Filotea |
1 Sam 24; Sal 119,3; Ct 1,1; Pr 25; Pr 16; Mt 7,16-17; Mt 17,4; m 8,35-39; Rm 14,8
Dio porta avanti la vita di questo meraviglioso mondo in un continuo avvicendamento: al giorno segue la notte, all'autunno, l'inverno, all'inverno la primavera; un giorno non è mai la monotona ripetizione di un altro; ce ne sono di nuvolosi, di piovosi, di secchi, di agitati dal vento; tutta questa varietà conferisce all'universo una grande bellezza.
La stessa cosa avviene per l'uomo, che, secondo gli antichi, è un piccolo mondo; perché non si trova mai nella stessa condizione, e la sua vita scorre su questa terra come le acque che scrosciano e ondeggiano in un continuo turbinio di movimenti; e ora lo alzano verso la speranza, ora lo prostrano nella paura, ora lo spingono verso la destra della consolazione, ora verso la sinistra dell'afflizione, e non si da mai un giorno solo, anzi nemmeno un'ora sola, che sia identica all'altra.
Voglio d'arti un consiglio fondamentale: dobbiamo sforzarci di conservare una continua ed inattaccabile uguaglianza di cuore in una simile varietà di situazioni; e benché intorno a noi tutto muti in continuazione, dobbiamo rimanere saldamente fermi per guardare, tendere e protendere sempre al nostro Dio.
Qualunque rotta prenda la nave, sia che faccia vela verso ponente o verso levante, verso mezzogiorno o verso settentrione, qualunque sia il vento che la spinge, l'ago della bussola sarà sempre rivolto alla bella stella e al polo.
Anche se tutto dovesse capovolgersi, non soltanto intorno a noi, ma anche dentro di noi, nonostante tutto, per sempre e costantemente, la punta del nostro cuore, il nostro spirito, la nostra volontà superiore, che è la nostra bussola, deve guardare senza sosta e tendere stabilmente verso l'amore di Dio suo Creatore, suo Salvatore, suo unico e supremo bene.
E questo indipendentemente dal fatto che la nostra anima sia nella tristezza o nella gioia, nella dolcezza o nell'amarezza, in pace o nel turbamento, nella luce o nelle tenebre, nella tentazione o nella serenità, nel piacere o nel disgusto, nella aridità o nella tenerezza, sia infine che il sole la bruci o che la rugiada la rinfreschi!
Sia che tu viva o tu muoia, dice l'Apostolo, sei in Dio.
Chi ci separerà dalla carità e dall'amore di Dio?
Niente mai potrà separarci da quest'amore: né la tribolazione, né l'angoscia, né la morte, né la vita, né il dolore presente, né il timore degli eventi futuri, né le arti dello spirito maligno, né la grandezza delle consolazioni, né la tenerezza, né l'aridità: nulla dovrà mai separarci da questa santa carità fondata su Gesù Cristo.
Questo proposito così saldo di non abbandonare Dio e il suo tenero amore, è il contrappeso necessario perché le nostre anime si conservino nella santa uguaglianza in mezzo all'intreccio delle varie spinte che la natura di questa vita porta con sé.
Allo stesso modo che le api sorprese dal vento in aperta campagna, afferrano dei sassetti per potersi bilanciare nel volo e non essere facilmente travolte dalla tempesta, la nostra anima, che ha con forza e decisione abbracciato il prezioso amore di Dio, rimane salda in mezzo alla varietà e alternarsi di consolazioni e afflizioni, tanto spirituali che temporali, esteriori e interiori.
Ma oltre a questi insegnamenti di carattere generale, abbiamo bisogno di qualche indicazione specifica.
1. Ripeto che la devozione non consiste nella dolcezza, soavità, consolazione e tenerezza sensibile del cuore, che ci porta alle lacrime e ai sospiri e ci dà una certa gradevole e sensibile emozione in qualche esercizio di pietà.
No, cara Filotea, queste emozioni e la devozione non sono nemmeno parenti!
Ci sono molte anime che godono di queste tenerezze e consolazioni e che, non per questo, cessano di essere viziose, e di conseguenza non hanno un vero amore di Dio e, ancor meno, una vera devozione.
Saul, mentre perseguitava a morte il povero Davide, fuggiasco davanti a lui nel deserto di Engaddi, un giorno penetrò tutto solo in una caverna in cui era nascosto Davide con i suoi; Davide in quell'occasione avrebbe potuto ucciderlo molto facilmente, ma gli risparmiò la vita; non solo, ma non volle nemmeno spaventarlo.
Lo lasciò uscire e poi lo chiamò per dimostrargli in tal modo la propria innocenza e fargli sapere che lo aveva avuto alla sua mercé.
E cosa non fece mai allora Saul per dimostrare che il suo cuore era commosso di fronte a Davide?
Lo chiamò figlio mio, si mise a piangere ad alta voce, a lodarlo, ad esaltarne la bontà, a pregare Dio per lui, a predirne la futura grandezza, a raccomandargli i posteri.
Come avrebbe potuto manifestare una maggiore dolcezza e tenerezza di cuore?
Ciononostante nulla era cambiato nella sua anima, e continuò la persecuzione contro Davide, inesorabile come prima.
Ci sono persone che assomigliano a Saul, che riflettendo sulla bontà di Dio e sulla Passione del Salvatore, provano momenti di forte commozione e sospirano, versano lacrime, pregano e rendono grazie con modi molto sensibili.
Si direbbe che sono presi da una fortissima devozione.
Ma quando si giunge alla prova, ci si accorge che assomigliano ai temporali passeggeri di una estate molto calda, allorché cadono sulla terra grossi goccioloni senza penetrare in profondità e sono utili soltanto a far crescere funghi; infatti tutte quelle lacrime e tutte quelle tenerezze cadono su un cuore vizioso e non lo penetrano, per cui non gli sono di alcun giovamento.
Nonostante tutte le apparenze, quella brava gente non si priverà di una sola lira di quanto possiede dopo averlo accumulato poco onestamente; non rinuncerà a uno solo degli affetti perversi, a un briciolo dei propri agi per il servizio del Salvatore sul quale ha pianto.
I buoni movimenti che ha provato, sono soltanto funghi spirituali che, non solo non sono vera devozione, ma spesso sono soltanto astuzie del maligno, il quale distrae le anime con queste piccole consolazioni; e così le rende contente e soddisfatte di modo che non cercano la vera e solida devozione, che consiste in una volontà costante, decisa, pronta e operante di attuare ciò che sappiamo essere gradito a Dio.
Un bambino piangerà teneramente se vede assestare un colpo di bisturi alla mamma per un salasso; ma, se nello stesso tempo, sua madre, per la quale sta piangendo, gli dovesse chiedere la mela o il cartoccio di confetti che ha in mano, vedresti che non vuole cederle nulla.
Molte delle nostre devozioni sono simili: quando pensiamo al colpo di lancia che trafisse il cuore di Gesù Cristo Crocifisso, piangiamo teneramente.
Filotea, è cosa ben fatta piangere sulla morte e sulla passione dolorosa del nostro Padre e Redentore; ma perché non vogliamo dargli il nostro cuore, la mela che abbiamo in mano e che egli ci chiede con tanta insistenza, l'unico frutto d'amore che il Salvatore ci chiede?
Perché non vogliamo lasciargli i nostri piccoli affetti, i nostri piccoli piaceri e le soddisfazioni?
Egli vuole strapparcele dalle mani e non ci riesce, perché sono i nostri confetti e noi ne siamo molto più golosi che della sua grazia celeste.
Questi sono sentimenti da bambini, teneri ma deboli, fantasiosi, ma senza seguito.
La devozione non consiste in queste tenerezze e in questi affetti sensibili, che a volte provengono dalla natura talmente debole e impressionabile da assorbire tutte le impressioni che le si vogliono dare.
Altre volte vengono dal maligno che per impacciarci nel cammino provoca la nostra immaginazione alla tensione che ci porta a quei risultati inutili.
2. Queste emozioni e dolcezze affettuose, qualche volta possono anche risultare utili perché provocano nell'anima il desiderio della devozione, danno conforto allo spirito, aggiungono alla presenza della devozione una santa gioia e una serena allegria che rende le nostre azioni spigliate e piacevoli anche esteriormente.
Questo gusto per le cose divine faceva esclamare a Davide: O Signore, quanto dolci sono le tue parole al mio palato, sono più dolci del miele alla mia bocca.
La più piccola consolazione che ci viene dalla devozione, in ogni modo, vale più di tutte le gioie del mondo.
Il seno e il latte, ossia i favori dello sposo divino, per l'anima, sono migliori del vino più pregiato, ossia dei piaceri della terra: chi li ha assaporati considera tutte le altre consolazioni fiele e assenzio.
Chi mastica erba scitica ( ="monocotiledone ) ne riceve una tale dolcezza che non prova più ne fame ne sete; allo stesso modo coloro ai quali Dio ha concesso la manna celeste delle soavità e delle consolazioni interiori, non possono più desiderare né ricevere le consolazioni del mondo; o almeno non possono trovarvi piacere o impegnarvi i loro affetti.
Sono piccoli assaggi delle dolcezze immortali che Dio concede alle anime che lo cercano; sono zuccherini che egli porge ai suoi figli più piccoli per invogliarli; sono bevande toniche che offre loro per sostenerli, e qualche volta sono anticipi delle eterne ricompense.
Si dice che Alessandro Magno, veleggiando in alto mare, scoprì per la prima volta l'Arabia felice guidato dai profumi che il vento gli aveva portato; questo diede coraggio sia a lui che ai suoi compagni.
Allo stesso modo anche noi, nel mare di questa vita terrena, riceviamo dolcezze e soavità che ci fanno pregustare le delizie di quella Patria celeste alla quale tendiamo ed aspiriamo.
3. Ma, mi dirai, dato che ci sono consolazioni sensibili buone che vengono da Dio, e ce ne sono anche di inutili, pericolose e persino dannose, che provengono dalla natura o anche dal nemico, come potrò distinguere le une dalle altre e riconoscere le cattive e le inutili in mezzo alle buone?
È dottrina comune, cara Filotea, circa gli affetti e le passioni della nostra anima, che le possiamo riconoscere dai loro frutti.
I nostri cuori sono alberi, gli affetti e le passioni i rami, le opere e le azioni i frutti.
È buono il cuore che ha buoni affetti e sono buoni gli affetti e le passioni che producono in noi buoni frutti e sante azioni.
Se le dolcezze, le tenerezze e le consolazioni ci rendono più umili, pazienti, trattabili, caritatevoli e comprensivi nei confronti del prossimo, più pronti a mortificare le nostre concupiscenze e le cattive inclinazioni, più costanti nei nostri esercizi, più docili e disponibili nei confronti di coloro ai quali dobbiamo obbedire, più semplici nella nostra vita, in tal caso possiamo essere certi, Filotea, che vengono da Dio.
Ma se le dolcezze sono tali solo per noi, ci rendono strani, aspri, puntigliosi, impazienti, cocciuti, orgogliosi, presuntuosi, duri nei confronti del prossimo e, già pensando di essere dei santarelli, rifiutiamo di sottometterci alla direzione e alla correzione, si tratta, fuor di dubbio, di consolazioni false e dannose: un buon albero produce esclusivamente buoni frutti.
4. Allorché riceviamo dolcezze e consolazioni,
a) dobbiamo umiliarci profondamente davanti a Dio; stiamo bene attenti a non dire, provando quelle dolcezze: come sono santa!
Filotea, quelli sono doni che non ci rendono migliori, perché, come ho già detto, la devozione non consiste in questo.
Diciamo invece: Com'è buono il Signore con quelli che sperano in lui, con l'anima che lo cerca!
Chi ha dello zucchero in bocca non può dire che sia la sua bocca ad essere dolce, ma deve dire che è lo zucchero che è dolce; la dolcezza spirituale che ci viene data è senz'altro ottima e ottimo anche Dio che ce la da, ma non se ne conclude che sia buono anche chi la riceve!
b) Riconosciamo di essere ancora bambini bisognosi di latte e che, se ci vengono date queste zollette di zucchero, è perché abbiamo ancora lo spirito tenero e delicato, che ha bisogno di allettamenti e di lusinghe per essere attirato all'amore di Dio.
c) Tenendo presente tutto ciò, in linea di massima, prendiamo l'abitudine di ricevere con umiltà quelle grazie e quei favori, stimandoli molto grandi, non tanto perché lo sono in se stessi, ma ancor più perché vengono dalla mano di Dio, che li pone nel nostro cuore.
Proprio come una madre che, per dimostrare affetto al figlio, gli mette in bocca con la propria mano, una dopo l'altra, le zollette di zucchero e le caramelle; se il bambino è sensibile apprezza molto di più la dolcezza, la grazia e la carezza della mamma, che lo zucchero delle caramelle.
Vedi, Filotea, possedere delle dolcezze è molto, ma la dolcezza più grande è sapere che è Dio con la sua mano amorevole e materna a depositarcele in bocca, nel cuore, nell'anima, nello spirito.
d) Dopo averle ricevute con molta umiltà, serviamocene attentamente secondo l'intenzione di Colui che ce le ha date.
Perché Dio ci ha dato queste dolcezze?
Per renderci amabili con tutti e pieni di amore verso di Lui.
La mamma dà una caramella al bambino per averne un bacio!
E allora baciamo questo Salvatore che ci fa dono di tante dolcezze.
Baciare il Salvatore, lo sai bene, vuoi dire obbedirgli, osservare i suoi comandamenti, fare la sua volontà, seguire i suoi desideri; in breve: abbracciamolo teneramente con obbedienza e fedeltà.
Quando riceviamo consolazioni spirituali, dobbiamo essere ancora più attenti ad agire bene e ad umiliarci.
e) Ogni tanto, poi, bisogna saper rinunciare a queste dolcezze, tenerezze e consolazioni; bisogna staccarne il cuore e protestare che, pur accettandole con umiltà ed amandole, perché è Dio che ce ne fa dono per attirarci al suo amore, tuttavia non sono quelle che noi cerchiamo, ma soltanto Dio e il suo santo amore.
Non cerchiamo le consolazioni, ma il Consolatore; non le dolcezze, ma il nostro dolce Salvatore; non le tenerezze, ma colui che è la Soavità del cielo e della terra; e con questo sentimento dobbiamo prepararci a rimanere fermi nel santo amore di Dio, anche se in tutta la nostra vita non dovessimo mai incontrare alcuna consolazione.
Noi vogliamo dire sul Calvario quello che diciamo sul Tabor: Signore, è bello stare qui con te, sia che io ti veda sulla Croce, come nella tua Gloria.
f) Infine, se ti dovesse capitare di trovarti in molte consolazioni, tenerezze, lacrime e dolcezze, o qualche altro favore divino da esse dipendente, ti consiglio di riferirne fedelmente alla tua guida spirituale, per sapere come devi comportarti e regolarti, perché sta scritto: Hai trovato il miele? Mangiane soltanto per star bene!
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