Legenda Maior |
[1134] 1. La vera pietà, che, come dice l'Apostolo, è utile a tutto aveva riempito il cuore di Francesco, compenetrandolo così intimamente da sembrare che dominasse totalmente la personalità di quell'uomo di Dio.
La pietà lo elevava a Dio per mezzo della devozione, lo trasformava in Cristo per mezzo della compassione, lo faceva ripiegare verso il prossimo per mezzo della condiscendenza e, riconciliandolo con tutte le creature, lo riportava allo stato di innocenza primitiva.
Per essa sentiva grandissima attrazione verso le creature, ma in modo particolare verso le anime, redente dal sangue prezioso di Cristo Gesù; e, quando le vedeva inquinate dalle brutture del peccato, le compiangeva con una commiserazione così tenera che ogni giorno, le partoriva, come una madre, in Cristo.
[1135] E la ragione principale per cui venerava i ministri della parola di Dio era questa: che essi fanno rivivere la discendenza del loro fratello morto, cioè fanno rivivere il figlio di Cristo, che è stato crocifisso per i peccatori, quando li convertono, facendosi loro guida con pia sollecitudine e con sollecita pietà.
Affermava che questo ufficio della pietà è più gradito di ogni sacrificio al Padre delle misericordie, soprattutto se viene adempiuto con zelo dettato da carità perfetta, per cui ci si affatica in esso più con l'esempio che con la parola, più con le lacrime della preghiera che con la loquacità dei discorsi.
[1136] 2. E pertanto - diceva - è da compiangere, perché privo di pietà vera, sia il predicatore che, nella sua predicazione, ricerca non la salvezza delle anime, ma la propria gloria; sia il predicatore che con la malvagità della vita distrugge quanto ha edificato con la verità della dottrina.
Diceva che a costoro è preferibile uno semplice e privo di lingua, ma capace di spingere gli altri al bene col suo buon esempio.
[1137] Aveva un suo modo di spiegare l'espressione biblica: Anche la sterile ha partorito molti figli.
" La sterile, diceva, è il frate poverello, che non ha nella Chiesa l'ufficio di generare figli.
Costui, nel giorno del giudizio, partorirà molti figli, nel senso che in quel giorno il Giudice ascriverà a sua gloria quelli che egli ora converte con le sue preghiere nascoste.
Colei che ha molti figli diventerà infeconda, nel senso che il predicatore vanitoso e loquace, il quale ora si rallegra di avere molti figli, come se li avesse generato per propria virtù, allora conoscerà che, in costoro, lui non ha niente di suo ".
[1138] 3. Cercava la salvezza delle anime con pietà appassionata, con zelo e fervida gelosia e, perciò, diceva che si sentiva riempire di profumi dolcissimi e, per così dire, cospargere di unguento prezioso, quando veniva a sapere che i suoi frati sparsi per il mondo, col profumo soave della loro santità, inducevano molti a tornare sulla retta via.
All'udire simili notizie, esultava nello spirito e ricolmava di invidiabilissime benedizioni quei frati che, con la parola e con le opere, trascinavano i peccatori all'amore di Cristo.
[1139] Per la stessa ragione, quelli che violavano la santa Religione con opere malvagie, incorrevano nella sua condanna e nella sua tremenda maledizione: " Da te, o Signore santissimo, e da tutta la celeste curia e da me pure, tuo piccolino, siano maledetti coloro che, con il loro cattivo esempio, sconvolgono e distruggono quanto, per mezzo dei santi frati di quest'Ordine, hai edificato e non cessi di edificare ".
Spesso, pensando allo scandalo che veniva dato ai piccoli, provava una tristezza immensa, al punto da ritenere che ne sarebbe morto di dolore, se la bontà divina non l'avesse sorretto con il suo conforto.
[1140] Una volta, turbato per i cattivi esempi, con grande ansietà di spirito, pregava per i suoi figli il Padre misericordioso; ma si ebbe dal Signore questa risposta: " Perché ti turbi, tu, povero omuncolo?
Forse che io ti ho costituito pastore della mia Religione, senza farti sapere che il responsabile principale sono io?
Ho scelto te, uomo semplice, proprio per questo: perché le opere che io compirò siano attribuite non a capacità umane, ma alla grazia celeste.
Io ho chiamato, io conserverò e io pascerò e, al posto di quelli che si perdono, altri ne farò crescere.
E se non ne nasceranno, li farò nascere io; e per quanto gravi possono essere le procelle da cui questa Religione poverella sarà sbattuta, essa, col mio sostegno sarà sempre salva ".
[1141] 4. Il vizio della detrazione, nemico radicale della pietà e della grazia, lo aveva in orrore come il morso del serpente e come la più dannosa pestilenza.
Affermava che Dio pietosissimo l'ha in abominio, perché il detrattore si pasce col sangue delle anime, dopo averle uccise con la spada della lingua.
Sentendo, una volta, un frate che denigrava un altro nella buona fama, si rivolse al suo vicario e gli disse: " Su, su, indaga ben bene e, se trovi che il frate accusato è innocente, infliggi al frate accusatore un castigo durissimo, che lo faccia segnare a dito da tutti ".
Qualche volta giudicava che si doveva spogliare dell'abito chi aveva spogliato il proprio fratello della sua buona fama e non voleva che costui elevasse gli occhi a Dio, se prima non aveva procurato con ogni mezzo di restituire quanto aveva sottratto.
" La cattiveria dei detrattori - diceva - è tanto maggiore di quella dei ladri, quanto maggiore è la forza con cui la legge di Cristo, che trova il suo compimento nell' '' amore ci obbliga a bramare la salvezza delle anime più di quella dei corpi ".
[1142] 5. Si chinava, con meravigliosa tenerezza e compassione, verso chiunque fosse afflitto da qualche sofferenza fisica e quando notava in qualcuno indigenza o necessità nella dolce pietà del cuore, la considerava come una sofferenza di Cristo stesso.
Aveva innato il sentimento della clemenza, che, la pietà di Cristo, infusa dall'alto, moltiplicava.
Sentiva sciogliersi il cuore alla presenza dei poveri e dei malati, e quando non poteva offrire l'aiuto, offriva il suo affetto.
Un giorno, un frate rispose piuttosto duramente ad un povero, che chiedeva l'elemosina in maniera importuna.
Udendo ciò, il pietoso amatore dei poveri comandò al frate di prostrarsi nudo ai piedi del povero, di dichiararsi colpevole, di chiedergli in carità che pregasse per lui e lo perdonasse.
Il frate così fece, e il Padre commentò con dolcezza: " Fratello, quando vedi un povero, ti vien messo davanti lo specchio del Signore e della sua Madre povera.
Così pure negli infermi, sappi vedere le infermità di cui Gesù si è rivestito ".
In tutti i poveri, egli, a sua volta povero e cristianissimo, vedeva l'immagine di Cristo.
Perciò, quando li incontrava, dava loro generosamente tutto quanto avevano donato a lui, fosse pure il necessario per vivere; anzi era convinto che doveva restituirlo a loro, come se fosse loro proprietà.
[1143] Una volta, mentre ritornava da Siena, incontrò un povero.
Si dava il caso che Francesco, a causa della malattia, avesse indosso sopra l'abito un mantello.
Mirando con occhi misericordiosi la miseria di quell'uomo, disse al compagno: " Bisogna che restituiamo il mantello a questo povero: perché è suo.
Difatti noi lo abbiamo ricevuto in prestito, fino a quando ci sarebbe capitato di trovare qualcuno più povero di noi ".
Il compagno, però, considerando lo stato in cui il padre pietoso si trovava, oppose un netto rifiuto: egli non aveva il diritto di dimenticare se stesso, per provvedere all'altro.
Ma il Santo: " Ritengo che il Grande Elemosiniere mi accuserà di furto, se non darò quel che porto indosso a chi è più bisognoso ".
[1144] Qualunque cosa gli dessero per alleviare le necessità del corpo, chiedeva sempre ai donatori il permesso di poterla dar via lecitamente, se incontrava uno più bisognoso di lui.
Insomma non la perdonava proprio a nulla: mantelli, tonache, libri e perfino i paramenti dell'altare, tutto elargiva agli indigenti, appena lo poteva, per adempiere ai compiti della pietà.
Spesso, quando per la strada incontrava qualche povero con un carico sulle spalle, glielo toglieva e lo portava sulle sue spalle vacillanti.
[1145] 6. Considerando che tutte le cose hanno un'origine comune, si sentiva ricolmo di pietà ancora maggiore e chiamava le creature per quanto piccole col nome di fratello o sorella: sapeva bene che tutte provenivano, come lui, da un unico Principio.
Tuttavia abbracciava con maggior effusione e dolcezza quelle che portano in sé una somiglianza naturale con la pietosa mansuetudine di Cristo o che la raffigurano secondo il significato loro attribuito dalla Scrittura.
Spesso riscattò gli agnelli che venivano condotti al macello, in memoria di quell'Agnello mitissimo, che volle essere condotto alla morte per redimere i peccatori.
[1146] Una notte, mentre il servo di Dio era ospite presso il monastero di San Verecondo, nella diocesi di Gubbio, una pecorella partorì un agnellino.
C'era là una scrofa ferocissima, che, con un morso rabbioso, uccise la creaturina innocente.
Udito il fatto, il padre pietoso fu preso da profondissima compassione e, pensando all'Agnello senza macchia, si lamentava davanti a tutti per la morte dell'agnellino.
" Ohimè, fratello agnellino, - diceva - animale innocente, che rappresenti Cristo agli uomini, maledetta sia quell'empia che ti ha ucciso.
E nessuno, uomo o bestia, possa mangiare la sua carne! ".
Cosa meravigliosa: la porca malefica immediatamente si ammalò e, dopo avere scontato con tre giorni di sofferenza la sua colpa, subì finalmente l'esecuzione vendicatrice.
Fu gettata nel fossato del monastero e là rimase per molto tempo, divenendo secca come un'asse.
Nessun animale, per quanto affamato, si cibò della sua carne.
Riflettano, a questo punto, le persone crudeli: con quali pene esse saranno colpite alla fine, se è stata colpita con una morte così orrenda la ferocia di una bestia?
I fedeli devoti, a loro volta, sappiano valutare quanto potente e ammirevole, quanto dolce e generosa fosse la pietà del servo di Dio, se anche i bruti, a loro modo, le rendevano omaggio.
[1147] 7. Un giorno, trovandosi in cammino nei pressi di Siena, incontrò un grande gregge di pecore al pascolo.
Secondo il suo solito, le salutò benevolmente, e quelle, smettendo di brucare, corsero tutte insieme da lui, sollevando il muso e fissandolo con gli occhi alzati.
Gli fecero tanta festa che i frati e i pastori ne rimasero stupefatti, vedendo gli agnelli e perfino gli arieti saltellargli intorno in modo così meraviglioso.
[1148] In un'altra circostanza, a Santa Maria della Porziuncola, portarono in dono all'uomo di Dio, una pecora, che egli accettò con gratitudine, perché amava l'innocenza e la semplicità che, per sua natura, la pecora dimostra.
L'uomo di Dio ammoniva la pecorella a lodare Dio e a non infastidire assolutamente i Frati.
La pecora, a sua volta, quasi sentisse la pietà dell'uomo di Dio, metteva in pratica i suoi ammaestramenti con grande cura.
Quando sentiva i frati cantare in coro, entrava anche lei in chiesa e, senza bisogno di maestro, piegava le ginocchia, emettendo teneri belati davanti all'altare della Vergine, Madre dell'Agnello, come se fosse impaziente di salutarla.
Durante la celebrazione della Messa, al momento dell'elevazione, si curvava con le ginocchia piegate, quasi volesse, quell'animale devoto, rimproverare agli uomini poco devoti la loro irriverenza e volesse incitare i devoti alla reverenza verso il Sacramento.
[1149] Durante il suo soggiorno a Roma, il Santo aveva tenuto con sé un agnellino, mosso dalla sua devozione a Cristo, amatissimo agnello.
Nel partire, lo affidò a una nobile matrona, madonna Jacopa dei Sette Soli, perché lo custodisse in casa sua.
E l'agnello, quasi ammaestrato dal Santo nelle cose dello spirito, non si staccava mai dalla compagnia della signora, quando andava in chiesa, quando vi restava o ne ritornava.
Al mattino, se la signora tardava ad alzarsi, l'agnello saltava su e la colpiva con i suoi cornetti, la svegliava con i suoi belati, esortandola con gesti e cenni ad affrettarsi alla chiesa.
Per questo la signora teneva con ammirazione e amore quell'agnello, discepolo di Francesco e ormai diventato maestro di devozione.
[1150] 8. Un'altra volta, a Greccio, offrirono all'uomo di Dio un leprotto vivo.
Fu lasciato libero, in terra, perché scappasse dove voleva.
Ma quello, sentendosi chiamare dal padre buono, gli corse vicino e gli saltò in grembo.
Il Santo, colmandolo di carezze, lo compassionava, come una madre mostrandogli il suo affetto e la sua pietà.
Finalmente lo ammonì con dolcezza a non lasciarsi prendere un'altra volta e gli diede il permesso di andarsene liberamente.
Ma, benché lo avesse messo più volte in terra, perché partisse, il leprotto ritornava sempre in grembo al Padre, come se con un senso nascosto percepisse la pietà del suo cuore.
Alla fine, il Padre lo fece portare in un luogo solitario e sicuro.
[1151] Un fatto simile avvenne nell'isola del lago di Perugia.
Era stato catturato e donato all'uomo di Dio un coniglio.
Mentre era fuggito da tutti gli altri, il coniglio si affidò con familiarità e sicurezza nelle mani del Santo e andò a posarsi sul suo grembo.
[1152] Mentre faceva la traversata del lago di Rieti, per raggiungere l'eremo di Greccio, un pescatore, per devozione, gli offrì un uccello acquatico.
Egli lo prese volentieri e tenendolo sulle mani spalancate, lo invitò a partire.
Ma, siccome l'uccello non voleva andarsene, il Santo, levando gli occhi al cielo, si immerse in una lunga preghiera.
Dopo molto tempo, ritornando in se stesso, come da un altro mondo, ripetutamente con dolcezza comandò all'uccelletto che se ne andasse, a lode di Dio.
E quello, allora, ricevuto il permesso e la benedizione, esprimendo con i movimenti del corpo la sua gioia, volò via.
[1153] Sempre mentre attraversava quel lago, gli fu offerto un grosso pesce, ancora vivo: chiamandolo, secondo la sua abitudine, col nome di fratello, lo rimise in acqua, accanto alla barca.
Ma il pesce si mise a giocare nell'acqua, davanti all'uomo di Dio, e, quasi adescato dal suo amore, per nessuna ragione si allontanò dalla barca, prima di averne ricevuto il permesso e la benedizione.
[1154] 9. In un'altra circostanza, mentre attraversava con un altro frate le paludi di Venezia, trovò una grandissima moltitudine di uccelli, che se ne stavano sui rami a cantare.
Come li vide, disse al compagno: " I fratelli uccelli stanno lodando il loro Creatore; perciò andiamo in mezzo a loro a recitare insieme le lodi del Signore e le ore canoniche".
Andarono in mezzo a loro e gli uccelli non si mossero.
Poi, siccome per il gran garrire, non potevano sentirsi l'un l'altro nel recitare le ore, il Santo si rivolse agli uccelli e disse: " Fratelli uccelli, smettete di cantare, fino a quando avremo finito di recitare le lodi prescritte ".
Quelli tacquero immediatamente e se ne stettero zitti, fin al momento in cui, recitate a bell'agio le ore e terminate debitamente le lodi, il Santo diede la licenza di cantare.
Appena l'uomo di Dio ebbe accordato il permesso, ripresero a cantare, secondo il loro costume.
[1155] A Santa Maria della Porziuncola, c'era una cicala, sopra un fico, vicino alla cella dell'uomo di Dio, e continuava a cantare, e lo stimolava col suo canto a lodare il Signore, giacché egli aveva imparato ad ammirare la magnificenza del Creatore anche nelle piccole cose.
Un giorno il servo del Signore chiamò la cicala che, quasi istruita dal cielo, volò sopra la sua mano, e le disse: " Canta, sorella mia cicala, e loda col tuo giubilo Iddio creatore ".
Essa, obbedendo senza indugio, incominciò a cantare e non smise, finché, per ordine del Padre, volò di nuovo al suo posto.
Rimase là per otto giorni, e ogni giorno, obbedendo ai suoi ordini, andava da lui, cantava e ripartiva.
Alla fine l'uomo di Dio disse ai compagni: " Licenziamo ormai la nostra sorella cicala, perché, in questi otto giorni, ci ha stimolato abbastanza a lodare Dio e ci ha rallegrato abbastanza con il suo canto ".
E subito, avuto da lui il permesso, la cicala si ritirò e non comparve più in quel luogo, come se non osasse assolutamente trasgredire l'ordine ricevuto.
[1156] 10. Quando era a Siena, ammalato, un nobiluomo gli fece portare un fagiano vivo, che aveva preso allora.
Appena ebbe visto e udito l'uomo santo, il fagiano si sentì legato a lui con amicizia così profonda, che non riusciva in nessuna maniera a vivere da lui separato.
Lo portarono ripetutamente nella vigna, fuori del luoghicciolo dei frati, perché se ne andasse a suo piacimento; ma sempre, con rapido volo tornava dal Padre, come se da sempre fosse stato allevato da lui personalmente.
In seguito, lo regalarono ad un uomo che aveva l'abitudine di visitare per devozione il servo di Dio.
Ma il fagiano, addolorato per la lontananza dal padre pietoso, si rifiutava assolutamente di mangiare.
Dovettero, perciò, riportarlo dal servo di Dio: appena lo scorse, il fagiano, esibendosi in manifestazioni di allegria, si mise subito a mangiare avidamente.
[1157] Quando il padre pietoso arrivò all'eremo della Verna, per celebrarvi la quaresima in onore dell'arcangelo Michele, uccelli di varia specie incominciarono a tesser voli intorno alla sua celluzza, con sonori concenti e gesti di letizia, quasi volessero mostrare la loro gioia per il suo arrivo e invitarlo e lusingarlo a rimanere.
A questo spettacolo, il Santo disse al compagno: " Vedo, fratello, che è volere di Dio che noi ci tratteniamo un po' di tempo qui: tanto i nostri fratelli uccelletti sono contenti per la nostra presenza ".
[1158] Durante il suo soggiorno lassù, un falco, che proprio lì aveva il suo nido, gli si legò con patto di intensa amicizia.
Durante la notte, anticipava sempre col suono del suo canto, l'ora in cui il Santo aveva l'abitudine di alzarsi per l'ufficio divino.
Ciò riusciva assai gradito al servo di Dio, perché quel gran darsi da fare del falco là intorno, scacciava da lui ogni torpore ed ogni pigrizia.
Quando, però, il servo di Cristo sentiva più del solito il peso della malattia, il falcone lo risparmiava e non suonava la sveglia così a puntino: quasi ammaestrato da Dio, faceva squillare la campanella della sua voce solo sul far dell'alba.
Sembra proprio che l'esultanza esibita dagli uccelli di così varia specie e il canto del falcone fossero un presagio divino.
Difatti proprio in quel luogo e in quel tempo il cantore e adoratore di Dio, librandosi sulle ali della contemplazione, avrebbe raggiunto le altezze supreme della contemplazione per l'apparizione del Serafino.
[1159] 11. Gli abitanti di Greccio, quando egli dimorava in quell'eremo, venivano vessati da molteplici malanni: branchi di lupi rapaci divoravano non soltanto gli animali, ma anche delle persone; la grandine regolarmente ogni anno devastava campi e vigne.
A quella gente così sfortunata l'araldo del santo Vangelo disse, perciò, durante una predica: " A onore lode di Dio onnipotente, mi faccio garante davanti a voi che tutti questi flagelli scompariranno, se mi presterete fede e se avrete compassione di voi stessi, cioè se, dopo una confessione sincera, vi metterete a fare degni frutti di penitenza ".
" Però vi predíco anche questo: se sarete ingrati verso i benefici di Dio e ritornerete al vomito, il flagello si rinnoverà, si raddoppierà la pena e infierirà su di voi un'ira più terribile ".
Alla sua esortazione, gli abitanti fecero penitenza - e da allora cessarono le stragi, si dispersero i pericoli, lupi e grandine non fecero più danni.
Anzi, fatto ancor più notevole, se capitava che la grandine cadesse sui campi confinanti, come si avvicinava al loro territorio là si arrestava oppure deviava in altra direzione.
Osservò la grandine, osservarono i lupi la convenzione fatta col servo di Dio né più osarono violare le leggi della pietà, infierendo contro uomini che alla pietà si erano convertiti, ma solo fino a quando costoro restarono fedeli ai patti promessi e non trasgredirono, da empi, le piissime leggi di Dio.
[1160] Dobbiamo, dunque, considerare con pio affetto la pietà di quest'uomo beato, che fu così meravigliosamente soave e potente da domare gli animali feroci, addomesticare quelli selvatici, ammaestrare quelli mansueti, indurre all'obbedienza i bruti, divenuti ribelli all'uomo dal tempo della prima caduta.
Questa è veramente la pietà che, stringendo in un solo patto d'amore tutte le creature, è utile a tutto, avendo la promessa della vita presente e della futura.
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