Commento alla prima lettera di s. Giovanni |
Ricordate, fratelli, che ieri abbiamo chiuso il nostro discorso con il seguente passo dell'Epistola, che indubbiamente deve essere rimasto e deve rimanere ancora nel nostro cuore, perché fu proprio l'ultimo che avete ascoltato: "Figlioli, non amiamo soltanto con le parole e con la lingua, ma con le opere e la verità".
Poi prosegue: A questo segno conosciamo che siamo dalla verità e rassicureremo davanti a lui il nostro cuore: infatti, se il nostro cuore ci rimprovera qualcosa, Dio è più grande del nostro cuore e tutto conosce ( 1 Gv 3,18-20 ).
L'apostolo aveva detto: "Non amiamo con le parole soltanto e con la lingua, ma con le opere e la verità!".
Il problema è di sapere attraverso quali opere ed attraverso quali verità si riconosce colui che ama Dio ed il proprio fratello.
Già in precedenza aveva detto a quali altezze giunge la carità nella sua perfezione, e ciò che anche il Signore dice nel Vangelo: "Non c'è amore più grande di chi dà la propria vita per i suoi amici" ( Gv 15,13 ).
Anche Giovanni aveva detto la stessa cosa: "Come egli diede la propria vita per noi, così anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli" ( 1 Gv 3,16 ).
Questa è veramente la perfezione della carità; e non può essercene una maggiore.
Ma poiché la carità non è perfetta in tutti, colui che ancora non l'ha portata a perfezione, non deve disperare, se essa, destinata poi ad essere perfezionata, già è nata in lui.
Se è nata, va nutrita e portata alla sua perfezione con gli alimenti che le sono adatti.
Ci siamo domandati da dove trae origine la carità e subito nell'Epistola abbiamo trovato questa risposta: "Se uno possiede dei beni di questo mondo e vede il proprio fratello nel bisogno e gli chiude il cuore, come l'amore di Dio può essere in lui?" ( 1 Gv 3,16-17 ).
Da qui comincia dunque questa carità: dare all'indigente i beni superflui, quando costui si trova stretto dalle angustie; liberare il fratello dalle tribolazioni temporali, usando quei beni temporali di cui disponiamo in abbondanza.
Da qui comincia la carità. Se, così iniziata, la nutrirai con la parola di Dio e con la speranza della vita futura, raggiungerai la perfezione della carità che ti renderà pronto a dare la tua vita per i fratelli.
Ma considerando che un tale genere di atti sono compiuti anche da chi ha tutt'altre aspirazioni e non ama i fratelli, richiamiamoci alla testimonianza della coscienza.
Come provare che molte di queste azioni vengono compiute da coloro che non amano i fratelli?
Quanto sono numerosi quelli che, pur essendo tra gli eretici e gli scismatici, si dicono martiri!
Credono di dar la vita per i fratelli. Ma se dessero la vita per i fratelli, non si staccherebbero dalla universale comunità dei fratelli.
Inoltre, quanta gente, per ostentazione, non si dà a distribuire e a donare beni e ricchezze: ma in questo loro fare non cercano altro che la lode degli uomini e il plauso popolare fatto di vento, estremamente instabile!
Quale sarà il banco di prova della carità fraterna, dato che esistono persone simili?
Giovanni vuole che la carità sia sottoposta alla prova e perciò ammonisce: "Figlioli, non amiamo soltanto con la parola e con la lingua, ma con le opere e la verità".
Ma quali sono queste opere, in che consiste questa verità? Può esserci un'opera più evidentemente caritatevole del soccorrere i poveri?
Molti lo fanno per essere ammirati, non per amore.
Può esserci maggiore amore del morire per i fratelli? Molti vogliono far apparire che fanno questo, per l'ambizione di farsi un nome, non per viscere d'amore.
Non resta che questa conclusione: ama il fratello colui che, davanti a Dio, là dove soltanto penetra il suo sguardo, rassicura il suo cuore e si chiede nell'intimo se veramente è mosso ad agire così per amore del fratello; e quell'occhio che penetra nel cuore, là dove l'uomo non può giungere, gli rende testimonianza.
Per questo l'apostolo Paolo, poiché era pronto a morire per i fratelli, poteva dire: "Io darò tutto per le vostre anime" ( 2 Cor 12,15 ), ma poiché Dio solo vedeva queste disposizioni del suo cuore, non già gli uomini a cui si rivolgeva, egli dice loro: "Per me conta assai poco essere giudicato da voi o da un tribunale umano" ( 1 Cor 4,3 ).
Egli in un altro passo dimostra ancora che tali gesti clamorosi a volte nascono dalla vanagloria, non dal fondamento della carità: quando infatti fa l'elogio della carità afferma: "Se distribuissi ai poveri tutti i miei beni, e dessi il mio corpo alle fiamme, se non ho la carità, questo non mi giova a nulla" ( 1 Cor 13,3 ).
Può qualcuno fare queste cose, senza avere la carità? Sì, lo può.
Quanti non hanno la carità, hanno rotto l'unità: cercate fra loro e vedrete che molti di loro danno tanti dei loro beni ai poveri; vedrete altri pronti ad accettare la morte così che, poiché manca chi li perseguita, essi stessi fanaticamente la ricercano.
È fuori dubbio che questi tali agiscono senza carità.
Ritorniamo dunque alla coscienza, della quale dice l'Apostolo: "La nostra gloria è questa: la testimonianza della nostra coscienza" ( 2 Cor 1,12 ).
Ritorniamo alla coscienza, della quale egli dice ancora: "Ciascuno esamini dunque le sue opere, ed allora "avrà in se stesso l'occasione di gloriarsi, e non in un altro" ( Gal 6,4 ).
Ognuno di noi dunque esamini le sue opere, se provengono dalla sorgente della carità, se i rami delle buone opere fioriscono dalla radice dell'amore.
"Ciascuno dunque esamini le sue opere, ed allora avrà in se stesso l'occasione di gloriarsi e non in un altro": non quando la lingua di un altro dà a lui testimonianza, ma quando gliel'offre la sua coscienza.
Ecco dunque quanto Giovanni ci raccomanda: "A questo segno conosciamo che siamo nati dalla verità" quando cioè amiamo non soltanto con le parole e con la lingua ma con le opere e nella verità, "e rassicureremo davanti a lui il nostro cuore" ( 1 Gv 3,19 ).
Che significa: "davanti a lui"? Là dove lui solo vede.
Per cui il Signore stesso nel Vangelo dice: "Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini, per essere veduti da loro, altrimenti non avrete ricompensa dal Padre vostro che è nei cieli" ( Mt 6,1 ).
Che significano le parole: "La tua sinistra non sappia quel che fa la tua destra" ( Mt 6,3 ), se non questo: che la destra rappresenta la coscienza pura, la sinistra invece rappresenta la brama delle cose di questo mondo?
Molti fecero cose meravigliose sotto la spinta della cupidigia mondana; ma è questa l'attività della mano sinistra, non della destra.
La destra deve operare all'insaputa della sinistra, affinché la concupiscenza di questo mondo non abbia alcuna parte allorquando l'amore ci fa compiere il bene.
Ma come saperlo? Sei qui davanti al Signore, ebbene interroga il tuo cuore.
Guarda che cosa hai fatto, che cosa hai desiderato nel tuo agire, la tua salvezza oppure la lode degli uomini che si disperde al vento.
Guarda dentro la tua coscienza, poiché l'uomo non può giudicare colui che non riesce a vedere.
Se vogliamo rassicurare la nostra coscienza, facciamolo davanti a lui.
"Se il nostro cuore ci rimprovera qualcosa" - se cioè ci accusa interiormente, perché non agiamo con quella intenzione che dovremmo avere -, "Dio è più grande del nostro cuore e tutto conosce" ( 1 Gv 3,20 ).
Tu sei capace di nascondere il tuo cuore agli uomini, nascondilo a Dio, se puoi.
Come potrai nasconderlo a lui, a cui un certo peccatore, timoroso, confessò: "Dove troverò un rifugio, lontano dal tuo spirito, lontano dal tuo volto?"
Costui cercava un luogo dove fuggire e sottrarsi al giudizio di Dio, ma non lo trovava.
Dove infatti non è Dio? "Se salirò fino al cielo, là sei tu; se scenderò negli abissi, tu sei presente" ( Sal 139,7-8 ).
Dove andrai, dove fuggirai? Se vuoi un consiglio, fuggi verso di lui, quando vuoi da lui fuggire.
Fuggi presso di lui con fiducia, e non sottrarti al suo sguardo: non lo potresti fare, mentre puoi a lui aprire con fiducia il tuo cuore.
Digli dunque: "Tu sei il mio rifugio" ( Sal 32,7 ), di te alimenterò quell'amore che solo porta alla vita.
Sia la tua coscienza a darti la buona testimonianza che quanto è in te viene da Dio.
Se viene da Dio non sbandierarlo con vanto davanti agli uomini: non sono infatti le lodi degli uomini che ti portano in cielo e non sono i loro biasimi che ti fanno escludere dal cielo.
Ti veda invece colui che ti darà la corona del premio; ti sia testimone quel giudice che ti darà la palma della vittoria: "Dio è più grande del nostro cuore e tutto conosce".
Carissimi; se la nostra coscienza non ci rimorde, abbiamo piena fiducia in Dio ( 1 Gv 3,21 ).
Qual è il significato di queste parole: "Se la nostra coscienza non ci rimorde"?
Che la coscienza ci risponda in tutta verità che noi amiamo i fratelli, che in noi c'è l'amore fraterno, non finto ma sincero, quello che ricerca il bene del fratello, senza aspettare da lui nessuna ricompensa, ma solo la sua salvezza.
"Noi abbiamo piena fiducia in Dio"; e qualunque cosa domanderemo, l'avremo da lui, perché ne osserviamo i comandamenti ( 1 Gv 3,21-22 ).
Questo facciamo noi, non davanti agli uomini, ma là dove Dio ci vede, cioè nel cuore.
"Noi abbiamo piena fiducia in Dio e qualunque cosa domanderemo, l'avremo da lui"; e questo perché "osserviamo i suoi comandamenti".
Quali sono i suoi comandamenti? Bisogna sempre ripeterlo? "Vi dò un comandamento nuovo, che vi amiate l'un l'altro" ( Gv 13,34 ).
È la carità questo comandamento di cui si parla e che tanto è raccomandata.
Chi dunque avrà la carità fraterna, e l'avrà questa carità davanti a Dio, là dove vede il Signore; chiunque, interrogando il proprio cuore con retto giudizio si sentirà rispondere che la vera radice della carità fraterna, da cui nascono frutti di bontà, è in lui, costui riscuoterà la fiducia piena di Dio, e Dio gli accorderà tutto ciò che gli domanderà, perché egli osserva i suoi comandamenti.
5 Si presenta qui un problema, che non riguarda questa o quella persona, né me, né te; se io chiedo qualcosa al Signore Dio nostro e non ottengo nulla, è facile dire di me: non è stato ascoltato, perché non possiede la carità; cosa che può ripetersi di qualsiasi altra persona che vive oggi.
Ma lasciamo che si dica ciò di questo o di quello, il problema si pone quando ci riferiamo a quelle persone che sappiamo che erano sante allorché scrivevano, e che ora si trovano nella pace di Dio.
Chi mai può avere la carità se pensassimo che neppure Paolo l'aveva, lui che affermava: "Vi parlo a cuore aperto, Corinti, il mio cuore si è dilatato: non abbiate motivi di angustia per noi" ( 2 Cor 6,11-12 ); lui che affermava: "Io mi darò tutto per le vostre anime" ( 2 Cor 12,15 ), e nel quale era tanta grazia divina da dimostrare chiaramente ch'egli aveva la carità?
Abbiamo tuttavia scoperto che egli aveva chiesto e non ricevuto.
Che cosa dobbiamo dire, fratelli? Qui nasce il problema. Prestate ascolto a Dio.
Si tratta di un grosso problema. Riguardo al peccato, quando incontrammo le parole: "Chi è nato da Dio, non pecca" ( 1 Gv 3,9 ), abbiamo capito allora che si trattava del peccato contro la carità e che in quelle parole era appunto designato questo peccato; così anche adesso ci chiediamo che cosa Giovanni abbia voluto significare.
Se fai attenzione alle parole, tutto è chiaro; ma se sposti la tua attenzione sugli esempi, la cosa si fa oscura.
Niente di più facile di queste parole: "Qualunque cosa domanderemo, l'avremo da lui; perché osserviamo i suoi comandamenti" e davanti a lui facciamo ciò che a lui piace ( 1 Gv 3,22 ).
"Qualunque cosa domanderemo" - dice - "l'avremo da Lui".
Queste parole ci mettono in gravi angustie.
Ci avrebbe dato difficoltà anche il testo precedente, se avesse inteso parlare di qualsiasi peccato in genere; ma abbiamo trovato una spiegazione, per cui sappiamo che egli ha inteso parlare non di ogni peccato in generale, ma di un peccato ben definito, quel peccato che non commette chiunque è nato da Dio; ed abbiamo trovato che quel peccato appunto è il peccato contro la carità.
Abbiamo nel Vangelo un chiaro esempio, quando il Signore dice: "Se non fossi venuto, essi non avrebbero peccato" ( Gv 15,22 ).
Che vuol dire dunque? Era forse venuto, visto che parla così, in mezzo ad ebrei innocenti?
E che, se non fosse venuto, non avrebbero peccato?
Allora, la presenza del medico avrebbe ottenuto che si divenisse malati, e non ha tolto la febbre?
Neppure un pazzo potrebbe dire ciò. Egli non è venuto se non per curare e sanare i malati.
Perché allora disse: "Se non fossi venuto, essi non avrebbero peccato", se non per farci intendere che si tratta di un peccato ben definito?
È quel peccato che in realtà i giudei non avrebbero commesso. Quale peccato?
Quello per cui essi non credettero in lui, e per il quale lo trattarono con disprezzo quando era tra loro.
Come dunque nell'altro passo parlo di un peccato particolare, e conseguentemente non possiamo intendere che abbia parlato di tutti i peccati, ma di un peccato ben definito; così anche in questo passo non dobbiamo pensare a qualsiasi peccato, perché non ci sia contraddizione con quel passo in cui dice: "Se dicessimo di non avere alcun peccato, inganneremmo noi stessi e la verità non sarebbe in noi" ( 1 Gv 1,8 ); dobbiamo invece pensare ad un peccato ben definito, al peccato contro la carità.
Ma qui ci ha posto una condizione più precisa: se domanderemo, se il nostro cuore non ci accuserà e ci testimonierà davanti a Dio che in noi c'è la vera carità, "qualunque cosa domanderemo l'avremo da lui".
6 Vi ho già detto, fratelli carissimi, che la questione non riguarda tanto noi personalmente.
Che siamo noi? che siete voi? che altro, se non la Chiesa di Dio, a tutti nota?
A lui piacendo ne siamo membri; e noi, che per amore dimoriamo in essa, continuiamo a restarvi con perseveranza, se vogliamo mostrare la carità che è in noi.
Che cosa di male potremmo pensare dell'apostolo Paolo? Forse che non amasse i fratelli?
Che mancasse la testimonianza della sua coscienza davanti a Dio?
Che non ci fosse in Paolo quella radice della carità da cui provengono tutti i buoni frutti?
Chi potrebbe affermare tali cose, se non uno stolto? Dove allora troviamo che l'Apostolo ha chiesto e non ha ottenuto?
Lui stesso dice: "Perché non mi glori della grandezza delle rivelazioni avute, mi fu dato un pungolo nella mia carne, un ministro di Satana, che mi schiaffeggia; per questo ho pregato tre volte il Signore perché me lo togliesse; ma egli mi ha detto: Ti basta la mia grazia, perché è nella debolezza che si mostra tutta intera la mia forza" ( 2 Cor 12,7-9 ).
Così egli non fu esaudito e non gli fu tolto l'angelo di Satana.
Ma perché? Perché quella richiesta non gli sarà di vantaggio.
Fu dunque esaudito in vista della salvezza, ma non secondo la sua volontà.
Comprenda la Carità vostra questo grande mistero, che vi chiediamo di non dimenticare in mezzo alle vostre prove.
I santi vengono esauditi in tutto quando si tratta della salute dell'anima.
È la salvezza eterna che essi desiderano, e rispetto ad essa vengono sempre esauditi.
7 Ma passiamo in rassegna i vari modi con cui Dio ci esaudisce.
Troviamo infatti alcuni che non vengono esauditi secondo la propria volontà, ma in vista della propria salvezza; d'altra parte troviamo alcuni esauditi secondo la loro volontà e non in vista della loro salvezza.
Considerate e tenete presente questo caso, di chi è esaudito non secondo la propria volontà ma in vista della propria salvezza.
Consideriamo l'apostolo Paolo; Dio gli mostrò che lo esaudiva in vista della sua salvezza, dicendogli: "Ti basta la mia grazia, perché è nella debolezza che si mostra tutta intera la mia forza".
Hai chiesto, hai gridato, tre volte hai ripresentato la tua preghiera; ho udito ciò che hai chiesto ogni volta, e non ho distolto da te le mie orecchie; so quel che faccio: tu vuoi tolto quel medicamento da cui ti senti bruciare ed io conosco l'infermità che ti fa soffrire.
Paolo dunque fu esaudito in vista della salvezza, non secondo la sua volontà.
Chi sono quelli che troviamo esauditi secondo la loro volontà, ma non in vista della loro salvezza?
Troviamo forse qualche uomo malvagio, qualche empio esaudito da Dio secondo la sua volontà umana, e non invece in vista della sua salvezza?
Se portassi l'esempio di qualche uomo, potresti dirmi: per te costui è un malvagio, e invece era un giusto; se non fosse stato un giusto, non sarebbe stato esaudito da Dio.
Ma ti porterò l'esempio di un tale della cui iniquità ed empietà nessuno può dubitare.
Il diavolo in persona chiese di tentare Giobbe e ne ebbe il permesso.
E voi non avete udito proprio in questa Epistola, a proposito del diavolo, che "chi fa il peccato, viene dal diavolo" ( 1 Gv 3,8 )?
Non già perché lo abbia creato il diavolo, ma perché costui lo imita.
Non è stato detto forse del diavolo che "non rimase nella verità" ( Gv 8,44 )?
Non è lui appunto quell'antico serpente che, servendosi della donna, propinò il veleno al primo uomo?
Fu lui che lasciò in vita la moglie di Giobbe, perché fosse non di conforto al marito, ma causa di tentazione.
Il diavolo dunque chiese di tentare quel santo uomo, e ne ebbe il permesso, l'Apostolo chiese invece che gli fosse tolto il pungolo della carne, e non l'ottenne.
Eppure fu esaudito più che non il diavolo.
L'Apostolo infatti fu esaudito in vista della salvezza; anche se non secondo la propria volontà: il diavolo fu esaudito secondo la sua volontà, ma in vista della sua dannazione.
Se Giobbe fu lasciato in balia delle tentazioni di costui, ciò avvenne perché il diavolo si sentisse tormentato dalla costanza di quel giusto nella prova.
Troviamo tali esempi, fratelli, non solo nei libri del Vecchio Testamento ma anche nel Vangelo.
I demoni chiesero al Signore, quando egli li scacciò da un uomo, di poter entrare nel corpo dei porci.
Il Signore non avrebbe forse potuto impedire loro di avvicinarsi a quegli animali?
Se non avesse voluto, essi non si sarebbero potuti ribellare contro il re del cielo e della terra.
Ma, in forza di un misterioso suo disegno, e per positiva volontà sua, lasciò che i demoni entrassero nei porci, per mostrare che il diavolo domina su quanti conducono una vita simile a quella dei porci.
I demoni furono dunque esauditi, e non fu esaudito l'Apostolo?
O non è più giusto dire: l'Apostolo fu esaudito e i demoni non lo furono?
La volontà dei demoni si è realizzata, ma nell'Apostolo si è compiuta la salvezza.
In conformità a questa spiegazione, dobbiamo capire che Dio, anche quando non viene incontro alla nostra volontà, ci esaudisce in vista della salvezza.
Facciamo l'ipotesi che tu chieda qualcosa che ti reca danno, e che il tuo medico sia informato di ciò.
Non dirai che il medico rifiuta di esaudirti se, quando chiedi dell'acqua fresca, te la dà subito se ti fa bene, mentre te la nega se può farti male.
Per il fatto che si è opposto alla tua volontà, dirai che in tal caso non ti ha esaudito, o non piuttosto che ti ha esaudito in vista della tua salute?
Perciò sia in voi la carità, fratelli; sia in voi e siate sereni: quando non vi è dato ciò che chiedete, voi siete esauditi, ma non lo sapete.
Molti vengono lasciati in balia di se stessi per la loro rovina; di essi dice l'Apostolo: "Dio li ha consegnati ai desideri del loro cuore" ( Rm 1,24 ).
Uno ha chiesto una forte somma di denaro, l'ha ricevuta per suo danno.
Quando non l'aveva, viveva senza molti timori; avutala divenne preda di chi era più potente di lui.
Costui non fu forse esaudito a suo danno, avendo voluto avere ciò che attirò contro di lui la cupidigia del ladro, mentre nessuno l'avrebbe molestato se fosse rimasto povero?
Imparate a chiedere a Dio allo stesso modo con cui vi rivolgete ad un medico: che egli faccia ciò che giudica bene.
Da parte tua, confessa la tua malattia, e sia lui ad applicare il rimedio. Tu soltanto mantieni la carità.
Egli infatti vuole incidere e bruciare; se, nonostante le tue grida, egli non cede alle tue preghiere, e continua a incidere, a bruciare, a farti soffrire, è perché sa fin dove si estende la cancrena.
Tu vuoi che ritragga la sua mano, ma egli allarga l'apertura della ferita: sa bene dove deve giungere.
Egli non ti esaudisce secondo la tua volontà, ma ti esaudisce in vista della tua salute.
Siate dunque certi, fratelli miei, che sono vere le parole dell'Apostolo: "Noi non sappiamo che cosa chiedere nella preghiera in modo conveniente; ma lo Spirito stesso si interpone con gemiti inenarrabili, poiché lui stesso si fa intercessore in favore dei santi" ( Rm 8,26-27 ).
Che significano le parole: "Lo Spirito stesso… si fa intercessore in favore dei santi", se non che la carità presente in te è frutto dello Spirito Santo?
Perciò lo stesso Apostolo dice: "La carità di Dio è diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che fu dato a noi" ( Rm 5,5 ).
La carità stessa geme, la carità prega; di fronte ad essa colui che l'ha data non può chiudere le orecchie.
Sta', sicuro: la carità stessa prega; e ad essa sono intente le orecchie di Dio.
Non avviene ciò che tu vuoi, ma avviene ciò che per te è bene.
Perciò "ogni cosa che avremo chiesta, la riceveremo da lui".
Ho già detto che se consideri la salvezza dell'anima, non sorge nessun problema da queste parole; se invece non consideri la salvezza dell'anima, allora il problema c'è, e grande, tanto che ti mette a rischio di far apparire l'apostolo Paolo come un bugiardo per aver lui detto: "Ogni cosa che avremo chiesta, la riceveremo da lui; perché osserviamo i suoi comandamenti e davanti a lui facciamo ciò che a lui piace".
"Davanti a lui", cioè nell'intimo, dove penetra il suo occhio.
Quali sono poi i suoi comandamenti? Giovanni dice: Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del suo Figlio Gesù Cristo e ci amiamo l'un l'altro.
Vedete che è questo il suo comandamento; vedete come chi agisce contro questo comandamento, fa quel peccato dal quale è esente chiunque è nato da Dio.
Secondo come ci ha dato il comandamento: che ci amiamo a vicenda.
E chiunque avrà osservato il suo comandamento resterà in Dio e Dio in lui.
Da questo conosciamo che rimane in noi, per lo Spirito che ci ha dato ( 1 Gv 3,23-24; Gv 13,34; Gv 15,12 ).
Non è chiaro che l'opera dello Spirito Santo nell'uomo consiste nel mettere in lui la carità e l'amore?
Non è chiaro ciò che dice l'apostolo Paolo: "L'amore di Dio è stato diffuso nei nostri cuori attraverso lo Spirito Santo che fu dato a noi"?
Egli parlava senza dubbio della carità, e diceva che dobbiamo interrogare il nostro cuore davanti al Signore.
"Che se il nostro cuore non ci rimprovera": cioè se ci testimonia che l'amore fraterno è la sorgente di ogni nostro buon agire.
Quando parla del comandamento egli aggiunge: "Questo è il suo comandamento: che crediamo al nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo a vicenda.
E chiunque avrà osservato il suo comandamento resterà in Dio e Dio in lui.
Da questo conosciamo che rimane in noi, per lo Spirito che ci ha dato".
Se infatti troverai di possedere la carità tu hai lo Spirito di Dio che ti aiuta a comprendere: ed è questa la cosa assolutamente necessaria.
Nei primi tempi lo Spirito Santo scendeva sopra i credenti, ed essi parlavano in varie lingue che non avevano mai appreso, così come lo Spirito dava loro da pronunziare.
Quei segni miracolosi erano opportuni a quel tempo.
Era infatti necessario che in tutte le lingue si manifestasse lo Spirito Santo, perché il Vangelo di Dio per mezzo appunto di tali lingue doveva diffondersi su tutta la terra.
Quel segno fu dato e passò. Forse che oggi da coloro cui si impongono le mani perché ricevano lo Spirito Santo, ci si aspetta che parlino diverse lingue?
Quando noi imponemmo le mani a questi fanciulli, ciascuno di voi si aspettava forse che parlassero in varie lingue?
E quando ci si accorse che non parlavano queste varie lingue, ci fu forse qualcuno di voi tanto perverso da dire: costoro non hanno ricevuto lo Spirito Santo, perché se l'avessero ricevuto parlerebbero diverse lingue, come avvenne allora?
Se dunque adesso la prova della presenza dello Spirito Santo non avviene attraverso questi segni, da che cosa ciascuno arriva a conoscere di aver ricevuto lo Spirito Santo?
Ognuno di noi interroghi il suo cuore: se ama il fratello, lo Spirito di Dio rimane in lui.
Esamini e metta alla prova se stesso davanti a Dio: veda se c'è in lui l'amore della pace e dell'unità, l'amore alla Chiesa diffusa in tutto il mondo.
Non si limiti ad amare soltanto quel fratello che gli si trova vicino; ci sono molti nostri fratelli che non vediamo, eppure siamo a loro uniti nell'unità dello Spirito.
Perché meravigliarsi se non si trovano vicini a noi? Siamo nello stesso corpo ed abbiamo in cielo un unico capo.
Fratelli, i nostri occhi non si vedono l'un l'altro, e quasi non si conoscono.
Ma forse che con la carità che li unisce al corpo non si conoscono?
Infatti, perché sappiate che essi si conoscono nell'unione della carità, quando ambedue stanno aperti non può avvenire che l'occhio destro fissi un punto, senza che il sinistro faccia altrettanto.
Prova, se puoi, ad indirizzare l'occhio destro ad un punto senza il concorso dell'altro.
Ambedue vanno insieme, ed insieme muovono nella stessa direzione; una sola la loro direzione, anche se da luoghi diversi.
Se dunque tutti quelli che con te amano Dio hanno con te la stessa aspirazione, non badare se col corpo sei loro lontano; insieme avete puntato la prora del cuore verso la luce della verità.
Se dunque vuoi sapere se hai ricevuto lo Spirito, interroga il tuo cuore, per non correre il rischio di avere il sacramento ma non l'effetto di esso.
Interroga il tuo cuore, e se vi trovi la carità verso il fratello sta tranquillo.
Non può esserci l'amore senza lo Spirito di Dio, perché Paolo grida: "L'amore di Dio è stato diffuso nei nostri cuori attraverso lo Spirito Santo che fu dato a noi" ( Rm 5,5 ).
Carissimi, non vogliate credere ad ogni spirito.
Giovanni aveva detto: "Da questo segno conosciamo che rimane in noi, per lo Spirito che ci ha dato".
Guardate da dove riconosce lo stesso Spirito: "Carissimi, non vogliate credere ad ogni spirito", ma provate gli spiriti, se vengono da Dio ( 1 Gv 4,1 )
hi prova gli spiriti? Giovanni ci presenta un problema difficile, fratelli miei.
È bene per noi che sia lui stesso a dirci in che modo possiamo discernerli.
Ce lo dirà, non temete; ma prima di ogni cosa fate attenzione: osservate che è da queste parole che gli eretici prendono lo spunto per lanciare le loro accuse.
Fate attenzione e sentite che cosa dice: "Carissimi, non vogliate credere ad ogni spirito, ma provate gli spiriti, se vengono da Dio".
Lo Spirito Santo è designato nel Vangelo col nome di acqua, quando il Signore dice a gran voce: "Se uno ha sete, venga da me e beva; chi crede in me, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno".
Ora l'evangelista ci spiega a che cosa il Signore fa allusione; aggiunge infatti subito dopo: "Questo diceva riferendosi allo Spirito Santo che avrebbero ricevuto quelli che avrebbero creduto in lui".
Perché il Signore non battezzò molti? Quale la risposta?
"Lo Spirito Santo ancora non era stato dato, perché Gesù non era stato glorificato" ( Gv 7,37-39 ).
Essi avevano già il Battesimo, ma non ancora avevano ricevuto lo Spirito Santo, che il Signore mando dal cielo nel giorno di Pentecoste.
Si attendeva la glorificazione del Signore, affinché venisse dato lo Spirito Santo.
Ma, prima che egli fosse glorificato e prima che ce lo inviasse, invitava gli uomini perché si preparassero a ricevere quell'acqua circa la quale aveva detto: "Se uno ha sete, venga da me e beva; chi crede in me, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno".
Che cosa significa: "fiumi di acqua viva"? Che cosa è quell'acqua? Nessuno mi interroghi, interroghi il Vangelo.
"Egli diceva ciò parlando dello Spirito Santo che avrebbero ricevuto quanti avrebbero creduto in lui".
Altra cosa è l'acqua del sacramento, altra l'acqua che significa lo Spirito di Dio.
L'acqua del sacramento è visibile; l'acqua dello Spirito è invisibile.
Questa pulisce il corpo ed è segno di ciò che avviene nell'anima; per mezzo dello Spirito l'anima stessa viene mondata e alimentata.
È proprio lo Spirito di Dio che non possono avere gli eretici e chiunque si separi dalla Chiesa.
Quanti non si separano apertamente, ma si staccano per colpa del loro peccato e pur rimanendo dentro si agitano come paglia senza essere grano, costoro non hanno lo Spirito Santo.
Questo Spirito è stato indicato dal Signore col nome di acqua.
Abbiamo udito in questa Epistola: "Non vogliate prestar fede ad ogni spirito"; ci sono anche le parole di Salomone a testimoniare ciò: "Astieniti dall'acqua straniera".
Cosa è quest'acqua? Lo Spirito.
L'acqua significa sempre lo Spirito? Non sempre; ma in alcuni passi significa lo Spirito, in altri il battesimo, in altri i popoli, in altri la sapienza.
In un certo passo trovi detto: "La sapienza è una sorgente di vita per quelli che la possiedono" ( Pr 16,22 ).
Nei diversi passi delle Scritture, dunque, il termine acqua ha diversi significati.
Qui però col nome di acqua avete sentito indicato lo Spirito Santo, non per una nostra interpretazione, ma per testimonianza del Vangelo, che dice: "Questo diceva parlando dello Spirito che avrebbero ricevuto quelli che avrebbero creduto in lui".
Se dunque col termine di acqua si indica lo Spirito Santo, e se questa Epistola ci dice: "Non vogliate prestar fede ad ogni spirito, ma provate gli spiriti, se vengono da Dio" dobbiamo comprendere che identico è il senso della frase: "Astieniti dall'acqua straniera e non bere ad una fonte straniera" ( Pr 9,18 ).
Che cosa significa: "Non bere ad una fonte straniera"? Significa: non fidarti di uno spirito estraneo.
Resta da vedere quali siano le prove per stabilire che si tratta dello Spirito di Dio.
Giovanni ci ha dato un segno probabilmente difficile da interpretare.
Tuttavia esaminiamolo. Dobbiamo ritornare alla carità: è la carità che ci istruisce, perché essa è l'unzione di Dio.
Tuttavia che cosa ci dice Giovanni? "Provate gli spiriti, se vengono da Dio", poiché molti falsi profeti sono sorti in questo mondo.
Sono compresi qui tutti gli eretici e gli scismatici. In che modo dunque si prova uno spirito?
Giovanni prosegue: Da questo si conosce lo Spirito di Dio. Drizzate le orecchie del cuore.
Stavamo faticando e dicevamo: Chi conosce queste cose, chi sa distinguerle? E ecco che egli ce ne offre il segno.
"Da questo si conosce lo Spirito di Dio": ogni spirito che confessa che Gesù Cristo è venuto nella realtà della carne, viene da Dio.
Ed ogni spirito che non confessa che Gesù Cristo è venuto nella carne, non viene da Dio; e costui è un anticristo sul quale avete sentito dire che verrà, ed ora si trova in questo mondo ( 1 Gv 4,1-3 ).
Le nostre orecchie si drizzano per comprendere il discernimento degli spiriti, ma ciò che abbiamo udito non ci sembra tale da facilitarci tale discernimento.
Che cosa dice infatti? "Ogni spirito che confessa che Gesù Cristo è venuto nella carne, viene da Dio".
Dunque lo spirito che è negli eretici viene da Dio, dal momento che confessano che Gesù Cristo è venuto nella carne?
Anzi, mi pare di vederli alzati contro di noi e dirci: Siete voi a non avere lo Spirito di Dio, noi invece confessiamo che Gesù Cristo è venuto nella carne.
Giovanni dunque nega che abbiano lo Spirito di Dio coloro che non confessano che Gesù è venuto nella carne.
Domanda agli ariani: essi confessano che Gesù Cristo è venuto nella carne; interroga gli eunomiani: confessano che Cristo è venuto nella carne; interroga i macedoniani: confessano che Gesù Cristo è venuto nella carne; interroga i catafrigi: confessano che Gesù Cristo è venuto nella carne; interroga i novaziani: confessano che Gesù Cristo è venuto nella carne.
Tutte queste eresie hanno forse lo Spirito di Dio? Non sono falsi profeti?
Non vi è in loro nessuna seduzione, nessun inganno?
Ma sì essi sono gli anticristi, essi che sono usciti dalle nostre file, ma non erano dei nostri.
Che cosa dunque fare? Da dove derivare i criteri per il discernimento?
Cercate di capire: andiamo insieme uniti col cuore e bussiamo.
Vigila la carità stessa, poiché sarà essa a picchiare, essa ad aprire: tra poco comprenderete, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.
Già avete udito prima che fu detto: "Chi nega che Gesù Cristo è venuto nella carne… costui è un anticristo" ( 1 Gv 2,22 ).
Allora ci siamo chiesti chi è che lo nega; poiché noi non lo neghiamo e neppure loro.
Trovammo che alcuni lo negano coi fatti ( III,7-9 ); ci servimmo allora della testimonianza dell'Apostolo che dice: "Confessano di conoscere Dio, ma coi fatti lo negano" ( Tt 1,16 ).
Continuiamo perciò a investigare sui fatti e non sulle parole.
Chi è lo spirito che non proviene da Dio? "Chi nega che Gesù Cristo è venuto nella carne".
E chi è lo spirito che proviene da Dio? "Quello che confessa che Gesù Cristo è venuto nella carne".
Ma chi confessa che Gesù Cristo è venuto nella carne?
Orsù, o fratelli, fissiamo la nostra attenzione sulle opere, non sul suono delle parole.
Cerchiamo perché Cristo è venuto nella carne e troveremo chi è colui che nega che egli è venuto nella carne.
Se infatti presti attenzione alle parole, potrai udire molte eresie che asseriscono che Cristo è venuto nella carne; ma la verità le smaschera.
Perché Cristo è venuto nella carne? Non era forse Dio?
Non è stato scritto di lui: "In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio ed il Verbo era Dio" ( Gv 1,1 )?
Non pasceva gli angeli e non li pasce ancora? Non venne forse quaggiù senza allontanarsi da lassù?
Non è asceso là in modo da non lasciarci? Perché dunque venne nella carne?
Perché era necessario che additasse ai nostri occhi la speranza della risurrezione.
Era Dio e venne nella carne; Dio infatti non poteva morire, la carne poteva morire; perciò venne nella carne, per morire per noi.
In che modo è morto per noi? "Non c'è carità più grande di chi dà la vita per i suoi amici" ( Gv 15,3 ).
La carità dunque lo spinse ad incarnarsi. Dunque chi non ha carità, nega che Cristo è venuto nella carne.
Poni una domanda ora a tutti gli eretici: - Cristo venne nella carne? - Sì, venne; lo credo e lo confesso.
- E invece lo neghi. - Ma in che modo lo nego? - Ascolta e te lo dico, anzi ti farò convinto che lo neghi.
Tu l'affermi con la voce, ma lo neghi col cuore; lo affermi con le parole ma lo neghi coi fatti.
- Ma in che modo, mi chiedi, io lo nego coi fatti? - Perché Cristo venne nella carne per morire per noi.
Egli è morto per noi, proprio per insegnare a noi una carità immensa: "Non c'è carità più grande di chi dà la vita per i suoi amici".
Tu non hai la carità, perché per una questione di amor proprio rompi l'unità.
Comprenderete dunque da questo principio qual è lo spirito che proviene da Dio.
Battete con le nocche questi vasi di creta per assicurarvi che non portino delle crepe e non suonino male; controllate se suonano bene, vedete se in essi c'è la carità.
Ti sottrai all'unità di tutta la terra, dividi la Chiesa con gli scismi, strazi il corpo di Cristo.
Egli venne nella carne per portare tutti all'unità: tu sbraiti per dividere.
Lo Spirito di Dio è dunque quello che dice che Gesù è venuto nella carne; che fa questa affermazione non con la lingua ma coi fatti; che lo dice non col suono della parole, ma con l'amore.
Non è spirito di Dio quello che nega che Gesù Cristo è venuto nella carne; quello che lo nega appunto non con le parole ma con la vita, non con le parole ma coi fatti.
È dunque chiaro il criterio di discernimento, fratelli.
Molti sono dentro la Chiesa, ma soltanto in apparenza; nessuno vi è fuori, se non realmente.
Volete una prova che Giovanni fa riferimento ai fatti? Egli dice: "Ogni spirito, che dissolve il Cristo, negando che è venuto nella carne, non proviene da Dio".
"Dissolvere" è un verbo che ha riferimento coi fatti. Con questo verbo chi viene indicato?
Colui che nega. Per questo ha detto: "dissolve". Egli è venuto a unire insieme, tu vieni a disgregare.
Vieni a disgregare le membra di Cristo. Puoi dire di non negare che Cristo è venuto nella carne, tu che spezzi l'unità della Chiesa di Cristo, che lui aveva raccolto?
Tu dunque vai contro Cristo; sei un anticristo.
Sia tu dentro o fuori, sei un anticristo; ma quando sei dentro, stai nascosto; quando sei fuori ti rendi manifesto.
Tu distruggi Gesù e dici che non è venuto nella carne; tu non provieni da Dio.
Perciò Cristo dice nel Vangelo: "Chiunque avrà sciolto uno solo di questi pur piccoli comandamenti e così avrà insegnato, sarà chiamato il più piccolo del Regno dei cieli".
Che significa qui "sciogliere"? Che significa "insegnare"? Si scioglie coi fatti e si insegna normalmente con le parole.
"Tu che predichi di non rubare, rubi" ( Rm 2,21 ).
Chi ruba, scioglie coi fatti il comandamento e per così dire insegna.
"Egli sarà chiamato il più piccolo del Regno dei cieli", cioè della Chiesa di quei tempi.
Di lui fu detto: "Fate le cose che dicono; le cose che fanno, non fatele ( Mt 23,3 ).
Chi invece avrà fatto e così avrà insegnato a fare, sarà detto grande nel Regno dei cieli" ( Mt 5,19 ).
Qui la parola "fare" il Signore la oppone a "dissolvere", cioè a "non fare" e ad "insegnare così".
Dissolve dunque chi non fa. Che cosa ci insegna, se non di interrogare i fatti e di non credere alle parole?
L'oscurità dell'argomento ci costringe a numerose puntualizzazioni: soprattutto perché ciò che il Signore si degna di rivelare, giunga anche ai fratelli più lenti a comprendere; poiché tutti sono stati pagati col sangue di Cristo.
Per questo temo che non si possa terminare in questi giorni il commento di questa Epistola , come avevo promesso; ma, come piace al Signore, è meglio accantonare il rimanente, piuttosto che aggravare i cuori con cibo eccessivo.
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