Legenda Maior |
[1315] 1. Dalle parti di Poitiers, in un villaggio chiamato Le Simon, un sacerdote di nome Reginaldo aveva ordinato ai suoi parrocchiani di celebrare solennemente la festa di san Francesco, per il quale aveva molta devozione.
Ma un popolano, che non conosceva la potenza del Santo, non tenne conto dell'ordine del suo parroco.
Uscito fuori nel campo per far legna, mentre si accingeva al lavoro, udi per tre volte una voce che gli diceva: " E festa: non si può lavorare ".
Quel servo temerario, che non aveva ascoltato il comando del sacerdote, non si lasciò impressionare neppure dalla voce del cielo.
Ma la potenza di Dio, a gloria del suo Santo, intervenne senza indugio con un miracolo, che fu anche un castigo.
Il contadino aveva già alzato con una mano la scure per dar inizio al lavoro, mentre con l'altra teneva la forcella: ma ecco che per intervento divino, ognuna delle mani gli rimase attaccata all'arnese che impugnava e le dita gli si irrigidirono in modo tale che non riusciva più a staccarle.
Stupefatto, non sapendo che fare, corse alla chiesa, mentre molti accorrevano da ogni parte per vedere il prodigio.
Con il cuore contrito, si inginocchiò davanti all'altare; poi, per suggerimento di uno tra i molti sacerdoti là invitati per la festa, fece umilmente a san Francesco tre voti, come tre volte aveva sentito la voce del cielo: di celebrare con onore la sua festa; di venire, nel giorno della festa, in quella chiesa in cui ora si trovava e di andare in pellegrinaggio al sepolcro del Santo.
Prodigio stupendo da raccontare: formulato un voto, rimase libero un primo dito; pronunciando il secondo, si sciolse l'altro, ma, emesso il terzo voto, non si staccò solo il terzo dito, ma tutta quanta la mano.
Così pure avvenne, successivamente, per l'altra mano.
Intanto la gente, ormai accorsa in gran numero, implorava con molta devozione la clemenza del Santo.
L'uomo, riacquistato il libero uso delle mani, depose da se stesso i suoi attrezzi mentre la folla lodava Dio per la meravigliosa potenza dei Santo, che tanto meravigliosamente poteva colpire e risanare.
A ricordo del fatto, sul luogo stesso fu costruito un altare in onore di san Francesco e davanti all'altare furono appesi quei famosi attrezzi, che anche oggi si possono vedere.
Molti altri miracoli furono compiuti là e nei dintorni, quasi per dimostrare che il Santo regna glorioso nei cieli e che qui in terra si deve celebrare col debito onore la sua festa.
[1316] 2. Nella città di Le Mans, una donna che, nel giorno della solennità di san Francesco, si era messa a lavorare stendendo la mano alla conocchia e le dita a stringere il fuso, sentì le mani irrigidirsi e un gran bruciore alle dita.
Quel castigo fu per lei come una lezione.
Riconobbe la potenza del Santo e, tutta pentita, corse dai frati: mentre i figli devoti supplicavano la bontà del padre santo, la donna venne risanata.
Sulle sue mani non rimase alcuna lesione, salvo una traccia di bruciatura, come per ricordarle quant'era accaduto.
[1317] In maniera simile tre altre donne ( una nella Campania Felice, una a Valladolid e una nel paese di Piglio ), che, per loro prevaricazione, si rifiutavano di celebrare la festa del Santo, furono dapprima castigate; ma, poi, pentite, ancor più mirabilmente vennero guarite per l'intercessione del Santo.
[1318] 3. Un cavaliere di Borgo, in provincia di Massa, denigrava con estrema sfacciataggine le opere e i miracoli del beato Francesco.
Insultava e ingiuriava i pellegrini che si recavano a venerare il suo sepolcro e, nella sua frenesia, si scagliava pubblicamente contro i frati.
Una volta quel peccatore ostinato, per contestare la gloria del Santo di Dio, uscì in quest'esecrabile bestemmia: " Se codesto Francesco è davvero un santo, che io muoia oggi stesso d'un colpo di spada; se, invece, non è un santo, che io resti incolume ".
L'ira di Dio non tardò a colpire col giusto supplizio colui che ormai aveva trasformato la sua preghiera in colpa.
Infatti di lì a poco, suo nipote, sentendosi ingiuriare da quel bestemmiatore, sguainò la spada e gliela immerse nel ventre.
In quel giorno stesso lo scellerato morì e divenne preda dell'inferno, figlio delle tenebre: perché tutti imparassero a non contrastare con espressioni blasfeme gli stupendi prodigi di Francesco e a celebrarli con debite lodi.
[1319] 4. Un giudice di nome Alessandro, mentre si dava da fare, con la sua lingua avvelenata, per distogliere quanti più poteva dalla devozione al beato Francesco, per giudizio divino perdette l'uso della parola.
Vedendo che la punizione lo aveva colpito proprio in quella lingua con la quale aveva peccato, provò gran pentimento e dolore d'aver inveito come un cane rabbioso contro i miracoli del Santo.
Perciò il Santo misericordioso placò il proprio sdegno e riaccordò la propria benevolenza al povero pentito, che umilmente lo invocava, e gli restituì l'uso della parola.
Da allora il giudice, ammaestrato e reso devoto dal castigo, consacrò la sua lingua, non più a denigrare il Santo, ma a celebrarne la gloria.
Indice |