Leggenda perugina |
109. Nella settimana in cui Francesco passò da questa vita, Chiara, - prima pianticella dell'Ordine delle sorelle e badessa delle Sorelle Povere del monastero di San Damiano in Assisi, emula di Francesco nel conservare intatta la povertà del Figlio di Dio, - era anch'essa gravemente inferma.
E temeva di spegnersi prima del Santo.
Affranta, ella piangeva e non riusciva a darsi pace pensando che non avrebbe più visto Francesco, suo unico padre dopo Dio, lui che la confortava nello spirito e nel corpo, che l'aveva fondata per primo nella grazia del Signore.
E tramite un frate, Chiara fece conoscere a Francesco questa sua ansietà.
Il Santo, informato della cosa, ne fu tutto commosso, perché amava Chiara e le sue sorelle con amore di padre, per la vita santa che conducevano e soprattutto perché, con l'aiuto del Signore, era stato lui a convertirla a Dio con i suoi consigli pochi anni dopo l'arrivo dei primi frati.
La conversione di Chiara aveva procurato molta edificazione non solo alla comunità dei frati ma alla intera Chiesa di Dio.
Francesco, sapendo che non poteva esaudire in quel momento il desiderio ch'ella aveva espresso di vederlo, per essere entrambi gravemente malati, le mandò in scritto la sua benedizione al fine di confortarla; la assolse altresì da tutte le eventuali mancanze alle direttive e volontà di lui e inadempienze agli ordini e voleri del Figlio di Dio.
Inoltre, onde sollevarla da ogni tristezza e consolarla nel Signore, Francesco, o meglio lo Spirito di Dio che parlava in lui disse al frate inviatogli da lei: « Va' e porta questa lettera a donna Chiara.
Le dirai che lasci cadere ogni angoscia e mestizia causata dal fatto che adesso non può vedermi.
Sappia in verità che, prima del suo trapasso, tanto lei che le sue sorelle mi vedranno ancora e ne trarranno la più grande consolazione ».
[1668] Poco tempo appresso Francesco, durante la notte passò da questa vita.
Allo spuntar del mattino venne l'intera popolazione di Assisi, uomini e donne con tutto il clero tolsero la salma venerata dal luogo della Porziuncola e tra inni e cantici, ognuno recando in mano una fronda di albero, portarono quel corpo santo, per disposizione divina fino a San Damiano.
Così fu compiuta la predizione fatta dal Signore per bocca di Francesco, a conforto delle sue figlie e ancelle.
Fu levata via la grata di ferro dalla finestra attraverso cui le monache ricevono la comunione o, talora, ascoltano la parola di Dio.
I frati alzarono la salma di Francesco dalla lettiga e la tennero a lungo sulle loro braccia accanto alla finestra, così che donna Chiara e le sue sorelle ne provarono una consolazione profonda, sebbene fossero tutte in pianto e afflitte dal cordoglio, poiché Francesco era stato per loro, dopo Dio, l'unica consolazione a questo mondo.
110. Il sabato sera, dopo i vespri, prima che cadesse la notte, Francesco migrò al Signore, e uno stormo di allodole prese a volare a bassa quota sopra il tetto della casa dove giaceva il Santo, e volando giravano in cerchio cantando.
Noi che siamo vissuti con Francesco e che abbiamo scritto questi ricordi, attestiamo di averlo sentito dire a più riprese: « Se avrò occasione di parlare con l'imperatore, lo supplicherò che per amore di Dio e per istanza mia emani un editto, al fine che nessuno catturi le sorelle allodole o faccia loro del danno.
E inoltre, che tutti i podestà delle città e i signori dei castelli e dei villaggi siano tenuti ogni anno, il giorno della Natività del Signore, a incitare la gente che getti frumento e altre granaglie sulle strade, fuori delle città e dei paesi, in modo che in un giorno tanto solenne gli uccelli, soprattutto le allodole, abbiano di che mangiare.
Dia ordine inoltre l'imperatore, per riverenza al Figlio di Dio, posto a giacere quella notte dalla beata Vergine Maria nella mangiatoia tra il bove e l'asino, che a Natale si dia da mangiare in abbondanza ai fratelli buoi e asinelli.
E ancora, in quella festività, i poveri vengano ben provvisti di cibo dai benestanti ».
Francesco aveva per il Natale del Signore più devozione che per qualunque altra festività dell'anno.
Invero, benché il Signore abbia operato la nostra salvezza nelle altre solennità, diceva il Santo che fu dal giorno della sua nascita che egli si impegnò a salvarci.
E voleva che a Natale ogni cristiano esultasse nel Signore e per amore di lui, il quale ha dato a noi tutto se stesso, fosse gioiosamente generoso non solo con i bisognosi, ma anche con gli animali e gli uccelli.
Diceva ancora dell'allodola: « La sorella allodola ha il cappuccio come i religiosi.
Ed è un umile uccello che va volentieri per le vie in cerca di qualche chicco.
Se anche lo trova nel letame, lo tira fuori e lo mangia.
E volando loda il Signore, proprio come i buoni religiosi che, avendo in spregio le cose mondane, vivono già in cielo.
La veste dell'allodola, il suo piumaggio cioè, è color terra.
Così essa dà esempio ai religiosi a non cercare abiti eleganti e fini, ma di tinta smorta, come la terra ».
Mirando questi pregi nelle sorelle allodole, Francesco le amava molto e le guardava con gioia.
111. Francesco ripeteva spesso ai fratelli: « Non sono mai stato ladro.
Voglio dire che delle elemosine, le quali sono l'eredità dei poveri, ho preso sempre meno di quanto mi bisognasse, allo scopo di non intaccare la parte dovuta agli altri poveri.
Fare diversamente sarebbe rubare ».
112. I frati ministri cercavano di convincere Francesco a permettere che si possedesse qualcosa, almeno comunitariamente, in maniera che un numero così grande di religiosi avesse una riserva cui attingere.
Raccoltosi in preghiera, il Santo chiamò Cristo e lo consultò su questo punto.
E immediatamente il Signore gli diede la sua risposta: non ci doveva essere proprietà alcuna né personale né comunitaria.
Questa era la sua famiglia, disse, alla quale lui avrebbe immancabilmente provveduto per quanto numerosa fosse, e sempre avrebbe avuto cura di essa finché la fraternità avesse nutrito fiducia in Lui.
113. Dimorava Francesco sopra un monte assieme a frate Leone d'Assisi e Bonizo da Bologna per comporre la Regola, giacché era andato smarrito il testo della prima, dettatogli da Cristo.
Numerosi ministri si recarono da frate Elia, vicario di Francesco, e gli dissero: « Abbiamo sentito che questo fratello Francesco sta facendo una nuova Regola, e temiamo non la renda così dura da riuscire inosservabile.
Noi vogliamo che tu vada da lui e gli riferisca che ci rifiutiamo di assoggettarci a tale Regola.
Se la scriva per sé, e non per noi ».
Frate Elia osservò che non aveva coraggio di andarci, per paura dei rimproveri di Francesco.
Ma siccome quelli insistevano, ribatté che non intendeva recarsi là senza di loro.
Così partirono tutti insieme.
Quando frate Elia, accompagnato dai ministri fu giunto a Fonte Colombo, chiamò il Santo.
Francesco uscì e vedendo i ministri chiese: « Cosa vogliono questi fratelli? ».
Rispose Elia: « Sono dei ministri.
Venuti a sapere che stai facendo una nuova Regola e temendo non sia troppo aspra, dicono e protestano che non intendono esservi obbligati.
Scrivila per te, e non per loro ».
Francesco levò la faccia al cielo e parlò a Cristo: « Signore, non lo dicevo che non ti avrebbero creduto? ».
E subito si udì nell'aria la voce di Cristo: « Francesco, nulla di tuo è nella Regola, ma ogni prescrizione che vi si contiene è mia.
E voglio sia osservata alla lettera, alla lettera, alla lettera! senza commenti, senza commenti, senza commenti ».
Aggiunse: « So ben io quanto può la debolezza umana, e quanto può la mia grazia.
Quelli dunque che non vogliono osservare la Regola, escano dall'Ordine! ».
Si volse allora Francesco a quei frati e disse: « Avete sentito? avete sentito? Volete che ve lo faccia ripetere? ».
E così i ministri se ne tornarono scornati e riconoscendosi in colpa.
114. Mentre Francesco era al Capitolo generale, detto delle Stuoie, che si tenne presso la Porziuncola e a cui intervennero cinquemila fratelli, molti di questi, uomini di cultura, accostarono il cardinale Ugolino, il futuro Gregorio IX, che a sua volta partecipava all'assise capitolare.
E gli chiesero che persuadesse Francesco a seguire i consigli dei frati dotti e a lasciarsi qualche volta guidare da loro.
Facevano riferimento alle Regole di san Benedetto, sant'Agostino e san Bernardo, che prescrivono questa e quest'altra norma al fine di condurre una vita religiosa ben ordinata.
Udita che ebbe Francesco l'esortazione del cardinale su tale argomento, lo prese per mano e lo condusse davanti all'assemblea capitolare, dove disse: « Fratelli, fratelli miei, Dio mi ha chiamato a camminare la via della semplicità e me l'ha mostrata.
Non voglio quindi che mi nominiate altre Regole, né quella di sant'Agostino, né quella di san Bernardo o di san Benedetto.
Il Signore mi ha rivelato essere suo volere che io fossi un pazzo nel mondo: questa è la scienza alla quale Dio vuole che ci dedichiamo!
Egli vi confonderà per mezzo della vostra stessa scienza e sapienza.
Io ho fiducia nei castaldi del Signore, di cui si servirà per punirvi.
Allora, volenti o nolenti, farete ritorno con gran vergogna alla vostra vocazione ».
Stupì il cardinale a queste parole e non disse nulla, e tutti i frati furono pervasi da timore.
115. Dissero una volta alcuni frati a Francesco: « Padre, non vedi che i vescovi non ci permettono talora di predicare, obbligandoci a rimaner più giorni sfaccendati in certe città, prima che possiamo parlare al popolo?
Sarebbe più conveniente che tu ci ottenessi un privilegio dal signor Papa, a vantaggio della salvezza delle anime ».
Francesco rispose con tono contrariato: « Voi, frati minori, non conoscete la volontà di Dio e non mi permettete di convertire tutto il mondo nel modo voluto da Dio.
Infatti, io intendo innanzi tutto convertire i prelati con l'umiltà e il rispetto.
E quando essi constateranno la nostra vita santa e la reverenza di cui li circondiamo saranno loro stessi a pregarvi di predicare e convertire il popolo.
E attireranno a voi la gente meglio dei privilegi da voi agognati, che vi indurrebbero a insuperbire.
Se sarete liberi da ogni tornaconto e persuaderete il popolo a rispettare i diritti delle chiese, i prelati vi chiederanno di ascoltare le confessioni dei loro fedeli.
Oltre tutto, di questo non vi dovete preoccupare: quelli che si convertono trovano senza difficoltà dei confessori.
Io voglio per me questo privilegio dal Signore: non avere nessun privilegio dagli uomini, fuorché quello di essere rispettoso con tutti e di convertire la gente più con l'esempio che con le parole, conforme all'ideale della Regola ».
116. Disse una volta il Signore Gesù Cristo a frate Leone compagno di Francesco: « Io ho di che lamentarmi, riguardo ai frati ».
Rispose Leone: « A motivo di che, Signore? ».
Rispose: « Su tre punti.
Primo, perché non sono riconoscenti per i benefici che, come tu sai, ogni giorno io largisco loro generosamente, dando ad essi il necessario, sebbene non seminino e non mietano.
Secondo, perché passano tutta la giornata in ozio a brontolare.
Terzo, perché spesso si adirano vicendevolmente e non tornano a volersi bene, perdonando l'ingiuria ricevuta ».
117. Una notte Francesco fu talmente colpito dal rincrudire delle sofferenze provocate dalle sue malattie che gli riuscì quasi impossibile riposare e dormire.
Al mattino, come i dolori si attenuarono un poco, fece chiamare tutti i frati dimoranti in quel luogo.
Seduti che furono accanto a lui, il Santo li considerò come rappresentanti di tutta la fraternità.
E cominciando da uno di essi, li benediceva, posando la destra sul capo di ciascuno, con l'intenzione di benedire tutti quelli che vivevano allora nell'Ordine e quanti vi sarebbero venuti sino alla fine del mondo.
E lo si vedeva tutto accorato di non poter mirare i suoi figli e fratelli prima di morire.
Si fece poi recare dei pani e li benedisse.
Siccome a causa della sua infermità non aveva la forza per spezzarli, li fece dividere in molte parti da un fratello, e ne diede un frammento a ciascuno, raccomandando che venisse consumato interamente.
Come il Signore il giovedì santo volle cenare con gli apostoli prima della sua passione, così anche Francesco, parve a quei fratelli, prima di morire volle benedirli e nelle loro persone benedire tutti gli altri, e mangiare quel pane benedetto quasi in compagnia di tutti gli assenti.
Noi possiamo ben credere a questa intenzione, poiché, sebbene quel giorno non fosse un giovedì, il Santo disse ai frati che invece pensava proprio lo fosse.
Uno di quei frati conservò una particella di quel pane.
E dopo la morte di Francesco alcuni infermi che ne ebbero mangiato, tosto furono guariti.
Fine della Leggenda perugina
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