Diario dei colloqui con Fra Leopoldo

Torino, 6 Maggio 1918

Lunedì - ore 16,30

Avevo promesso che sarei ritornato oggi da Fra Leopoldo.

Un giovane mi fa entrare ed avverte il religioso del mio arrivo.

Fra Leopoldo entra subito nel parlatorio a destra col suo consueto "Deo Gratias".

Mi riconosce e riprendiamo il discorso della visita di sabato.

Gli leggo la lettera ricevuta dall'Ammiraglio dove parla di lui, egli esclama ad intervalli: "deve essere una santa persona".

Mi dice di raccomandargli la Divozione al Crocifisso, che si farà santo, ma per ora mi consiglia di non riferire i colloqui che io ho con lui.

Gli chiedo il perché a me manifesta con un sì grande privilegio queste cose di alto valore, ed egli mi ripete che se io ero andato a lui era certamente per volontà del Signore.

Ogni suo dire è semplice, umile, ma spontaneo, non per umiltà velata, ma con una spontaneità e sicurezza che avvicina a parlare con franchezza come ad un confessore.

Egli si chiama e si protesta sempre un povero frate, ma il suo dire ha dei momenti che si direbbero ispirati.

Di esteriore, pochissimo: un uomo alto, robusto, con i capelli bianchi, due spalle forti, un viso regolare, con rughe; occhi non grandi, ma penetranti e dolci; ma soprattutto una semplicità, una bontà che conquide.

Mi parlò di Gesù Crocifisso e della devozione alla Vergine Consolata, cosa che è molto in me.

Mi accennò della guerra.

Gesù glielo aveva rivelato prima questo immane flagello e nella rivelazione il Crocifisso aveva avuto dei movimenti quasi dolorosi.

Dalla guerra ne sarebbe scaturito un bene ed è per questo che non termina perché gli uomini non si sono ancora ravveduti.

La società precipitava e minacciava di diventare come Sodoma.

Avevano tolto il Crocifisso dalle scuole della società, il Governo, invece di aiutare le buone associazioni, il clero perché allevasse dei giovani buoni, permetteva ed aiutava a condannarli ed il male dilagava orribilmente.

Il suo dire in certi momenti si arresta.

Alza gli occhi al cielo, sembra chieda consiglio.

Sono tre mesi che Gesù non si rivela, punto ancora stamani, disse, nella mia cella, fissando il Crocifisso, ho dei momenti di paradiso: si dimentica il mondo, se non fosse che ho i miei lavori in Convento, starei sempre ai suoi piedi.

In certi momenti non continua: sembra tema di spingere troppo il suo dire, ed allora la mia attenzione è arrestata.

Poi, riprende.

Mi raccontò la prima apparizione.

Egli era allora ancora nel mondo.

Divotissimo della Vergine Consolata, un giorno aveva dovuto ritornare a Casale perché aveva la mamma moribonda.

A Casale si ammala: la malattia diventa grave ed anche lui va in punto di morte.

É assistito, ha ricevuto i Sacramenti, ed il dottore alla sera gli aveva dato poche ore di vita.

Egli ha un momento di tregua: la Madonna gli appare, gli dice di alzarsi che è guarito.

I famigliari ne sono stupiti, ed il dottore che ritorna il domani, constata che è una vera grazia.

Però è da notare che egli aveva chiesto alla Madonna di poter assistere la Mamma che desiderava spirare nelle sue braccia, cosa che dopo la sua guarigione si avverò e che venendo da Torino, aveva portato a Casale un quadro della Consolata.

Mi disse che da soli 18 anni si trova in religione.

Accennandomi alle rivelazioni del Signore, il suo viso sembrava rievocare visioni di cielo.

Mi disse che tutto è scritto.

Il Crocifisso, nelle sue rivelazioni, ha dei detti così consolanti da piangere di gioia.

Questi detti sono tutti raccolti ed un giorno vedranno la luce.

Domandai il perché la Divozione è diffusa dai Fratelli delle Scuole Cristiane.

Mi rispose che questa era la Volontà manifestata dal Signore.

Poiché questi si dedicano esclusivamente all'educazione ed istruzione dei giovani, che era stata volontà del Signore l'invio e la scelta del Prof. Teodoreto, delle Scuole Cristiane, uomo santo e pio, e mi narrò come questo religioso avesse cercato di lui perché mandato dal Signore e come a lui fossero note tutte le rivelazioni del Signore e come egli si dedicasse alla propagazione del culto a Gesù Crocifisso ed alla Pia Unione del Crocifisso.

Mi accennò come doveva essere opera specialmente dei giovani, aiutati dal clero: motivo per cui il Signore aveva scelto i Fratelli delle Scuole Cristiane.

Chiesi se un giorno queste rivelazioni vedranno la luce ed egli mi disse di sì.

Sarà una grande festa allora e quante cose si sapranno, belle, grandiose e parve gustasse di una festa di luce, di anime, di Santi.

C'è tutto raccolto, tutto scritto.

Chissà se il Cardinale era a conoscenza di tutto e mi rispose affermativamente.

Ed il Santo Padre Benedetto XV ? Anche.

Alle mie proteste, vere, sincere, di essere indegno di ascoltare con tanto privilegio cose di così alto valore, egli mi diceva che c'è bisogno di giovani buoni e che santi non si diventa, come diceva S. Filippo, in un giorno.

Accennando alla devozione mia alla Vergine Consolata, ne fu lieto.

Dissi del mio amico Cambiaghi che attualmente con piacere si accosta a Gesù tutte le settimane.

Egli mi disse di aver notato in lui molta bontà.

"Preghino, preghino e dica anche al suo amico che dopo questa vita c'è un'altra vita, che io oltre crederlo, lo so, lo so e lo posso dire".

In queste espressioni vi era una tale profonda convinzione come nessun libro e nessuna parola mi aveva fatto mai; la semplicità con la quale asseriva una tale verità così con certezza voleva dire che non mi poteva dire di più per oggi, ma che vi erano altre cose a comprovarlo.

Non dica questo a nessuno, mi ripeteva spesso, perché non è ancora l'ora, ma scriva all'Ammiraglio che propaghi questa Divozione, che si troverà contento e si farà santo.

Quando mi accennò alla Consolata, mi confidò pure che nella sua cella ha una statua della Vergine, dalla quale pure ha rivelazioni meravigliose.

"Io sono un povero frate, ripete, che ai miei tempi non ho fatto che la terza".

Pure, il suo parlare, sembra spesso ispirato.

Egli allora parla con una rara predilezione del Prof. Teodoreto, quasi per nascondere la sua persona.

Mi accennò a grazie ricevute dalla Divozione del Crocifisso.

Una pia persona donò 24.000 lire.

Una damigella Ferrero, dopo una malattia ad un ginocchio che la tormentava, dietro consiglio di Fra Leopoldo di fare una novena al Crocifisso, durante questa le uscì un ossetto dal ginocchio, guarì completamente offrendo 100 lire.

"C'è tutto scritto, tutto raccolto, diceva".

Il colloquio durò un'ora.

Mi vietò di scrivere per ora all'Ammiraglio queste cose e mi indirizzò dal Fratello Prof. Teodoreto per avere le suppliche.

Chiesi altre cose, quali la scelta dello stato, le incertezze che ci prendono e i pareri personali, disse che è bene che chi non sceglie la carriera ecclesiastica si accasi.

Feci diverse obiezioni riferendomi a S. Paolo e lui mi rispose che la società ha bisogno di santi religiosi e Sacerdoti, ma altresì di secolari esemplari e di famiglie veramente cristiane.

Mi disse che potendolo avrei potuto ritornare da lui ogni lunedì, a quell'ora, che avrebbe avuto piacere di ricevermi, e lo ringraziai della particolare grazia che mi faceva dedicando per me un tempo così prezioso.

Quando suonò la mezza (le 17,30) si alzò per andare in coro alla Meditazione.

Il suo passo è sicuro, la sua persona eretta e forte; un uomo di una tempra salda e robustissima quantunque di età avanzata.

Mi disse di portare con me qualche volta il mio amico Cambiaghi, di salutarlo.

Gli accennai che si sarebbe passati qualche sera, ma egli, come già mi aveva detto, era dopo quell'ora sempre occupato.

Mi accompagnò alla porta.

La sua umiltà e semplicità santa non si era scomposta mai.

Volevo baciargli la mano.

Senza che egli la ritirasse, pure non so, non vi riuscii.

Presi allora il Crocifisso che ha al suo fianco, lo baciai ed egli: "Ecco, così".

Mi disse qualche cosa ancora, guardai i suoi occhi che pareva riflettessero la luce emanata dalla rivelazione di Gesù, ed uscii, con la mente ed il cuore bisognoso di pensare e di meditare.

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