La fame nel mondo una sfida per tutti |
La crescita della ricchezza è necessaria allo sviluppo, ma le grandi riforme macroeconomiche - che comportano sempre una limitazione dei redditi - possono fallire, se le riforme strutturali non vengono avviate con l'energia ed il coraggio politico necessari, specie per quanto attiene al settore pubblico: riforma del ruolo dello stato, eliminazione degli ostacoli politici e sociali.
In questo caso, causano inutili sofferenze ed accelerano una ricaduta.
Queste grandi riforme, a volte eccessivamente brutali, sono sempre accompagnate da aiuti provenienti dalla comunità internazionale che fa pressione sul potere politico, spesso dietro sua richiesta, per porre il paese di fronte alle sue scelte ed aiutarlo ad adottare delle decisioni, che i paesi industrializzati non hanno più avuto motivo di adottare dagli anni della ricostruzione, dopo la seconda guerra mondiale.
Per le istituzioni internazionali è doveroso includere nei piani elaborati dai governi, ascoltatone il parere, delle disposizioni mirate ad alleviare la sofferenza di coloro che verranno maggiormente colpiti da tali misure necessarie.
Sta a loro nutrire fiducia nei confronti dei dirigenti del paese, cosicché questo realmente benefici, in quel determinato momento, degli aiuti finanziari pubblici e privati.
Le istituzioni internazionali debbono anche far pressione sul governo affinché tutte le categorie sociali possano partecipare allo sforzo comune.
Diversamente, questo non sarà in grado di percorrere la strada, se pur appena abbozzata, del bene comune e della giustizia sociale, così difficile da salvaguardare in tali circostanze.
Per raggiungere tale obiettivo, il personale degli organismi internazionali deve dar prova non solo di rigore tecnico - cui, fortunatamente, è solito - ma deve anche dimostrare di avere a cuore gli interessi dei singoli individui, il che non può essere inculcato tramite disposizioni burocratiche o ricorrendo ad una formazione di natura puramente economica.
È in queste situazioni che l'ascolto preferenziale del povero deve farsi particolarmente attento: si debbono prevedere disposizioni precise, di comune accordo con le ONG e le Associazioni cattoliche che sono a contatto e contemporaneamente al servizio dei più deboli.
Non si insisterà mai troppo su questo punto: esso è essenziale e i responsabili nazionali ed internazionali possono facilmente trascurarlo, in quanto il lavoro tecnico presenta di per sé considerevoli difficoltà.
In linea di massima, tutti gli organismi nazionali ed internazionali, in rapporto permanente con i singoli paesi con difficoltà di sviluppo, debbono aprire canali di comunicazione personali ed ufficiosi fra coloro che operano sul campo, al servizio delle popolazioni, ed il personale tecnico che mette a punto i programmi di riforma.
Ma per non scivolare nell'economicismo e nell'ideologia, ciò deve realizzarsi nella reciproca fiducia tra coloro che condividono il servizio agli uomini ed a ciascun uomo.
I paesi più ricchi hanno una responsabilità di primo piano nella riforma dell'economia mondiale.
In questi ultimi tempi hanno privilegiato i rapporti con i paesi che registrano un certo decollo economico - quelli effettivamente in via di sviluppo - ed anche con i paesi dell'Est europeo, la cui evoluzione può costituire una minaccia geograficamente vicina.
Sul loro stesso territorio, i paesi ricchi non mancano di indigenti e di difficoltà nell'attuazione delle necessarie riforme.
Esiste allora la tentazione di far slittare in secondo piano il problema dei poveri dei paesi con difficoltà di sviluppo.
« Non spetta a noi farci carico della miseria del mondo » è la fase che riecheggia spesso nei paesi globalmente ricchi.
Un simile atteggiamento, se si confermasse, sarebbe sia indegno che miope.
Ogni persona, ovunque si trovi, specie se dispone di mezzi economici e di autorità politica, deve aprirsi all'ascolto della miseria dei più derelitti, per tenere conto nelle proprie decisioni e nelle proprie azioni degli interessi di costoro.
Questo appello si rivolge a tutti coloro che debbono prendere delle decisioni concernenti i paesi in via di sviluppo.
Ma esso si rivolge anche a tutti coloro i quali, sia nell'ambito dei diversi paesi, sia a livello internazionale, bloccano di fatto le possibilità di agire in favore del bene comune, per proteggere interessi che di per sé possono essere del tutto legittimi.
La protezione di un diritto acquisito in un determinato paese, può comportare il persistere della fame in una qualche parte del mondo, senza che si possa cogliere un nesso preciso di causalità, nè identificarne le vittime; diventa facile, allora, negarne l'esistenza.
Altri atteggiamenti conservatori, ad altri livelli ed in altri luoghi, possono entrare in gioco e contribuire alle stesse situazioni di stallo.
La riforma del commercio internazionale è in via di realizzazione e allo stesso tempo sempre auspicata.
Di fatto, coinvolge soprattutto i poveri dei paesi ricchi.
Di qui la capitale importanza che queste priorità non facciano dimenticare la situazione degli indigenti dei paesi poveri, che sono pressoché senza voce a livello internazionale.
Costoro debbono ritornare al centro delle preoccupazioni internazionali, congiuntamente alle altre priorità.
È lodevole il fatto che, recentemente, la Banca Mondiale abbia dato preminenza allo « sradicamento della miseria ».
I responsabili dei paesi in via di sviluppo non debbono, a loro volta, confidare su un'ipotetica riforma internazionale prima di dedicarsi alle riforme interne ai loro paesi, spesso palesemente necessarie per favorire un certo decollo economico.
Questo decollo non dipende da misure particolari ma, da una coraggiosa e costante applicazione di semplici regole che consentano, a chi ne è in grado, di avviare iniziative valide, conservandone parte dei frutti; e d'altra parte impediscano, a coloro che ne sono incapaci, di prelevare dalle risorse nazionali un compenso non correlato al loro apporto.
I popoli debbono « sentirsi i principali artefici ed i primi responsabili del loro progresso economico e sociale ».58
Come già precedentemente menzionato, spetta ai governi e alle istituzioni in rapporto con i paesi in via di sviluppo, manifestare chiaramente la loro preferenza in favore di atteggiamenti responsabili e coraggiosi al servizio delle comunità nazionali.
I poteri pubblici dei paesi globalmente ricchi, debbono intervenire sull'opinione pubblica per sensibilizzarla alla situazione dei poveri, siano essi vicini o lontani.
Spetta a loro, parimenti, sostenere vigorosamente l'azione delle istituzioni internazionali che si occupano di queste sofferenze, per aiutarle ad intraprendere iniziative immediate e durature in grado di arginare la fame nel mondo.
È quanto la Chiesa, da parte sua, chiede con grande tenacia da oltre cento anni nei confronti di tutti e contro tutti: essa chiede che i diritti dei più deboli siano protetti, tra l'altro, tramite interventi delle pubbliche autorità.59
Per sensibilizzare e mobilitare la comunità internazionale, specie per quanto attiene alla dimensione etica delle problematiche in questione, si possono trovare riferimenti energici e precisi in numerosi testi elaborati, per esempio, dal Consiglio Economico e Sociale ( precisamente dalla sua Commissione dei diritti dell'uomo ) o dall'UNICEF.
Limitandosi a menzionare i lavori della FAO, ben nota in proposito, la convergenza già evocata fra l'insegnamento della Chiesa e gli sforzi di crescente mobilitazione intrapresi dalla comunità internazionale, affiora in tutta la sua evidenza, in un certo numero di strumenti quali la « Charte des Paysans » ( carta dei lavoratori agricoli ) contenuta nella Dichiarazione mondiale sulla riforma agraria e lo sviluppo rurale ( 1979 ),60 il Patto mondiale sulla sicurezza alimentare,61 la Dichiarazione mondiale sulla nutrizione ed il Programma di azione adottato dalla Conferenza Internazionale sull'Alimentazione ( 1992 ),62 senza dimenticare diversi codici di condotta o impegni internazionali - politicamente o moralmente vincolanti - sui pesticidi, sulle risorse fitogenetiche, ecc.
È importante far notare che questo punto di vista etico è stato recentemente fatto proprio dalla Banca Mondiale.63
Lo sviluppo umano non potrà essere il risultato di meccanismi economici che funzionano in modo automatico, e che basta favorire.
L'economia diventerà più umana grazie ad un insieme di riforme a tutto campo, tutte ispirate dal miglior servizio del vero bene comune, ovvero da una visione etica fondata sul valore infinito di ogni uomo e di tutti gli uomini; da una economia che si lascia ispirare dalla « necessità di costruire i rapporti fra i popoli su uno scambio costante di doni, su una effettiva « cultura oblativa », in virtù della quale ogni paese sarebbe aperto ai bisogni dei meno avvantaggiati ».64
Il funzionamento dei mercati, per favorire lo sviluppo, necessita tuttavia di una saggia regolamentazione.
Il mercato ha sue proprie leggi che oltrepassano la capacità di decisione dei suoi partecipanti, per quanto costoro siano sufficientemente numerosi e sufficientemente indipendenti gli uni dagli altri; è quanto avviene sui mercati delle materie prime minerali, nonostante i considerevoli sforzi compiuti sia dai governi - ivi compresi alcuni organismi internazionali, in particolare dall'UNCTAD ( Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo ) - sia da imprese del settore privato.
Non risulta possibile, in nome di ragioni politiche o umanitarie, affrancarsi dal livello dei prezzi risultante dal cieco funzionamento dei mercati.
Tuttavia, ci si deve assicurare che questi non siano oggetto di tentativi di manipolazione.
D'altronde, è compito dei paesi importatori non conservare o non erigere nuove barriere, che frenino l'eventuale ingresso di beni provenienti da quei paesi in cui una parte importante della popolazione ha fame; i paesi importatori debbono far sì che i benefici locali di tali operazioni commerciali, vadano soprattutto a vantaggio dei più indigenti.
È un problema molto delicato che richiede un atteggiamento coraggioso e preciso.
Come già precedentemente riferito, a partire dal 1985, la questione del debito è stata gestita dalla comunità internazionale; la sua prima preoccupazione è di evitare lo sgretolamento del sistema finanziario che collega fra loro tutte le istituzioni finanziarie di tutti i paesi.
Questo sistema ha consentito, nelle diverse nazioni e nel corso delle varie crisi, il consolidamento dei crediti, con il risultato di mettere sullo stesso piano tutti i creditori di uno stesso paese.
Ciò non è conforme nè al diritto nè alla giustizia sociale.
Per contro, coloro che hanno concesso prestiti, sono stati indotti a rinunciare ad una parte - variabile a seconda di ciascuno - dei propri crediti.
È necessaria molta equità e molta vigilanza per evitare che i paesi più coraggiosi e più efficienti in materia di riforme vengano penalizzati rispetto ad altri.
È evidente che il debito deve ancora diminuire in misura notevole ma, pur dimenticando le circostanze che lo hanno provocato, è giusto che tale contrazione debba accompagnarsi, in tutti i paesi, a riforme in grado di evitare che si ricada in irregolarità quali: spesa pubblica eccessiva, spesa pubblica non mirata, sviluppo privato locale senza riscontro economico, eccessiva concorrenza tra paesi erogatori di prestiti e paesi esportatori, il che favorisce vendite inutili o addirittura dannose.
In ogni caso va riconosciuto che un miglioramento delle condizioni dei paesi con difficoltà di sviluppo, non sarà possibile senza una maggiore stabilità del quadro sociale e politicoistituzionale.
Per il secondo decennio di sviluppo, il progetto dell'UNCTAD prevedeva che l'aiuto ai paesi in via di sviluppo raggiungesse lo 0,7% del PIL dei paesi industrializzati.
Tale obbiettivo, raggiunto solo da alcuni paesi,65 è stato recentemente rivisto al Vertice di Copenaghen.66
In media l'aiuto ai paesi in via di sviluppo si attesta attualmente sullo 0,33% del PIL, ovvero a meno della metà dell'obiettivo prefissato!
Il fatto che alcuni paesi riescano a raggiungere tale obiettivo ed altri no, evidenzia come la solidarietà sia frutto della determinazione dei popoli e degli Stati, e non il risultato di automatismi tecnici.
È raccomandabile, inoltre, serbare una quota maggiore di questo aiuto al finanziamento di quei progetti che vengono elaborati con la partecipazione degli stessi poveri.
Poiché in democrazia i responsabili politici dipendono dalla loro opinione pubblica, si dovrà sostenere uno sforzo di ampio respiro affinché l'opinione pubblica acquisti più chiara coscienza dell'importanza di questo bilancio di aiuti per lo sviluppo.
« Noi tutti siamo solidarmente responsabili delle popolazioni sottoalimentate ( … ) occorre educare la coscienza al senso di responsabilità che incombe a tutti e a ciascuno, specie ai più favoriti ».67
L'aiuto pubblico pone numerosi problemi di natura etica, sia ai paesi donatori che a quelli destinatari.
Ovunque, la moralizzazione dei circuiti di nuova liquidità costituisce un problema difficile, e la mancanza di etica può risultare a vantaggio di gruppi di interesse più o meno ufficiali, negli stessi paesi esportatori.
Si « congelano » in tal modo situazioni di potere assimilabili alle « strutture di peccato », che favoriscono ovunque il clientelismo.
Si tratta di potenti meccanismi inibitori delle vere riforme e dello sviluppo del bene comune, che possono causare conseguenze nefaste quali, per esempio, disordini locali e lotte intertribali specialmente nei paesi più fragili in tal senso.
La lotta contro queste « strutture di peccato » è portatrice di grande speranza per i paesi più svantaggiati.
Spetta ai paesi industrializzati non soltanto aumentare i loro aiuti ai paesi in via di sviluppo, ma anche ripensare la maniera in cui tali aiuti vengono distribuiti.
Gli « aiuti vincolati » sono da criticare se concepiti in funzione del paese erogatore o donatore, e se abbinati a condizioni che vincolano il paese ricevente tramite, ad esempio, l'acquisto di beni prodotti nel paese donatore, l'impiego di mano d'opera specializzata straniera, a svantaggio della mano d'opera locale, la conformità ai programmi di aggiustamento strutturale, ecc.
D'altro canto, si può considerare il fatto che gli aiuti non vincolati sono in grado di produrre realmente i risultati migliori, come si è verificato in numerosi casi.
Tuttavia, conviene non scartare a priori l'eventualità di aiuti vincolati, nella misura in cui questi siano concepiti quale mezzo per distribuire in maniera equa i vantaggi derivanti alle varie parti in causa o nella misura in cui consentano una gestione sana dei mezzi a disposizione.
Gli aiuti alimentari di emergenza meritano alcune osservazioni, in quanto oggetto di controversie basate sulla considerazione che tali aiuti non sono in grado di agire sulle cause stesse del problema della fame.
Mezzi di azione umanitaria agli occhi di alcuni, sono considerati, al contrario, da altri, quale leva di sviluppo e addirittura, da molti, come arma commerciale.
Si rimprovera loro, fra l'altro, di scoraggiare gli agricoltori locali, di modificare le abitudini alimentari, di fungere da mezzo di pressione politica a motivo della dipendenza che inducono, di giungere troppo tardi, di favorire il sorgere di una mentalità assistenziale e, in ultimo, di avvantaggiare i soli intermediari, di favorire la corruzione e anche di non arrivare ai più indigenti.
In alcuni paesi vengono protratti all'infinito, non senza motivo, così da tramutarsi in elementi strutturali.
In tal caso vengono a costituire una forma di aiuto permanente alla bilancia dei pagamenti, in quanto riducono il deficit nazionale.
Tali aiuti possono essere concessi anche quale forma di sostegno in periodi di aggiustamento strutturale particolarmente difficile, nel momento in cui vengono soppresse le sovvenzioni per il consumo dei prodotti primari.
Gli aiuti alimentari di emergenza devono rimanere una soluzione temporanea, all'unico scopo di consentire ad una popolazione di sopravvivere ad una situazione di crisi.
In quanto aiuto umanitario, non possono essere contestati in linea di principio.
In effetti, sono unicamente le loro deviazioni a suscitare critiche: per esempio, il loro arrivo spesso tardivo o non confacente ai bisogni, la loro distribuzione mal organizzata o distorta dall'intervento di fattori politici, etnici o dal clientelismo, i furti e la corruzione, che impediscono ai viveri di giungere ai più indigenti.
È piuttosto l'aiuto strutturale prolungato ad apparire agli uni come una leva di sviluppo ed agli altri come un'arma commerciale, un fattore di destabilizzazione della produzione e delle abitudini alimentari, una causa di dipendenza.
In realtà, può avere effetti sia benefici che nefasti.
A prescindere dal fatto che l'aiuto consente la sopravvivenza di popolazioni intere, non bisogna passare sotto silenzio i suoi aspetti positivi, quali la possibilità di realizzare lavori infrastrutturali, le transazioni triangolari, la creazione di riserve negli stessi paesi in via di sviluppo.
Si tratta di un'arma a doppio taglio, di cui tuttavia, non è possibile fare a meno.
Si potrebbe ovviare ad alcune delle critiche che questi aiuti alimentari suscitano potenziando la concertazione fra i vari partners della catena: Stati, autorità locali, ONG, associazioni ecclesiali.
Gli aiuti potrebbero venire limitati nel tempo e meglio distribuiti alle popolazioni con reale deficit alimentare; sarebbe anche raccomandabile che venissero costituiti da prodotti locali ogni qual volta ciò risultasse possibile.
Gli aiuti di emergenza debbono, in primo luogo, contribuire a liberare le popolazioni dalla loro dipendenza.
A tal fine, a prescindere dall'infrastruttura soddisfacente o meno e dalle capacità locali di distribuzione, gli aiuti debbono accompagnarsi a progetti che mirino a premunire le popolazioni colpite da future penurie alimentari.
E in tal modo che gli aiuti di emergenza, devoluti a determinate condizioni, potranno considerarsi alla stregua di una incisiva azione di solidarietà internazionale.
Di fatto, questo tipo di assistenza non sarà in grado di offrire « una soluzione soddisfacente nella misura in cui si continua a tollerare una miseria estrema, che non cessa di aggravarsi provocando un numero sempre maggiore di vittime della malnutrizione e della fame ».68
Il problema della fame non potrà risolversi se non rafforzando a livello locale i quattro elementi costitutivi della « sicurezza alimentare ».69
« La sicurezza alimentare esiste nel momento in cui tutti gli abitanti hanno liberamente accesso agli alimenti necessari a condurre una vita sana ed attiva ».70
A questo scopo, è importante mettere a punto programmi che valorizzino la produzione locale, una legislazione efficace che protegga le terre agricole e ne assicuri l'accesso alla popolazione rurale.
La mancata realizzazione di queste misure nei paesi in via di sviluppo è dovuta al frapporsi di numerosi ostacoli che vi si oppongono.
Infatti diviene sempre più difficile e complesso per i responsabili politici ed economici di questi paesi mettere a punto una politica agricola.
Fra le più importanti cause del fenomeno ricordiamo la fluttuazione dei prezzi e delle valute provocata anche dalla sovrapproduzione di prodotti agricoli.
Per garantire la sicurezza alimentare si dovrà favorire la stabilità e l'equità del commercio internazionale.71
L'importanza primaria dell'agricoltura nell'ambito di ogni processo di sviluppo, è ormai riconosciuta.
Quale che sia l'evoluzione della congiuntura commerciale internazionale, l'indipendenza economica e politica, ma anche la situazione alimentare dei paesi in via di sviluppo, avrebbero molto da guadagnare dalla messa a punto di sistemi agricoli in grado di privilegiare lo sviluppo interno, pur rimanendo aperti all'esterno.
Tutto ciò richiede la creazione di un ambiente economico e sociale basato su una migliore conoscenza ed una migliore gestione dei mercati agricoli locali, sul rafforzamento del credito rurale e della formazione tecnica, sulla garanzia di prezzi locali remunerativi, su migliori circuiti di trasformazione e di commercializzazione dei prodotti locali, oltre che su un'effettiva concertazione fra i paesi in via di sviluppo, un'organizzazione degli stessi lavoratori agricoli e la difesa collettiva dei loro interessi.
Sono questi altrettanti obiettivi la cui realizzazione dipende dalla competenza come pure dalla volontà degli uomini.
La produzione alimentare locale è spesso ostacolata da una cattiva distribuzione delle terre e dall'utilizzo irrazionale dei terreni.
Oltre la metà della popolazione dei paesi in via di sviluppo non possiede terra e tale proporzione è in aumento.72
Anche se quasi tutti questi paesi hanno elaborato politiche di riforma agraria, pochi sono quelli che le hanno tradotte in pratica.
Inoltre, gli spazi agricoli utilizzati dalle società alimentari multinazionali, sono destinati a nutrire quasi esclusivamente le popolazioni dell'emisfero Nord ed i sistemi di coltivazione adottati tendono ad impoverire i terreni.
Si fa urgente una « riforma coraggiosa delle strutture e di nuovi modelli di rapporti fra gli Stati e le popolazioni ».73
I doveri che incombono sui responsabili politici e finanziari sono di primaria importanza.
Tuttavia, per raccogliere la grande sfida della fame, della malnutrizione e della povertà, ciascun uomo è chiamato ad interrogarsi su ciò che fa e su ciò che potrebbe fare.
Sarebbero necessari a tale scopo:
- l'apporto della scienza: gli intellettuali sono invitati anch'essi a mobilitare le loro conoscenze e la loro influenza per cercare una soluzione al problema.
Le ricerche nel settore della biotecnologia, per esempio, possono contribuire a migliorare - sia nell'emisfero Nord che in quello Sud - la sicurezza alimentare mondiale, le cure sanitarie o anche l'approvvigionamento di energia.
Da parte loro, le scienze umane, tramite una migliore lettura ed una più esatta interpretazione dell'organizzazione sociale, possono meglio mettere in luce, allo scopo di correggerli, gli squilibri dei sistemi vigenti e le nefaste conseguenze che questi ingenerano.
Possono pure contribuire alla definizione ed alla messa a punto di nuove vie per la solidarietà fra i popoli;
- la sensibilizzazione degli individui e dei popoli: l'amore per il prossimo è un compito affidato ai genitori, agli educatori, ai responsabili politici, a qualsiasi livello essi operino, come pure agli specialisti dei mezzi di comunicazione di massa che hanno una responsabilità maggiore per far maturare la coscienza dell'umanità;
- uno sviluppo autentico in ogni paese: è necessario dare una importanza prioritaria a quell'educazione che non si limita alla mera trasmissione degli elementi necessari per la comunicazione o per un lavoro di utilità personale o pubblica, ma che offre le basi per una coscienza morale.
Dovrà venire eliminata qualsiasi dicotomia fra educazione e sviluppo, due obiettivi talmente interdipendenti, così strettamente interconnessi l'uno all'altra, che è necessario perseguirli congiuntamente, se si vogliono ottenere risultati durevoli.
È un dovere di solidarietà quello di consentire ad ogni uomo di beneficiare « di un'educazione che corrisponda alla sua vocazione ».74
Affiancandosi ad altre iniziative precedenti, alcuni organismi, fondati anche da volontari, si sono messi da qualche decennio al servizio degli individui e delle popolazioni in difficoltà.
Questi Organismi Internazionali spesso conosciuti con il nome di: Associazioni Internazionali Cattoliche, Organizzazioni Internazionali Cattoliche ( OIC ) ed Organizzazioni Non Governative ( ONG ), sono ben noti per il loro dinamismo; il loro banco di prova sono stati la promozione dello sviluppo integrale dei poveri e la risposta a situazioni di emergenza ( carestie o penurie ).
Sanno attirare l'attenzione su situazioni disperate, mobilitando fondi privati e pubblici ed organizzando soccorsi sul posto.
La maggior parte di questi hanno perfezionato nel corso degli anni la loro lotta contro la fame, abbinandola ad una azione di più ampio respiro a favore dello sviluppo.
Fra le loro realizzazioni più conosciute ci sono progetti in favore di nuove iniziative adottate in loco in maniera autonoma, o progetti tesi a rafforzare le istituzioni e le collettività locali.
Da parte sua, la Chiesa cattolica, da sempre ( e dunque ben prima che le ONG esistessero come tali ) incoraggia, ispira e coordina queste forze e questi mezzi, tramite innumerevoli associazioni parrocchiali, diocesane, nazionali ed internazionali e tramite grandi reti.75
Intendiamo qui esprimere il nostro apprezzamento per il lavoro degli Organismi Internazionali nel loro insieme, siano essi di ispirazione direttamente cristiana,76 di ispirazione religiosa o di ispirazione laica.
La missione degli Organismi Internazionali è duplice: sensibilizzazione ed azione.
Se la seconda è evidente, la prima è spesso ignorata, anche se entrambe sono indissociabili l'una dall'altra: la sensibilizzazione di tutti alle realtà ed alle cause del cattivo sviluppo è fondamentale e primaria.
Da essa dipende direttamente l'indispensabile raccolta di fondi privati da una parte, e dall'altra la presa di coscienza di un maggior numero di persone.
La costituzione di questa base popolare è necessaria per ottenere un aumento dell'aiuto pubblico allo sviluppo e la trasformazione delle « strutture di peccato ».
Gli Organismi Internazionali debbono considerare i gruppi ai quali vengono in aiuto, quali effettivi interlocutori paritetici.
È così che nasce una solidarietà dal volto fraterno, nel dialogo, nella reciproca fiducia, nell'ascolto rispettoso dell'altro.
In questo settore così delicato, il Papa Giovanni Paolo II ha voluto offrire un segno del suo particolare interesse: si tratta della Fondazione « Giovanni Paolo II per il Sahel », il cui scopo è la lotta contro la desertificazione nei paesi del sud del Sahara, e della Fondazione « Populorum Progressio » a favore dei più diseredati dell'America Latina, entrambe con amministrazione autogestita dalle Chiese locali delle rispettive regioni.77
Indice |
58 | Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Pacem in terris, cap. III |
59 | Cf. Leone XIII, Lettera Enciclica Rerum novarum ( 15 maggio 1891 ) |
60 | Cf. FAO, ( Carta dei lavoratori agricoli ): Dichiarazione di principio e programma d'azione nel Rapporto della Conferenza Mondiale sulla Riforma agraria e lo Sviluppo rurale, Roma 1979 |
61 | Cf. FAO, Rapporto della Conferenza della FAO, 23a sessione, C85REP, p. 46; Roma, 9-28 novembre 1985 |
62 | Cf. nota n. 4 |
63 | Cf. Banca Mondiale, Rapport sur le développement dans le monde, 1990, avantpropos, Washington 1990 |
64 | Giovanni Paolo II, Discorso in occasione del 50° anniversario della FAO, n 4 |
65 | Cf. PNUD, Rapport mondial sur le développement humain 1992, Economica, Parigi 1992, p. 49; cf. anche ONU, Rapporto della Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo, Rio de Janeiro 1992, par. 33.13: « I paesi industrializzati reiterano il loro impegno a devolvere lo 0,7% del loro PIL all'APD [ Aide Publique au Développement]percentuale stabilita dall'ONU e da loro convenutae, se non già realizzato, accettano di rivedere i loro programmi di aiuto per raggiungere tale livello prima possibile … Alcuni paesi si sono impegnati a raggiungere tale livello prima dell'anno 2000 … I paesi che lo hanno già fatto debbono essere lodati ed incoraggiati a continuare a contribuire all'azione comune tesa a mettere a disposizione le importanti risorse supplementari necessarie" |
66 | Cf. ONU, Rapporto del Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sociale, Copenaghen, 612 marzo 1995, Dichiarazione e programma d'azione, par. 88b |
67 | Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Mater et magistra, cap. III |
68 | Giovanni Paolo II, Discorso in occasione del 50° anniversario della FAO, n. 3 |
69 | Cf. PNUD, op. cit., pp. 164-165 ( cf. nota n. 64 ) |
70 | FAO, Necessità e risorse … ( cf.
nota n. 11) La sicurezza alimentare dipende generalmente da quattro elementi: la disponibilità di approvvigionamenti alimentari, l'accessibilità ad una alimentazione sufficiente, la stabilità degli approvvigionamenti, l'accettabilità culturale degli alimenti o di determinate associazioni di alimenti |
71 | Cf. anche Patto mondiale di sicurezza alimentare ( 1985 ), già menzionato al n. 40 |
72 | FAO, Landlessness. A growing problem, « Economic and Social Development Series », 2, n. 28, Roma 1984; versione francese: Le paysannat sans terre. Un problème toujours plus aigu, in « Collection FAO: développement économique et social », n. 28, Roma 1985 |
73 | Giovanni Paolo II, Messaggio in occasione della Giornata Mondiale per la Pace del 1 gennaio 1990, n. 11, « La pace con Dio Creatore, la pace con tutta la creazione » |
74 | Conc. Eecum. Vat. II, Dichiarazione Gravissimum educationis, n. 1, che rinvia a Pio XI, Lettera Enciclica Divini illius magistri |
75 | Cf. anche Pontificio Consiglio « Cor Unum », Catholic Aid Directory, 4a ed., Città del Vaticano 1988 ( prossimamente sarà pubblicata la 5a edizione ). Si considerino, ad esempio, gli Organismi Membri di « Cor Unum »: Association internationale des Charités de St. Vincent de Paul ( AIC ), Caritas Internationalis, Unione Internazionale Superiore Generali ( U.I.S.G. ), Unione Superiori Generali ( U.S.G. ), Australian Catholic Relief, Caritas Italiana, Caritas Liban, Catholic Relief Services U.S.C.C., Deutscher Caritasverband, Manos Unidas, Organisation Catholique Canadienne pour le Développement et la Paix, Secours Catholique, Kirche in Not, Société de Saint Vincent de Paul, Secrétariat des Caritas de l'Afrique francophone, Caritas Aotearoa ( Nuova Zelanda ), Caritas Bolivia, Caritas Española, Caritas Moçambicana, Misereor, Österreichische Caritaszentrale, Ordine di Malta |
76 | Molto importante è l'Unità IV del Consiglio Mondiale delle Chiese a Ginevra; da menzionare altresì l'opera della Croce Rossa nel mondo |
77 | Cf. nota n. 48 |