Commento al Vangelo di S. Giovanni |
Non era certo impotente colui che creò il mondo, ma preferì insegnarci la pazienza con cui si vince il mondo.
1 - Dopo che i persecutori, valendosi del tradimento di Giuda, ebbero preso e legato il Signore, che ci amò e offrì se stesso per noi ( Ef 5,2 ), e che il Padre non risparmiò ma consegnò a morte per tutti noi ( Rm 8,32 ); affinché ci rendessimo conto che Giuda non è da lodare per l'utilità del suo tradimento, ma da condannare per la sua volontà criminale, lo condussero - stando al racconto dell'evangelista Giovanni - prima da Anna, - e dice il motivo -: poiché costui era suocero di Caifa, il quale era sommo sacerdote in quell'anno.
Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: Conviene che un sol uomo muoia per il popolo ( Gv 18,13-14 ).
Matteo, volendo abbreviare la narrazione, si limita a dire che Gesù fu condotto da Caifa ( Mt 26,57 ), in quanto egli fu condotto prima da Anna solo perché questi era suocero di Caifa, il che fa pensare che ciò sia avvenuto per volere di Caifa stesso.
Seguivano Gesù Simon Pietro e un altro discepolo ( Gv 18,15 ).
Non è facile identificare quest'altro discepolo, dato che l'evangelista tace il suo nome.
Giovanni è solito indicare se stesso in questo modo, aggiungendo: quello che Gesù amava ( Gv 13,23; Gv 19,26 ).
Sicché è probabile che anche qui si tratti di lui.
Chiunque egli sia, andiamo avanti: Ora quel discepolo, che era conosciuto dal sommo sacerdote, entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote; Pietro, invece, rimase fuori, alla porta.
Uscì dunque l'altro discepolo che era conosciuto dal sommo sacerdote, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro.
La serva portinaia disse a Pietro: Non saresti anche tu dei discepoli di quest'uomo?
Egli rispose: Non lo sono ( Gv 18,15-17 ).
Ecco che la colonna solidissima trema tutta al primo colpo di vento.
Dove sono quelle audaci promesse e quella grande sicurezza di sé?
Dove sono finite quelle parole: Perché non posso seguirti adesso? Darò la mia vita per te? ( Gv 13,37 ).
È così che si segue il maestro, negando di essere suo discepolo?
È così che si dà la vita per il Signore, tirandosi indietro per paura della voce di una serva?
Ma c'è da meravigliarsi che Dio abbia predetto la verità e che l'uomo si sia ingannato sul proprio conto?
Però, davanti all'apostolo Pietro che ormai comincia a rinnegare Cristo, dobbiamo osservare che rinnega Cristo non solo chi dice che lui non è Cristo, ma anche chi, essendo cristiano, dice di non esserlo.
Il Signore infatti non disse a Pietro: Tu negherai di essere mio discepolo; ma semplicemente: Mi rinnegherai ( Mt 26,34 ).
Pietro dunque ha rinnegato Cristo, negando di essere suo discepolo.
Ma in questo modo che altro ha fatto, se non rinnegare di essere cristiano?
Quantunque infatti i discepoli di Cristo non si chiamassero ancora cristiani, in quanto cominciarono a chiamarsi così per la prima volta ad Antiochia dopo l'Ascensione ( At 11,26 ), tuttavia esisteva già la realtà che poi sarebbe stata denominata così, ed esistevano già i discepoli che poi sarebbero stati chiamati cristiani, e che ai posteri assieme al nome trasmisero anche la loro comune fede.
Chi dunque negò di essere discepolo di Cristo, negò la realtà che va sotto il nome di cristiano.
Quanti, in seguito, e non dico vecchi o donne avanzate negli anni, che la stanchezza di questa vita poteva facilmente portare a disprezzare la morte per la confessione di Cristo; quanti in seguito, e non soltanto giovani d'ambo i sessi, dai quali pare legittimo attendersi forza d'animo, ma anche fanciulli e fanciulle e una schiera incalcolabile di santi martiri, con fortezza e violenza entrarono nel regno dei cieli, dimostrando di saper fare ciò che non seppe colui che dal Signore aveva ricevuto le chiavi del regno dei cieli ( Mt 16,19 ).
Ecco perché ha detto: Lasciate che costoro se ne vadano, quando si offrì per noi colui che ci redense col suo sangue, in modo che si adempisse quanto aveva detto: Di coloro che mi hai dato, non ho perduto nessuno ( Gv 18,8-9; Gv 17,12 ).
Se Pietro fosse uscito da questa vita dopo aver rinnegato Cristo, certamente si sarebbe perduto.
3 - Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché era freddo, e si scaldavano ( Gv 18,18 ).
Non si era d'inverno, e tuttavia faceva freddo, come spesso accade durante l'equinozio di primavera.
Anche Pietro stava con loro e si scaldava.
Allora il sommo sacerdote interrogò Gesù circa i suoi discepoli e la sua dottrina.
Gesù gli rispose: Io ho parlato apertamente al mondo; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si radunano, e non ho mai detto nulla in segreto.
Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto ( Gv 18,18-21 ).
Sorge qui una questione non trascurabile: in che senso il Signore Gesù afferma: Io ho parlato apertamente al mondo, e soprattutto in qual senso dice: Non ho mai detto nulla in segreto?
Non ha detto forse in quest'ultimo discorso, rivolto ai discepoli dopo la cena: Vi ho parlato di queste cose in parabole: viene l'ora in cui non vi parlerò più in parabole, ma vi intratterrò apertamente sul Padre mio ( Gv 16,25 )?
Se, dunque, agli stessi suoi più intimi discepoli non aveva parlato apertamente, ma aveva annunziato loro il momento in cui avrebbe parlato apertamente, in che senso dice di aver parlato apertamente al mondo?
Inoltre, anche secondo la testimonianza degli altri evangelisti, egli parlò certo più apertamente con i suoi discepoli, quando si trovava solo con loro lontano dalla folla, che con quanti non erano suoi discepoli; è ad essi infatti che spiegò il significato delle parabole che agli altri invece esponeva, senza spiegarle.
Che significa dunque: Non ho mai detto nulla in segreto?
È da intendere che abbia detto: Io ho parlato apertamente al mondo, come per dire: Molti mi hanno ascoltato.
E si può dire che in un senso ha parlato apertamente, in un altro senso no: ha parlato apertamente nel senso che molti ascoltavano, e non apertamente nel senso che molti non intendevano le sue parole.
E, d'altra parte, quando si rivolgeva in disparte ai discepoli, non per questo si può dire che parlasse in segreto.
Non parla in segreto chi parla davanti a tante persone, dal momento che sta scritto che sulla bocca di due o tre testimoni è garantita la verità d'ogni cosa ( Dt 19,15 ).
E questo vale soprattutto per chi, parlando a poche persone, vuole, per loro mezzo, far conoscere a molti quello che dice.
E non è proprio questa l'intenzione del Signore, quando parla ai discepoli che erano ancora pochi, e dice loro: Ciò che vi dico nella tenebra ditelo nella luce, e quel che udite all'orecchio predicatelo sui tetti ( Mt 10,27 )?
Perciò, anche quanto egli sembrava dire in segreto, in un certo senso non era detto in segreto; egli non insegnava con l'intento d'imporre, a quelli che ascoltavano, il segreto di quanto apprendevano, ma, al contrario, perché lo predicassero ovunque.
Si può dunque dire una cosa apertamente e insieme non apertamente, in segreto e insieme non in segreto, secondo quanto fu detto: anche quanti vedono, guardino ma non vedano ( Mc 4,12 ).
Essi vedono perché parla apertamente, non in segreto; e insieme non vedono perché parla non apertamente, ma in segreto.
Ora, quelle cose, che avevano udito e non avevano inteso, erano tali che ragionevolmente e sinceramente non potevano essere incriminate.
Difatti ogniqualvolta gli avevano posto delle domande insidiose, per trovare in lui qualche motivo d'accusa, egli rispose loro sventando tutte le loro insidie e polverizzando ogni calunnia.
Perciò dice al gran sacerdote: Perché interroghi me?
Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto.
4 - A queste parole, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù dicendo: Così rispondi al sommo sacerdote?
Gesù gli rispose: Se ho parlato male, mostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti ( Gv 18,22-23 )?
Si poteva dare una risposta più vera, più dolce, più giusta?
È la risposta di colui del quale il profeta aveva predetto: Tendi l'arco, maestoso t'avanza, e regna; per mezzo della verità, della mansuetudine e della giustizia ( Sal 45,5 ).
Se riflettiamo chi era colui che è stato schiaffeggiato, chi di noi non vorrebbe che il servo che lo ha percosso, fosse consumato dal fuoco del cielo o inghiottito dalla terra, o fosse dato in balia del diavolo o colpito da altra simile pena, magari anche più grave?
Che cosa non avrebbe potuto ordinare con la sua potenza colui per mezzo del quale fu creato il mondo, se non avesse preferito insegnarci la pazienza con la quale si vince il mondo?
Qualcuno qui potrebbe obiettare: Perché il Signore non fece ciò che egli stesso ha comandato ( Mt 5,39 )?
Avrebbe dovuto non rispondere così, ma presentare l'altra guancia.
Ma che c'è da ridire sulla risposta, se fu così vera, dolce e giusta; tanto più che non solo egli presentò l'altra guancia per essere percosso, ma offrì tutto il suo corpo perché lo inchiodassero alla croce?
In questo modo egli ha voluto insegnarci ciò che più importa, che cioè bisogna attuare i suoi grandi precetti di pazienza non con ostentazioni corporali, ma con gli atteggiamenti del cuore.
Può accadere infatti che anche un uomo adirato presenti materialmente l'altra guancia: quanto meglio non è, dunque, rispondere con franchezza e tono pacato, disposti a sopportare con animo tranquillo oltraggi anche più gravi!
Beato infatti chi in ogni cosa che ingiustamente deve patire per la giustizia, può dire con verità: Il mio cuore è preparato, Dio, il mio cuore è preparato: e può anche aggiungere: Ti canterò e ti loderò ( Sal 57,8 ), come appunto seppero fare Paolo e Sila quando furono gettati in un tenebroso carcere ( At 16,25 ).
5 - Ma ritorniamo al racconto evangelico.
Ed Anna lo mandò legato a Caifa, sommo sacerdote ( Gv 18,24; Mt 26,57 ).
Secondo Matteo, il Signore fu condotto direttamente da Caifa, perché questi era il sommo sacerdote in quell'anno.
Si deve intendere che era uso che due pontefici, o sommi sacerdoti, esercitassero l'ufficio un anno per ciascuno, e che a quell'epoca erano sommi sacerdoti Anna e Caifa, come ricorda l'evangelista Luca, riferendosi al tempo in cui Giovanni, precursore del Signore, cominciò a predicare il regno dei cieli e a raccogliere discepoli.
Dice Luca: Sotto il sommo sacerdozio di Anna e Caifa, la parola di Dio fu indirizzata a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto ( Lc 9,2 ).
Da allora questi due si erano alternati nell'esercizio delle loro funzioni di pontefici; ed era l'anno di Caifa quando avvenne la passione di Cristo.
Ora, secondo Matteo, Cristo, quando fu arrestato, venne condotto direttamente a lui, mentre secondo Giovanni prima lo condussero ad Anna, ma non perché questi era collega di Caifa, ma perché era il suo suocero.
È da credere che ciò sia avvenuto per volontà di Caifa, oppure perché le loro abitazioni erano situate in modo tale che, per andare da Caifa, non si poteva evitare la casa di Anna.
6 - Dopo averci detto che Anna mandò il Signore legato a Caifa, l'evangelista riprende il suo racconto al punto dove aveva lasciato Pietro per spiegarci come avvenne che egli per tre volte, mentre si trovava nella casa di Anna, rinnegò Cristo.
Intanto Simon Pietro stava a scaldarsi.
Così l'evangelista ricapitola quanto aveva detto prima; e aggiunge ciò che avvenne dopo: Gli dissero: Non sei anche tu dei suoi discepoli?
Egli lo negò dicendo: Non lo sono.
Aveva già negato una volta: questa è la seconda.
Ed ecco la terza: Uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva mozzato l'orecchio, disse: Non ti ho visto io nel giardino con lui?
E di nuovo Pietro negò, e subito un gallo cantò ( Gv 18,25-27 ).
Ecco compiuta la predizione del medico e dimostrata la presunzione del malato.
Non è avvenuto quanto Pietro aveva detto, e cioè: Darò la mia vita per te; si è verificato, invece, quanto il Signore aveva predetto: Mi rinnegherai tre volte ( Gv 13,38 ).
Con la triplice negazione di Pietro, poniamo fine a questo discorso, per riprendere poi la narrazione di ciò che avvenne del Signore presso il procuratore Ponzio Pilato.
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