Teologia della liberazione |
1. Le posizioni, di cui qui si parla, si trovano talvolta chiaramente enunciate in certi scritti dei "teologi della liberazione".
Presso altri esse derivano logicamente dalle loro premesse.
Altrove esse sono presupposte in certe pratiche liturgiche, come ad esempio nell'"Eucarestia" trasformata in celebrazione del popolo in lotta, anche se coloro che partecipano a tali pratiche non ne sono pienamente coscienti.
Viene, dunque, proposto un vero sistema, anche se taluni esitano a seguirne fino in fondo la logica.
Come tale, questo sistema è una perversione del messaggio cristiano affidato da Dio alla sua Chiesa.
Questo messaggio si trova perciò rimesso in causa nella sua globalità dalle "teologie della liberazione".
2. Ciò che è assunto come principio da queste "teologie della liberazione" non è il fatto delle stratificazioni sociali con le disuguaglianze e le ingiustizie che comporta, ma la teoria della lotta di classe come legge strutturale fondamentale della storia.
Se ne trae la conclusione che la lotta di classe così intesa divide la Chiesa stessa e che è necessario giudicare le realtà ecclesiali in funzione di essa.
Si pretende inoltre che l'affermazione secondo cui l'amore, nella sua universalità, può vincere ciò che costituisce la principale legge strutturale della società capitalista, significa nutrire, in mala fede, un'illusione fallace.
3. In questa concezione la lotta delle classi è il motore della storia.
La storia diventa così una nozione centrale.
Si arriva ad affermare che Dio si fa storia.
E si aggiunge che vi è una sola storia, nella quale non si deve più distinguere tra storia della salvezza e storia profana.
Mantenere la distinzione significherebbe cadere nel "dualismo".
Simili affermazioni riflettono un immanentismo storicista.
In questo modo si tende a identificare il Regno di Dio e il suo divenire con il movimento della liberazione umana e a fare della storia stessa il soggetto del suo proprio sviluppo come processo di auto-redenzione dell'uomo mediante la lotta di classe.
Questa identificazione è in opposizione alla fede della Chiesa richiamata dal Concilio Vaticano II.23
4. In questa linea alcuni giungono perfino ad identificare, al limite, Dio stesso e la storia e a definire la fede come "fedeltà alla storia", il che significa fedeltà impegnata in una prassi politica conforme alla concezione del divenire dell'umanità inteso nel senso di un messianismo puramente temporale.
5. Di conseguenza, la fede, la speranza e la carità ricevono un nuovo contenuto: esse sono "fedeltà alla storia", "fiducia nel futuro", "opzione per i poveri".
Ciò equivale ad una negazione della loro realtà teologale.
6. Da questa concezione deriva inevitabilmente una politicizzazione radicale delle affermazioni della fede e dei giudizi teologici.
Non si tratta più soltanto di attirare l'attenzione sulle conseguenze e le incidenze politiche delle verità di fede, che sarebbero rispettate nel loro valore trascendente.
Si tratta piuttosto di un subordinamento di ogni affermazione della fede o della teologia ad un criterio politico, esso stesso dipendente dalla teoria della lotta di classe, motore della storia.
7. Di conseguenza, si presenta l'inserimento nella lotta di classe come un'esigenza della carità stessa; si denuncia come un atteggiamento rinunciatario e contrario all'amore dei poveri la volontà di amare fin da questo momento ogni uomo, qualunque sia la sua appartenenza di classe, e di andargli incontro per le vie non violente del dialogo e della persuasione.
Anche se non si afferma che deve essere oggetto di odio, si afferma tuttavia che a causa della sua appartenenza oggettiva al mondo dei ricchi, egli è per ciò stesso un nemico di classe che deve essere combattuto.
Quindi, l'universalità dell'amore del prossimo e la fraternità diventano un principio escatologico, che vale soltanto per "l'uomo nuovo" che nascerà dalla rivoluzione vittoriosa.
8. Quanto alla Chiesa, si tende a considerarla una realtà interna alla storia, che obbedisce anch'essa alle leggi ritenute determinanti per il divenire storico nella sua immanenza.
Tale riduzione svuota la realtà specifica della Chiesa, dono della grazia di Dio e mistero di fede.
Inoltre, si nega che abbia un senso la partecipazione alla stessa mensa eucaristica di cristiani che pure appartengono a classi opposte.
9. Nel suo significato positivo la Chiesa dei poveri significa la preferenza, senza esclusivismi, data ai poveri intesi in tutte le forme della miseria umana, perché essi sono preferiti da Dio.
L'espressione significa inoltre la presa di coscienza del nostro tempo delle esigenze della povertà evangelica, sia da parte della Chiesa come comunione e come istituzione, sia da parte dei suoi membri.
10. Ma le "teologie della liberazione", che pure hanno il merito di avere ridato importanza ai grandi testi dei profeti e del Vangelo sulla difesa dei poveri, procedono ad un pericoloso amalgama tra il povero della Scrittura e il proletariato di Marx.
In questo modo il significato cristiano del povero è sovvertito e la lotta per i diritti dei poveri si trasforma in lotta di classe nella prospettiva ideologica della lotta delle classi.
La Chiesa dei poveri significa allora una Chiesa di classe, che ha preso coscienza della necessità della lotta rivoluzionaria come tappa verso la liberazione e che celebra questa liberazione nella sua liturgia.
11. Un'analoga osservazione si deve fare a proposito dell'espressione Chiesa del popolo.
Dal punto di vista pastorale, si possono intendere con essa i destinatari prioritari dell'evangelizzazione, coloro verso i quali, per la loro condizione, si rivolge innanzi tutto l'amore pastorale della Chiesa.
Ci si può anche riferire alla Chiesa come "popolo di Dio", cioè come popolo della Nuova Alleanza stipulata nel Cristo.24
12. Ma le "teologie della liberazione", di cui stiamo parlando, per Chiesa del popolo intendono una Chiesa di classe, la Chiesa del popolo oppresso che occorre "coscientizzare" in vista della lotta liberatrice organizzata.
Per alcuni il popolo così inteso diventa perfino oggetto della fede.
13. Da una simile concezione della Chiesa del popolo si sviluppa una critica delle stesse strutture della Chiesa.
Non si tratta soltanto di una correzione fraterna nei confronti dei pastori della Chiesa, il cui comportamento non riflette lo spirito evangelico di servizio e si attiene a espressioni anacronistiche di autorità che scandalizzano i poveri.
È anche messa in causa la struttura sacramentale e gerarchica della Chiesa, quale l'ha voluta il Signore stesso.
Nella gerarchia e nel Magistero si denunciano i rappresentanti effettivi della classe dominante che è necessario combattere.
Dal punto di vista teologico, questa posizione sta a dire che il popolo è la sorgente dei ministeri e che esso può, dunque, scegliersi i propri ministri, in base alle necessità della sua storica missione rivoluzionaria.
23 | Cf. Lumen gentium, nn. 9-17 |
24 | Cf. Gaudium et spes, n. 39 |
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