La verginità |
Anche l’apostolo dice che ciascuno di noi è un uomo doppio: mentre il primo uomo è visibile dal di fuori ed è portato per natura a corrompersi, il secondo può essere invece pensato nel segreto del cuore ed ammettere in sé il rinnovamento.
Se questo discorso è veritiero ( e lo è, giacché è la verità stessa a parlare in esso ), non è fuori luogo pensare ad un duplice matrimonio, adatto e corrispondente a ciascuno dei due uomini che sono in noi: chi osa dire che la verginità del corpo aiuta e difende il matrimonio spirituale, non dice forse cose tanto inverosimili.
Come non è possibile praticare nello stesso tempo due arti servendosi delle mani - si pensi ad esempio a chi vuole dedicarsi contemporaneamente all’agricoltura ed alla navigazione, all’arte del fabbro ed a quella delle costruzioni; come chi vuole esercitarne bene una deve abbandonare l’altra, così anche noi, quando ci troviamo di fronte a due matrimoni che si realizzano l’uno tramite la carne l’altro tramite lo spirito, se vogliamo dedicarci ad uno di essi, dobbiamo necessariamente separarci dall’altro.
L’occhio non può vedere due cose insieme a meno di non fissare gli oggetti visibili particolari uno alla volta; la lingua non può parlare due idiomi diversi nello stesso tempo pronunziando contemporaneamente parole ebraiche e greche; e l’udito non può ascoltare insieme un racconto di fatti avvenuti ed un insegnamento.
I diversi suoni, se sono sentiti l’uno dopo l’altro, fanno capire a chi ascolta un determinato pensiero, ma se rimbombano nell’orecchio mescolandosi tutti insieme, producono nella mente di chi ascolta una confusione in cui non si distingue più nulla, giacché i significati delle varie parole si mischiano gli uni con gli altri.
Analogamente, anche la nostra facoltà concupiscibile non è in grado di assecondare i piaceri corporei e di contrarre nello stesso tempo un matrimonio spirituale.
Con attività simili non si possono raggiungere entrambi gli scopi: del matrimonio spirituale sono garanti la temperanza, la morte del corpo ed il disprezzo di tutto ciò che ubbidisce alla carne, mentre del congiungimento fisico sono garanti tutte le cose contrarie alle prime.
Poiché dunque, se ci sono due padroni da scegliere, non ci si può sottomettere contemporaneamente ad entrambi ( « nessuno può infatti servire due padroni » ), chi è saggio sceglie il padrone che gli è più utile; allo stesso modo, poiché non possiamo contrarre tutti e due i matrimoni che ci sono di fronte ( « il celibe pensa alle cose del Signore, l’uomo sposato a quelle del mondo » ), è proprio dei saggi non sbagliarsi nella scelta di quello che conviene di più e non ignorare la strada che conduce ad esso, e che si può imparare soltanto se si ricorda il seguente paragone.
Come nel matrimonio fisico chi non intende essere respinto si preoccupa molto del benessere del corpo, del trucco più adeguato, dell’abbondanza della ricchezza e delle onte di cui potrebbero essere causa la sua vita e la sua stirpe ( solo così può ottenere ciò che gli sta a cuore ), allo stesso modo chi contrae il matrimonio spirituale innanzitutto si mostra giovane e separato da ogni tipo di vecchiaia grazie al rinnovamento subito dalla sua mente, e quindi fa vedere di essere ricco di quelle cose che rendono ambita la ricchezza: non si gloria delle ricchezze terrene, ma è fiero dei tesori celesti.
Per quanto riguarda la nobiltà della stirpe, cerca di avere non quella che è presente anche in persone di poco valore per una coincidenza fortuita, ma quella che è prodotta dalla fatica o dall’impegno presenti nelle sue virtù, e di cui possono vantarsi i figli della luce e di Dio e coloro che sono chiamati « i nobili dell’oriente » grazie alle loro azioni luminose.
Coltiva inoltre la forza e la salute non esercitando il corpo ed ingrassando la carne, ma al contrario rendendo perfetta la forza dello spirito nella debolezza del corpo.
Sa anche che i doni di questo matrimonio vengono presi non dalle ricchezze corruttibili, ma dalla ricchezza della sua anima.
Vuoi imparare i nomi di questi doni?
Ascolta Paolo, il bel paraninfo, quando spiega di che cosa sono ricchi coloro che danno prova di sé in ogni circostanza.
Dopo avere parlato di molti altri doni importanti, dice: « Anche nella purezza ».
Inoltre, tutte le cose che sono annoverate tra i frutti dello spirito rappresentano anche i doni di questo matrimonio.
Chi è disposto ad ascoltare Salomone e ad accettare la vera sapienza come inquilina e compagna della propria vita ( a proposito di lei Salomone dice « Innamoratene, e ti custodirà; onorala, perché ti protegga » ), si prepara a celebrare la festa in compagnia di coloro che gioiscono di tale matrimonio: si mostra degno del suo desiderio indossando una veste pura, in modo da non essere respinto per non avere il vestito adatto, nonostante la sua pretesa di prendere parte alla festa.
È chiaro che il mio discorso, per quanto riguarda l’impegno messo in questo tipo di matrimonio, si riferisce ugualmente sia agli uomini che alle donne.
Poiché, come dice l’apostolo, « non ci sono né maschi né femmine, ma Cristo è tutto in tutti », l’amante della sapienza può affermare a buon diritto di possedere in sé l’oggetto del suo desiderio, che è la vera sapienza; e l’anima che resta attaccata allo sposo incorruttibile possiede l’amore per la vera sapienza, che è Dio.
Ciò che abbiamo detto è valso a spiegare in misura conveniente in che cosa consiste il matrimonio spirituale e a che cosa mira l’amore puro e celeste.
Poiché è risultato impossibile avvicinarsi alla purezza di Dio se prima non si diventa puri, è necessario frapporre tra noi ed i piaceri un grande e robusto muro divisorio, in modo che la loro vicinanza non contamini la purezza del cuore.
Il muro sicuro è rappresentato dal rimanere completamente estranei a tutto ciò che si compie sotto la spinta delle passioni.
Il piacere, che come c’insegnano gli esperti è unico all’origine, dividendosi in più rigagnoli come l’acqua che sgorga da un’unica fonte, penetra in coloro che lo amano attraverso i singoli organi sensoriali.
Chi viene sconfitto dal piacere che subentra attraverso una delle sensazioni ne rimane ferito nel cuore, così come insegna la parola del Signore, secondo la quale chi ha soddisfatto il desiderio dei suoi occhi riceve un danno nel cuore.
Penso che il Signore, in questo passo, abbia voluto alludere a tutti gli organi sensoriali pur parlando di uno solo di essi: di conseguenza noi, seguendo le sue parole, faremmo bene ad aggiungere che pecca in cuor suo anche chi ode o tocca desiderando e chi sottomette al servizio del piacere le sue facoltà.
Perché ciò non avvenga, dobbiamo adottare nella nostra vita continente questa norma: da una parte, non bisogna mai accostare l’anima a ciò in cui è nascosta l’esca del piacere, dall’altra, occorre essere molto guardinghi soprattutto nei confronti del piacere prodotto dal gusto, giacché questo sembra più a portata di mano ed è come la madre di ogni piacere proibito.
In effetti, i piaceri derivanti dai cibi e dalle bevande, crescendo sotto l’effetto della sregolatezza nel mangiare, producono fatalmente nel corpo dei mali non voluti, mentre la sazietà genera negli uomini le passioni corrispondenti.
Perché dunque il corpo resti il più tranquillo possibile e non venga turbato da nessuna delle passioni prodotte dalla sazietà, bisogna fare attenzione ad adottare come norma della condotta di vita temperante e come regola del gusto non il piacere ma l’utilità che si ricava da ciascuna cosa.
E se spesso all’utilità si trova mescolato il piacere ( il bisogno sa rendere gradite molte cose, addolcendo con la forza del desiderio tutto ciò che si trova utile ), non bisogna respingere la prima, solo perché è seguita dal secondo: basta non cercare il piacere prima di tutto il resto, e, scegliendo l’utile in tutte le cose, non tener conto di ciò che può riuscire gradito ai sensi.
Vediamo che anche i contadini sanno separare a regola d’arte la pula mischiata con il grano, in modo che di ciascuna di queste due cose venga fatto l’uso più appropriato: mentre il grano è destinato alla vita umana, la pula è destinata ad essere bruciata e a servire da nutrimento alle bestie.
Anche chi realizza la continenza separa il piacere dall’utilità così come si fa con il grano e la pula: come dice l’apostolo, egli getta il piacere agli esseri irrazionali destinati ad essere bruciati, mentre sa trarre profitto dall’utilità secondo i propri bisogni, rendendo grazie a Dio.
Ma poiché molti con la loro eccessiva severità cadono in un altro tipo di sregolatezza senza accorgersi di perseguire uno scopo opposto, allontanano in un altro modo la propria anima dalle cose più alte e divine abbassandola verso i pensieri e le occupazioni meschine, e costringono la mente a preoccuparsi del corpo, di modo che essa non è più in grado di spaziare liberamente nelle regioni superiori e di guardare in alto, ma si piega verso le fatiche e le angustie della carne, è opportuno pensare anche a quest’eventualità e guardarsi in uguale misura da entrambe le sregolatezze, senza seppellire la mente sotto la mole corporea e senza esaurirla e mortificarla portandola all’indebolimento e tenendola occupata con le fatiche fisiche: occorre ricordare il saggio comandamento che vieta la deviazione sia verso destra che verso sinistra.
Ho ascoltato un medico mentre spiegava la propria arte.
Il nostro corpo si compone di quattro elementi non omogenei ma opposti tra loro, il caldo e il freddo, l’umido ed il secco.
Il caldo non può mescolarsi con il freddo, così come è assurda la commistione tra l’umido ed il secco; ciò nonostante, questi quattro elementi possono collegarsi con i loro contrari grazie alle proprietà delle coppie intermedie.
Illustrando con una certa sottigliezza queste leggi naturali, spiegò ciò che voleva dire: ciascuno di questi elementi, pur essendo diametralmente opposto al suo contrario, si collega ad esso in modo naturale grazie alle qualità affini degli elementi che gli sono vicini.
Poiché infatti il freddo ed il caldo si trovano in uguale misura nell’umido e nel secco, ed analogamente l’umido ed il secco si trovano nel caldo e nel freddo, le stesse qualità che appaiono in uguale misura nei contrari rendono possibile l’incontro tra gli opposti.
Ma perché dovrei spiegare dettagliatamente come questi elementi, contrari tra loro per natura, sono divisi gli uni dagli altri e pur tuttavia si uniscono tra loro mescolandosi in virtù delle qualità affini?
Abbiamo fatto questo discorso perché chi considera sotto questo punto di vista la natura del corpo consiglia di pensare il più possibile all’equilibrio delle varie qualità: la salute infatti c’è quando nessuno degli elementi che si trova in noi è dominato da un altro.
Se c’è del vero nel nostro discorso, per salvaguardare la nostra salute dobbiamo dunque preoccuparci di tale disposizione: dobbiamo cercare di non introdurre alcun eccesso o difetto prodotto da sregolatezze nel nostro modo di vivere in nessuna delle parti di cui siamo composti, ed imitare per quanto è possibile il conduttore del cocchio.
Questi, se guida dei puledri che non vanno d’accordo, non mette fretta con la frusta al più veloce né trattiene con le redini il più lento né abbandona ai suoi impulsi disordinati senza frenarlo quello che si rivolta e fa il difficile, ma dirige quest’ultimo, trattiene il primo e tocca con la frusta il secondo fino a produrre in tutti e tre quell’accordo che è necessario alla corsa.
Allo stesso modo anche la nostra mente, che tiene le redini del corpo, non pensa di aggiungere cose infiammabili al caldo che è già eccessivo durante la giovinezza, né, quando il corpo è raffreddato da qualche passione o dall’età, accresce ciò che produce il freddo o il languore.
Per quanto riguarda le altre qualità si comporta in modo simile, ascoltando la Scrittura: « Affinché l’abbondanza non sia eccessiva e la povertà non manchi di nulla ».
Eliminati entrambi gli eccessi, si preoccupa di aggiungere ciò che manca e si guarda in uguale misura da ciò che in entrambi i casi rende il corpo inutilizzabile: non rende con l’eccessivo benessere la sua carne scomposta e ribelle, né, sottoponendola ad eccessive sofferenze, fa sì che si ammali, s’indebolisca e non sia più in grado di rendere i necessari servizi.
Questo è il fine precipuo della continenza: essa mira non alla sofferenza del corpo, ma alla scioltezza delle funzioni dell’anima.
Chi vuole imparare con esattezza questi singoli punti - come deve vivere colui che ha deciso di praticare tale filosofia, da che cosa bisogna guardarsi, in quali pratiche ci si deve esercitare, la misura della continenza, il modo di comportarsi, e tutta la condotta adatta a tale scopo - ha a disposizione degl’insegnamenti scritti capaci d’istruirlo in proposito; ma ancora più efficace dell’insegnamento della parola è l’esortazione proveniente dalle opere.
La cosa non presenta difficoltà, giacché per trovare l’educatore non occorre intraprendere un lungo cammino o una lunga navigazione: come dice l’apostolo, « vicina è la tua parola ».
La grazia viene dal focolare: qui si trova il laboratorio della virtù, in cui questo tipo di vita si purifica e progredisce fino alla massima scrupolosità.
Molte sono qui le possibilità, sia per chi tace sia per chi parla, di apprendere dalle opere stesse questa celeste condotta di vita: ogni discorso considerato senza le opere anche se è molto adorno assomiglia ad un’immagine senza vita, che ha solo una sembianza fiorente dovuta alle tinte e ai colori; « chi invece agisce ed insegna », come dice un passo del vangelo, è veramente un uomo vivo, bello, attivo e dinamico.
Tale persona deve dunque frequentare colui che intende abbracciare la verginità secondo questo criterio selettivo.
Come infatti chi desidera imparare la lingua di un popolo non può fare da maestro a se stesso, ma deve farsi istruire dagli esperti e riesce a parlare la stessa lingua degli stranieri solo se si abitua lentamente ad ascoltarla, così a mio avviso non si può imparare la severità di questo tipo di vita - che non procede secondo il corso della natura, ma se ne estranea data la novità del regime - se non ci si lascia guidare da chi è riuscito a realizzarla.
Per quanto riguarda tutte le altre occupazioni della nostra vita, il principiante, se impara dai maestri la scienza delle varie cose a cui ambisce, può riuscire meglio che se cercasse di affrontare l’impresa da solo: non si tratta di occupazioni facili, nelle quali il giudizio su ciò che è utile è rimesso necessariamente a noi stessi, se anche l’avere il coraggio di fare esperienza di ciò che s’ignora comporta dei pericoli.
Gli uomini scoprirono per mezzo di esperimenti la scienza medica prima ignorata, svelandola a poco a poco con le loro osservazioni: in tal modo, l’utile ed il dannoso poterono essere riconosciuti con le testimonianze fornite dalle prove, e vennero a far parte della dottrina di quest’arte, mentre ciò che era stato visto dai primi osservatori divenne come un messaggio per il futuro.
Chi pratica ora quest’arte non ha bisogno di compiere esperimenti sulla propria persona per conoscere l’efficacia delle medicine e sapere se sono dannose o rappresentano dei rimedi, ma riesce in essa perché ha imparato da altri ciò che conosce.
Allo stesso modo, anche a proposito dell’arte che cura l’anima - parlo della filosofia, dalla quale impariamo a curare tutte le passioni che toccano l’anima - non è necessario cercare di apprenderne la scienza con congetture e supposizioni, ma basta sfruttare le grandi possibilità di apprendimento offerte da chi ha saputo realizzare questa disposizione d’animo dopo una lunga e ricca esperienza.
Per lo più, anzi in ogni frangente, la giovinezza è una cattiva consigliera: non è facile trovare una persona che abbia raggiunto una cosa degna di essere ambita senza avere associato al suo impegno la vecchiaia.
Quanto più importante delle altre occupazioni è lo scopo per noi che lo perseguiamo, tanto più dobbiamo pensare alla sicurezza.
Negli altri casi la giovinezza, quando non sa amministrare con criterio, danneggia i beni, facendo perdere o la fama a cui il mondo dà valore o la dignità; nel caso invece di questo grande ed alto desiderio ciò che corre pericolo non è rappresentato né dalle ricchezze, né dalla gloria mondana e caduca, né da qualcun’altra delle cose che ci vengono dall’esterno e che le persone assennate non tengono in gran conto, vengano esse amministrate a loro grado o altrimenti: la sconsideratezza tocca proprio l’anima, ed il pericolo che tale danno comporta consiste non nell’essere danneggiati in cose il cui recupero può forse apparire possibile, ma nella perdizione e nel vedere punita la propria anima.
Chi ha consumato i beni paterni non dispera di poter ritornare eventualmente al primitivo benessere con qualche accorgimento, finché vive; ma chi abbandona questo tipo di vita perde ogni speranza di diventare migliore.
Poiché dunque quasi tutti abbracciano la verginità quando sono ancora giovani ed immaturi di mente, la loro prima preoccupazione, nel momento in cui imboccano questa strada, deve essere quella di cercare una buona guida ed un buon maestro: solo così potranno evitare che la loro inesperienza li porti a battere sentieri impraticabili e li faccia vagare, allontanandoli dal retto cammino.
« Due valgono più di uno », dice l’Ecclesiaste.
Chi è solo, è facilmente vinto dal nemico che tende imboscate sulle strade di Dio; ed è vero il detto « Guai a chi sta solo quando cade », perché non ha chi lo fa rialzare.
Alcuni sono giunti a desiderare questa nobile vita seguendo un buon impulso: convinti però di aver toccato la perfezione nel momento stesso in cui hanno fatto la loro scelta, si sono lasciati ingannare dalla loro debolezza mentale, scambiando per bene ciò per cui propendeva la loro mente.
Fra questi vanno annoverati coloro che la sapienza chiama pigri, che ricoprono di spine le loro strade, che ritengono un danno dell’anima lo zelo posto nell’esecuzione dei comandamenti di Dio, che cancellano le esortazioni apostoliche e che non mangiano il proprio pane come sarebbe giusto, ma aspettano quello altrui, facendo della pigrizia l’arte della loro vita.
Da questi provengono i sognatori, che ritengono gl’inganni dei sogni più credibili degl’insegnamenti evangelici e che chiamano rivelazioni le semplici immaginazioni; « da questi provengono anche coloro che s’introducono nelle case » e gli altri che scambiano per virtù il loro modo di vivere appartato e selvaggio, che non rispettano il comandamento dell’amore e che non conoscono i frutti della magnanimità e dell’umiltà.
Chi potrebbe passare in rassegna tutti questi peccati, nei quali si cade perché non si vuole entrare nella schiera di coloro che godono di una buona reputazione presso Dio?
Tra tali peccatori riconosciamo quelli che sopportano la fame fino alla morte come se « Dio si compiacesse di tali sacrifici », e coloro che si allontanano in una direzione diametralmente opposta e che, praticando il celibato solo formalmente, non fanno differire in nulla la propria vita da quella secolare: non solo concedono al ventre ogni piacere, ma coabitano apertamente con le donne e chiamano tale vita in comune « fratellanza », ricoprendo con questo nobile nome le loro malvagie intenzioni recondite.
Per colpa loro gli estranei offendono tanto questa pratica alta e pura.
I giovani farebbero dunque bene a non tracciarsi da sé la strada propria di questo tipo di vita.
Non mancano nella nostra vita esempi di uomini buoni: specie ora, più che in altri tempi, la nobiltà fiorisce e soggiorna insieme a noi, dopo avere raggiunto la somma eccellenza in seguito a graduali progressi.
Chi cammina sulle sue tracce può divenirne partecipe, e chi segue da vicino l’odore di quest’unguento può riempirsi del profumo di Cristo.
Se si accende una fiaccola, la fiamma si propaga a tutte le lucerne vicine: la prima luce non diminuisce, pur distribuendosi in uguale misura tra le lucerne che s’illuminano perché ne sono partecipi.
Allo stesso modo, la nobiltà di questa vita si trasmette da colui che l’ha saputa realizzare ai suoi vicini: è vero il detto profetico, secondo il quale « chi vive con un uomo santo, irreprensibile ed eletto diventa come lui ».
Se cerchi dei segni di riconoscimento che non ti facciano sbagliare a proposito di questo bell’esempio, la descrizione è facile.
Se vedi un uomo vivere tra la morte e la vita e tra scegliere da entrambi ciò che è utile alla più alta filosofia ( dato il suo zelo nell’esecuzione dei comandamenti, egli non accetta l’inattività della morte, ma d’altra parte, essendosi estraniato dai desideri mondani, non cammina neppure del tutto sul terreno della vita: se si considera ciò che rende onorata la vita della carne, resta più immobile dei cadaveri, mentre è veramente vivo, attivo e forte nelle opere virtuose, che fanno riconoscere coloro che vivono con lo spirito ); se vedi un uomo simile, tieni presente la sua norma di condotta: Dio ce lo ha proposto come modello per la nostra vita.
Egli deve rappresentare il tuo punto di riferimento nella vita divina, così come lo sono per i piloti gli astri che risplendono sempre.
Imita la sua vecchiaia e la sua giovinezza, o piuttosto imita la vecchiaia presente nella sua pubertà e la giovinezza presente nella sua vecchiaia.
Anche se la sua età volge verso la vecchiaia, il tempo non ha indebolito la forza e la capacità di agire della sua anima, mentre la giovinezza non fa più sentire i suoi effetti in quelle cose in cui in genere si riconosce la sua attività: c’è in lui una mescolanza meravigliosa dei contrari propri di entrambe le età, o piuttosto uno scambio di proprietà, giacché nella sua vecchiaia la forza che tende al bene è ancora giovane, mentre nella sua pubertà resta inattivo quell’aspetto della giovinezza che si mostra incline al male.
Se poi vuoi indagare sugli amori della sua età, imita la veemenza e l’ardore del suo amore divino per la sapienza, che è cresciuto insieme a lui fin dall’infanzia e che è durato fino alla sua vecchiaia.
Se non riesci a guardarlo, così come accade a coloro i cui occhi soffrono alla vista del sole, guarda il coro dei santi schierato sotto di lui: la loro vita risplende perché imita quella degli anziani, e tra di loro ce ne sono molti che, pur essendo ancor giovani di età, sono diventati canuti grazie alla purezza della loro continenza.
Con la loro ragione essi sono andati oltre la vecchiaia, e con i loro costumi oltre il tempo, ed hanno dimostrato di possedere un amore per la sapienza più forte e violento dei piaceri corporei, non perché abbiano una natura diversa ( in tutti gli uomini « la carne desidera contro lo spirito » ), ma perché hanno saputo ascoltare colui che ha detto: « La saggezza è il legno della vita per coloro che le si tengono attaccati ».
Su questo legno hanno attraversato i flutti della giovinezza come su di una zattera, e sono approdati nel porto della volontà di Dio; adesso la loro anima se ne sta tranquilla, nel bel tempo e nella bonaccia.
Sono beati per avere avuto una buona navigazione: essendosi tenuti stretti per quanto stava in loro alla buona speranza come ad un’ancora sicura, rimangono imperturbabili, lontani dalle onde della confusione, e mostrano a coloro che li seguono lo splendore della loro vita, simile ai fuochi che brillano su di un alto faro.
Abbiamo l’uomo a cui possiamo guardare, per attraversare con sicurezza i flutti delle tentazioni.
Perché ti preoccupi, se alcuni sono rimasti sconfitti nel perseguire tale intento, e rinunci quindi a quest’impresa, come se fosse impossibile?
Guarda chi è riuscito, ed affronta con fiducia la buona navigazione, lasciandoti guidare dal soffio dello Spirito Santo: hai come pilota Cristo, che sta al timone della temperanza.
« Coloro che scendono in mare con le navi e che trafficano su vaste distese d’acqua » non vedono nei naufragi capitati ad altri un ostacolo alla realizzazione delle loro speranze: si mettono di fronte agli occhi la buona speranza, e cercano di arrivare alla fine della loro impresa.
Non è del tutto assurdo da una parte il condannare una mancanza in questo severo regime di vita, e dall’altra il mostrarsi propensi a preferire tutta una vita trascorsa nei peccati fino alla vecchiaia?
Se è brutto avvicinarsi una sola volta al peccato, e se per questo pensi che sia più prudente non perseguire lo scopo più alto, quanto non è più condannabile la pratica di vita che si basa sul peccato e che fa quindi rimanere del tutto privi della vita più pura?
Tu che vivi, come fai ad ascoltare il crocifisso?
Tu che prosperi nel peccato, come fai ad ascoltare « colui che è morto al peccato »?
Tu che non « ti sei crocifisso nei riguardi del mondo » e che non accetti la morte della carne, come fai ad ascoltare colui che comanda « di venirgli dietro », e che porta la croce sul suo corpo, come un trofeo preso al nemico?
Come puoi ubbidire a Paolo, che t’invita « a presentare il tuo corpo come un sacrificio vivente, gradito a Dio », tu che « ti adatti a questo secolo, che non ti trasformi rinnovando la tua mente » e che « non cammini in questa nuova vita » ma segui ancora la logica della vita del vecchio uomo?
Come puoi essere sacerdote di Dio, anche se sei stato unto proprio per offrire a Dio un dono che non dev’essere né estraneo a te, né il frutto di una sostituzione con le cose esteriori che ti sei trascinate dietro, ma un’offerta veramente tua, rappresentata dal tuo uomo interiore, che deve essere perfetto, irreprensibile e scevro da ogni macchia e biasimo, così come prescrive la legge a proposito dell’agnello?
Come puoi offrire questi doni a Dio, tu che non ascolti la legge che proibisce all’impuro di essere sacerdote?
E se desideri che Dio ti appaia, perché non ascolti Mosè, quando raccomanda al popolo di astenersi dalle relazioni coniugali, perché possa accogliere la manifestazione di Dio?
Se queste cose e le loro conseguenze ti sembrano di poco conto - parlo del crocifiggersi assieme a Cristo, dell’offrirsi in sacrificio a Dio, del diventare sacerdote dell’Altissimo, dell’essere ritenuto degno della grande manifestazione di Dio - che cosa di più alto potremo pensare per te?
Dall’essere crocifisso assieme a Cristo derivano il vivere, l’essere glorificato, ed il regnare assieme a Lui; e dall’offrirsi in sacrificio a Dio deriva il trasferimento dalla natura e dignità umana a quella angelica.
Di questo parla Daniele, là dove dice: « Gli erano vicine migliaia di migliaia ».
Chi poi si dedica al vero sacerdozio e si accompagna al gran sacerdote « rimane anch’egli in modo assoluto sacerdote per l’eternità, e la morte non gl’impedisce di rimanere tale per sempre ».
La conseguenza dell’essere ritenuto degno di vedere Dio altro non è che l’essere ritenuto degno di vedere Dio: in effetti, il coronamento di ogni speranza, la realizzazione di ogni desiderio, il fine ed il compendio della benedizione di Dio, di ogni promessa e dei beni ineffabili che crediamo superiori alla sensazione ed alla conoscenza, è proprio ciò che Mosè e molti re e profeti desiderarono ardentemente vedere.
Di questa vista sono ritenuti degni solo i puri di cuore, che sono veramente e vengono chiamati beati proprio perché vedranno Dio.
Vogliamo che anche tu diventi uno di loro, facendoti crocifiggere assieme a Cristo, offrendoti a Dio come puro sacerdote, diventando un puro sacrificio nell’assoluta purezza, preparandoti mediante la purezza all’avvento di Dio; così, avendo il cuore puro, anche tu potrai vedere Dio secondo la promessa del Dio e salvatore nostro Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli.
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