Domenica, 23 Novembre 1958
Venerabili Fratelli e diletti figli Nostri,
Al saluto scambiato sulle soglie di questa Nostra Basilica Cattedrale con il Signor Cardinale Arciprete, amiamo ora aggiungere a comune edificazione tre pensieri.
Vorremmo che pervenissero all'orecchio e al cuore di ciascuno, come in eco di due solenni voci, che già risuonarono sotto queste volte, dei Sommi Pontefici S. Leone e S. Gregorio, grandi e gloriosi ambedue, Vescovi della Chiesa di Roma, Dottori e Padri della Chiesa universale.
Il primo pensiero riflette la solennità e la letizia del rito odierno; il secondo la sua alta e mistica significazione, ad ammonimento per il nuovo Papa e per tutte le pecorelle dell'ovile di Cristo; infine la Benedizione, la prima di innumerevoli altre, che dall'alto della Basilica conchiuderà la cerimonia odierna.
E cominciamo dal rito.
L'ultima volta che questo rito fu celebrato riconduce il ricordo dei fedeli di Roma alla solennità dell'Ascensione - 18 maggio 1939 - quando il Santo Padre Pio XII, sempre venerato e compianto, giunto al Laterano per la sua presa di possesso, diceva fra l'altro nel suo breve discorso d'introduzione: universalis est causa laetitiae quia ad universum gregem pertinet iucunda celebritas pastoris; è ragione di letizia comune la celebrazione della giocondità del pastore.
A quasi venti anni di distanza noi rigustiamo - chi lo avrebbe potuto pensare? -, certo in proporzioni più vaste, in segno di tempi e di circostanze migliorate, la gioia di quella manifestazione, che pure con espressione di perfetto stile si accontentò di formalità piuttosto ridotte.
Pio XI, il glorioso antecessore di lui, dieci anni innanzi aveva onorato il Laterano col felicissimo Trattato di questo nome, che soverchiò di gran lunga la forma semplice e quasi privata della introduzione ufficiale nell'Arcibasilica sua.
Di Pio IX si ricorda come entrasse al Laterano l'8 novembre 1846 in tempi pericolosi, di febbre collettiva e di minacciate confusioni.
Vi era giunto in carrozza, preceduto e seguito da un corteo di dignitari a cavallo.
Ma la solenne cavalcata che attraversò i secoli precedenti e che è registrata negli Ordines Romani - notevoli fra quelli del secolo decimo terzo l'Ordo XII, XIII e XIV - si era arrestata a Pio VI.
L'avvenimento della presa di possesso della Arcibasilica Lateranense, « omnium ecclesiarum urbis et orbis mater et caput », nei tempi antichi prendeva la significazione della più solenne investitura del supremo potere nel governo ecclesiastico da Roma nel mondo intero.
Di fatto il Papa, dopo la sua accettazione della avvenuta elezione da parte dei Cardinali, non ha bisogno di questa speciale investitura, diventando egli immediatamente vescovo di Roma e successore di S. Pietro nel governo universale della Chiesa.
Ma tant'è: anche nelle grandi affermazioni e manifestazioni di ordine spirituale e soprannaturale l'occhio umano ha sempre voluto e vuole la sua parte.
I popoli, i tempi, i gusti cambiano.
I grandiosi cortei, che accompagnarono nelle antiche età i Papi nuovamente nominati dal Vaticano al Laterano, percorrendo la via Papae, pressoché la stessa secondo la terminologia topografica moderna, per cui Noi siamo passati stamane venendo qui, oggi non si comprenderebbero più.
Quanto scrisse l'autore dell'« Ordo Romanus XIII » - 1271-1276 - dei tempi dei Papi Beato Gregorio X di Piacenza, Beato Innocenzo V di Tarantasia e Papa Pietro Ispano, il XXI della serie dei Giovanni, da cui Ci piacque umilmente assumere il nome ( 1272 ), può parere sorpassato.
Eppure non lo è interamente.
L'antico corteo di tutti a cavallo: dodici alfieri con altrettanti vessilli, i gruppi dei dignitari laici, dei cantori, dei dignitari ecclesiastici, dei Vescovi, degli Arcivescovi, dei Cardinali, infine del Papa, non passano più innanzi al Campidoglio magnificamente ornato, né si soffermano a raccogliere dal Senatore di Roma l'omaggio dell'Urbe: ma i nobili componenti le varie rappresentanze dell'ordine civile che presiedono oggi in Roma al governo della pubblica cosa, della città, delle regioni, della intera nazione, non sono forse qui presenti per conferire dignità e significato, sotto le auree volte di questo tempio, alla grande manifestazione per la intronizzazione del nuovo Vescovo di Roma quale erede e depositario del Principe degli Apostoli, capo della Chiesa universale?
Oh! visione incantevole della sacrosanta Arcibasilica Nostra, che - come il S. Padre Pio XII benedetto la salutava - veramente « praerogativa dignitatis praeclarorum eventuum memoria, antiquitatis monumentis praefulget! ».
Oh! ritorno felice delle anime più rette, che lo spirito di Gesù vivifica, alle pacifiche e soavi elevazioni, come questa odierna serenissima, che temperando le asprezze della vita, calmano i risentimenti che le vicende quotidiane e le avversità moltiplicano sopra i nostri passi, e ci inducono a perdonare, a comprendere, ad amare: infondono rinnovato coraggio nel compimento dei propri doveri, nel rispetto del diritto altrui in armonia con ciò che riteniamo il buon diritto nostro.
L'ingresso del Pontefice nuovo ha perduto lungo la via il fasto dei bei tempi lontani: ma quanto ha acquistato di spiritualità, e di intima penetrazione!
Non è più al principe, che si adorna dei segni della possanza esteriore, che ormai si riguarda: ma al sacerdote, al padre, al pastore.
Un sociologo moderno, cattolico fervoroso e profondo, all'esordire dell'epoca contemporanea, agitata dai problemi dell'ordine e del disordine sociale, formulava per il secolo XX l'augurio del Cristo che torna in trionfo sulle spalle del popolo.
Ahimè Cristo non torna ancora in pienezza di trionfo: ma i segni del volgersi delle anime affaticate dalla vanità e disilluse verso la sorgente più pura della verità e della vita si moltiplicano innanzi agli occhi nostri, e questa partecipazione diffusa alla esultanza della Chiesa nella successione degli uomini chiamati al ministero apostolico più alto e più grave è indizio sicuro di progresso spirituale e di benedizioni copiose.
Al punto a cui la S. Liturgia ci ha condotti, tutto ormai si raccoglie sull'altare sacro e benedetto, dove l'occhio riguarda due oggetti particolarmente preziosi e venerandi, un libro e un calice.
Fra il libro e il calice ponete il Sommo Sacerdote: ponete con Lui tutti i partecipanti al sacerdozio, di ogni lingua e di ogni rito, qui e in tutti i punti della terra.
Il Vescovo e tutti i sacerdoti in sua collaborazione esprimono il primo carattere della missione pastorale nella S. Chiesa: l'insegnamento della sacra dottrina.
Eccovi nel Messale i due Testamenti; eccovi nell'annuncio fatto al popolo il punto principale e più alto del sacerdozio cattolico, che è quanto dire del Vescovo.
L'antico Legislatore apparve al popolo commosso con due raggi splendenti sulla sua fronte; il primo Vangelo è quello di Mosè, storia e profezia, direzione e guida delle anime e del popolo.
Non è questo, diletti figli, il primo compito del sacerdozio cattolico, comunicare cioè la grande dottrina dei due Testamenti, e farla penetrare nelle anime e nella vita?
Gesù, il Redentore Divino, Gesù, il Pastore, guida il suo gregge con la celeste dottrina, e col fuoco di questa dottrina tutto accende.
I Padri della Chiesa primitiva, gli Scrittori del grande secolo e poi i due più antichi e più illustri presuli del Laterano sopra nominati, S. Leone e S. Gregorio, come pure due dei geni massimi della Chiesa, S. Girolamo e S. Agostino, che furono essi mai se non precipuamente lettori e interpreti, in faccia a tutto il mondo, della Sacra Scrittura?
È qui - diletti figli - che piace innanzitutto affermare il carattere sacro del ministero pastorale: la catechesi robusta, splendente e fascinatrice.
Il nuovo Papa che vi sta innanzi non cessa di ricordare Pio XII, il Papa di cui è immediato Successore, e la manifestazione forse più notevole del genio pastorale di lui.
Essa è accolta in venti volumi divenuti sorgente di consultazione per chi intende con l'aiuto di Dio solcare le stesse orme.
Il ricordo del Pontefice Pio XII rimarrà glorioso nei secoli.
Il suo merito è innanzitutto questo suo annuncio tempestivo, appropriato e profondo della verità evangelica, attraverso i cui raggi Pio XII colse tutte le manifestazioni dell'ingegno umano, riportandole nel fulgore dell'eterna verità, che si riassumono nel Cristo.
Pregate il Signore perchè la Nostra azione di nuovo Pastore universale in primo luogo si trattenga nel solco luminoso tracciato da Pio XII, e faccia convenire attorno alla Nostra Persona più numerosi che mai i cultori della scienza divina, perchè questa illumini le risorse dell'intelletto umano in tutte le sue manifestazioni.
Se tutte le sollecitudini del ministero pastorale Ci sono care e ne avvertiamo l'urgenza, soprattutto sentiamo di dover sollevare dappertutto e con continuità di azione l'entusiasmo per ogni manifestazione del Libro Divino, che è fatto per illuminare dall'infanzia alla più tarda età il cammino della vita.
Dunque, apostolato catechistico, secondo le parole di un altro fra i Pontefici grandi che si adornarono dello stesso nome di Pio - diciamo il IX Pio - sempre in atto di ripetere, anche lui, a quanti gli si accostavano: « Illuminate, illuminate, illuminate ».
Purtroppo alcune nubi caliginose di certo insegnamento, che poco ha a vedere con la vera scienza, ingombrano in tutti i tempi l'orizzonte nel tentativo di vedere la chiarezza e gli splendori del Vangelo.
Questo è il richiamo, questo è il compito del Libro aperto sull'altare: insegnare la vera dottrina, la retta disciplina della vita, le forme di elevazione dell'uomo verso Dio.
La prima gloria di ogni Pontificato è di fatto la pratica conformità con il comando evangelico: « Ite et docete », sino ai punti più lontani.
Grande insegnamento, sul quale è perfetto l'accordo a questo riguardo tra la dottrina dei Padri d'Oriente e quella dei Padri Latini.
S. Giovanni Crisostomo, infatti, ad ogni Papa, ad ogni Vescovo, ad ogni sacerdote rammenta il dovere sacro dell'annuncio della celeste dottrina, investendo le più alte responsabilità di ciascuno.
Noi, uomini di Dio, non siamo chiamati semplicemente a rendere conto della nostra vita individuale: « Non de vestra tantummodo vita, sed de universo orbe vobis ratio reddenda est »
« Noi dobbiamo rendere conto della salute del mondo intero ( S. Ioan. Crysost. Hom. 15 in Matth. ).
Accanto al Libro, ecco il Calice.
La parte più misteriosa e sacra della Liturgia Eucaristica si svolge attorno al calice di Gesù, che contiene il suo Sangue prezioso.
Gesù è il nostro Salvatore, e noi partecipiamo misticamente al Corpo suo, la Santa Chiesa.
La vita cristiana è sacrificio.
Nel sacrificio animato dalla carità sta il merito della conformità nostra a ciò che fu lo scopo finale della vita terrena di Gesù, fattosi nostro fratello, sacrificatosi e morto per noi, al fine di assicurare nella consumazione della vita umana la nostra gioia e la nostra gloria nei secoli eterni.
Il Calice sull'altare e i riti venerandi che congiungono il pane e il vino consacrati in un solo Sacramento, segnano il punto più alto, la sublimità della unione tra Dio e l'uomo, e la perfezione della professione cristiana.
È una parola che Ci torna spesso sulle labbra, nelle frequenti comunicazioni della Nostra anima col popolo cristiano, e Ci è ispirata da Benigno Bossuet, uno dei più grandi geni moderni della scienza religiosa: « Non vi è perfezione di pratica e di vita cristiana se non nella partecipazione all'Eucaristico Convito ».
A ciò porta con naturalezza l'insegnamento catechistico di cui abbiamo parlato, e ad esso è dedicato tutto il fervore dello spirito pastorale.
Questo intendemmo esprimere fin dai primi giorni del Nostro Pontificato, nell'atto di presentarCi al mondo soprattutto come Pastore.
Nella vasta eco suscitata dalle Nostre parole in S. Pietro il giorno della Incoronazione, Ci parve di cogliere un senso vivo di comprensione.
È dunque sull'altare che amiamo invitarvi a cercare sempre il Vescovo e il sacerdote, nell'atto di distribuire il Corpo e il Sangue del Signore, perchè questa è la sostanza viva della religione che professiamo, cioè il Nobiscum Deus, il Dio in noi come verità rivelata e contemplata, e come grazia perenne, che educa e santifica l'uomo, le famiglie e le varie forme della convivenza umana all'esercizio delle virtù più alte.
È dall'altare; è da questo monte santo che dobbiamo guardare le cose terrene, giudicarle e servircene.
Anche le questioni più gravi in cui talora si dilania la umana convivenza di là debbono prendere il principio di una giusta soluzione.
Professare con onore la religione santa a cui siamo educati, significa innanzi tutto amare Dio, e l'amore di Dio è amore della giustizia.
È su questo punto che S. Leone Magno dal secolo V invita il cristiano a riconoscere la grandezza della sua dignità: « Agnosce, christiane, tuae sapientiae dignitatem, et qualium disciplinarum artibus ad quae praemia voceris intellige » ( Sermo XLV, cap. 7 ).
L'esercizio della bontà che promana dalla familiarità con la Comunione Eucaristica, fa risplendere nell'uomo l'immagine del suo Creatore a tal punto che il cristiano riesce ad esprimere in sé stesso la linea caratteristica del volto di Cristo.
Legge della giustizia: legge della bontà: legge della armonia, tutto ci viene da questa dottrina del Libro, da questa virtù del Sangue di Cristo, dalla comunicazione intima di sentimento dei fratelli tra di loro.
Ah! questa Santa Chiesa: Una, Cattolica, Apostolica e Romana: che incanto, che dolcezza, che fascino in tutte le sue espressioni di rispetto, di mutua carità fraterna, di vicendevole cooperazione non solo all'ordine dei rapporti spirituali e religiosi, ma anche dei rapporti della vita civica e sociale!
Perdonate, diletissimi Fratelli e figliuoli, perdonate al vostro Vescovo, al vostro nuovo Papa la esuberanza del sentimento e della parola circa due punti considerati come fondamentali per il felice ministero pastorale che oggi si rinnovella, e riprende il suo ardore, come accade ad ogni successione di attività pastorale per il mutamento della persona che vi è proposta.
Non abbiamo il diritto di guardare innanzi a Noi come ad un lungo cammino.
Quanto alla Nostra umile vita, piace ripetere il canto del pomeriggio: Largire lumen vespere: quo vita nusquam decidat.
Per chi tiene sempre fisso la sguardo confidente in Dio non ci sono sorprese: neppure le sorprese della morte, della morte che è sacra, perchè avviamento alla gloria ed alla gioia perenne.
Stamane siamo entrati in S. Giovanni col canto del Te Deum.
Ora ne usciremo invocando e distribuendo a larghe braccia, dall'alto della loggia principale dell'Arcibasilica, la grande benedizione.
Al cristiano è fatto precetto per singulos dies benedicere Deum.
Ma ci sono circostanze singolarmente solenni in cui il gesto di benedizione assume proporzioni più vaste.
Il Laterano è depositario di due di queste benedizioni: quella della presa di possesso del nuovo Papa, e quella annuale della festa dell'Ascensione.
Ambedue queste benedizioni segnano ciò che è privilegio per i figli di Roma, il cui Vescovo fonde nella stessa persona due dignità e due compiti incomparabili; quello di Vescovo della diocesi di Roma, e di Pontefice della Chiesa universale.
Torna il grande titolo, unico al mondo, della Arcibasilica Costantiniana: Urbis et Orbis omnium Ecclesiarum mater et caput.
Vi facciamo grazia del dottrinale circa il contenuto misterioso e prodigioso di questa benedizione.
Benedictio patris firmat domos filiorum.
La benedizione del padre fortifica la casa dei figli.
Cristo Salvatore, la virtù del cui Sangue redense il mondo, Maria madre santa ed immacolata di Lui, e madre nostra benigna e potente, Santi Apostoli Pietro e Paolo, Santi Patroni del Laterano, due Giovanni, il Battista e l'Evangelista, incliti Protettori della città, singolari Protettori dell'umile nuovissimo Papa, siate difensori nostri: protettori di Roma sacra ed eterna, protettori della S. Chiesa Cattolica ed Apostolica, a salute, a prosperità, a letizia del mondo intero.
Queste le parole sonanti che pronunzieremo sulla grande piazza al termine della cerimonia: questo il sospiro dei cuori durante lo svolgersi e il conchiudersi del sacro rito odierno.
Pax et benedictio Dei Omnipotentis, Patris et Filii et Spiritus Sancti.
Amen.