Sanctitas clarior
La santità di giorno in giorno più fulgida e sublime è testimonianza e segno del mistero della Chiesa, fino a quando non abbia raggiunto nei cieli la sua piena realizzazione, dove adorerà nella suprema felicità dell'amore Dio e l'Agnello che è stato ucciso ( Cf Lumen Gentium, n. 51 ).
Dio stesso, sommamente buono, fonte, corona e gloria di ogni santità, suscita nella Chiesa sempre nuovi modelli di virtù, e nella vita di coloro che, partecipi della nostra natura, vengono tuttavia resi più conformi all'immagine di Cristo … ( Dio ) manifesta vividamente agli uomini il suo volto e la sua presenza ( Ibid., n. 50 ) e offre per mezzo loro un segno fulgidissimo del suo regno per stimolarci efficacemente a raggiungerlo per mezzo di un gran numero di testimoni ( Cf Εb 12,1 ).
Non c'è da meravigliarsi quindi, se il Concilio Vaticano II, trattando del mistero della Chiesa, ha messo in maggior evidenza questa importantissima nota della santità, alla quale tutte le altre sono intimamente unite, e ha ripetutamente invitato tutti i cristiani di ogni condizione e classe sociale alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità; e questo appello alla santità è ritenuto come specialissimo compito dello stesso magistero conciliare e come sua ultima finalità ( Cf Lumen Gentium, nn. 40-42 ).
Mentre però la Chiesa si adopera con tutti mezzi a promuovere la santità di tutti i fedeli, non ha mai omesso di offrire ai loro occhi autentici modelli di santità, cioè i martiri e altri uomini e donne insigni per la gloria delle virtù, cosiddette eroiche, e procura con grande zelo che ne seguano l'esempio con la vita, diventino partecipi della stessa sorte e ne ottengano l'aiuto con la preghiera ( Dal Prefazio, concesso ad alcune diocesi ).
Ma affinché tali fulgidissimi esempi di santità vengano convenientemente conosciuti e risplendano pienamente nella loro limpida luce, sono necessarie diligenti indagini canoniche condotte con cura e con impegno, come esige l'importanza dell'argomento, indagini che i Nostri Predecessori, soprattutto Benedetto XIV di f.m., hanno in conformità alle esigenze del tempo, convalidate con disposizioni molto sagge che poi sono state inserite nel Codice di Diritto Canonico.
Cambiati però i costumi e i modi di vivere, è sembrato conveniente e opportuno rivedere i criteri e le modalità dell'indagine, di cui sopra, e di adeguarli alle esigenze di questo nostro tempo, affinché la suprema autorità del Sommo Pontefice e quella dei Vescovi fra loro intimamente collegate potessero rendere più agevole e più spedito il cammino per l'introduzione della causa di beatificazione e di canonizzazione dei Servi di Dio.
Perciò, considerata attentamente la questione, di Nostra iniziativa e con la Nostra autorità Apostolica decidiamo e deliberiamo quanto segue.
1. Nel diritto, finora in vigore, venivano istruiti, per quanto concerneva la beatificazione dei Servi di Dio, Processi di duplice grado:
alcuni erano Ordinari, cioè istruiti dai Vescovi ordinari di luogo per diritto proprio, con facoltà loro riconosciuta dai canoni ( cc. 1999 § 3; 2038 §§1 e 2, 1-3 );
altri Apostolici ( cc. 2087-2097 ), istruiti cioè per autorità delegata dalla Santa Sede e sotto la sua giurisdizione ( cc. 2088-2100 ).
D'ora in poi, nelle Cause di non-culto, che procedono per via ordinaria, verrà istruito un unico Processo esplorativo, cioè ordinato alla ricerca delle prove, il quale poggerà su una duplice autorità:
ordinaria cioè già riconosciuta, esercitata per diritto proprio e spesso ampliata;
e delegata dalla Sede Apostolica, che si aggiunge alla precedente, la conferma e la rafforza.
2. Ai Vescovi diocesani o ai Gerarchi e a coloro che sono ad essi equiparati, nel territorio affidato alla loro giurisdizione ( cc. 1999 § 3; 2038 §§ 2, 1.3, 2039 ) sia in forza del loro ufficio, sia in seguito alla richiesta dei singoli fedeli o di gruppi legittimi di fedeli ( c. 2003 §§ 1-2. ) e dei loro rappresentanti ( c. 2004 ), compete di diritto: di indagare, e, nel rispetto di quanto prescrive il Diritto comune e delle Norme particolari, che saranno emanate a tale scopo dalla Sacra Congregazione dei Riti, di aprire ossia introdurre la Causa.
3. Prima però che il Vescovo o il Gerarca, sia di sua iniziativa, come a seguito di richieste, avvii o introduca la Causa ( n. 2 ), occorre consultare la Santa Sede, presentando motivazioni adatte e convincenti, per cui si possa dedurre che la Causa poggia su motivi solidi e legittimi.
Poi la Santa Sede, esaminato accuratamente tutto, deciderà se non esistano difficoltà che impediscano l'apertura o introduzione della causa.
4. Ottenuto il benestare della Santa Sede, il Vescovo o il Gerarca con la pubblicazione di un Decreto può aprire la Causa, oppure se giudicherà opportuno nel Signore, rinviarla a tempi migliori, oppure anche rinunziarvi.
Tuttavia qualunque cosa decida di fare, non trascuri di comunicare alla Santa Sede la decisione presa.
5. Il processo comprende un'indagine:
1) sugli scritti del Servo di Dio;
2) sulla sua vita e sulle virtù o sul martirio, come pure sul non-culto.
6. Terminato il processo, ne vengano inviati gli Atti alla Sacra Congregazione dei Riti.
7. La Sacra Congregazione dei Riti, dopo aver diligentemente preso in esame gli Atti, se crede opportuno che si introducano aggiunte o chiarimenti, li richieda al Vescovo o al Gerarca oppure li completi essa stessa in virtù del suo ufficio ( cf. Const. Regimini Ecclesiae Universae, n. 62.2,1 ).
8. Per quanto riguarda la dichiarazione dei miracoli, richiesti dal diritto, per la Beatificazione e Canonizzazione, il Vescovo o il Gerarca prima di procedere alla loro verifica, invii una breve e accurata relazione del fatto alla Sacra Congregazione dei Riti per avere da essa opportuna istruzione.
L'indagine circa il riconoscimento dei miracoli venga fatta in sede separata dall'indagine circa le virtù o il martirio.
9. Il Vescovo o il Gerarca, competente a norma del Diritto, può compiere tutto quello che è richiesto per l'istruzione del Processo.
Tutto quanto riguarda l'apertura o l'introduzione della Causa deve essere trattato dal Vescovo stesso o in nome suo, con l'approvazione della Sede Apostolica ( cf. nn. 2,3 ).
10. § 1. La Conferenza Episcopale di una Nazione o di una Regione, onde poter istruire i Processi in maniera più adatta, ha la facoltà, in forza della presente Lettera Apostolica, di erigere Tribunali territoriali speciali, costituiti a questo scopo per i territori soggetti alla propria giurisdizione, tribunali che tuttavia hanno bisogno del riconoscimento della Sede Apostolica.
§ 2. I Tribunali territoriali possono essere Provinciali o Interprovinciali, oppure Nazionali, a seconda che siano stati eretti soltanto per una Provincia ecclesiastica o per più Province di una Regione, oppure per tutto il territorio ecclesiastico di una Nazione.
§ 3. La costituzione del Tribunale territoriale è obbligatoria, quando le diocesi del territorio in questione mancano di Personale idoneo a costituire un proprio Tribunale diocesano.
11. Spetta alla Conferenza Episcopale:
1) Erigere Tribunali territoriali, assegnando a ogni Tribunale opportuni limiti territoriali;
2) Stabilire la sede del Tribunale territoriale;
3) Eleggere il presidente del Tribunale, che rimarrà in carica per cinque anni.
12. Spetta all'Assemblea dei Vescovi di una Provincia o Regione interessata:
1) Proporre alla Conferenza Episcopale l'erezione del Tribunale territoriale:
2) Presentare alla stessa Conferenza il nome del Presidente;
3) Eleggere tutti gli altri Ufficiali del Tribunale territoriale, i quali restano in carica per cinque anni.
13. Il Tribunale territoriale legittimamente costituito gode di potestà giudiziaria in tutto il territorio assegnatogli nei riguardi di qualsiasi Processo di cui i soprannominati Vescovi avessero affidato l'istruttoria.
14. È consentito ad ogni Vescovo diocesano, appartenente al territorio di cui sopra, affidare, se crede opportuno, l'istruzione di tutti i Processi delle Cause di Beatificazione dei Servi di Dio e della Canonizzazione dei Beati della sua diocesi, al Tribunale territoriale, anche quando può regolarmente istituire il Tribunale nella propria Curia.
15. Ciononostante il Vescovo conserva il pieno diritto di istruire i Processi nella propria Curia, anche quando fosse stato legittimamente costituito il Tribunale territoriale, purché sia in grado di formare un proprio Tribunale con persone idonee, ricercate anche fuori diocesi.
Tutte le disposizioni da Noi emanate con questo Motu proprio, intendiamo ratificarle e confermarle, nonostante qualunque norma in contrario, anche se degna di specialissima considerazione.
Roma, S. Pietro, 19 marzo 1969, festa di san Giuseppe, Sposo della B. V. Maria, anno sesto del Nostro Pontificato.
Paolo PP. VI