Albigese/i
1) agg. Di Albi, in Francia
s.m. e f. Seguace dell'eresia catara diffusa nella regione francese della Linguadoca e in partic. nel territorio di Albi, nei secc. XII e XIII
Eretici medievali ( secc. XII-XIII ) il cui nome deriva da Albi, città della Francia meridionale che insieme a Tolosa fu il centro della loro attività.
Gli albigesi furono una diramazione dell'eresia dei catari ( v. ); papa Innocenze III bandì contro di loro una crociata ( 1208-29 ).
La redenzione veniva intesa come una liberazione dell'anima dalla carne.
Ritenevano cattiva la materia e perciò respingevano l'incarnazione di Cristo, i sacramenti e la risurrezione dei corpi.
Gli aderenti di questa eresia si dividevano in perfetti, che non si sposavano e conducevano una vita quanto mai austera, e credenti ordinari che vivevano una vita normale fino a quando non erano in pericolo di morte.
Nel 1215, l'eresia fu condannata nel Concilio Lateranense IV
Con questo nome sono designati comunemente, dalla città di Albi, gruppi di eretici, affini ai catari, del mezzodì della Francia; sebbene più esattamente si sarebbero dovuti designare dalla città di Tolosa, dove erano più numerosi e potenti.
Come i catari, gli albigesi ammettevano la teoria, d'origine manichea, dell'opposizione tra due principi, il bene e il male, esistenti fin dall'inizio.
Negavano la divinità e l'umanità di Cristo, attribuendogli una natura angelica, operante con un corpo apparente e l'ufficio non di vero redentore, ma semplicemente di maestro.
Ripudiavano l'Antico Testamento, come i marcioniti ed i manichei, attribuendo la creazione del mondo a un essere malvagio, e odiavano la chiesa cattolica, come semplice continuazione della sinagoga e perché corrottasi con la donazione di Costantino; ad essa volevano sostituita la loro setta.
Questa era composta di una doppia classe di persone: i perfetti e i semplici credenti.
I primi erano coloro che compiuta l'iniziazione ( consolamentum ), erano obbligati alla rigida disciplina della setta; i secondi erano coloro che, pur aderendo ai perfetti e sentendosi obbligati a onorarli e a provvedere ai loro bisogni, differivano l'iniziazione: dovevano però compierla prima di morire.
Quanto alla morale, in conseguenza di un dualismo antropologico parallelo alle loro dottrine cosmologiche, poiché la materia ( ossia il corpo ) era per essi essenzialmente malvagia, l'anima poteva trovare il suo bene solo nello sciogliersi del corpo.
Di qui l'ascetismo degli albigesi, che si lasciavano anche morir di fame ( endura ) per ottenere questa liberazione; ritenevano che, nel corpo, l'anima non potesse fare il bene; e condannavano anche il lavoro, il possedere beni terreni, il guerreggiare, il gustare carne d'animali, come azioni spregevoli.
Ancor più deprecabile era per essi, come per i manichei, l'atto coniugale, anche nelle forme lecite secondo la morale comune e il diritto; giacché, precisamente in quanto era rivolto alla propagazione della specie, esso perpetuava la prigionia degli elementi spirituali e buoni ( le anime ) nella materia essenzialmente malvagia ( i corpi ).
Perciò i perfetti si ritenevano obbligati alla continenza rigida, al digiuno, alla contemplazione; non si cibavano che d'olio, di pesce, d'erbe, di farina, di miele.
A tutto ciò non erano tenuti i semplici credenti, ai quali però, secondo fonti a loro avverse, i perfetti permettevano la vita scostumata in odio alla vita matrimoniale.
Coloro i quali non riuscivano in questa vita a mondarsi, dovevano compiere la loro purificazione attraverso altri corpi ed altre esistenze ( metempsicosi ).
Il Nuovo Testamento era accettato, ma commentato sempre in senso contrario alla tradizione cattolica; era tradotto da essi in volgare.
Oltre il consolamentum, che obbligava alla piena osservanza della morale catara e che veniva conferito, dopo un digiuno di tre giorni e altre penitenze, mediante l'imposizione delle mani e l'orazione domenicale, v'erano altri riti: il melioramentum, un omaggio speciale che i credenti rendevano ai perfetti nelle adunanze, e l'apparelhamentum, confessione pubblica e generica dei peccati in una funzione mensile accompaganata da penitenze e dal bacio di pace.
Naturalmente il culto dei santi e delle immagini, la pietà verso i morti e i sepolcri erano un abominio; proibito il giuramento ( perché Dio, posto in un'altezza impenetrabile, non può essere mescolato alle questioni terrene ), negato all'autorità il diritto di condannare a morte i rei e di far la guerra, anche se necessaria.
In fondo ( mentre si accusava la Chiesa d'aver tralignato, col distinguere una varietà di obblighi religiosi e con il possesso di beni terreni ) si riconosceva una società civile distinta dalla comunità dei perfetti.
Queste erano rette da capi, nominati sempre dai perfetti, che si chiamavano vescovi, assistiti ciascuno da due vicari e dai diaconi; di un capo supremo non si ha sicuro cenno nei documenti.
La propaganda attiva che conducevano i perfetti, passando di paese in paese, scagliandosi soprattutto contro la vita rilassata dei fedeli e dei chierici, i loro costumi austeri, il loro disinteresse personale, acquistarono agli albigesi largo credito.
Poiché i perfetti erano necessariamente pochi, e difficilmente il loro numero poteva crescere dato il tenore di vita che erano obbligati ad osservare, ebbero cura di preparare futuri perfetti, educando bambini e bambine, tolti per lo più ai cattolici, per renderli atti alla propaganda; e poiché anche le donne ricevevano il consolamentum, affinché vi si preparassero si istituirono per loro dei luoghi di ritiro, a modo di monasteri.
Furono sempre di un'intolleranza feroce contro la chiesa cattolica; con i cattolici era vietata, per quanto fosse possibile, ogni relazione, salvo che non fosse diretta a convertirli; anche la violenza si poteva usare, quando v'era speranza che riuscisse.
Mentre la Francia centrale e settentrionale fu poco inquinata dall'eresia, questa si diffuse invece largamente in tutta la Francia meridionale dalle Alpi ai Pirenei, sino dal sec. XI.
Quando i pontefici Gregorio IX e Innocenzo IV organizzarono il tribunale dell'Inquisizione, che fu subito istituito nella Francia, la lotta contro l'eresia fu affidata ad esso e condotta secondo le forme legali con molta energia; e con questo mezzo a mano a mano l'eresia stessa fu tolta di mezzo.
Molti eretici del resto preferirono emigrare soprattutto nell'Italia settentrionale, dove i loro correligionari erano numerosi.
Oltre ad occuparsi della riorganizzazione dello Stato Pontificio, papa Innocenzo III fece grandi sforzi per soffocare i movimenti eretici che avrebbero potuto costituire un grave pericolo per l’autorità papale.
I pontefici precedenti avevano già creato il Tribunale dell’Inquisizione, il cui scopo era di individuare gli eretici per consegnarli all’autorità del magistrato civile in modo da rendere esecutive le sentenze di condanna morte.
Innocenzo III rafforzò i poteri ed estese l’attività di questo Tribunale.
La repressione delle eresie incontrò un grave ostacolo nella Francia meridionale.
In questa parte della Francia erano diffusi i Càtari.
Riferendosi al Vangelo, in cui si afferma l’esistenza di un regno celeste che si oppone ad un regno materiale, i Catari rifiutavano i beni materiali e tutto quanto poteva essere considerato come espressioni della carne.
Per essi il re d'amore ( Dio ) e il re del male ( Rex mundi ) rivaleggiavano con la stessa dignità per dominare le anime umane.
Inoltre, essi accusavano la Chiesa cattolica di essere al servizio di Satana, perché corrotta e troppo attaccata ai beni materiali.
La nobiltà provenzale e della Linguadoca, sempre mal disposta nei confronti del Papato, accordava volentieri la sua protezione ai Catari, molto numerosi nella città di Albi.
Per questo motivo essi venivano chiamati Albigesi.
Per distruggerli, il papa indisse, allora, una crociata per cui, nel 1208, un gran numero di guerrieri si riversò in Provenza: la popolazione fu massacrata senza nemmeno fare distinzione fra eretici e cattolici.
La regione fu ridotta allo squallore più completo, mentre fino ad allora essa costituiva uno stato fra i più fiorenti d’Europa.
Le conseguenze della crociata furono gravi; infatti, la Provenza, devastata e resa povera, fini per perdere la propria autonomia politica, entrando sotto il dominio del re di Francia.
Fu Luigi IX che compì tale unificazione, estendendo così il dominio della corona francese dalla Manica al Mediterraneo.
Storia della Chiesa |
La situazione nel tardo medioevo |