Costantinopoli III ( 680-681 )

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Esposizione della fede

L'Unigenito figlio e verbo di Dio Padre, fattosi uomo, in tutto simile a noi fuorché nel peccato, Cristo, il vero nostro Dio, predicò apertamente nel Vangelo: Io sono la luce del mondo.

Chi mi segue, non camminerà nelle tenebre, ma avrà il lume della vita; ( Gv 8,12 ) e di nuovo: Vi lascio la mia pace, vi do la mia pace. ( Gv 14,27 )

Guidato dunque divinamente da questa celeste dottrina della pace, il nostro mitissimo imperatore, propugnatore della retta dottrina, avversario dell'errore, convocando questo nostro universale concilio, ha riunito l'intera compagine della chiesa.

Questo santo ecumenico sinodo, dunque, rigettando l'empio errore che da qualche tempo va serpeggiando, e seguendo senza tentennamenti la retta via segnata dai santi ed eccellenti padri, approva in tutto, piamente, i cinque santi, ecumenici concili e, cioè,

quello dei trecentodiciotto santi padri, raccoltisi a Nicea contro il folle Ario;

dopo di questo, quello di Costantinopoli dei centocinquanta padri ispirati da Dio, contro Macedonio che impugnava lo Spirito, e l'empio Apollinare;

similmente, il primo di Efeso, contro Nestorio, di mentalità giudaica, dove si radunarono duecento venerabili uomini;

quello di Calcedonia, di seicentotrenta padri divinamente ispirati, contro Eutiche e Dioscoro, odiatori di Dio;

e oltre questi, approva anche l'ultimo di essi, il quinto santo concilio, radunato proprio qui contro Teodoro di Mopsuestia, Origene, Didimo ed Evagrio, e contro le opere di Teodoreto, che egli scrisse contro i dodici capitoli del celebre Cirillo, e la lettera di Iba che si dice essere stata scritta a Mari il Persiano.

Rinnovando quindi, in tutto, gli immutabili decreti della pietà, e scacciando le profonde dottrine dell'empietà, anche questo santo ed universale sinodo ispirato da Dio, suggella il simbolo emesso dai trecentodiciotto padri, e poi confermato dai centocinquanta, dalla mente divinamente ispirata, simbolo che anche gli altri santi concili accolsero con gioia e confermarono, per estinguere ogni pestifera eresia.

Crediamo in un solo Dio ... [ seguono i simboli Niceno e Costantinopolitano].

Il santo e universale sinodo disse: Alla perfetta conoscenza e conferma della retta fede sarebbe stato sufficiente questo pio e ortodosso simbolo della grazia divina.

Ma poiché non restò inattivo colui che fin dall'inizio fu l'inventore della malizia e che, trovando un aiuto nel serpente, per mezzo di esso introdusse la velenosa morte nella natura umana, così anche ora, trovati gli istrumenti adatti alla propria volontà:

alludiamo a Teodoro, che fu vescovo di Fara; a Sergio, Pirro, Paolo, Pietro, che furono presuli di questa imperiale città;

ed anche a Onorio, che fu papa dell'antica Roma;

a Ciro, che fu vescovo di Alessandria, e a Macario, recentemente vescovo di Antiochia, e a Stefano, suo discepolo;

trovati, dunque, gli istrumenti adatti, non si astenne, attraverso questi, dal suscitare nel corpo della chiesa gli scandali dell'errore;

e con espressioni mai udite disseminò in mezzo al popolo fedele la eresia di una sola volontà e di una sola operazione in due nature di una ( persona ) della santa Trinità, del Cristo, nostro vero Dio, in armonia con la folle dottrina falsa degli empi Apollinare, Severo e Temistio;

e cercò in tutti i modi di toglier di mezzo con ingannevole invenzione la perfezione dell'incarnazione dello stesso ed unico signore Gesù Cristo, nostro Dio, e introdusse, quindi, funestamente una carne senza volontà e senza operazione propria, benché fornita di vita intellettuale.

Per questo Cristo, nostro Dio, ha suscitato un fedele imperatore, un nuovo David, avendo trovato un uomo secondo il suo cuore, ( At 13,22 ) il quale, conforme a quanto dice la Scrittura, non concede sonno ai suoi occhi, e riposo alle sue palpebre, ( Sal 132,4 ) fino a che non ha trovato, per mezzo di questa sacra adunanza voluta da Dio, una proclamazione perfetta della vera fede, secondo la parola del Signore: dove sono radunati dite o tre nel mio nome, io sono in mezzo ad essi. ( Mt 18,20 )

Il presente santo e universale concilio, accoglie con fede e saluta a braccia aperte la relazione del santissimo e beatissimo papa dell'antica Roma, Agatone, al piissimo e fedelissimo nostro imperatore Costantino [IV], che rigetta, nominatamente, quelli che hanno predicato e quelli che hanno insegnato, come è stato mostrato sopra, una sola volontà ed una sola operazione nel mistero dell'incarnazione di Cristo, vero nostro Dio; ammette, similmente, anche l'altra relazione sinodale, mandata dal santo sinodo dei centoventicinque vescovi, cari a Dio, tenuto sotto lo stesso santissimo papa, per contribuire alla tranquillità, dono di Dio.

Il concilio le accoglie in quanto ché sono in armonia sia col santo concilio di Calcedonia, sia col torno del santissimo e beatissimo papa della stessa antica Roma, Leone, mandato a Flaviano, uomo santo, che quel sinodo chiamò "colonna dell'ortodossia".

Esse sono anche conformi alle lettere sinodali scritte dal beato Cirillo contro l'empio Nestorio e ai vescovi dell'Oriente.

Seguendo i cinque santi concili ecumenici, e i santi ed eccellenti padri, in accordo con essi definisce e confessa il signore nostro Gesù Cristo, nostro vero Dio, uno della santa, consostanziale e vivificante Trinità, perfetto nella divinità e perfetto nella umanità;

veramente Dio e veramente uomo, composto di anima razionale e di corpo, consostanziale al Padre secondo la divinità e, nello stesso tempo, consostanziale a noi nella sua umanità;

simile a noi in tutto, meno che nel peccato, ( Eb 4,15 ) generato dal Padre, prima dei secoli, secondo la divinità, in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza ( è nato ) dallo Spirito santo e da Maria vergine, nel più vero senso della parola madre di Dio, secondo l'umanità;

un solo e medesimo Cristo, figlio unigenito di Dio, da riconoscersi in due nature senza confusione, mutamento, separazione, divisione;

senza che in nessun modo venga soppressa la differenza delle nature per l'unione, ma salvaguardando la proprietà dell'una e dell'altra, e concorrendo ciascuna a formare una sola persona e sussistenza;

non diviso e scomposto in due persone, ma uno e medesimo figlio unigenito, Verbo di Dio, signore Gesù Cristo, come un tempo i profeti ci rivelarono di lui, e lo stesso Gesù Cristo ci insegnò, e il simbolo dei santi padri ci ha trasmesso.

Predichiamo anche, in lui, due volontà naturali e due operazioni naturali, indivisibilmente, immutabilmente, inseparabilmente, inconfusamente, secondo l'insegnamento dei santi padri.

Due volontà naturali che non sono in contrasto fra loro ( non sia mai detto! ), come dicono gli empi eretici, ma tali che la volontà umana segua, senza opposizione o riluttanza, o meglio, sia sottoposta alla sua volontà divina e onnipotente.

Era necessario, infatti, che la volontà della carne fosse mossa e sottomessa al volere divino, secondo il sapientissimo Atanasio. 7

Come, infatti, la sua carne si dice ed è carne del Verbo di Dio, così la naturale volontà della carne si dice ed è volontà propria del Verbo di Dio, secondo quanto egli stesso dice: Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà del Padre che mi ha mandato, ( Gv 6,38 ) intendendo per propria volontà quella della carne, poiché anche la carne divenne sua propria: come, infatti la sua santissima, immacolata e animata carne, sebbene deificata, non fu distrutta, ma rimase nel proprio stato e nel proprio modo d'essere, così la sua volontà umana, anche se deificata, non fu annullata, ma piuttosto salvata, secondo quanto Gregorio, divinamente ispirato, dice: "Quel volere, che noi riscontriamo nel Salvatore, non è contrario a Dio, ma anzi è trasformato completamente in Dio".9

Ammettiamo, inoltre, nello stesso signore nostro Gesù Cristo, nostro vero Dio, due naturali operazioni, senza divisioni di sorta, senza mutazioni, separazioni, confusioni; e cioè: un'operazione divina e un'operazione umana, secondo quanto apertissimamente afferma Leone, divinamente ispirato: "Agisce, infatti, ciascuna natura in comunione con l'altra secondo ciò che ha di proprio; il Verbo opera ciò che è proprio del Verbo, il corpo compie ciò che è proprio del corpo".10

Non ammetteremo, certamente, una sola naturale operazione di Dio e della creatura, perché non avvenga che attribuiamo all'essenza divina ciò che è stato creato, o riduciamo l'eccellenza della natura divina al rango di ciò che conviene alle creature: riconosciamo, infatti, dello stesso e medesimo Cristo i miracoli e le sofferenze secondo questo o quell'elemento delle nature da cui proviene e in cui bi l'essere, come disse il divino Cirillo.

Insomma, restando fermo il concetto di inconfuso e di indiviso, riassumiamo tutto in quest'unica espressione:

Credendo che uno della santa Trinità, e, dopo l'incarnazione, il signore nostro Gesù Cristo, è il nostro vero Dio, affermiamo che due sono le sue nature che risplendono nella sua unica sussistenza; in essa egli, durante tutta l'economia della sua vita, operò prodigi e soffrì dolori; e ciò in modo non apparente, ma reale, mentre la differenza delle nature in quell'unica sussistenza può conoscersi solo dal fatto che ciascuna natura, in comunione con l'altra, voleva ed operava conformemente al proprio essere.

In questo modo, noi ammettiamo anche due naturali volontà ed operazioni, che concorrono insieme alla salvezza del genere umano.

Stabilite, quindi, queste cose con ogni possibile diligenza e cura, definiamo non esser lecito ad alcuno presentare, ossia scrivere, comporre, credere, altra formula di fede, o insegnarla ad altri.

Quelli poi, che osassero o comporre una diversa formula, o presentare, o insegnare, o trasmettere un altro simbolo a quelli che volessero convertirsi alla conoscenza della verità dall'Ellenismo, dal Giudaismo, o da qualsiasi altra setta; o tentassero di introdurre nuove voci, ossia nuovi modi di dire, per sconvolgere quanto da noi è stato definito, questi tali, se sono vescovi o chierici, decadono, i vescovi dall'episcopato, i chierici dalla dignità di chierici; se poi si tratta di monaci o di laici, siano anatematizzati.

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7 Trattato perduto
9 Gregorio Nazianzeno, Oratio, 30, 12 ( PG 36, 117 )
10 Lettera a Flaviano