Itinerario della mente a Dio |
Contemplazione dell’unità di Dio per mezzo del suo primo nome che è l’essere
Ci è dato di contemplare Dio non solo fuori e dentro di noi, ma anche sopra di noi: fuori per mezzo del vestigio; dentro per mezzo dell’immagine; sopra per mezzo di una luce che è stata sovraimpressa nella nostra anima, luce dell’eterna Verità, giacché la nostra anima « viene creata immediatamente dalla stessa Verità ».
Coloro pertanto che si sono esercitati nel primo grado sono già entrati nell’atrio che precede il tabernacolo; quelli del secondo sono entrati nel Santo; quelli del terzo possono entrare col Sommo Sacerdote nel Santo dei Santi dove al di sopra dell’arco sono collocati i Cherubini che stendono le ali sul propiziatorio della gloria ( Es 3,14 ).
Essi fanno intendere i due modi o gradi di contemplazione dei misteri invisibili ed eterni di Dio: uno di essi riguarda gli attributi essenziali; l’altro le proprietà delle persone.
Il primo modo, anzitutto e soprattutto, fissa lo sguardo sull’essere stesso dicendo che il primo nome di Dio è « Colui che è ».
Il secondo modo fissa lo sguardo sullo stesso Bene, dicendo che questo è il primo nome di Dio.
Il primo modo spetta all’Antico Testamento che insegna particolarmente l’Unità della divina natura.
Per questo fu detto a Mosè: Io sono Colui che sono ( Es 3,14 ).
Il secondo spetta al Nuovo, il quale indica la pluralità delle persone col battesimo dato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ( Mt 28,19 ).
Per cui il Maestro nostro Cristo, quando volle innalzare alla perfezione evangelica il giovane che aveva osservato la Legge, attribuisce il termine della bontà principalmente ed esclusivamente a Dio: Nessuno è buono se non Dio solo ( Lc 18,19 ).
Il Damasceno, seguendo Mosè, dice che il primo nome di Dio è « Colui che è ».
Dionigi, seguendo Cristo, dice che il primo nome di Dio è il Bene.
Chi vuole contemplare Dio invisibile quanto all’unità dell’essenza volga attento lo sguardo prima di tutto sullo stesso essere e osservi che in se stesso è certissimo e non può esser pensato come non-essere, perché esso è l’essere purissimo, in perfetta opposizione col non-essere, così come il niente è in perfetta opposizione con l’essere.
Come dunque l’assoluto niente non ha nulla dell’essere né delle sue modalità, così al contrario anche l’essere non ha nulla del non-essere, né in atto né in potenza, né oggettivamente né soggettivamente.
Il non-essere è semplicemente mancanza di essere e quindi si comprende solo se ci si riferisce all’essere.
L’essere invece non si comprende per mezzo di qualcos’altro: perché tutto ciò che si comprende, lo si comprende o come non-ente o ente in potenza o ente in atto.
Se il non-ente si comprende solo per mezzo dell’ente, e l’ente in potenza solo con l’ente in atto, e l’essere designa l’atto puro dell’ente, bisogna dire che l’essere è ciò che per primo è inteso dall’intelletto e che tale essere è la stessa cosa dell’atto puro.
Ora questo non è un essere particolare, il quale è limitato e misto a potenza; né l’essere analogo, perché questo non ha nulla dell’atto, in quanto non esiste affatto.
Rimane dunque che quell’essere è l’essere divino.
È veramente strana la cecità dell’intelletto quando non riflette su ciò che vede per primo, e senza cui non gli è possibile conoscere nulla.
Ma come l’occhio rivolto alla varietà dei colori non vede la luce che gli consente di vedere le altre cose o, se la vede, non la nota, così l’occhio della nostra mente intento agli enti particolari e universali non avverte quell’essere che è al di fuori di ogni genere, anche se è il primo a venire nel suo intelletto e per suo mezzo gli altri.
È dunque chiaro che come « l’occhio del pipistrello si comporta con la luce, così l’occhio della nostra mente si comporta verso le cose più evidenti della natura ».
Abituato alle oscurità degli enti e fantasmi sensibili, quando fissa lo sguardo sulla luce del sommo essere, gli sembra di non vedere nulla.
Non comprende infatti che quella stessa oscurità è la prima luce della nostra intelligenza: proprio come quando l’occhio vede solo la luce ha l’impressione di non vedere nulla.
Guarda dunque, per quanto puoi, lo stesso essere purissimo e comprenderai che esso non può venir pensato come ricevuto da altri; e quindi dev’essere necessariamente pensato come primo assoluto, che non proviene né dal nulla né da un altro.
Che cosa mai è per sé se non è per-sé o da-sé lo stesso essere?
Comprenderai pure che è privo del tutto di non-essere, quindi non ha cominciato mai, non finirà mai, è eterno.
Ti risulterà pure che, non avendo in sé altro che il solo essere, non è composto di altro e dunque è semplicissimo.
Inoltre ti sarà chiaro: che non avendo nulla di potenziale - perché ciò che è potenza in qualche modo ha qualcosa del non-essere - esso è del tutto attualissimo; che non essendo in alcun modo defettibile, è perfettissimo; che, infine, non avendo in sé alcuna diversità, esso è sommamente uno.
L’essere dunque, inteso come puro essere, come essere semplicemente detto, come essere in assoluto, è l’essere primo, eterno, semplicissimo, attualissimo, perfettissimo, sommamente uno.
Questi attributi sono così certi che il loro opposto non può neppure venir pensato da chi comprende l’essere e ciascuno di essi comporta necessariamente gli altri.
In quanto semplicemente è, l’essere è semplicemente primo; poiché semplicemente primo, non è fatto da altri, né si è potuto fare da sé: quindi è eterno.
Ugualmente, perché primo, eterno, e quindi non derivato da altri, è semplicissimo.
In quanto primo, eterno, semplicissimo, non c’è in lui niente che sia in potenza mista ad atto, è dunque attualissimo.
Poiché primo, eterno, semplicissimo, attualissimo, è pure perfettissimo: non gli manca assolutamente nulla, non gli si può aggiungere nulla.
E anche è sommamente uno perché primo, eterno, semplicissimo, attualissimo.
Infatti tutto ciò che si dice assolutamente superlativo, lo si dice rispetto a tutte le cose: « Quello che semplicemente si dice superlativo non può convenire che a uno solo ».
Quindi se uno dice Dio essere primo, eterno, semplicissimo, attualissimo, perfettissimo, è impossibile pensare che non sia e che non sia unico.
Ascolta dunque Israele, il tuo Dio è l’unico Dio ( Dt 6,4; cfr. Mc 12,19 ).
Se tutto questo tu consideri con mente pura e semplice, in qualche modo tu sarai illuminato dalla luce eterna.
Ma c’è ancora un altro motivo per innalzarti ad ammirare.
L’essere è infatti il primo e l’ultimo, è eterno e tuttavia presentissimo, è semplice eppure massimo, è attualissimo e immutabilissimo, è perfettissimo ed immenso, sommamente uno eppure molteplice.
Se tu fissi bene con animo puro lo sguardo su tutto questo, sarai inondato ancora di maggior luce vedendo per di più che egli è l’ultimo, perché primo.
In quanto egli è primo, crea ogni cosa per se stesso; deve dunque essere insieme il fine ultimo, principio e termine, alfa ed omega ( Ap 1,8 ).
Egli è presentissimo perché eterno.
L’eterno non proviene da un altro, non viene meno in se stesso, non passa da un modo all’altro di essere: perciò non ha passato né futuro ma solo l’essere presente.
È poi massimo perché semplicissimo.
Semplicissimo nella sua essenza, massimo perciò nel suo potere, che quanto più è concentrato tanto più è infinito.
Perché attualissimo è pure immutabile.
È attualissimo, perciò atto puro: come tale non acquisisce alcuna novità, non perde niente di quello che possiede: quindi non può cambiare.
Perché perfettissimo è immenso.
Di ciò che è perfettissimo non si può pensare nulla di meglio, né di più nobile, né di più degno e quindi niente di maggiore.
Chi è così è immenso.
È anche molteplice in quanto sommamente uno.
Ciò che è sommamente uno è il principio universale di tutto il molteplice; e perciò causa universale, efficiente, esemplare, finale di ogni cosa, perché è « causa dell’esistere, ragione dell’intendere, norma del vivere ».
È perciò molteplice non nel senso che sia essenza delle cose, ma come causa sovranamente eccellente, universale, sufficiente, il cui potere, sommamente uno nell’essenza, è anche sommamente infinito e molteplice nella sua produttività.
Torniamoci sopra e diciamo: poiché l’essere purissimo e assoluto, che è semplicemente essere, è primo e ultimo, è origine e fine e perfezione di ogni cosa.
Perché eterno e presentissimo, egli circonda e insieme entra in ogni durata temporale, coesistendo come loro centro e circonferenza.
Perché semplicissimo e massimo: è tutto dentro e tutto fuori, e perciò « cerchio ideale il cui centro è dovunque e la circonferenza in nessuna parte ».
Perché attualissimo e immutabilissimo: « restando immobile trasmette il movimento a tutto l’universo ».
Perché perfettissimo ed immenso è intimo ad ogni cosa ma non contenuto; fuori da ogni cosa ma non escluso; sopra ogni cosa ma non al di là; sotto ma non sottoposto.
Perché è sommamente uno e insieme molteplice, è tutto in tutte le cose ( 1 Cor 15,28 ) anche se le cose sono molte ed esso è solo uno: e ciò in forza della sua unità semplicissima, chiarissima verità, sincerissima bontà per cui possiede ogni virtù, ogni esemplarità, ogni comunicabilità.
Quindi da lui, per lui e con lui sono tutte le cose ( Rm 11,36 ) perché onnipotente, onnisciente, del tutto buono; e nel vederlo perfettamente consiste la beatitudine, come fu detto a Mosé: Io ti mostrerò ogni bene ( Es 33,19 ).
Indice |