Messaggio Urbi et Orbi Pasquale 1971
4 aprile 1971
Fratelli e Figli!
che attendete dalle nostre labbra il messaggio pasquale!
Ascoltate: quando Noi, docili al Nostro ministero apostolico, vi parliamo da questa tribuna e guardiamo il panorama del mondo, abbiamo l'impressione d'avere dinanzi la visione d'un mare agitato, e minaccioso di più gravi tempeste.
Che cosa l'uomo prepara a se stesso e alla ventura generazione con la troppo frequente e flagrante infedeltà ai sommi principi di solidarietà, di giustizia e di pace, che, edotto dalle terribili esperienze sofferte, egli stesso ha proclamati per la presente e per la futura civiltà?
Non vediamo noi nuove guerre e sintomi di altre più paurose, armamenti terrorizzanti, rivoluzioni ricorrenti, lotte sociali istituzionalizzate, contestazioni endemiche, progressiva decadenza morale, insufficiente ricorso professionale e burocratico ai surrogati dell'amore verace, oblio cieco e superbo della religione insopprimibile?
La Chiesa stessa non è qua e là percorsa da correnti dottrinali e disciplinari perturbatrici, che indarno si vorrebbero attribuire al soffio autentico dello Spirito vivificante?
Nello stesso tempo noi avvertiamo nell'umanità un bisogno doloroso e, in un certo senso, profetico di speranza, come del respiro per la vita.
Senza speranza non si vive.
L'attività dell'uomo è maggiormente condizionata dall'attesa del futuro, che dal possesso del presente.
L'uomo ha bisogno di finalismo, d'incoraggiamento, di pregustamento di gioia futura.
L'entusiasmo, ch'è la molla dell'azione e del rischio, non può sorgere che da speranza forte e serena.
Ha bisogno l'uomo d'ottimismo sincero, non illusorio.
Ebbene, uomini amici che ci ascoltate: noi siamo in grado oggi di rivolgere a voi un messaggio di speranza.
La causa dell'uomo, non solo non è perduta, ma è in sicuro vantaggio.
Le grandi idee, che formano i fari del mondo moderno, non si spegneranno.
L'unità del mondo si farà.
La dignità della persona umana sarà, non soltanto formalmente, ma realmente riconosciuta.
L'intangibilità della vita, dal seno materno all'ultima vecchiaia, avrà comune ed effettivo suffragio.
Le indebite disuguaglianze sociali saranno colmate.
I rapporti fra i Popoli saranno pacifici, ragionevoli e fraterni.
Non l'egoismo, non la prepotenza, non l'indigenza, non la licenza dei costumi, non la ignoranza, non le tante deficienze che ancora caratterizzano e affliggono la società contemporanea, impediranno d'instaurare un vero ordine umano, un bene comune, una civiltà nuova.
Non potrà certamente essere abolita la debolezza umana, non l'usura delle mete raggiunte, non il dolore, non il sacrificio, non la morte temporale; ma ogni umana miseria potrà avere assistenza e conforto; anzi conoscerà quel supervalore che il nostro segreto può conferire ad ogni umana decadenza.
La speranza non si spegnerà; appunto per la virtù di questo segreto, che oggi per nessuno che ci ascolta è tale.
Voi lo intendete: è il segreto, anzi è l'annuncio pasquale.
Ogni speranza si fonda sopra una certezza, sopra una verità, che nel dramma umano non può essere soltanto sperimentale e scientifica.
Si fonda la vera speranza, che deve sorreggere l'intrepido cammino dell'uomo, sopra la fede.
La quale appunto, nel linguaggio biblico, « è fondamento delle cose sperate » ( Eb 11,1 ); e nella realtà storica è l'avvenimento, è Colui, che oggi noi celebriamo: Gesù risorto!
Non è sogno, non è utopia, non è mito; è realismo evangelico.
E su questo realismo noi credenti fondiamo la nostra concezione della vita, della storia, della civiltà stessa terrena, che la nostra speranza trascende, ma nello stesso tempo spinge alle sue ardite e fidenti conquiste.
Non è questo il momento, nel quale Noi vi dobbiamo spiegare le valide ragioni di questo paradosso, come cioè noi, uomini della speranza trascendente ed eterna, possiamo anche sostenere, e con quale vigore!, le speranze dell'orizzonte temporale e presente: ne ha sapientemente e distesamente parlato il Concilio ( Cfr. Gaudium et Spes ).
Ma è questo il momento in cui la nostra voce si fa eco di quella del vincitore, Cristo Signore: « Abbiate fiducia, Io ho vinto il mondo » ( Gv 16,33 ), e di quella dell'interprete evangelista: « Questa è la vittoria che vince il mondo, la nostra fede » ( Gv 5,4 ); intendendo qui per mondo tutto ciò che di caduco e di perverso ha la scena naturale dell'umana esistenza.
Noi guardiamo ancora da questo podio, vogliamo dire dall'altezza apostolica del nostro umile ministero, il panorama che si apre al nostro sguardo, e vediamo
voi, uomini che lavorate e soffrite,
voi che tendete ogni sforzo per guidare la società verso la giustizia e la pace,
voi giovani avidi di autenticità e di dedizione,
voi innumerevoli schiere di gente buona ed onesta, che dà senso, in silenzio, con la preghiera e con l'opera, con la fedeltà e con il sacrificio alla propria giornata nel tempo,
voi sofferenti e disillusi d'un benessere ormai tramontato, e soprattutto
voi, credenti con noi nel Cristo risorto e a Lui consacrati;
e allora il nostro animo si riempie di gaudio e di speranza, e a tutti annuncia: « Siate felici nel Signore, sempre; ancora vi ripeto, siate felici! » ( Fil 4,4 ).
Cristo è risorto! Alleluia!