De musica sacra et sacra liturgia |
22. La Messa richiede, per sua natura, che tutti i presenti vi partecipino nel modo proprio a ciascuno.
a) Questa partecipazione deve essere in primo luogo interna, attuata cioè con devota attenzione della mente e con affetti del cuore, attraverso la quale i fedeli « strettissimamente si uniscano al Sommo Sacerdote … e con Lui e per Lui offrano [ il Sacrificio ] e con Lui si donino».7
b) La partecipazione però dei presenti diventa più piena se all'attenzione interna si aggiunge una partecipazione esterna, manifestata cioè con atti esterni, come sono la posizione del corpo ( genuflettendo, stando in piedi, sedendo ), i gesti rituali, soprattutto però le risposte, le preghiere e il canto.
Di questa partecipazione il Sommo Pontefice Pio XII, nella Lettera enciclica sulla Liturgia Mediator Dei, parlando in generale raccomanda quanto segue: « Sono da lodarsi coloro che si studiano di far sì che la Liturgia anche esternamente sia un'azione sacra, alla quale tutti i presenti in realtà prendano parte.
E ciò può avverarsi in vari modi: quando cioè tutto il popolo, secondo le norme dei sacri riti, risponde, conservando il giusto ordine, alle parole del sacerdote, o eseguisce dei canti che rispondano alle varie parti del Sacrificio, o fa l'uno e l'altro, o finalmente quando nella Messa solenne risponde alle preghiere del celebrante e partecipa anche al canto liturgico ».8
Tale armonica partecipazione hanno di mira i documenti pontifici quando parlano di « attiva partecipazione»,9 di cui l'esempio principale è offerto dal sacerdote celebrante e dai suoi ministri, i quali servono all'altare con la dovuta pietà interna e con l'esatta osservanza delle rubriche e cerimonie.
c ) Finalmente la partecipazione attiva diventa perfetta, quando vi si aggiunge anche la partecipazione sacramentale, per la quale cioè « i fedeli presenti partecipano non solo con affetto spirituale, ma anche con la sacramentale Comunione, affinché su di essi scendano più copiosi i frutti di questo santissimo Sacrificio».10
d) Dato però che una cosciente e attiva partecipazione dei fedeli non si può ottenere senza una loro sufficiente istruzione, giova ricordare quella sapiente legge emanata dai Padri Tridentini, con la quale si prescrive: « Il sacro Concilio ingiunge ai pastori e ai singoli aventi cura di anime, che frequentemente durante la celebrazione della Messa [ cioè nell'omelia dopo il Vangelo, ossia « quando si impartisce al popolo cristiano la catechesi » ], per se stessi o per mezzo di altri, espongano una qualche parte di ciò che vien letto nella Messa, e fra l'altro si spieghi un qualche mistero di questo santissimo Sacrificio, specialmente nei giorni di domenica e festivi».11
23. Occorre però ordinare i vari modi con i quali i fedeli possano partecipare attivamente al sacrosanto Sacrificio della Messa, in maniera che venga rimosso il pericolo di ogni abuso e si possa raggiungere il fine principale della stessa partecipazione, il più pieno culto cioè di Dio e l'edificazione dei fedeli.
24. La forma più nobile della celebrazione eucaristica la si ha nella Messa solenne, nella quale la congiunta solennità delle cerimonie, dei ministri e della Musica sacra rende manifesta la magnificenza dei divini misteri e conduce la mente dei presenti alla pia contemplazione degli stessi misteri.
Ci si dovrà preoccupare perciò che i fedeli abbiano una adeguata stima di questa forma di celebrazione, partecipandovi in modo opportuno, come viene in appresso indicato.
25. Nella Messa solenne dunque, l'attiva partecipazione dei fedeli può essere di tre gradi:
a) Il primo grado si ha, quando tutti i fedeli danno cantando le risposte liturgiche:
Amen;
Et cum spiritu tuo;
Gloria tibi, Domine;
Habemus ad Dominum;
Dignum et iustum est;
Sed libera nos a malo;
Deo gratias.
Si deve cercare con ogni cura che tutti i fedeli, di ogni parte del mondo, possano dare cantando queste risposte liturgiche.
b) Il secondo grado si ha quando tutti i fedeli cantano anche le parti dell'Ordinario della Messa:
Kyrie, eleison;
Gloria in excelsis Deo;
Credo;
Sanctus-Benedictus;
Agnus Dei.
Si deve poi cercare di far sì che i fedeli imparino a cantare queste stesse parti dell'Ordinario della Messa, soprattutto con le melodie gregoriane più semplici.
Se d'altra parte non sapessero cantare tutte le singole parti, nulla vieta che i fedeli ne cantino alcune delle più facili, come il Kyrie, eleison; Sanctus-Benedictus; Agnus Dei, riservando il Gloria e il Credo alla « schola cantorum ».
Si deve cercare inoltre di far sì che in tutte le parti del mondo i fedeli imparino queste più facili melodie gregoriane: Kyrie, eleison; Sanctus-Benedictus, e Agnus Dei secondo il numero XVI del Graduale Romano; il Gloria in excelsis Deo con Ite, Missa est-Deo gratias, secondo il numero XV; il Credo poi secondo il num. I o III.
In questo modo si potrà ottenere quel risultato tanto desiderabile, che i fedeli in tutto il mondo possano manifestare, nell'attiva partecipazione al sacrosanto Sacrificio della Messa, la loro fede comune anche con uno stesso festoso concento.12
c) Il terzo grado finalmente si ha quando tutti i presenti siano talmente preparati nel canto gregoriano da poter cantare anche le parti del Proprio della Messa.
Questa piena partecipazione alla Messa in canto si deve sollecitare soprattutto nelle comunità religiose e nei seminari.
26. È da tenersi in gran conto anche la Messa cantata, la quale, sebbene sia priva dei ministri sacri e della piena magnificenza delle cerimonie, è adornata però della bellezza del canto e della Musica sacra.
È desiderabile che nelle domeniche e giorni festivi la Messa parrocchiale o quella principale siano in canto.
Tutto ciò poi che è stato detto intorno alla partecipazione dei fedeli nella Messa solenne vale anche pienamente per la Messa cantata.
27. Nelle Messe in canto si tenga presente inoltre quanto segue:
a) Se il sacerdote con i ministri fa l'ingresso in chiesa per una via più lunga, niente impedisce che, dopo che sia stata cantata l'antifona dell'Introito con il suo versetto, si cantino diversi altri versetti dello stesso salmo; nel qual caso, dopo ogni versetto o ogni due versetti, si può ripetere l'antifona e, quando il celebrante è giunto all'altare, interrotto – se è il caso – il salmo, si canta il Gloria Patri e per ultimo si ripete l'antifona.
b) Dopo l'antifona all'Offertorio si possono cantare le antiche melodie gregoriane di quei versetti, che una volta venivano cantati dopo l'antifona.
Se però l'antifona all'Offertorio è desunta da qualche salmo, è lecito cantare altri versetti dello stesso salmo; nel qual caso, dopo ogni versetto o ogni due versetti, si può ripetere l'antifona e, terminato l'Offertorio, il salmo si chiude col Gloria Patri e si ripete l'antifona.
Se invece l'antifona non è presa da un salmo, si può scegliere un altro salmo adatto alla solennità.
Terminata poi l'antifona all'Offertorio, si può cantare anche qualche breve canto latino, che sia intonato però a questa parte della Messa e non sia protratto oltre la Secreta.
c) L'antifona alla Comunione di per sé si deve cantare mentre il sacerdote celebrante si comunica.
Se però ci sono dei fedeli da comunicare, il canto della stessa antifona si cominci mentre il sacerdote distribuisce la santa Comunione.
Se la stessa antifona alla Comunione è desunta da qualche salmo, è lecito cantare altri versetti dello stesso salmo; nel qual caso, dopo ogni versetto o ogni due versetti, si può ripetere l'antifona e, terminata la Comunione, il salmo si chiude col Gloria Patri e si ripete l'antifona.
Se invece l'antifona non è presa da un salmo, si può scegliere un salmo intonato alla solennità e all'azione liturgica.
Terminata poi l'antifona alla Comunione, soprattutto se la Comunione dei fedeli si prolunga molto, è lecito cantare anche un altro breve canto latino, adatto all'azione sacra.
I fedeli inoltre che si accostano alla sacra Comunione, possono recitare insieme al sacerdote celebrante il triplice Domine, non sum dignus.
d) Il Sanctus e il Benedictus, se sono cantati in gregoriano, devono essere cantati senza interruzione, altrimenti il Benedictus si canti dopo la Consacrazione.
e) Durante la Consacrazione ogni canto deve cessare e, dove c'è la consuetudine, anche il suono dell'organo o di qualsiasi altro strumento musicale.
f) Dopo la Consacrazione, se non c'è ancora da cantare il Benedictus, si raccomanda un sacro silenzio fino al Pater noster.
g) Mentre il sacerdote celebrante, alla fine della Messa, benedice i fedeli, l'organo deve tacere; il sacerdote celebrante poi deve pronunziare le parole della Benedizione in modo che da tutti i fedeli possano essere intese.
28. Si deve cercare accuratamente di far sì che i fedeli assistano anche alla Messa letta « non come estranei o muti spettatori»,13 ma con quella partecipazione che è richiesta da un tanto mistero e che reca frutti copiosissimi.
29. Il primo modo col quale i fedeli possono partecipare alla Messa letta si ha quando ciascuno, di propria industria, vi partecipa sia internamente, facendo attenzione cioè alle principali parti della Messa, sia esternamente, secondo le diverse approvate consuetudini delle varie regioni.
Sono degni soprattutto di lode coloro che, usando un piccolo messale adatto alla propria capacità, pregano insieme al sacerdote con le stesse parole della Chiesa.
Dato però che non tutti sono egualmente preparati a comprendere adeguatamente i riti e le formule liturgiche, e atteso inoltre che le necessità spirituali non sono per tutti le stesse, né restano sempre in ciascuno le medesime, per questi fedeli vi è un'altra forma di partecipazione, più adatta e più facile, quella cioè « di meditare piamente i misteri di Cristo o di fare altri pii esercizi e dire altre preghiere, che, sebbene differiscono per la forma dai sacri riti, nella loro natura però si accordano con essi».14
Si noti inoltre che, se in qualche luogo vi è la consuetudine di suonare l'organo durante la Messa letta, senza che i fedeli partecipino alla Messa con preghiere comuni o con il canto, è da riprovarsi l'uso di suonare quasi senza interruzione l'organo, l'harmonium o qualche altro strumento musicale.
Questi strumenti dunque devono tacere:
a) Dall'ingresso del sacerdote all'altare fino all'Offertorio;
b) Dai primi versetti del Prefazio fino al Sanctus incluso;
c) Dove esiste la consuetudine, dalla Consacrazione fino al Pater noster;
d) Dal Pater noster fino all'Agnus Dei incluso; durante la confessione prima della Comunione dei fedeli; mentre si recita il Dopocomunione e si dà la Benedizione alla fine della Messa.
30. Il secondo modo di partecipazione si ha quando i fedeli partecipano al Sacrificio eucaristico con preghiere e canti in comune.
Si deve far sì che le preghiere e i canti siano strettamente intonati alle singole parti della Messa, fermo restando quanto è prescritto al n. 14 c.
31. Il terzo e più completo modo di partecipazione si ottiene finalmente quando i fedeli rispondono liturgicamente al sacerdote celebrante quasi « dialogando » con lui, e recitando a voce chiara le parti loro proprie.
Di questa più completa partecipazione si possono distinguere quattro gradi:
a) Primo grado, quando i fedeli danno al sacerdote celebrante le risposte liturgiche più facili:
Amen;
Et cum spiritu tuo;
Deo gratias;
Gloria tibi, Domine;
Laus tibi, Christe;
Habemus ad Dominum;
Dignum et iustum est;
Sed libera nos a malo.
b) Secondo grado, quando i fedeli recitano inoltre quelle parti che secondo le rubriche sono da dirsi dal ministrante; e, se la Comunione è distribuita durante la Messa, recitano anche il Confiteor e il triplice Domine, non sum dignus.
c) Terzo grado, se i fedeli recitano insieme al sacerdote celebrante anche le parti dell'Ordinario della Messa, cioè:
Gloria in excelsis Deo;
Credo;
Sanctus-Benedictus;
Agnus Dei.
d) Quarto grado, finalmente, se i fedeli recitano insieme al sacerdote anche le parti appartenenti al Proprio della Messa:
Introito;
Graduale;
Offertorio;
Comunione.
Questo ultimo grado può essere usato degnamente, come si conviene, solo da scelte collettività più colte e ben preparate.
32. Nelle Messe lette tutto il Pater noster, dato che è una preghiera adatta e usata fin dall'antichità come preparazione alla Comunione, può essere recitato dai fedeli insieme al sacerdote, ma solo in lingua latina, e coll'aggiunta da parte di tutti dell'Amen, esclusa ogni recitazione in lingua volgare.
33. Nelle Messe lette i fedeli possono cantare canti popolari religiosi, a condizione però che questi siano strettamente intonati alle singole parti della Messa ( cfr. n. 14 b ).
34. Il sacerdote celebrante, soprattutto se la chiesa è grande e il popolo numeroso, tutto ciò che secondo le rubriche deve essere pronunziato a chiara voce, lo pronunzi con tale voce che tutti i fedeli possano opportunamente e comodamente seguire la sacra azione.
35. Tra le azioni liturgiche che eccellono per speciale dignità, è giustamente da annoverarsi la Messa « conventuale » o « in coro », quella cioè che si deve celebrare ogni giorno in connessione con l'Ufficio divino, da parte di coloro che per legge della Chiesa sono obbligati al coro.
La Messa infatti e l'Ufficio divino costituiscono l'insieme di tutto il culto cristiano, cioè quella piena lode che ogni giorno viene tributata, anche con solennità esterna e pubblica, a Dio onnipotente.
Siccome però non è possibile compiere ogni giorno in tutte le chiese questa pubblica e collegiale offerta di culto divino, essa viene compiuta, quasi come sostituzione vicaria, da coloro che sono a ciò deputati, in forza della legge del « coro »; ciò vale soprattutto per le chiese cattedrali rispetto a tutta la diocesi.
Pertanto tutte le celebrazioni « in coro », ordinariamente devono essere eseguite con particolare decoro e solennità, adornate cioè di canto e di musica sacra.
36. La Messa perciò conventuale di per sé deve essere solenne o almeno cantata.
Dove però per leggi particolari o per speciali Indulti è stato dispensato dalla solennità della Messa « in coro », si eviti almeno strettamente che durante la Messa conventuale siano recitate le Ore canoniche.
È raccomandato, invece, che la Messa conventuale letta sia eseguita nella forma proposta al n. 31, escluso però qualsiasi uso della lingua volgare.
37. Intorno alla Messa conventuale, si osservi inoltre quanto segue:
a) Ogni giorno si deve dire una sola Messa conventuale, che deve concordare con l'Ufficio recitato in coro, a meno che sia disposto altrimenti dalle rubriche ( Additiones et Variationes in rubricis Missalis, tit. I, n. 4 ).
L'obbligo tuttavia di celebrare altre Messe in coro, in forza di pie fondazioni o per altra legittima causa, resta immutato.
b) La Messa conventuale segue le norme della Messa in canto o letta.
c) La Messa conventuale si deve dire dopo Terza, a meno che il superiore della comunità, per grave causa, non ritenga opportuno che sia celebrata dopo Sesta o Nona.
d) Le Messe conventuali « fuori coro », prescritte talvolta fino ad ora dalle rubriche, sono soppresse.
e) Dell'assistenza dei sacerdoti al sacrosanto sacrificio della Messa e delle cosiddette Messe « sincronizzate ».
38. Premesso che la concelebrazione sacramentale nella Chiesa latina è limitata ai casi stabiliti dal diritto; richiamata poi in mente la risposta della Suprema S. Congregazione del S. Offizio del 23 maggio 1957,15 con la quale si dichiara invalida la concelebrazione del sacrificio della Messa da parte di sacerdoti, che, pur indossando i paramenti sacri e avendo qualsiasi intenzione, non proferiscono le parole della consacrazione: non è proibito che, se più sacerdoti si riuniscono insieme in occasione di Convegni, « uno solo celebri, gli altri invece ( o tutti o parecchi ) assistano a questa sola celebrazione e in essa ricevano la santa Comunione dalle mani del celebrante », purché « ciò si faccia per giusto e ragionevole motivo, e il Vescovo, per evitare l'ammirazione dei fedeli, non abbia stabilito diversamente », e purché sotto questa maniera di agire non si nasconda l'errore ricordato dal Sommo Pontefice Pio XII, che cioè la celebrazione di una Messa, alla quale assistono piamente cento sacerdoti, equivalga alla celebrazione di cento Messe da parte di cento sacerdoti16
39. Sono poi proibite le cosiddette « Messe sincronizzate », vale a dire quelle Messe celebrate in questo modo particolare, che cioè due o più sacerdoti, in uno o più altari, celebrano la Messa così simultaneamente da eseguire allo stesso tempo tutte le azioni e proferire tutte le parole, adoperando anche, specialmente se il numero dei sacerdoti che così celebrano è grande, alcuni strumenti moderni, con i quali si possa più facilmente ottenere questa assoluta uniformità o « sincronizzazione ».
40. L'Ufficio divino può essere recitato o « in coro », o « in comune », o « da solo ».
Si dice « in coro » se la recita dell'Ufficio divino è fatta da una comunità, che per legge ecclesiastica sia obbligata al coro; « in comune » invece, se è fatta da una comunità che non è obbligata al coro.
L'Ufficio divino, però, in qualunque modo venga recitato, sia in « in coro », sia « in comune », sia « da solo », quando viene recitato da coloro che per legge ecclesiastica sono incaricati della recita dell'Ufficio, si deve sempre ritenere come un atto di culto pubblico, reso a Dio in nome della Chiesa.
41. L'Ufficio divino per natura sua è così ordinato da doversi dire a cori alterni; anzi alcune parti di per sé dovrebbero essere cantate.
42. Ciò posto, la recita dell'ufficio « in coro » si deve conservare e favorire; la recita poi « in comune », come anche il canto almeno di qualche parte dell'ufficio, a seconda delle condizioni dei luoghi, dei tempi e delle persone, è vivamente raccomandata.
43. La salmodia « in coro » o « in comune », sia che si faccia in canto gregoriano che senza canto, sia grave e dignitosa, con tono conveniente, con le dovute pause e con piena concordanza delle voci.
44. Se i salmi di un'Ora canonica si debbano cantare, parte almeno devono essere cantati in gregoriano, o un salmo sì e l'altro no, o un versetto sì e l'altro no.
45. L'antica e veneranda consuetudine di cantare i Vespri nelle domeniche e nei giorni festivi insieme al popolo, a norma delle rubriche, dove esiste la si conservi; dove non esiste, per quanto è possibile, la si introduca, alcune volte almeno durante l'anno.
Cerchino inoltre gli Ordinari dei luoghi di far sì che, a causa della Messa vespertina, non vada in disuso il canto dei Vespri nelle domeniche e nei giorni festivi.
Le Messe vespertine, infatti, che l'Ordinario del luogo può permettere « se lo richieda il bene spirituale di una notevole parte di fedeli »,17 non devono essere a detrimento delle azioni liturgiche e degli esercizi pii, con i quali il popolo cristiano usò santificare le feste.
Per la qual cosa l'uso di cantare i Vespri o di fare altri pii esercizi con la Benedizione eucaristica, dove è in vigore, lo si mantenga, anche se si celebra la Messa vespertina.
46. Nei Seminari poi di chierici, sia secolari che religiosi, si reciti spesso in comune almeno una qualche parte dell'Ufficio divino, e possibilmente in canto; nelle domeniche poi e nei giorni festivi si cantino almeno i Vespri ( can. 1367, 3° ).
47. La Benedizione eucaristica è una vera azione liturgica; perciò si deve fare come è descritta nel Rituale Romano, tit. X, cap. V, n. 5.
Se tuttavia in qualche luogo esista per tradizione immemorabile un altro modo di impartire la Benedizione eucaristica, questo modo, con la licenza dell'Ordinario, può essere conservato; si raccomanda però di introdurre con prudenza l'uso romano della Benedizione eucaristica.
Indice |
7 | Lettera enciclica Mediator Dei, del 20 nov. 1947 |
8 | Lettera enciclica Media tor Dei |
9 | Lettera enciclica Media tor Dei |
10 | S. Conc. Trid.
Sess. 22, cap. 6. Cfr. anche la Lettera enciclica Mediator Dei: « È molto opportuno, ciò che del resto è stabilito dalla Liturgia, che il popolo acceda alla sacra Eucaristia, dopo che il sacerdote avrà gustato della Mensa divina » |
11 | S. Conc. Trid.
Sess. 22, cap. 8; Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina |
12 | Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina |
13 | Costituzione Apostolica Divini cultus, del 20 dic. 1928: A. A. S. 21 (1929) 40 |
14 | Lettera enciclica Mediator Dei: A. A. S. 39 (1947) 560-561 |
15 | A. A. S. 49 (1957) 370 |
16 | Cfr. I Discorsi del Sommo Pontefice Pio XII agli E.mi PP. Cardinali e ai Vescovi, del 2 nov. 1954 ( A. A. S. 46 [1954] 669-670 ) e ai partecipanti al Congresso internazionale di Liturgia Pastorale di Assisi, del 22 sett. 1956 ( A. A. S. 48 [1956] 716-717 ) |
17 | Costituzione Apostolica
Christus Dominus, del 6 genn. 1953; Istruzione della Suprema S. Congregazione del Sant'Uffizio dello stesso giorno ( A. A. S. 45 [1953] 47-51 ); Motu proprio Sacram Communionem, del 19 marzo 1957 ( A. A. S. 49 [1957] 177-178 ). |