Giovedì, 2 febbraio 1961
Diletti figli!
Gli innumerevoli ceri, che in tutte le parti del mondo hanno come precorso il sorgere della festa odierna, volgono gli occhi e i cuori alla esaltazione e all'amore a Cristo benedetto, Sole di giustizia.
Egli è luce a rivelazione delle genti, e gloria del suo popolo: ( Lc 2,32 ) « Multis enim modis illuminat, et variis donis credentium animas illustrat: Egli illumina in tanti modi, e con diversi doni rischiara le anime dei credenti ».2
In Oriente e in Occidente, il 2 febbraio è festa della luce, che il Divino Redentore ha portato nel mondo, nascendo dalla Vergine Santissima: è festa della gioia di tutte le genti, unite in un solo palpito di fede e di amore coi figli dell'antico Israele.
È Nostro vivo desiderio che gli artistici e simbolici ceri, qui amabilmente recati, siano apportatori di luce e di gioia.
L'anno scorso, in questa stessa circostanza, annunziandone la destinazione ai più celebrati santuari della terra, esprimemmo la fiducia che essi fossero come « un invito ai fedeli di ogni stirpe e di ogni lingua ad unirsi al Papa nella preghiera ».3
La risposta a quel gesto fu ovunque fremito di anime commosse e ben disposte.
Quest'anno desideriamo proporre una altrettanto vasta destinazione, che, ne siamo certi, toccherà il cuore di tutti i Nostri figli.
Invieremo cioè tre ceri alle città capitali di ogni nazione:
il primo e il secondo da affidarsi alla casa religiosa maschile e femminile di più rigida osservanza, e di più antica data;
il terzo a disposizione dell'Ordinario per quell'opera o istituzione, che più gli sta a cuore.
Da questa Nostra Roma, che affratella le universali rappresentanze di Ordini e Congregazioni religiose; dall'Urbe, che è « praesidens universo coetui caritatis »,4 questi ceri del 1961 dirameranno dunque un triplice messaggio, recante alcune precise intenzioni.
Anzitutto la fioritura di apostoli per la Chiesa e la società.
La prima destinazione alle case religiose di più rigida mortificazione e penitenza vuole affermare, una volta di più, la preminenza dei doveri di culto e della totale consacrazione alla vita di preghiera su qualsiasi altra forma di apostolato; e al tempo stesso sottolineare la grandezza e la necessità delle vocazioni a questo genere di vita.
Il sacrificio e la immolazione preparano infatti le schiere, sempre rinnovantesi, di apostoli e di confessori per il Regno di Cristo.
La società ha bisogno di sacerdoti, di religiosi, di religiose:
ha bisogno di famiglie sane e generose, che non pongano ostacoli all'opera di Dio, e siano liete di offrire al Signore in gioioso sacrificio la loro porzione forse più bella e promettente:
adolescenze che si aprono al domani con lo sguardo puro e il cuore vibrante di entusiasmo:
giovinezze ardenti di fede e di amore per Iddio e per la Chiesa.
I ceri accesi nel silenzio austero di tante case religiose sparse nel mondo saranno come la esaltazione di questa necessità di apostoli santi: e ricorderanno altresì agli apostoli della vita attiva il valore imprescindibile della preghiera e della rinuncia, per procurare conquiste non effimere, che permangono oltre il volgere del tempo.
La seconda intenzione vuole incoraggiare lo sforzo degli uomini retti e buoni, occupati seriamente alla soluzione felice dei grandi e faticosi problemi della pace.
È nelle Nostre consuetudini, voi lo sapete, volgere l'attenzione più acuta non tanto su ciò che procura tristezza, ma su quanto edifica ed allieta.
I motivi di scoramento e di recriminazione non mancano in una visione pur realistica delle cose di questo mondo: ma ben più notevoli e degni di incoraggiamento sono gli elementi di giudizio e di fatto, che sottolineano il buon volere e la costante attività delle pur numerose anime rette e fervide, i cui sforzi fanno sperare su un avvenire migliore, per lo stabilimento della pace, che vuol essere trionfo di verità e di giustizia, e più sincera intesa tra i popoli.
A questo tendono le assemblee e i consessi internazionali, le ricerche scientifiche, gli incontri di cultura e ogni altra lodevole intrapresa, che sia elemento di unificazione apportatore di prosperità futura.
Il cero luminoso sarà incitamento a perseveranza di buon lavoro.
Che è mai tutto questo se non esercizio di carità e sostanza purissima di Vangelo?
Il fuoco è un bel simbolo della carità.
« L'ardore del fuoco - osserva S. Tommaso - significa l'amore ».5
La terza intenzione, che affidiamo al simbolismo di questi ceri, è infine quella che tanto Ci sta a cuore, ed a cui consacriamo le Nostre umili forze: il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo.
La sua finalità, fin da questa fase di preparazione, è, come dicemmo giusto un anno fa, quella di segnare « come il passaggio dell'Angelo del Signore su tutte le anime, a risveglio di energie, a palpito di fraterna dedizione, ad elevazione verso la Chiesa santa, cattolica ed apostolica ».6
Irradiazione sempre più vasta è questa del Regno di Dio:
rinnovamento generale della vita cristiana;
impostazione dei metodi di apostolato adatta alle necessità odierne per la conquista missionaria a Cristo Signore.
Presso le opere scelte dai singoli Arcivescovi e Vescovi - che potranno essere ospedali, o seminari, o nuove parrocchie di periferia, o cappelle interne di opifici - il cero ardente richiamerà quanti vi si raccolgono intorno in preghiera, alla necessità di adeguarsi interiormente alle esigenze di vita individuale e sociale, che il Concilio suggerisce.
Diletti figli!
Vi ringraziamo per il dono degli artistici ceri, che Ci hanno dato modo di volgere l'attenzione a realtà così alte ed edificanti.
Affidiamo l'esaudimento dei Nostri voti alla gloriosa Vergine Maria, sanctissima corpore, castissima moribus, omniumque pulcherrima ( Notkero, Sequenza per la Purificazione; dal Sequenzale di S. Gallo ).
Essa, che, presentato Gesù al tempio, lo offrì alla letizia del santo vecchio Simeone, vorrà suscitare in tanti cuori la risposta generosa ai Nostri desideri: e Ci darà la gioia di vedere condivise le comuni speranze.
2 | S. Cyrilli Alex. In Ioann. IV, 4; MG 73, 623 |
3 | L'Osservatore Romano, 3 febbraio 1960 |
4 | S. Ignatii ad Rom., MG 5, 685 |
5 | Comm. in Evang. S. Ioann. c. 5, lect. VI |
6 | L'Osservatore Romano cit. |