24 dicembre 1966
Basilica di Santa Maria del Fiore - Firenze
Fratelli e Figli tutti carissimi!
Questa nostra presenza fra voi, dopo più d'un secolo che un Papa non mette piede a Firenze, nelle circostanze singolarissime che hanno dato motivo alla Nostra venuta, con l'assistenza così numerosa di persone d'ogni grado, che vediamo d'intorno a Noi, esigerebbe da parte Nostra una quantità di saluti e di commenti, che la brevità del tempo disponibile per questo breve sermone non Ci consente di fare.
Ci dobbiamo limitare a ringraziare il Pastore della arcidiocesi Fiorentina, il Signor Cardinale Arcivescovo Ermenegildo Florit, delle buone e belle parole, ch'egli testé Ci ha rivolte, e Ci dobbiamo accontentare di ricambiare l'omaggio, ch'egli anche a nome vostro Ci esprimeva, con la conferma della Nostra devota e cordiale venerazione e con l'assicurazione, che nella sua degna persona Noi vogliamo dare a tutti voi, a tutta la vetusta, la gloriosa, la santa Chiesa di Firenze, della perfetta e fraterna comunione della Chiesa di Roma, nella medesima fede, nella medesima carità.
Firenze e Roma: basta il binomio, che in questa notte qui rivive, per sollevare nello spirito un flusso di memorie, di sentimenti, di voti, che dobbiamo ora contenere nell'espressione, ma non nella sensibilità, nella commozione, che racchiudiamo nel cuore e che tradurremo nel trascendente colloquio con Dio e con Cristo nella Messa, ora iniziata.
Roma e Firenze, città che la storia, l'arte, la fede, la rispettiva missione spirituale e civile, presentano nella parentela di madre e di figlia, anzi di sorelle, si abbracciano di nuovo, in questa santa notte, insieme pregando, insieme piangendo, insieme sperando.
Per questo, Fratelli e Figli carissimi, siamo venuti.
Sì, diamo a questa celebrazione religiosa, innanzi tutto, il suo pieno significato religioso.
Celebriamo la beata memoria dell'umile e meravigliosa nascita di Cristo nel mondo, nella storia, fra noi, uomini dispersi e cercanti.
Anzi una sua rinnovata presenza noi celebriamo.
Ed è così vero, così suggestivo questo avvenimento, che non è fantasia pensare a noi stessi come a viandanti nello sconfinato panorama della vita, i quali si mettono al passo sopra uno stesso sentiero, e l'uno all'altro si rivelano pellegrini verso una stessa meta.
Eccoci insieme.
Dove andiamo?
Andiamo a Cristo.
Chi è Cristo?
Dov'è Cristo?
Il Salvatore?
Il Maestro?
Il Verbo di Dio vivente nella povera e pura carne di Gesù, resosi nostro Fratello, nostra guida, nostro Collega, nostro amico, anzi nostro capo, nostra Vita?
Se questo è vero, come è vero, ecco, è stupendo, è sbalorditivo.
Sì, è vero.
Voi lo sapete, e Noi, successori d'una testimonianza apostolica, che di secolo in secolo testualmente si ripete e si rinnova per ogni età, siamo qua venuti per darvene nuova e piena certezza.
Sì, è vero.
È nato il Messia, il centro dell'umanità,
Colui che conosce ciò che è nell'uomo ( cfr. Gv 2,25 ),
Colui al quale, scienti o no, tutti gli uomini sono rivolti;
Colui dal quale, scienti o no, tutti gli uomini aspettano la soluzione suprema.
Sì, è vero.
Diciamo noi pure: Arriviamo fino a Betlem, « transeamus usque ad Betlem » ( Lc 2,15 ); e vediamo un po' come stanno le cose, « et videamus hoc Verbum quod factum est » ( ibid. ).
E questa curiosità, questa avidità di sapere, di toccare la realtà del fatto prodigioso della venuta di Cristo, l'Emmanuele, nel mondo; di credere, in una parola, al mistero della Incarnazione, non sia da alcuno soffocata in fondo allo spirito, ma tutto lo invada, lo stimoli, lo tormenti, lo sollevi, lo abiliti a credere e a pregare, lo porti a personale contatto con Lui, con Cristo: questo è il Natale.
E nessuno sia stupito o scandalizzato se l'apparizione delude ogni fantasia trionfalistica ( come oggi si dice ), ma si presenti invece nelle vesti dell'umiltà, della povertà, dello squallore terreno;
una rivelazione di suprema bontà ( come or ora ha ricordato il Cardinale Arcivescovo ),
un'offerta di fratellanza a pari livello con ogni uomo, intenzionalmente compreso l'uomo minore, l'uomo minimo, e una tacita,
ma potente lezione rieducativa sui veri valori della vita, non poteva avvenire che così: l'humilis Deus del Presepio è proprio quello che ci può convincere, e che può finalmente cavare dal nostro arido cuore la nuova scintilla, l'amore.
E questo, Fratelli e Figli carissimi, spiega il perché la Nostra celebrazione del Natale quest'anno ha scelto questa sede.
Da quando la Chiesa di Dio Ci ha chiamati alla dignità e alla responsabilità della funzione pastorale abbiamo voluto celebrare, prima che nella esaltante solennità pontificale, nell'immediata vicinanza di qualche comunità bisognosa e sofferente.
Firenze Ci è allora apparsa, quest'anno, come la più invitante stazione del Nostro notturno Natale.
Siamo qua venuti, sospinti dalla carità del Natale, perché la vostra prova Ci ha chiamati, Ci ha quasi obbligati a venire.
Siamo qua venuti, nel giorno della tenerezza e della fortezza dell'amore, per piangere con voi, dicevamo.
Sì, Fiorentini, ai cento titoli, che voi potete avanzare per la Nostra affezione, per la Nostra stima, per l'umana e cristiana comunione, un altro titolo si è aggiunto, che ora, più d'ogni altro, Ci ha messi in cammino: il vostro dolore, così grande, così singolare, così fiero e così degno.
Viaggiando verso questa Città, ch'è fra le più celebri e le più attraenti del mondo, andavamo pensando che altri Nostri Predecessori, in tempi lontani, con maggiore decoro e con identica stima e minore fretta, vennero a Firenze,
ammirando le sue bellezze, godendo la sua ospitalità, trattando i suoi affari;
ma non ricordiamo che altri Papi, prima di Noi, siano venuti a Firenze solo e proprio per Firenze,
come Noi questa notte siamo qua arrivati, e non già per Nostro godimento o per Nostro interesse, ma per vostro conforto, e per quello, se a loro può giungere, degli altri fratelli, Italiani ed Esteri afflitti da sventura simile alla vostra;
così che questa semplice e furtiva visita Nostra ambisce ad avere negli animi vostri, o Fiorentini, e di quanti altri vi sono colleghi nella presente sventura, un unico apprezzamento, quello dell'amore, dell'amore del Papa.
Nel segno dell'amore si sigilla nei vostri annali questa Nostra venuta.
E se tale è davvero il vostro apprezzamento, tanto a Noi basta, mentre, purtroppo, sappiamo bene, esso non basta a porre rimedio adeguato ai vostri lutti e alle vostre rovine.
Vorremmo poter fare ben altro per vostra consolazione e per vostro soccorso!
Ci conforta il sapere che da mille parti è affluito spontaneo l'aiuto: questo suffragio di bontà è cosa stupenda!
Stupendo in chi lo ha dato, stupendo anche in chi lo riceve: non offende la vostra fierezza, o Fiorentini, sì bene l'accresce per la prova di stima e di fraternità, che dappertutto vi, è tributata.
L'interessamento dei fanciulli e dei giovani, ad esempio, vi deve piacere e commuovere; come quello dell'UNESCO e della Croce Rossa e di altri enti di cultura e di beneficenza, nazionali ed esteri, altamente vi onora!
Così deve veramente sostenere il vostro coraggio l'attestato di solidarietà nazionale, che le pubbliche Autorità, con tanta prontezza e con tanta larghezza, vi hanno dato, prodigando aiuti generosi ed efficaci, ed altri preparando e promettendo.
Siamo Noi stessi compiaciuti e riconoscenti di tanta comprensione umana e civile, ed anche cristiana, perché, a bene osservare, dalla scuola di Cristo essa non poco deriva.
Dicendo « bravi » agli altri, non vogliamo Noi stessi sottrarci al grato dovere della carità, tanto più che molti Nostri Fratelli e Figli, Vescovi e Fedeli, hanno messo nelle Nostre mani offerte preziose, che già hanno avuto la loro provvida destinazione, non esclusa Firenze; saremo felici se Ci sarà dato di lasciare, in un'opera di assistenza ai più bisognosi della popolazione fiorentina, il segno, per quanto simbolico e modesto, dell'amore che rimane, e della speranza che rivive.
Ed eccoci alla terza intenzione di questo Nostro viaggio natalizio: siamo venuti per condividere la speranza, che vi ha tutti sostenuti nella sventura, per esserne Noi stessi confortati.
Conosciamo le vostre virtù umane e civili, la vostra tempra fiorentina, vibrante d'intelligenza, di coraggio, di laboriosità, di senso acuto ed operante della realtà; sono virtù, codeste, che, messe alla prova, insorgono, si affermano e si accrescono; non cedono.
Così avviene in codesta drammatica contingenza, che, invece di fiaccare, corrobora le vostre energie e le moltiplica.
Ma c'è ben altro nelle riserve della coscienza fiorentina: le riserve geniali e spirituali che vi ha depositato la vostra incomparabile tradizione; e se ora Ci asteniamo dal farvi alcun preciso accenno ( e sarebbe pur bello e facile il farlo ), ciò si deve all'ovvio proposito di non ripetere a voi ciò che già benissimo voi conoscete; il Nostro accenno a codesta ricchezza mira soltanto a ricordarvi ch'essa
non dev'essere, come del resto non è, puro oggetto di contemplazione e di orgoglio, ma sorgente di ispirazione e d'impegno;
non dev'essere soltanto storia passata e finita, ma stimolo ad una ricerca sincera e originale dei valori immortali e universali, ch'essa racchiude ed illustra;
e studio dev'essere, e sforzo per rivivere e per emulare la grandezza spirituale d'un tempo, per bandire da voi, se bisogno vi fosse, ogni imbelle pigrizia, ogni decadente criticismo, ogni opaco materialismo; e per rinascere.
Rinascere popolo vivo ed unito; popolo laborioso e credente, popolo tipico e moderno.
Rinascere, Figli carissimi, è una grande parola, spesso fraintesa dai satelliti della moda, o dai sovversivi delle strutture.
È una parola che sa d'utopia per chi non conosce il Natale.
Rinascere vuol dire rifare se stessi, i propri pensieri, i propri propositi; è ciò che il Concilio, ancor prima di altre riforme, ci ha predicato, con San Paolo: « Rinnovatevi nello spirito della vostra mentalità » ( Ef 4,23 ).
Vuol dire per voi, Fiorentini, ritrovare le energie interiori dello spirito, che la vostra tradizione cristiana ha inserito nell'essere vostro;
e riacquistare coscienza della vostra vocazione a irradiare appunto lo spirito, e a diffondere nel mondo,
cominciando da quello che viene qua pellegrinando alla vostra scuola, di arte e di storia e di lingua e di civiltà,
quei valori immortali e universali, di cui dicevamo, e di cui la fede cattolica dei vostri Santi e dei vostri Grandi possiede la sempre feconda radice.
E le supreme aspirazioni del nostro tempo, la giustizia, quella sociale specialmente, e la pace, quella internazionale specialmente, avranno da voi nuovo suffragio e originale servizio.
La vostra vocazione, Fiorentini, è nello spirito, la vostra missione è nel diffonderlo.
Ed è per riaccendere in voi codesta coscienza, codesta fiducia, in un'ora che può essere decisiva per il vostro orientamento morale, che Noi siamo venuti a celebrare il Natale con voi; il Natale non solo di Cristo, ma vostro, il Natale della speranza cristiana.