Commercio internazionale delle armi |
Non si può negare che l'applicazione dei principi che devono reggere il trasferimento delle armi si scontra nella pratica con grandissime difficoltà.
Le considerazioni che seguono sono soltanto un abbozzo di riflessione etica su alcune situazioni particolarmente spinose.
Questa riflessione deve essere proseguita con tutti gli interessati.
Una caratteristica comune ai regimi autoritari è che si mantengono al potere grazie a forze di polizia e di sicurezza interna molto bene equipaggiate di armi.
Se l'industria locale non è in grado di soddisfare i loro bisogni, cercano di procurarsele altrove.
Qui entra in gioco il rapporto tra il trasferimento delle armi e la violazione dei diritti dell'uomo.
2. È difficile giustificare moralmente la fornitura di armi a regimi autoritari.
Infatti, ciò equivarrebbe ad affermare che lo stato è fine a se stesso e che il bene del popolo non è il suo obiettivo prioritario e fondamentale.
Per contro, il rifiuto di fornire armi può essere segno di una disapprovazione del regime che non rispetta le norme riconosciute internazionalmente in materia di diritti umani.
Malgrado il rifiuto di uno o più stati di fornire loro le armi, alcuni governi poco scrupolosi possono ricorrere a vie traverse per procurarsi pressoché tutto l'armamento desiderato.
Talvolta, essi « comprano » la collaborazione di persone all'interno dell'industria degli armamenti o degli organi governativi competenti.
Dissimulando le loro intenzioni, essi arrivano persino a fabbricarsi armi partendo da beni di duplice uso, da elementi elettronici o da pezzi staccati o di ricambio acquistati da fonti differenti.
Oppure si rivolgono a stati disposti a rivendere illegalmente armi importate legalmente.
Esistono anche commercianti d'armi che operano fuori della legalità, sempre pronti a offrire i loro servizi, poiché il loro unico scopo è quello di fornire una scelta di armi a chi è in grado di pagarle.
Ciò è reso ancora più facile dal fatto che, in questi ultimi anni, l'offerta di armi è superiore alla domanda.--26
4. Ci sono molti modi per aggirare le restrizioni e gli embarghi, perché l'efficacia di queste misure dipende dalla volontà di osservarle da parte degli stati e dell'industria degli armamenti.
Ma è anche vero che la mancanza di armonizzazione dei mezzi di controllo favorisce le infrazioni: avviene che un trasferimento che è illegale in uno stato è permesso in un altro.
È nell'interesse di tutti che gli stati lavorino insieme per eliminare ogni aggiramento delle loro legislazioni nazionali, ma è anche importante elaborare norme e direttive internazionali costrittive, munite di sanzioni per la loro inosservanza, al fine di bloccare, nella misura del possibile, queste transazioni illegali e dannose per la pace.
La decisione di fornire o di rifiutare armi agli stati in conflitto è gravida di conseguenze, perché può influenzare l'esito stesso del conflitto.
Lo stato ha certamente il diritto di possedere i mezzi necessari alla propria difesa.
Tuttavia non si deve fare nulla che rischi di prolungare un conflitto.
Perciò vi è una presunzione morale contro la fornitura di armi ai belligeranti; soltanto ragioni molto gravi possono giustificare una deroga a questa presunzione.
6. Evidentemente non è sufficiente bloccare il trasferimento delle armi ai belligeranti per far cessare un conflitto.
Bisogna fare di tutto perché gli interessati depongano le armi e intavolino il dialogo con una determinazione risoluta di eliminare le cause del conflitto e trovare altri mezzi per dirimere le controversie.
Anche gruppi non statali che, per diverse ragioni, contestano l'ordine stabilito riescono a procurarsi armi, spesso per vie traverse e talvolta con l'aiuto di alcuni stati.
La natura, l'organizzazione, gli obiettivi e persino la legittimità di questi gruppi sono talmente diversi che diventa difficile qualsiasi giudizio rapido in questa materia.
Anche le armi che questi gruppi scelgono sono diverse.
Alcuni si accontentano di armi individuali e di esplosivi, facili da nascondere o da trasportare.
Altri ricorrono ad armi sempre più sofisticate, come lanciarazzi mobili.
Tuttavia tutti hanno l'intenzione di utilizzare le armi di cui dispongono.
8. È urgente trovare un mezzo efficace per interrompere il flusso d'armi destinato ai gruppi terroristici o criminali.
Una misura indispensabile sarebbe che ogni stato imponesse uno stretto controllo sulla vendita delle armi leggere e individuali sul proprio territorio.
La limitazione dell'acquisto di tali armi non sarebbe certamente lesivo del diritto della persona.
È anche giunto il momento che la comunità internazionale si interessi effettivamente di questo problema e che lo integri nelle sue considerazioni sul fenomeno globale del trasferimento delle armi.
Il fatto che l'assemblea generale delle Nazioni unite abbia già sollevato il problema--27 è un segno che essa riconosce il pericolo di questa diffusa disponibilità di armi leggere e individuali.
9. Rimane un problema.
È sempre illecito fornire armi a un gruppo non statale?
Tradizionalmente, il diritto di ricorrere alla forza è riservato allo stato e ciò presuppone che il governo in questione abbia una legittimità morale e politica.
Ma sovente i gruppi non statali che cercano di procurarsi armi contestano questa legittimità.
Una fondamentale scelta morale sarebbe già fatta se non rimanesse aperta la possibilità di mettere in questione la legittimità di un regime e se soltanto lo stato fosse abilitato a ricevere armi.
D'altra parte, ogni politica che mettesse sullo stesso piano gli stati e i gruppi non statali condurrebbe al caos.
Lo stato ha dunque un vantaggio presunto sui gruppi non statali per quanto riguarda il trasferimento delle armi.
Tuttavia, rimane aperta la possibilità che un regime al potere possa essere nel torto.--28
Di fronte a ogni decisione se fornire o no armi a un gruppo che si oppone a un tale regime, bisogna saper distinguere tra una lotta legittima nei suoi scopi e nei suoi mezzi e il terrorismo puro e semplice.
10. Giovanni Paolo II è ritornato a più riprese su ciò che aveva dichiarato a Drogheda, in Irlanda, all'inizio del suo pontificato: « Aggiungo oggi la mia voce a quella di Paolo VI e degli altri miei predecessori, alle voci dei vostri capi religiosi, alle voci di tutti gli uomini e le donne ragionevoli, e proclamo, con la convinzione della mia fede in Cristo e con la coscienza della mia missione, che la violenza è un male, che la violenza è inaccettabile come soluzione dei problemi, che la violenza è indegna dell'uomo.
La violenza è una menzogna, perché va contro la verità della nostra fede, la verità della nostra umanità.
La violenza distrugge ciò che essa vorrebbe difendere: la dignità, la vita, la libertà degli esseri umani. »--29
11. Esistono mezzi non violenti per regolare le controversie.
Il dialogo, il negoziato, la mediazione, l'arbitraggio o la pressione popolare da molto tempo hanno dato prova della loro capacità di ristabilire o di ottenere giustizia.
L'efficacia di questi mezzi suppone tuttavia, da parte degli interessati, un vero spirito di dialogo, un'apertura verso l'altro e un desiderio di stabilire una pace fondata sulla giustizia.
Molti cambiamenti politici di vasta portata sono stati recentemente ottenuti mediante mezzi pacifici che perciò non sono affatto utopistici.
I governi, con il sostegno dell'opinione pubblica, devono convincersi della necessità di utilizzare tali mezzi per evitare conflitti o per mettervi fine il più rapidamente possibile.
Così pure, la comunità internazionale deve impegnarsi seriamente alla ricerca di mezzi efficaci e costrittivi per prevenire qualsiasi lotta armata.
Indice |
26 | Il segretario generale dell'ONU, BoutrosGhali, nel suo rapporto sulle nuove dimensioni della regolamentazione degli armamenti raccomanda che gli stati si interessino più da vicino delle attività dei commercianti d'armi ( documento A/C.1/47/7, n. 31, 23.10.1992 ) |
27 | Cf. risoluzione A/46/36H del 6.12.1991 e risoluzione A/48/75F del 16.12.1993 |
28 | Cf. Congregazione per la dottrina della fede, istruzione Libertatis conscientia su libertà cristiana e liberazione,
22.3.1986, n. 79; che rinvia a Paolo VI, enc. Populorum progressio, n. 31 e a Pio XI, enc. Nos es muy conocida: AAS 29(1937), 208209 |
29 | Giovanni Paolo II, Omelia presso Drogheda, Irlanda, 29.9.1979, n. 9 |