6 agosto 1982
Cari fratelli nell'Episcopato.
Nella solennità della Trasfigurazione del Signore, festa tanto amata nella vostra Nazione, che porta il nome di Cristo Salvatore e che lo ha eletto come patrono, desidero ancora una volta indirizzare a voi, venerabili fratelli nell'Episcopato, una parola di appoggio e di incoraggiamento nella vostra attività pastorale.
Con essa vi rinnovo la testimonianza della mia affettuosa sollecitudine e partecipazione alle vostre ansie e preoccupazioni.
Questa parola desidera essere soprattutto un rinnovato richiamo alla pace e alla riconciliazione.
Voi non ignorate, e nel passato lo avete dimostrato in diverse occasioni, che tra i vari aspetti della missione di ogni Vescovo – come ricordavo all'Episcopato argentino nel mio recente viaggio – uno dei più eminenti ed urgenti è quello di essere "artefice di armonia, di pace e di riconciliazione" non solo nell'ambito della Chiesa, per salvaguardare e potenziare i vincoli di unità, ma anche all'interno della comunità nazionale rispetto a fratture e a contrasti che non possono non preoccupare il vostro animo di Pastori, portatori di un messaggio di salvezza che invita alla fraternità e alla solidarietà umane.
Rinnovandovi questa esortazione, mi rendo perfettamente conto del fatto che le discordie e le divisioni che turbano ancora il vostro Paese e che causano nuovi conflitti e violenze, trovano la loro radice vera e profonda in situazioni di ingiustizia sociale: un problema che si è imposto con forza a livello politico, ma che e soprattutto di natura etica.
La metodologia della violenza che ha portato ad una guerra fratricida – ponendo da una parte coloro che considerano la lotta armata come uno strumento necessario per conseguire un nuovo ordine sociale, e dall'altro lato coloro che ricorrono ai principi della "sicurezza nazionale" per legittimare brutali repressioni –, non incontra una giustificazione razionale e tanto meno cristiana.
Di fronte ai metodi della violenza si rende necessario instaurare i metodi della pace, che "deve realizzarsi nella verità, deve costruirsi sulla giustizia, deve essere animata dall'amore, deve compiersi nella libertà" ( cf. Giovanni Paolo II, Nuntius scripto datus ob diem ad pacem fovendam toto orbe terrarum Calendis Ianuariis a. 1981 celebrandum, die 8 dec. 1981 ).
Sapete molto bene, venerabili fratelli, che la Chiesa, sempre sollecita del bene dell'uomo in tutta la sua integrità e dignità ( Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 13-14 ), custodisce e alimenta questi valori; costruisce a partire da essi una solida difesa dei diritti della persona umana ( Ivi. 17 ) e della stessa identità morale e culturale di una nazione cristiana; ricorre ad essi, per costituire la forza morale del Paese, quando si tratta di superare crisi di rilevanza morale, prima ancora che sociale.
Così dunque mi faccio interprete, in unità con voi, delle profonde aspirazioni del vostro popolo, desideroso da molto tempo di vedere divenire realtà i concetti genuini di libertà, di dignità della persona umana, di giustizia sociale, che si fondano sul duplice aspetto dell'amore: verso Dio, Padre provvidente e datore di ogni bene, e verso i fratelli.
Ai vostri fedeli, assetati di verità e di giustizia, continuate ad offrire con ogni zelo ed entusiasmo gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa, mossi da una viva sollecitudine verso le sofferenze della nazione, concordi nel proporre una adeguata risposta alle esigenze del momento attuale, uniti da un rinnovato impulso nella vostra attività pastorale.
Nelle nuove prospettive istituzionali aperte al paese negli ultimi tempi si fa più urgente l'impegno di incarnare i metodi della pace nel ministero della riconciliazione attraverso la parola del Vangelo e dell'azione che ad esso si ispira.
La riconciliazione non è segno di debolezza o di viltà; né è rinuncia alla debita giustizia o alla difesa dei poveri e degli emarginati; è un incontro tra fratelli disposti a superare la tentazione dell'egoismo e a rinunciare agli intenti di una pseudogiustizia; è frutto di sentimenti forti, nobili e generosi, che conducono ad instaurare una convivenza fondata sul rispetto di ogni individuo e dei valori propri di ogni società civile.
Questa riconciliazione, pertanto, deve poter realizzarsi a tutti i livelli e, innanzitutto, tra fratelli che impugnano le armi, mossi da interessi contrari e guidati da ideologie che sacrificano le aspirazioni fondamentali della persona umana.
Per gli uni e per gli altri, condizione indispensabile della riconciliazione è la cessazione di ogni ostilità e la rinuncia all'uso delle armi con la garanzia sicura che nessuno sarà oggetto di rappresaglia o di vendetta dopo aver dato la propria adesione al nobile intento di unire gli sforzi e le iniziative che assicurino al Paese una vitalità rinnovata e un ordinato progresso.
La riconciliazione deve realizzarsi anche nell'ambito della famiglia, alla quale voi avete dedicato particolare attenzione nella Carta Pastorale Collettiva del 24 dicembre dell'anno scorso; nelle parrocchie e negli altri settori più vasti della Chiesa; negli ambienti di lavoro, da cui con tanta frequenza si acutizzano i problemi umani che tormentano la comunità nazionale.
Voi, venerabili fratelli nell'Episcopato – e con voi i vostri collaboratori – siete chiamati ad essere ministri e testimoni dell'opera di riconciliazione nella prospettiva dell'ideale evangelico della carità, che Cristo ha proposto ai suoi seguaci e a tutti gli uomini, ed è l'unico che può risolvere le contraddizioni inerenti alla fenomenologia sociale della disunione, delle discordie, dell'ingiustizia e del conflitto armato.
Ai vostri collaboratori e fedeli, per mezzo vostro, giunga un richiamo alla speranza, che li sostenga nelle difficili circostanze attuali e li aiuti nel compimento dei propri doveri.
Su di voi, venerabili fratelli, e sugli amatissimi figli della nazione intera imploro da Cristo Salvatore, "nostra pace e riconciliazione", abbondanti grazie divine in pegno delle quali imparto di cuore una speciale benedizione apostolica.