Litteris ad te
Con lettera del 25 gennaio 1882 indirizzata a te, Venerabile Fratello, agli Arcivescovi di Torino e Vercelli ed ai Vescovi di codeste province, abbiamo ritenuto fosse compito del Nostro ufficio trattare con voi di taluni elementi di dissenso e dei pericoli che vedevamo avvicinarsi minacciosi a causa di gravi dispute sorte in codeste province, principalmente fra i giornalisti, a proposito delle dottrine filosofico-teologiche di Antonio Rosmini.
Facendo appello alla vostra prudenza e al vostro zelo, dicemmo che nulla doveva essere omesso di quanto poteva servire in qualche modo per moderare la passione degli animi, affinché la ricerca della verità non tornasse a danno della carità e della giustizia.
Noi aggiungemmo anche che sarebbe stato più opportuno che soprattutto i giornalisti cattolici si astenessero dal trattare tali argomenti; in ragione dei propri compiti, questa Sede Apostolica vigilava con sollecitudine sui casi più importanti, particolarmente su quelli che si riferiscono alla santità e all'integrità della verità cattolica, e ciò faceva con quella maturità di riflessione nella quale è giusto che ogni cattolico trovi conforto.
Era anche Nostro proposito soddisfare alle ripetute richieste di numerosi uomini di cultura, anche dell'ordine dei Vescovi, che Ci avevano pregato di esaminare e di giudicare gli scritti di Antonio Rosmini.
Effettivamente abbiamo affidato tale compito alla decisione dei venerabili Nostri Fratelli Cardinali preposti alla Sacra Romana ed Universale Inquisizione: tutti sanno che la Presidenza di questo Consesso è tenuta dallo stesso Pontefice.
Questi Cardinali hanno ottemperato alla Nostra volontà ed ai Nostri ordini con quella prudenza e con quella maturità di giudizio che la gravità del caso richiedeva.
Senza dubbio, nel corso delle numerose riunioni svoltesi, si preoccuparono di esaminare a fondo e di valutare con lunga riflessione tutte le proposizioni che erano state sottoposte al loro giudizio.
Per la verità, di tutto ciò che nelle singole adunanze era stato fatto e deliberato, l'Assessore dello stesso Sacro Consiglio, così come avevamo ordinato, Ci ha sempre informato accuratamente e con assoluta fedeltà.
Infine, il 14 dicembre 1887 ordinò che si redigesse il decreto Post obitum con il quale si condannano appunto le quaranta proposizioni tratte in gran parte dalle opere postume di Antonio Rosmini e che furono allegate al predetto decreto.
Questo decreto, che certamente appartiene alla dottrina e fu pubblicato come una cosa sola assieme alle proposizioni, era stato da Noi pienamente approvato e confermato con la Nostra autorità.
Tuttavia, per particolari ragioni ordinammo che non venisse promulgato prima di un determinato giorno, cioè del 7 marzo 1888.
Con la presente lettera, Venerabile Fratello, abbiamo ritenuto doveroso informarti di queste cose, in quanto non mancano coloro che si sforzano, verbalmente o per iscritto, di sostenere e di convincere, a proposito del decreto Post obitum, che si tratta di un decreto al quale ci si può impunemente sottrarre, in quanto redatto a Nostra insaputa e parimenti presentato e promulgato senza la Nostra approvazione.
Oltre a ciò, le stesse persone, a proposito di questo episodio, distinguono e separano il sacro Consiglio dell'Inquisizione dal supremo Pontefice: in tale caso emerge certamente un ingegnoso pretesto congiunto senza ragione ad ingiusti sospetti.
Ora, Noi siamo per carattere e per dovere propensi alla clemenza; siamo anche soliti comprendere benevolmente e affettuosamente tutti coloro che vediamo pronti ad obbedire, né siamo disposti ad allontanarci facilmente da questa abitudine di clemenza, tuttavia non possiamo non rimproverare severamente il comportamento di taluni, ingiurioso per Noi stessi e per la Sede Apostolica.
Noi conosciamo perfettamente, Venerabile Fratello, il tuo rilevante impegno affinché quel decreto venisse accettato con spirito sincero e pronto ossequio – come si addice ai figli della Chiesa cattolica – da tutto il tuo Clero e da tutti i tuoi fedeli, spiacente tuttavia che il risultato non sia stato conforme al tuo zelo, come avremmo voluto.
Pertanto ti esortiamo più calorosamente affinché tu insista alacremente nella strada iniziata, in modo da rimuovere con tutti i mezzi qualsiasi motivo di offesa in questa vicenda.
Auspice del favore divino, e quale pegno della Nostra paterna benevolenza, a te, Venerabile Fratello, e a tutta la tua arcidiocesi impartiamo con amore l'Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 1° giugno 1889, anno dodicesimo del Nostro Pontificato.
Leone XIII