Vita seconda |
Contro l'ozio e gli oziosi
[743] 159. Dal momento in cui Francesco rigettò le cose caduche e cominciò ad aderire strettamente al Signore, non volle perdere nemmeno una particella di tempo.
Aveva già accumulato abbondanza di meriti nei tesori del Signore, eppure era sempre come all'inizio, sempre più pronto ad ogni esercizio spirituale.
Riteneva gran peccato non fare qualcosa di bene e giudicava un retrocedere il non progredire sempre.
Mentre dimorava in una cella a Siena, una notte chiamò a sé i compagni che dormivano: « Ho invocato il Signore - spiegò loro - perché si degnasse indicarmi quando sono suo servo e quando no.
Perché non vorrei essere altro che suo servo.
E il Signore, nella sua immensa benevolenza e degnazione, mi ha risposto ora: - Riconosciti mio servo veramente, quando pensi, dici, agisci santamente -.
Per questo vi ho chiamati, fratelli, perché voglio arrossire davanti a voi, se a volte avrò mancato in queste tre cose ».
[744] 160. In altra circostanza, alla Porziuncola, considerando che il frutto dell'orazione svanisce quando è seguita da conversazioni inutili, prescrisse questo rimedio per evitare il difetto delle parole oziose: « Qualunque frate proferisca una parola oziosa o inutile sia tenuto a dire subito la sua colpa e a recitare per ogni parola oziosa un Pater Noster.
Voglio poi che, se il frate confesserà spontaneamente la colpa, dica il Pater Noster per la sua anima.
Se invece sarà prima redarguito da un altro, lo applichi per l'anima di chi lo ha richiamato ».
[745] 161. Quanto ai fannulloni, che non si applicano con impegno ad alcun lavoro, diceva che sono destinati ad essere rigettati dalla bocca del Signore.
Nessun ozioso poteva comparire alla sua presenza, senza essere da lui biasimato aspramente.
In realtà egli, modello di ogni perfezione, faticava e lavorava con le sue mani, preoccupato di non perdere un attimo di quel dono preziosissimo che è il tempo.
« Voglio - disse una volta - che tutti i miei frati lavorino e stiano occupati, e chi non sa impari qualche mestiere ».
E eccone il motivo: « Affinché - continuava - siano meno di peso agli uomini, e nell'ozio la lingua o il cuore non vadano vagando tra cose illecite ».
Il guadagno poi o la mercede del lavoro, non lo lasciava all'arbitrio di chi lavorava, ma del guardiano o della famiglia religiosa.
[746] 162. Mi sia permesso, o padre santo, di elevare ora al cielo un lamento per quelli che si dicono tuoi.
Molti hanno in odio gli esercizi delle virtù, e volendo riposare prima ancora di lavorare, dimostrano di essere figli non di Francesco, ma di Lucifero.
Abbiamo più abbondanza di gente che si dà ammalata che di combattenti, mentre, essendo nati per il lavoro, dovrebbero ritenere la loro vita una milizia.
Non amano rendersi utili con il lavoro, non son capaci con la contemplazione.
Dopo che hanno causato turbamento in tutti con la loro vita singolare, lavorando più con le mascelle che con le mani, detestano chi li riprende apertamente e non permettono di essere toccati neppure con la punta delle dita.
Ma ancor più mi colpisce la loro impudenza, perché, al dire di san Francesco, a casa loro sarebbero vissuti solo a costo di molto sudore, ed ora senza faticare, si nutrono col sudore dei poveri.
Prodigio di scaltrezza!
Non fanno niente e ti sembrano sempre occupati.
Conoscono bene gli orari della tavola, e se a volte li stuzzica troppo la fame, accusano il sole di essersi addormentato.
Ed io, buon padre, dovrei credere degne della tua gloria le mostruosità di questi uomini?
Ma non lo sono neppure della tua tonaca!
Tu hai sempre insegnato ad accumulare in questo tempo malsicuro e fugace ricchezze di meriti, perché non capiti di dover mendicare nella vita futura.
Questi invece, destinati a finire poi in esilio, non hanno neppure il vero gusto della patria.
Questo morbo infierisce tra i sudditi, perché i superiori fingono di non vedere, come se fosse possibile sostenere i loro vizi e non condividerne il castigo.
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