La città di Dio |
Considero città di Dio quella di cui non è documento un libro che riporta eventuali teorie del pensiero umano, ma un'opera scritta per ispirazione della sovrana provvidenza.
È un'opera che, segnalandosi con la divina autorità fra tutte le produzioni letterarie di tutti i popoli, ha assoggettato a sé tutte le opere degli ingegni umani.
In questo libro è stato scritto: Di te sono narrate imprese gloriose o città di Dio; ( Sal 87,3 ) e in un altro Salmo si legge: Grande è il Signore e degno di lode nella città del nostro Dio, nel suo monte santo, perché estende la gioia a tutta la terra; ( Sal 48,2-3 ) e poco dopo nel medesimo Salmo: Come abbiamo udito così abbiamo anche veduto nella città del Signore degli uomini valorosi, nella città del nostro Dio; Dio l'ha fondata per l'eternità; ( Sal 48,9 ) e in un altro Salmo: La corrente del fiume rende fertile la città di Dio, l'Altissimo ha reso santa la sua tenda, Dio è in essa, non crollerà. ( Sal 46,5-6 )
Abbiamo appreso da queste e simili testimonianze che esiste una città di Dio.
Sarebbe troppo lungo citarle tutte.
E abbiamo desiderato esserne cittadini con quell'amore che ci ha ispirato il suo fondatore.
A lui, fondatore della santa città, i cittadini della città terrena antepongono i propri dèi.
Non sanno che egli è il Dio degli dèi, ( Sal 50,1 ) non degli dèi falsi, cioè ribelli e superbi che, privati della sua luce immutevole e universale e ridotti pertanto a uno stato di degenere autorità, bramano di conseguire in qualche modo un proprio potere e chiedono onori divini a coloro che hanno sottomesso con l'inganno.
Egli invece è il Dio degli dèi fedeli e sottomessi, che godono di assoggettare se stessi all'Uno anziché molti a sé e di adorare Dio anziché essere adorati in luogo di Dio.
Ma agli avversari della santa città ho già risposto con i primi dieci libri, nei limiti delle mie capacità e con l'aiuto del Signore e Re nostro.
Ed ora so ciò che si aspetta da me.
Non immemore del mio debito, sempre fidente nell'aiuto dello stesso Signore e Re nostro, comincerò a trattare dell'origine, svolgimento e rispettivi fini delle due città, cioè della terrena e della celeste che frattanto, come abbiamo detto, in questo scorrere dei tempi sono in qualche modo confuse e mischiate fra di loro.
Dirò prima di tutto in qual modo si ebbero le origini delle due città nella diversità degli angeli.
È impresa grande e molto rara trascendere con atto di puro pensiero tutte le creature corporee ed incorporee, considerate e riconosciute come soggette al divenire e giungere fino alla non diveniente esseità di Dio e comprendere in lui che soltanto egli ha creato ogni essere che non è ciò che egli è.
Dio non parla con l'uomo mediante un oggetto sensibile, perché non stimola il senso dell'udito causando vibrazioni dell'aria fra chi parla e chi ascolta.
Non parla neanche mediante un oggetto formato interiormente che si riproduce dalle immagini dei sensibili, come nei sogni o in altro stato simile.
Anche in questo caso sarebbe come se parlasse all'udito perché parlerebbe mediante e con l'interposizione di uno spazio sensibile, dato che le immagini sono molto simili agli oggetti sensibili.
Egli parla mediante la stessa verità, se si è capaci di udire con la mente e non col senso.
Si rivolge in tal modo a quella parte dell'uomo che nell'uomo è più perfetta delle altre parti di cui è composto e di cui solo lo stesso Dio è più perfetto.
Molto ragionevolmente si pensa o, se questo non è di competenza, almeno si crede che l'uomo è fatto ad immagine di Dio. ( Gen 1,26 )
Dunque a Dio, che gli è superiore, è più vicino con quella parte di sé con cui è superiore alle sue parti inferiori che ha in comune anche con le bestie.
Ma la mente, in cui risiedono ragione e intelligenza, è incapace, a causa di inveterate imperfezioni che la rendono cieca, non solo ad unirsi col godimento, ma anche a sostenere la luce ideale fino a che ristabilendosi gradualmente in salute, non divenga capace di così grande felicità.
Doveva quindi per prima cosa essere istruita alla purezza del vedere mediante la fede.
E affinché con essa si avviasse più fiduciosa verso la verità, la Verità stessa, Dio Figlio di Dio, assumendo l'uomo senza cessare di essere Dio, istituì e fondò la fede.
Si dava così all'uomo, per giungere al Dio dell'uomo, un cammino mediante l'uomo Dio.
Egli è appunto il Mediatore di Dio e degli uomini, l'uomo Cristo Gesù. ( 1 Tm 2,5 )
È mediatore perché è uomo e perciò anche via. ( Gv 14,6; Eb 10,20 )
Poiché, se fra chi tende e l'oggetto cui si tende, vi è come mezzo una via, c'è la speranza di arrivare; se manca invece o non si conosce per dove si deve andare, non giova sapere dove si deve andare.
La sola via veramente difesa contro tutti gli errori è che un medesimo individuo sia Dio e uomo: dove si va, Dio; per dove si va, uomo.
Egli dapprima ha parlato, nella misura che ha giudicato sufficiente, mediante i Profeti, poi personalmente, infine mediante gli Apostoli.
Avendo insegnato ha istituito anche la Scrittura che si dice canonica, di altissima autorità.
Ad essa noi prestiamo fede sulle verità che non si devono ignorare e che non siamo in grado di raggiungere da noi stessi.
Con la nostra diretta esperienza si possono conoscere oggetti che non sono alieni dai nostri sensi, sia interni che esterni.
Pertanto sono considerati presenti perché intendiamo che sono alla portata dei sensi, come alla portata degli occhi quelli che sono in presenza degli occhi.
Ma poiché per nostra diretta testimonianza non possiamo conoscere oggetti alieni dai sensi, per conoscerli richiediamo altri testimoni e crediamo a loro perché non crediamo che gli oggetti sono o sono stati lontani dai loro sensi.
Come dunque circa gli oggetti visibili, che non abbiamo visto, crediamo a coloro che li hanno visti e allo stesso modo circa gli altri che sono di competenza dell'uno o dell'altro senso, così è degli oggetti che si sentono con l'atto del pensiero.
Anche esso ragionevolmente si considera senso e da esso appunto deriva il termine sententia, cioè pensiero.
Circa gli oggetti invisibili dunque, che sono alieni dal nostro senso interiore, dobbiamo credere a coloro che li hanno appresi in una sequenza nell'ideale luce incorporea o ve li intuiscono nella loro immobilità.
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