Leggenda perugina |
47. Una notte che non riusciva a dormire per i dolori, preso da compassione e pietà, disse ai compagni: « Carissimi fratelli e figli miei, non abbiate fastidio e pena nell'assistermi in questa malattia.
Il Signore vi renderà in questo mondo e nell'altro il frutto delle fatiche che avete durato per me, suo servo.
Egli vi rimeriterà anche di quello che vi tocca tralasciare per accudire a me.
Anzi, per questo servizio che mi rendete, riceverete una ricompensa maggiore di quella data a chi si impegna per il bene di tutto l'Ordine.
Ditemi: - Noi facciamo delle spese per te, ma al tuo posto sarà Dio il nostro debitore! - ».
Così parlava il padre santo, allo scopo di incoraggiare e stimolare la fiacchezza e debolezza di spirito dei compagni, affinché, provati dalla stanchezza, non avessero a dire: « Ecco, non riusciamo più a pregare e nemmeno a sopportare questa fatica! ».
E presi da scoramento e noia, non perdessero il merito di quella fatica.
48. Un giorno arrivò il medico, portando il ferro con cui eseguiva le cauterizzazioni per il male d'occhi.
Per arroventarlo fece accendere il fuoco e ve lo mise dentro.
Intanto Francesco, allo scopo di irrobustire il suo spirito contro la paura, parlò al fuoco: « Fratello mio Fuoco nobile e utile fra le creature dell'Altissimo, sii cortese con me in quest'ora.
Io ti ho sempre amato, e ancor più ti amerò, per amore di quel Signore che ti ha creato.
E prego il nostro Creatore che temperi il tuo ardore, in modo che io possa sopportarlo ».
Finita l'orazione, tracciò sul fuoco il segno della croce.
Noi che eravamo con lui fuggimmo, tutti, sopraffatti dalla emozione e dalla pietà; restò con lui soltanto il medico.
Dopo eseguito l'intervento, tornammo da lui, che ci disse: « Paurosi e uomini di poca fede, perché siete scappati?
In verità vi dico che non ho provato nessun dolore nemmeno il calore del ferro infuocato.
Anzi, se non sono cotto bene, mi si cuoccia meglio ».
L'oculista restò trasecolato, e tenne la cosa per grande miracolo, poiché Francesco, durante l'operazione, non si era neanche mosso.
E commentò: « Fratelli, vi dico che non solo costui, che è così debole e malato, ma temerei che una bruciatura simile non riuscirebbe a sopportarla neppure un uomo vigoroso e sano, come già ho sperimentato in alcuni casi ».
La cauterizzazione in effetti era stata lunga, cominciando da presso l'orecchio fino al sopracciglio, per arrestare il copioso umore che giorno e notte da molti anni scendeva agli occhi.
Perciò fu necessario, a parere di quel medico incidere tutte le vene, dall'orecchio al sopracciglio.
Altri sanitari erano invece dell'idea che tale intervento fosse controindicato; e fu vero, poiché l'operazione non giovò a nulla.
Un altro medico gli perforò entrambi gli orecchi, ma ugualmente senza risultato.
49. Non deve stupire che il fuoco e le altre creature talvolta lo onorassero.
Come abbiamo visto noi, vissuti con lui, Francesco aveva un grande affettuoso amore e rispetto per esse, e gli procuravano tanta gioia.
Dimostrava a tutte le creature così spontanea pietà e comprensione che quando taluno le trattava senza riguardi, egli ne soffriva.
Parlava con esse con così grande letizia, intima ed esteriore come ad esseri dotati di sentimento, intelligenza e parola verso Dio, che molto spesso, in quei momenti, egli era rapito nella contemplazione di Dio.
Una volta che stava seduto presso il fuoco, questo si attaccò ai suoi panni di lino lungo la gamba, senza che Francesco se ne avvedesse.
Cominciò a sentirne il calore, ma il compagno, notando che i panni bruciavano, corse per spegnere il fuoco.
Gli disse il Santo: « Carissimo fratello, non far male a fratello Fuoco! », e non gli permetteva in alcun modo di spegnerlo.
Allora quello si precipitò dal frate « guardiano » di Francesco e lo condusse da lui.
E così, contro la volontà del Santo, il fuoco fu estinto.
Non voleva mai spegnere la candela, la lampada o il fuoco, come si suol fare quando occorre: tanta era la pietà e affettuosità che portava a questa creatura.
Nemmeno voleva che un frate gettasse via il fuoco o i tizzi fumiganti, come si fa d'abitudine; ma raccomandava che si ponesse delicatamente per terra, in reverenza di Colui che lo ha creato.
50. Mentre faceva la quaresima sul monte della Verna, un giorno, all'ora della refezione, uno dei suoi compagni accese il fuoco nella cella in cui Francesco veniva per mangiare.
Acceso che fu andò nella celletta dove il Santo usava pregare e riposarsi per leggergli il brano di Vangelo assegnato alla Messa di quel giorno.
Infatti, Francesco, prima del pasto, voleva sempre ascoltare il Vangelo del giorno, quando non aveva potuto partecipare alla Messa.
Quando arrivò per prendere cibo nella cella dov'era stato acceso il fuoco, già le fiamme erano salite al tetto e lo stavano bruciando.
Il compagno cercava di spegnere l'incendio, ma da solo non riusciva; Francesco non voleva aiutarlo, anzi prese una pelle con cui si copriva di notte, e si addentrò nella selva.
Intanto i frati del luogo, sebbene dimoranti lontano da quella celletta costruita fuori mano, accorgendosi che stava bruciando, accorsero ed estinsero l'incendio.
Francesco tornò più tardi per mangiare.
Dopo il pasto disse al compagno: « Non voglio più stendere su di me questa pelle, poiché, per colpa della mia avarizia, non ho concesso a fratello Fuoco di divorarla ».
51. Quando si lavava le mani, sceglieva un posto dove l'acqua non venisse pestata con i piedi.
E se gli toccava camminare sulle pietre, si moveva con delicatezza e riguardo, per amore di Colui che è chiamato "Pietra".
Allorché recitava il versetto del salmo: Sulla pietra mi hai innalzato, lo trasformava per devozione e reverenza così: « Sotto i piedi della pietra mi hai innalzato ».
Al frate che andava a tagliare la legna per il fuoco, raccomandava di non troncare interamente l'albero, ma di lasciarne una parte.
Diede quest'ordine anche a un fratello del luogo dove egli soggiornava.
Diceva al frate incaricato dell'orto, di non coltivare erbaggi commestibili in tutto il terreno, ma di lasciare uno spiazzo libero di produrre erbe verdeggianti, che alla stagione propizia producessero i fratelli fiori.
Consigliava all'ortolano di adattare a giardino una parte dell'orto, dove seminare e trapiantare ogni sorta di erbe odorose e di piante che producono bei fiori, affinché nel tempo della fioritura invitino tutti quelli che le guardano a lodare Dio, poiché ogni creatura sussurra e dice: « Dio mi ha fatta per te, o uomo ».
Noi che siamo vissuti con lui, lo abbiamo visto sempre dilettarsi intimamente ed esteriormente di quasi ogni creatura: le toccava, le guardava con gioia, così che il suo spirito pareva muoversi in cielo, non sulla terra.
[1601] Questo è evidente e vero, che cioè Francesco ricevette molte consolazioni dalle creature di Dio.
Infatti, poco prima della morte, egli compose le Laudi del Signore per le sue creature, allo scopo d'incitare il cuore degli ascoltatori alla lode di Dio, e perché il Creatore sia esaltato nelle sue creature.
52. In quello stesso torno di tempo, una donna poverella di Machilone venne a Rieti per farsi curare gli occhi.
E un giorno che il medico si recò da Francesco, ebbe a riferirgli: « Fratello, è venuta da me una donna malata agli occhi; ma è talmente povera, che mi tocca curarla per amor di Dio, e pagarle io le spese ».
Al sentire questo, Francesco fu preso da compassione per quella infelice e, chiamato a sé uno dei compagni, precisamente il suo "guardiano", gli disse: « Frate guardiano, dobbiamo restituire la roba d'altri ».
Quello osservò: « E quale sarebbe, fratello? ».
Replicò il Santo: « Questo mantello che abbiamo preso in prestito da quella donna poverella e malata d'occhi: dobbiamo renderglielo ».
Concluse il guardiano: « Fratello, fai pure quello che ti par meglio ».
Allora Francesco, tutto felice, fa venire un uomo spirituale, con cui era in intimità, e gli dice: « Prendi questo mantello e dodici pani, va' e dirai a quella donna povera e inferma, che l'oculista ti indicherà: "Il povero, al quale tu hai prestato questo mantello, ti ringrazia di cuore del prestito fatto.
E adesso, riprendi quello che ti appartiene" ».
L'amico andò e disse alla donna le parole suggeritegli da Francesco.
Quella però, non riuscendo a raccapezzarsi, presa da sospetto e disagio, rispose: « Lasciami in pace. Non so cosa stai dicendo ».
Ma quello le mise in mano il mantello con i dodici pani.
La donna, constatando che diceva sul serio, prese il dono tra preoccupata e felice.
E, temendo non gli venisse tolto, si alzò nascostamente di notte e tornò tutta contenta a casa sua.
Francesco aveva incaricato il suo guardiano di pagare le spese della povera malata ogni giorno, finché fosse rimasta a Rieti.
Noi che siamo vissuti con lui, possiamo testimoniare che Francesco, sano o infermo che fosse, traboccava di amore e tenerezza non solo verso i suoi frati, ma verso tutti i poveri, tanto in buona salute che ammalati.
Si privava del necessario, che i fratelli gli procuravano con sollecitudine e affetto, - non senza mostrarsi carezzevole con noi, affinché non ne rimanessimo male, - per offrirlo con molta gioia agli altri, sottraendo al proprio corpo anche ciò che gli era indispensabile.
Per ovviare a questo, il ministro generale e il suo guardiano gli avevano comandato di non cedere la tonaca ad alcun frate senza il loro permesso.
In effetti, sospinti da devozione verso Francesco, i frati talvolta gliela chiedevano, e lui la regalava immediatamente.
Talora lui stesso, vedendo qualche frate malaticcio o malvestito, gli dava la propria tonaca, magari dividendola, e parte donando, parte tenendo per sé. Infatti non indossava e non voleva avere a disposizione che una tonaca sola.
53. Una volta che percorreva una regione predicando, accadde che due frati francesi gli si fecero incontro, traendone una profonda consolazione.
Al momento del commiato, gli chiesero, spinti da devozione, la sua tonaca per amore di Dio.
E Francesco, appena ebbe udito invocare l'amore di Dio, si tolse il saio, e rimase nudo per qualche ora.
Era infatti suo costume, quando gli si diceva: « Per amore di Dio, dammi la tonaca o la corda » o altro ch'egli portava, di donarlo immediatamente per riverenza a quel Signore che è chiamato: "carità".
Ma gli dispiaceva tanto, e ne faceva rimprovero ai frati allorché udiva nominare l'amor di Dio per ogni sciocchezza.
Diceva: « Così sublime è l'amor di Dio, che solo raramente e in caso di gran necessità deve esser nominato, e sempre con molta venerazione ».
Quella volta, uno dei frati presenti, si spogliò della propria tonaca e la diede al Santo.
Molto spesso si trovava a sopportare disagio e imbarazzo, quando regalava la sua tonaca per intero o in parte.
Non era infatti facile trovare, da un momento all'altro, un'altra tonaca o farsela confezionare, soprattutto perché voleva avere e indossare sempre una misera tonaca, fatta di pezze cucite insieme, e talvolta rappezzata dentro e fuori.
Solo raramente o mai si adattava a ricevere e portare un saio di panno nuovo.
Preferiva procurarsi da qualche fratello una tonaca già logora per l'uso; e alle volte ricevere parte della tonaca da uno, parte da un altro.
All'interno del saio, a cagione delle sue molte infermità e perché soffriva tanto il freddo, cuciva talora una pezza di panno nuovo.
Egli osservò questa pratica di povertà nelle vesti fino all'anno in cui migrò al Signore.
Pochi giorni prima della morte, com'era sofferente di idropisia e ridotto a pelle e ossa, oltre che tormentato da altre infermità, i frati gli confezionarono più tonache, per potergliele mutare notte e giorno secondo ne avesse bisogno.
54. Un'altra volta un mendicante miseramente vestito giunse ad un eremo di frati, e chiese loro per amor di Dio qualche pezza.
Francesco disse a un fratello di cercare nella casa qualche panno o stoffa da regalare a quel povero.
Quello perlustrò la dimora e tornò dicendo di non aver trovato nulla.
Affinché il mendico non dovesse ripartire a mani vuote, Francesco si recò in disparte, cercando di non farsi notare nel timore che il guardiano glielo proibisse, prese un coltello, si mise seduto e cominciò a tagliare una pezza che stava cucita all'interno della tonaca, con l'intenzione di darla segretamente al povero.
Ma il guardiano, che aveva intuito in un baleno cosa stava per fare il Santo, venne da lui e gli vietò di staccare quel panno, soprattutto perché il tempo era assai rigido e Francesco era malato e molto sensibile al freddo.
Rispose il Santo: « Se vuoi che non gliela dia, è indispensabile che tu faccia regalare una pezza al fratello povero ».
Così i frati, incitati da Francesco, donarono a colui un po' di stoffa tolta alle loro vesti.
Talora i frati gl'imprestavano un mantello, quando andava per il mondo a predicare, a piedi o in groppa a un asino.
Bisogna sapere che Francesco, dal momento che cominciò a non star bene, non riusciva più a fare la strada a piedi, e perciò gli era necessario servirsi di un asino.
Non volle il cavallo, tranne in casi di stretta e grave necessità; e vi si arrese solo poco innanzi la sua morte, allorché il suo stato di salute ormai precipitava.
Non voleva accettare il mantello, se non a condizione di poterlo regalare a qualche povero che incontrava o che veniva da lui, e lo Spirito gli faceva capire che del mantello aveva vero bisogno.
55 Nei primordi dell'Ordine, quando Francesco abitava presso Rivotorto con i due soli fratelli che aveva allora, un uomo, che sarebbe stato il terzo compagno, abbandonò il mondo per abbracciare la nuova vita.
Restò alcuni giorni in quel luogo, seguitando a indossare i suoi vestiti consueti.
Si presentò un povero a chiedere l'elemosina a Francesco.
Questi si rivolse a colui che stava per diventare il terzo fratello: « Dona il tuo mantello al fratello povero! ».
E lui all'istante se lo tolse di dosso e glielo diede.
Sentì allora che il Signore gli comunicava in cuore d'improvviso come una nuova grazia, poiché aveva donato con gioia il mantello al povero.
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