Mi hai gettato nella fossa profonda
1 "Mi hai gettato nella fossa profonda, nelle tenebre e nell'ombra di morte" ( Sal 88,7).
Quante volte questo grido di sofferenza si è dovuto levare dal cuore di milioni di donne e di uomini che, dal 1° settembre 1939 alla fine dell'estate 1945, sono stati scossi da una delle tragedie tra le più devastanti e tra le più disumane della nostra storia!
Mentre l'Europa era ancora sotto il trauma dei colpi di forza, che erano stati perpetrati dal Reich e che avevano condotto all'annessione dell'Austria, allo smembramento della Cecoslovacchia e alla conquista dell'Albania, il primo giorno del mese di settembre 1939, la Polonia si vedeva invasa ad Occidente dalle truppe tedesche e, il 17 dello stesso mese, ad Oriente dall'Armata Rossa.
La distruzione dell'esercito polacco e il martirio di un intero popolo dovevano purtroppo essere il preludio alla sorte che sarebbe stata ben presto riservata a numerosi popoli europei e, successivamente e nella maggior parte dei cinque continenti, a molti altri.
Infatti, sin dal 1940 i Tedeschi occuparono la Norvegia, la Danimarca, l'Olanda, il Belgio e metà della Francia.
Durante quel periodo, l'Unione Sovietica, già ampliatasi con una parte della Polonia, si annetteva l'Estonia, la Lettonia e la Lituania e toglieva sia la Bessarabia alla Romania che alcuni territori alla Finlandia.
Poi, come un fuoco distruttore che si propaga, la guerra e i drammi umani, che inesorabilmente l'accompagnano. cominciarono a debordare rapidamente dalle frontiere del "vecchio continente" per divenire "mondiali".
Da una parte, la Germania e l'Italia portarono i combattimenti oltre i Balcani e nell'Africa mediterranea, e, dall'altra, il Reich invase improvvisamente la Russia.
Infine, nel distruggere Pearl-Harbour, i Giapponesi spinsero gli Stati Uniti d'America in guerra a fianco della Gran Bretagna.
Terminava l'anno 1941.
Fu necessario attendere il 1943, con il successo della controffensiva russa che liberò la città di Stalingrado dalla morsa tedesca, perché si producesse una svolta nella storia della guerra.
Le forze alleate da una parte e le truppe sovietiche dall'altra riuscirono, al prezzo di combattimenti accaniti che, dall'Egitto a Mosca, inflissero sofferenze indicibili a milioni di civili indifesi, a sconfiggere la Germania.
Questa, l'8 maggio 1945, offerse la propria incondizionata capitolazione.
Ma la lotta continuò nel Pacifico.
Per affrettarne il termine, due bombe atomiche, all'inizio del mese di agosto dello stesso anno, furono lanciate sulle città giapponesi di Hiroshima e di Nagasaki.
All'indomani di questo spaventoso avvenimento, il Giappone presentò a sua volta la domanda di capitolazione.
Era il 10 agosto 1945.
Nessun'altra guerra ha talmente meritato il nome di "guerra mondiale".
Essa fu pure totale, infatti non è possibile dimenticare che alle operazioni militari terrestri si aggiunsero combattimenti aerei e navali in tutti i cieli e i mari del globo.
Intere città furono soggette a distruzioni impietose, che immersero popolazioni terrorizzate nell'angoscia e nella miseria.
Roma stessa fu minacciata e l'intervento di Papa Pio XII evitò all' "Urbe" di diventare un campo di battaglia.
Ecco il buio quadro degli avvenimenti dei quali oggi facciamo memoria.
Questi fatti provocarono la morte di cinquantacinque milioni di persone, lasciarono i vincitori divisi e l'Europa da ricostruire.
2 Cinquant'anni dopo, abbiamo il dovere di ricordarci davanti a Dio di quei fatti drammatici, per onorare i morti e per compiangere tutti quelli che questo dilagare di crudeltà, ha feriti nel cuore e nel corpo, completamente perdonando le offese.
Nella mia sollecitudine per tutta la Chiesa e nella mia attenzione al bene dell'intera umanità, non potevo lasciar trascorrere questo anniversario senza invitare i fratelli nell'Episcopato, i sacerdoti, i fedeli come pure tutti gli uomini di buona volontà a riflettere sul processo che ha condotto tale conflitto sino agli abissi della disumanità e della desolazione.
Sento, infatti il dovere di ricavare una lezione da quel passato perché non si possa mai più rinnovare il fascio di cause capaci di innescare nuovamente un'analoga conflagrazione.
È ormai noto per esperienza che la divisione arbitraria di nazioni, lo spostamento forzato di popolazioni, il riarmo senza limiti, l'uso incontrollato di armi sofisticate, la violazione dei diritti fondamentali delle persone e dei popoli, la non osservanza delle regole di comportamento internazionale come l'imposizione di ideologie totalitarie non possono che condurre alla rovina dell'umanità.
3 Dall'inizio del suo pontificato, il 2 marzo 1939, Papa Pio XII non mancò di lanciare un appello per la pace, che tutti erano concordi nel considerare seriamente minacciata.
Alcuni giorni prima dello scoppio delle ostilità, il 24 agosto 1939, egli pronunciò delle parole premonitrici, l'eco delle quali riecheggia ancora: "Un'ora grave suona nuovamente per la grande famiglia umana (…).
Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo.
Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra".1
Purtroppo l'avvertimento di quel grande Pontefice non fu affatto ascoltato e il disastro arrivò.
Non avendo potuto contribuire ad evitare la guerra, la Santa Sede si sforzò - nei limiti dei suoi mezzi - di circoscriverne l'estensione.
Il Papa ed i suoi collaboratori vi lavorarono incessantemente, sia a livello diplomatico che nell'ambito umanitario, senza lasciarsi trascinare a schierarsi da una parte o dall'altra, in un conflitto che opponeva popoli di ideologie e religioni differenti.
In questo lavoro la loro preoccupazione fu anche quella di non aggravare la situazione e di non compromettere la sicurezza delle popolazioni sottomesse a prove non comuni.
Ascoltiamo ancora Papa Pio XII, quando a proposito di ciò che accadeva in Polonia, dichiarò: "Noi dovremmo dire parole di fuoco contro simili cose, e la sola ragione che ce ne dissuade è di sapere che, se parlassimo, renderemmo ancora più dura la condizione di quegli sfortunati".2
Alcuni mesi dopo la conferenza di Yalta ( 4-11 febbraio 1945 ) e all'indomani della fine della guerra in Europa, lo stesso Papa, indirizzandosi - il 2 giugno 1945 - al sacro Collegio, non mancò di rivolgere la propria attenzione al futuro del mondo e di perorare la vittoria del diritto: "Le Nazioni, segnatamente quelle medie e piccole, reclamano che sia loro dato di prendere in mano i propri destini.
Esse possono essere condotte a contrarre, con il loro pieno gradimento, nell'interesse del progresso comune, vincoli che modifichino i loro diritti sovrani.
Ma dopo aver sostenuto la loro parte, la loro larga parte, di sacrifici per distruggere il sistema della violenza brutale, esse sono nel diritto di non accettare che venga loro imposto un nuovo sistema politico o culturale che la grande maggioranza delle loro popolazioni recisamente respinge (…).
Nel fondo della loro coscienza i popoli sentono che i loro reggitori si screditerebbero se, al folle delirio di un'egemonia della forza, non facessero seguire la vittoria del diritto".3
4 Questa "vittoria del diritto" resta la miglior garanzia del rispetto delle persone.
Ora, quando ci si volge a quei sei, terribili anni, non si può che essere giustamente inorriditi per il disprezzo di cui l'uomo e stato oggetto.
Alle rovine materiali, all'annientamento delle risorse agricole e industriali dei paesi devastati da combattimenti e distruzioni, che sono giunte sino all'olocausto nucleare di due città giapponesi, si sono aggiunti massacri e miseria.
Penso, in particolare, alla sorte crudele che fu inflitta alle popolazioni delle grandi pianure dell'Est.
Io stesso ne sono stato lo scosso testimone a fianco dell'Arcivescovo di Cracovia monsignor Adam Stefan Sapieha.
Le disumane richieste dell'occupante del momento hanno colpito in modo brutale gli oppositori e le persone sospette, mentre le donne, i bambini ed i vecchi erano sottomessi a costanti umiliazioni.
Non si può neppure dimenticare il dramma causato dallo spostamento forzato di popolazioni, che furono gettate sulle strade d'Europa, esposte ai pericoli, in cerca di un rifugio e di mezzi per vivere.
Una speciale menzione deve essere, altresì, fatta per i prigionieri di guerra che, nell'isolamento, nella spoliazione e nell'umiliazione, hanno anch'essi pagato, dopo l'asprezza dei combattimenti, un altro pesante tributo.
È doveroso infine ricordare che la creazione di governi imposti dall'occupante negli Stati dell'Europa centrale e orientale è stata accompagnata da misure repressive ed anche da una moltitudine di esecuzioni capitali, per sottomettere le popolazioni refrattarie.
5 Ma, fra tutte quelle misure antiumane, ve ne è una che resta per sempre una vergogna per l'umanità: la barbarie pianificata che si è accanita contro il popolo ebraico.
Oggetto della "soluzione finale" pensata da un'ideologia aberrante, gli Ebrei sono stati sottomessi a privazioni e brutalità a malapena descrivibili.
Perseguitati inizialmente mediante misure vessatorie o discriminatorie, essi, poi, finirono a milioni nei campi di sterminio.
Gli Ebrei in Polonia, più di altri, hanno vissuto quel calvario: le immagini dell'assedio del ghetto di Varsavia, come le notizie apprese sui campi di concentramento di Auschwitz, di Majdanek o di Treblinka superano quanto si può umanamente concepire.
Va pure ricordato che questa follia omicida si è abbattuta su molti altri gruppi, che avevano il torto di essere "differenti" o ribelli alla tirannia dell'occupante.
In occasione di questo doloroso anniversario, faccio appello ancora una volta a tutti gli uomini, invitandoli a superare i pregiudizi ed a combattere tutte le forme di razzismo, accettando di riconoscere in ogni persona umana la dignità fondamentale e il bene che vi dimorano, a prendere sempre più coscienza di appartenere ad un'unica famiglia umana voluta e riunita da Dio.
Desidero qui ridire con forza che l'ostilità o l'odio verso l'ebraismo sono in completa contraddizione con la visione cristiana della dignità dell'uomo.
6 Il nuovo paganesimo e i sistemi, che gli erano connessi, si accanivano certamente contro gli Ebrei, ma si indirizzavano del pari contro il cristianesimo, il cui insegnamento aveva formato l'anima dell'Europa.
Mediante la persecuzione del popolo, da cui "proviene Cristo secondo la carne" ( Rm 9,5 ), il messaggio evangelico della pari dignità di tutti i figli di Dio veniva schernito.
Il mio predecessore, il Papa Pio XI mostrò la consueta lucidità quando, nell'enciclica " Mit brennender Sorge ", dichiarò: "Chiunque eleva la razza o il popolo, o lo Stato o una delle sue forme determinate, i depositari del potere o di altri elementi fondamentali della società umana (…) a regola suprema di tutto, anche dei valori religiosi, e li divinizza con un culto idolatrico, questi perverte ed altera l'ordine delle cose creato e voluto da Dio".4
Questa pretesa dell'ideologia del sistema nazionalsocialista non risparmiò le Chiese, e la Chiesa cattolica in particolare la quale, prima e durante il conflitto, conobbe anch'essa la passione.
La sua sorte non è stata certamente migliore nelle contrade, dove si impose l'ideologia marxista del materialismo dialettico.
Tuttavia, dobbiamo rendere grazie a Dio per i numerosi testimoni, noti e ignoti, che - in quelle ore di tribolazione - hanno avuto il coraggio di professare intrepidamente la fede, che hanno saputo ergersi contro l'arbitrio ateo e che non si sono piegati sotto la forza.
7 Infatti, in ultima analisi, il paganesimo nazista e il dogma marxista hanno in comune il fatto di essere delle ideologie totalitarie, con una tendenza a divenire delle religioni sostitutive.
Già ben prima del 1939, in certi settori della cultura europea appariva una volontà di cancellare Dio e la sua immagine dall'orizzonte dell'uomo.
Si iniziava a indottrinare in tal senso i fanciulli, fin dalla loro più tenera età.
L'esperienza ha sfortunatamente mostrato che l'uomo consegnato al solo potere dell'uomo, mutilato nelle sue aspirazioni religiose, diventa presto un numero o un oggetto.
D'altro canto, nessuna epoca dell'umanità è sfuggita al rischio del chiuso ripiegamento dell'uomo su se stesso, in un atteggiamento di orgogliosa sufficienza.
Ma tale rischio si è accentuato in questo secolo nella misura in cui la forza delle armi, la scienza e la tecnica hanno potuto dare all'uomo contemporaneo l'illusione di diventare il solo padrone della natura e della storia.
Questa è la pretesa che si trova alla base degli eccessi che deploriamo.
L'abisso morale, nel quale il disprezzo di Dio - e quindi dell'uomo - ha cinquant'anni or sono gettato il mondo, ci fa toccare con mano la potenza del "Principe di questo mondo" ( Gv 14,30 ), che può sedurre le coscienze con la menzogna, con il disprezzo dell'uomo e del diritto, con il culto del potere e della potenza.
Oggi noi ricordiamo tutto ciò e meditiamo sugli estremismi, cui può condurre l'abbandono di ogni riferimento a Dio e di ogni legge morale trascendente.
Rispettare i diritti dei popoli
8 Ma quanto è vero per l'uomo è vero anche per i popoli.
Commemorare gli avvenimenti del 1939 significa ricordare che l'ultimo conflitto mondiale ha avuto come causa l'annientamento sia dei diritti dei popoli che di quelli delle persone.
L'ho ricordato ieri, indirizzandomi alla Conferenza Episcopale Polacca.
Non c'è pace se i diritti di tutti i popoli - e particolarmente di quelli più vulnerabili - non sono rispettati!
L'intero edificio del diritto internazionale poggia sul principio dell'uguale rispetto degli Stati, del diritto all'autodeterminazione di ciascun popolo e della libera cooperazione in vista del superiore bene comune dell'umanità.
È essenziale che oggi situazioni analoghe a quella della Polonia del 1939, devastata e frantumata a piacimento da invasori senza scrupoli, non si riproducano più.
A tal riguardo non si può impedire di pensare ai paesi, che non hanno ancora ottenuto la loro piena indipendenza, ed a quelli che sono sotto la minaccia di perderla.
In tale contesto e in questi giorni è necessario evocare il caso del Libano, dove forze congiunte, che perseguono loro propri interessi, non esitano a mettere in pericolo l'esistenza stessa di una nazione.
Non dimentichiamo che l'Organizzazione delle Nazioni Unite è nata, dopo il secondo conflitto mondiale, quale strumento di dialogo e di pace, fondato sul rispetto della eguaglianza dei diritti dei popoli.
9 Ma una delle condizioni essenziali di questo "vivere insieme" è il disarmo.
Le terribili prove subite dai militari e dalle popolazioni civili, al tempo dell'ultimo conflitto mondiale, non possono che incitare i responsabili delle nazioni a fare tutto il possibile perché senza tardare si arrivi all'elaborazione di processi di cooperazione, di controllo e di disarmo, che rendano la guerra impensabile.
Chi oserebbe giustificare ancora l'uso delle armi più crudeli, che uccidono gli uomini e distruggono le loro realizzazioni, per risolvere le vertenze tra gli Stati?
Come ho avuto occasione di dire: "La guerra è in sé irrazionale e (…) il principio etico del regolamento pacifico dei conflitti è la sola via degna dell'uomo".5
È per questo che noi non possiamo che accogliere con favore i negoziati in corso per il disarmo nucleare e convenzionale come per la messa al bando totale delle armi chimiche ed altre.
La Santa Sede a più riprese ha dichiarato che stima necessario che le parti giungano almeno ad un livello di armamento che sia il più basso possibile compatibilmente con le loro esigenze di sicurezza e di difesa.
Questi passi promettenti avranno tuttavia possibilità di successo solamente nel caso siano sostenuti e accompagnati da una volontà di intensificare in pari modo la cooperazione negli altri ambiti, specificatamente quelli economici e culturali.
L'ultima riunione della conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, tenutasi recentemente a Parigi sul tema della "dimensione umana", ha registrato l'auspicio, espresso da paesi delle due parti d'Europa, di veder instaurato ovunque il regime dello Stato di diritto.
Questa forma di Stato appare, infatti, come il migliore garante dei diritti della persona, ivi compreso il diritto alla libertà religiosa, il cui rispetto e un elemento insostituibile della pace sociale e internazionale.
10 Edotti dagli errori e dalle deviazioni del passato, gli Europei d'oggi hanno ormai il dovere di trasmettere alle giovani generazioni uno stile di vita e una cultura ispirata dalla solidarietà e dalla stima per l'altro.
A tal riguardo, il cristianesimo, che ha forgiato così profondamente i valori spirituali di detto continente, dovrebbe essere una fonte di costante ispirazione: la sua dottrina sulla persona creata ad immagine di Dio non può che contribuire allo sviluppo di un umanesimo rinnovato.
Nell'inevitabile dibattito sociale, dove si affrontano differenti concezioni della società, gli adulti devono darsi l'esempio del rispetto reciproco, sapendo sempre riconoscere la parte di verità che è nell'altro.
In un continente con non pochi contrasti, bisogna che le persone, le etnie ed i paesi di cultura, di credenza o di sistema sociale differenti reimparino incessantemente la mutua accettazione.
Gli educatori ed i mass-media hanno a tal riguardo un ruolo fondamentale.
Purtroppo è giocoforza costatare che l'educazione al rispetto della dignità della persona creata a immagine di Dio non è certamente favorita dagli spettacoli di violenza o di depravazione che troppo frequentemente sono diffusi dai mezzi di comunicazione sociale: le giovani coscienze in via di formazione ne sono turbate e il senso morale degli adulti ne è ottenebrato.
11 La vita pubblica, in effetti, non può prescindere dai criteri etici.
La pace si propaga in primo luogo sul terreno dei valori umani, vissuti e trasmessi dai cittadini e dai popoli.
Quando si sfilaccia il tessuto morale di una nazione, tutto è da temere.
La vigile memoria del passato dovrebbe rendere i nostri contemporanei attenti agli abusi sempre possibili nell'esercizio della libertà, che la generazione di quest'epoca ha conquistato al prezzo di molti sacrifici.
L'equilibrio fragile della pace potrebbe essere compromesso qualora nelle coscienze si risveglino mali come l'odio razziale, il disprezzo per lo straniero, la segregazione del malato o del vecchio, l'emarginazione del povero, il ricorso alla violenza privata e collettiva.
Spetta ai cittadini il saper distinguere tra le proposte politiche quelle che si ispirano alla ragione ed ai valori morali, ed è compito degli Stati il vigilare a che siano bloccate le cause dell'esasperazione o dell'insofferenza di uno o dell'altro gruppo svantaggiato della società.
12 A voi, uomini di governo e responsabili delle nazioni, ridico ancora una volta la mia profonda convinzione che il rispetto di Dio e il rispetto dell'uomo vanno di pari passo.
Essi costituiscono il principio assoluto che permetterà agli Stati e ai blocchi politici di andare oltre i loro antagonismi.
Non possiamo dimenticare, in particolare, l'Europa dove è nato quel terribile conflitto e che per sei anni ha vissuto una vera "passione", che l'ha rovinata e resa esangue.
Sin dal 1945, siamo testimoni e attori di lodevoli sforzi condotti felicemente a termine in vista della sua ricostruzione materiale e spirituale.
Ieri, questo continente ha esportato la guerra; oggi gli spetta di essere "artefice di pace".
Confido che il messaggio di umanesimo e di liberazione, eredità della sua storia cristiana, saprà ancora fecondare i suoi popoli e continuerà ad irradiarsi nel mondo.
Sì, Europa, tutti ti guardano, coscienti che tu hai sempre qualcosa da dire, dopo il naufragio di quegli anni di fuoco: che la vera civiltà non è nella forza, che essa è frutto della vittoria su noi stessi, sulle potenze dell'ingiustizia, dell'egoismo e dell'odio, che possono giungere sino a sfigurare l'uomo!
13 Terminando, desidero rivolgermi in modo tutto particolare ai pastori e ai fedeli della Chiesa cattolica.
Abbiamo or ora ricordato una delle guerre più omicide della storia, nata in un continente di tradizione cristiana.
Una tale constatazione non può che incitarci ad un esame di coscienza sulla qualità dell'evangelizzazione dell'Europa.
La caduta dei valori cristiani, che ha favorito gli errori di ieri, deve renderci vigili circa la modalità con cui oggi il Vangelo è annunciato e vissuto.
Dobbiamo purtroppo osservare che in molti ambiti della sua esistenza l'uomo moderno pensa, vive e lavora come se Dio non esistesse.
Esiste qui lo stesso pericolo di ieri: l'uomo consegnato al potere dell'uomo.
Mentre l'Europa si appresta ad assumere un nuovo volto, mentre sviluppi positivi hanno luogo in certi paesi della sua parte centrale ed orientale e mentre i responsabili delle nazioni collaborano sempre più alla soluzione dei grandi problemi dell'umanità, Dio chiama la sua Chiesa a portare il proprio contributo all'avvento di un mondo più fraterno.
Con le altre Chiese cristiane, malgrado la nostra imperfetta unità, noi vogliamo ridire all'umanità d'oggi che l'uomo è vero solo quando si riconosce di Dio, come creatura; che l'uomo è cosciente della sua dignità solo quando riconosce in sé e negli altri l'impronta di Dio che l'ha creato a sua immagine; che egli è grande solo nella misura in cui fa della sua vita una risposta all'amore di Dio e si mette al servizio dei fratelli.
Dio non dispera dell'uomo.
Cristiani, neppure noi possiamo disperare dell'uomo, perché sappiamo che egli è sempre più grande dei suoi errori e delle sue colpe.
Ricordandoci della beatitudine un tempo pronunciata dal Signore: "Beati gli operatori di pace" ( Mt 5,9 ), desideriamo invitare tutti gli uomini a perdonare e a mettersi gli uni a servizio degli altri, a causa di colui che, nella sua carne, ha una volta per tutte "ucciso l'odio" ( Ef 2,16 ).
A Maria, regina della pace, affido questa umanità, raccomandando alla sua materna intercessione la storia di cui noi siamo gli attori.
Affinché il mondo non conosca più la disumanità e la barbarie, che l'hanno devastato cinquant'anni fa, annunciamo senza stancarci il "Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ora abbiamo ottenuto la riconciliazione" ( Rm 5,11 ), pegno della riconciliazione di tutti gli uomini tra di loro.
Che la sua pace e la sua benedizione siano con tutti voi!
Dal Vaticano, il 27 agosto dell'anno 1989, undicesimo di pontificato.
Giovanni Paolo II
1 | "Nuntius radiophonicus", die 24 aug. 1939: "AAS 31 [1939] 333-334 |
2 | "Actes et Documenta du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale", 1970, vol. I, p. 455 |
3 | AAS 37 [1945] 166 |
4 | Pio XI, Mit brennender Sorge |
5 | "Nuntius ob diem ad pacem fovendam dicatum pro a. D. 1984", 4, die 8 dec. 1983: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI, 2 [1983] 1278 |