mai come nel Natale l'uomo ha coscienza di sé, della propria natura, della propria vita.
È l'ora della verità umana.
Non per nulla il bambino, la madre, la famiglia hanno i primi posti in questa umanissima festa.
La propria casa, la propria mensa, la propria terra, il proprio costume riempiono gli animi della loro dolce intimità.
È un'ora di naturale contemplazione: il Natale, per chi ne sa gustare la sua autentica dolcezza, rivela il mondo interiore dell'uomo, di solito assordato o assopito, lo risveglia e lo tenta ad osare un suo canto spontaneo, il quale - singolare e bellissimo fenomeno - concorda in commovente armonia il concento delle voci umili e familiari con quelle cosmiche e lontane, che giungono a lui dal mondo esteriore.
Lo spirito e la natura fanno coro insieme.
È la celebrazione dell'umanesimo più vero e più bello, giunto alla espressione della sua cosciente maturità.
È questo, è proprio questo il Natale? l'incantesimo della vita umana, raggiunto finalmente nella sua realtà?
Sì, godiamone tutti.
Ma non rifiutiamo di accogliere le istanze, anch'esse umane, che il dolce momento sollecita.
Il Natale, anche gustato col palato naturalista, pone dubbi, domande, questioni, che spingono l'uomo sensibile e intelligente a riflessione più profonda che non sia il godimento naturale, ch'esso porta con sé.
Chi mai ha idealizzato l'umanesimo natalizio in questo profilo che così bene interpreta la realtà umana, chi lo ha presentato questo umanesimo, il quale, tanto nelle sue linee belle e autentiche, quanto in quelle deficienti ed inferme, ci parla di una sua duplice trascendenza, che sovrasta l'uomo; trascendenza d'immagine e somiglianza di Dio, le prime; d'implorante e misteriosa presenza di Cristo, le seconde?
Cristo, Cristo stesso, Fratelli;
Lui, Cristo Figlio di Dio,
Lui, Figlio dell'uomo;
Lui, di cui oggi ancora celebriamo la nascita sulla nostra terra e inserito nella nostra storia;
Lui, alfa e omega, primo e ultimo fra tutti, modello del vero umanesimo, « primogenito fra noi tutti fratelli » ( Cfr. Rm 8,29; e Col 1,15 );
Lui, immagine misteriosa e irradiante della divinità, rivelatasi amorosa Paternità celeste ( Cfr. Gv 14,9-11 );
Lui, non solo tipo, a cui riferirsi e a cui guardare per avere la giusta misura d'imitazione e di confronto, il maestro cioè, la guida, ma altresì misterioso principio generatore e sorgente in ognuno di noi d'un supplemento di vita;
Lui pane di vita, trasfusore in chi lo accoglie di energie intellettuali, morali, sociali; capo insomma dell'umanità fatta suo mistico corpo.
È così vicino questo nostro Messia e Salvatore, che tutti oggi lo andiamo quasi obbligati cercando, non esclusi quelli che lo vogliono morto e dimenticato, avidi ed illusi di poterlo sostituire e di poter generare un umanesimo nuovo, senza la sua luce, senza il suo amore.
L'umanesimo vero e completo non può essere che cristiano.
Oh, uomini del buon volere, non temete oggi di dirvi cristiani!
Non vi accorgete che, promovendo la giustizia e la pace, andate in cerca di Lui, Cristo?
non vedete che, aspirando alla liberazione, la quale non sia nemica della libertà, voi lo sognate, voi lo invocate?
non sentite che, mentre voi forse studiate come evitarlo, e come sfuggirlo, Egli vi insegue?
E dubitereste forse che, rivolgendo la vostra faccia verso di Lui, lo scoprireste, oggi, corrucciato e nemico, e non piuttosto il buon Pastore, fascinatore grave e soave, tale da riempire il vostro animo di pianti di gioia?
e pronto ad assidersi di fianco a voi, con i vostri cari, vivi e defunti, per celebrare con voi il buon Natale?
Oh! questa candida ipotesi si faccia augurio, si faccia fiducia!
In noi essa si fa preghiera, speranza, benedizione!
Ed è così che noi abbiamo, in questo momento, voi, Romani, davanti al nostro sguardo e nel nostro cuore!
Abbiamo, la Chiesa intera, abbiamo il mondo!
Con l'occhio particolarmente rivolto là, dove ancora è la guerra, e dovunque è fame e sofferenza e angustia, dovunque ancora è atteso l'avvento della giustizia e della pace.