Contro Giuliano |
Come intendi le parole che aggiungi: "Dio non può essere il creatore di una cosa cattiva"?
Sa parlare molto meglio di te colui che per bocca del Profeta ha detto di aver creato il male. ( Is 45,7 )
E poi, qualunque sia il senso delle tue parole, a me cosa importa, dal momento che ho respinto l'argomento a cui essa si connette?
Ho dimostrato infatti che non è logica l'affermazione secondo la quale la condizione dei corpi è una stortura, anche nell'ipotesi che tutte le unioni sessuali siano cattive.
Per dire che Dio non può essere il creatore di alcun male, dobbiamo forse pensare che egli non è il creatore della condizione dei corpi che non ho mai ritenuto cattiva, dal momento che nessuna delle concessioni fatte da me in precedenza mi costringono a tale affermazione?
Vana e ridicola pertanto resta la tua conclusione: "tutti i corpi debbono essere attribuiti ad un cattivo creatore".
Molto meglio concludere: Se neppure la colpevole unione adulterina rende cattiva la condizione dei corpi; se l'unione dei sessi di per sé è una cosa buona anche negli adulteri che ne fanno cattivo uso, e appunto per questo, con molta maggiore ragione si può dire che la condizione del corpo non può essere ritenuta cattiva, giustamente i corpi sono attribuiti a Dio creatore.
Non c'è alcuna fossa, per timore della quale io debba tornare sulla via su cui sembra tu voglia richiamarmi.
Dimmi tuttavia quale sarebbe quella via e spiega il tuo ragionamento.
"Dio buono, scrivi ancora, per mezzo del quale sono state create tutte le cose, ha plasmato le membra del nostro corpo". Verissimo. Lo ammetto.
Tu continui: "Colui che aveva plasmato i corpi, ha distinto anche il sesso e lo ha distinto in maniera da poterlo ricongiungere nell'azione; la differenza delle membra è divenuta causa dell'unione". Giusto anche questo.
Tu aggiungi ancora: "L'unione dei corpi dunque proviene da Colui dal quale deriva l'origine dei corpi". Chi l'ha mai negato?
"Ammettendo questo con gl'ingrati, scrivi a questo punto, ne segue che da tante cose buone: corpo, sesso, unione, non possono derivare frutti cattivi". Anche questo è vero.
Il frutto buono di questi beni, infatti, è l'uomo, che in quanto tale è una cosa buona.
Il male che c'è in lui e che ha bisogno di essere sanato dal Salvatore, liberato dal Redentore, purificato dal lavacro, scacciato dall'esorcismo, assolto dal sangue sparso per la remissione dei peccati, non è frutto del corpo, del sesso, dell'unione, bensì dell'originale e antico peccato.
Così, per esempio, se, in merito alla prole degli adulteri, io dicessi che essa non può essere stato il frutto buono derivato da tanti mali, quali la lascivia, la turpitudine, il crimine, giustamente risponderesti: Colui che nasce dall'adulterio non è frutto della lascivia, della turpitudine, del crimine, che sono opere cattive del diavolo, bensì è frutto del corpo, del sesso, dell'unione che sono opere buone di Dio.
Ebbene, alla stessa maniera, molto rettamente io posso affermare che il male con cui nasce l'uomo non è frutto del corpo, del sesso, dell'unione che sono opere buone di Dio, ma è frutto della prima caduta che è opera del diavolo.
Ben lontano da noi l'affermare, come ci calunniate, che "gli uomini sono creati da Dio affinché a buon diritto siano posseduti dal diavolo".
Quantunque sia maggiormente in potere di Dio che del diavolo il fatto che una generazione macchiata sia soggetta al principe immondo, fin quando non sarà purificata nella rigenerazione, tuttavia Dio non ha creato gli uomini per dare una famiglia al diavolo.
L'ha fatto solo in vista di quel bene, per mezzo del quale egli fa sussistere le nature, compresa quella del diavolo.
Se togliesse loro questo bene, esse cesserebbero immediatamente di esistere.
Così come, negli armenti e nelle greggi degli empi, Dio non crea le bestie perché siano immolate al diavolo, anche se egli sa che lo saranno, alla stessa maniera, secondo il bellissimo ordine dei secoli che egli ha disposto, non tiene lontana la sua bontà dalla condizione della generazione che pur vede soggetta al peccato.
Dopo questa argomentazione con cui credi di avere concluso qualcosa, mentre t'illudi soltanto, inserisci la solita offesa ed aggiungi che io sono del parere che si debba provare con la Sacra Scrittura e non con i sillogismi il fatto che i figli nati dall'unione dei corpi debbano attribuirsi all'opera divina, quasi che chi lo nega possa dirsi cristiano.
Poi, come se ci fosse divergenza tra di noi, ti sforzi di dimostrare con la testimonianza della Sacra Scrittura una verità che siamo sempre pronti a professare e che predichiamo con grande piacere.
Vanamente ti affanni non per rispondere a noi, ma per riempire i libri.
In verità, le tue parole: "Per esprimere la fede nelle opere il Profeta ha rasentato il pericolo del pudore dicendo: Saranno due in una carne sola", ( Gen 2,24 ) debbono averti abbastanza ammonito che non ci sarebbe stato nulla di che vergognarsi nelle opere di Dio se, in precedenza, non fosse intervenuto il motivo per cui la natura umana avrebbe dovuto confondersi per la deformità della sua colpa.
A lode della concupiscenza aggiungi: "come dono di Dio essa è stata restituita ad Abramo e Sara vecchi, quando i loro corpi erano ormai sfiniti e quasi morti" ( Rm 4,19 ) e, con tono malizioso, esclami che "io affermi, se è possibile, che appartiene all'opera del diavolo quello che Dio talvolta dà in dono".
Sarebbe lo stesso che considerare un dono la restituzione della claudicazione ad uno zoppo che da morto non zoppicava più, nel caso Dio lo risuscitasse e lo restituisse alla vita!
Se il vigore del corpo presente nell'età giovanile è stato restituito, certamente lo è stato in maniera da conservare la condizione di questo corpo di morte.
Per poter generare i figli, non era affatto necessario che Dio li riportasse allo stato di Adamo prima del peccato, quando nelle membra non c'era la legge che ripugna alla legge della mente. ( Rm 7,23 )
È necessario tener presente altresì che il corpo di Abramo era quasi morto, al punto da non avere la capacità di generare figli da una donna qualsiasi sia pure ancora in grado di partorire.
Si dice infatti che l'età avanzata faccia sì che un vecchio abbia la possibilità di generare da una giovinetta e non da una persona anziana, mentre quest'ultima a sua volta ha la possibilità di generare da un giovane.
A quei tempi gli uomini vivevano tanto a lungo che, indubbiamente, solo molto tardi diventavano talmente decrepiti da non essere mossi per nulla al coito, ammesso che questo possa accadere ad un uomo sano solo a motivo dell'età.
Proprio mentre avevo per le mani quest'opera mi è stato riferito che un vecchio di ottantaquattro anni, per venticinque anni vissuto religiosamente accanto ad una moglie religiosa in assoluta continenza, ha comprato una Liristria per libidine.
Tenendo presente la media attuale della vita umana, i suoi ottantaquattro anni lo facevano molto più vecchio di Abramo a cento anni, che ne avrebbe vissuti ancora settanta.
È quindi, più sensato credere che Dio ha ridato ai suoi servi la fecondità che mancava.
Sono due le ragioni per cui Sara non poteva partorire e la sua vulva era morta: la sterilità che aveva dalla gioventù e l'età, non perché avesse novant'anni, ma perché a lei erano cessate le mestruazioni.
È noto infatti che quando le mestruazioni cessano per l'età, le donne non possono più concepire, quantunque in precedenza siano state feconde.
La Scrittura pertanto non ha voluto tacere questo particolare al fine di accrescere la grandezza del miracolo che Dio stava per operare nella loro prole.
Quando infatti ella aveva offerto a suo marito la schiava da cui potesse avere il figlio, che lei non poteva generare, l'aveva fatto mossa dalla sterilità e non dall'età.
Leggiamo, infatti, nella Scrittura: Sara, moglie di Abramo, non partoriva, ( Gen 16,1 ) mentre le parole rivolte da lei al marito sono: Dio mi ha reso sterile perché non partorisca. ( Gen 16,2 )
Se essi fossero vissuti ai nostri giorni, con l'età che avevano, sarebbero stati decrepiti.
Abramo aveva infatti ottantacinque anni, Sara settantacinque.
È scritto infatti: Abramo aveva ottantasei anni quando Agar gli partorì Ismaele. ( Gen 16,16 )
Il che vuol dire che si era unito ad Agar circa un anno prima, quando fu concepito Ismaele.
Quali coniugi, al giorno d'oggi, potrebbero partorire a quella età senza un miracolo divino?
Essi invece avrebbero potuto generare se Sara non fosse stata sterile.
Abramo infatti poté generare da Agar e Sara non era così vecchia che le erano cessate le mestruazioni.
Il corpo di Abramo pertanto era morto solo perché non avrebbe potuto generare da Sara, e costei si trovava ancora nel periodo della fecondità anche se alle soglie dell'età in cui il flusso mestruale comincia a venir meno.
Dai medici infatti è stato accertato che le donne, alle quali sono cessate del tutto le mestruazioni, non possono più concepire.
Se la cosa fosse falsa, la Scrittura non si sarebbe mai preoccupata di dire: A Sara era cessato di avvenire ciò che avviene regolarmente alle donne, avendo già detto in precedenza: Abramo e Sara erano vecchi, avanzati negli anni. ( Gen 18,11 )
Considerando la media della vita, molto più lunga allora, non avrebbero potuto generare a quella età, poiché Abramo aveva cento anni e Sara novanta, anche nel caso che questa non fosse stata sterile e si fossero uniti un anno prima, quando probabilmente aveva ancora il flusso mestruale ed avrebbe potuto ancora concepire qualora il marito fosse stato giovane.
Nella situazione reale, però, non le sarebbe stato assolutamente possibile, poiché il corpo di Abramo era talmente inaridito per la vecchiaia, che non aveva alcuna possibilità di generare da una donna di quella età, mentre gli sarebbe stato possibile da una giovanetta, come di fatto lo poté più tardi da Cetura, ( Gen 25,1-2 ) quantunque in questo caso possa dirsi che perdurava il dono della fecondità ricevuta per la nascita di Isacco.
Considerando la media attuale della vita, molto più breve ora, la generazione è possibile se la somma dell'età dei coniugi non supera i cento anni.
Nel caso invece che la somma supera i cento anni, si è sicuri della impossibilità della procreazione, anche se la donna è feconda e ci sono ancora le mestruazioni che renderebbero possibile la generazione da un giovane.
Si è tanto sicuri di questo fatto che una norma di diritto stabilisce che nessuno possa avere lo ius liberorum se la somma degli anni dei coniugi supera i cento anni.
Nel concepimento di Isacco dunque c'è stato un miracolo di Dio, non però nella restituzione della libidine ai genitori, bensì nel dono della fecondità.
Quella infatti poteva esserci anche a quella età, mentre questa no, essendoci tante cause ad impedirla.
Anche se la libidine, come ho notato sopra, si ravvivasse nelle membra senili morte ed in certo senso vivificate dal dono di Dio, essa seguirebbe la condizione della carne corruttibile in modo da essere in questo corpo di morte quello che non avrebbe potuto essere nel paradiso prima del peccato in quel corpo di vita.
Secondo la condizione di questo corpo soggetto alla pena, Dio concede a ciascuno il dono della fecondità, ma non proporzionatamente alla felicità esistente quando nella carne non c'era nulla che avesse voglie contro lo spirito, o che dovesse essere frenato dallo spirito in lotta contro di essa.
Prima del peccato bisognava che la natura dell'uomo fosse in pace e non in guerra.
Nella parte che segue del tuo ragionamento ti sei affaticato invano, quasi che noi avessimo potuto dire: "Isacco è stato generato senza la concupiscenza della carne o senza il seme dell'uomo". Non l'abbiamo mai detto.
Passando oltre, di conseguenza disprezziamo tutto quanto hai argomentato al riguardo.
Col tuo profondo acume credi di avere fatto una grande scoperta quando dici: "Gli uomini, anche se fossero stati creati dal diavolo, sarebbero cattivi senza colpa propria e, di conseguenza, non sarebbero cattivi, perché nessuno può essere diverso da quello che è per nascita e non è giusto esigere da lui in misura superiore alle sue possibilità".
Anche noi siamo soliti dire questo contro i manichei, i quali, però, non dicono che la natura buona è stata viziata, ma che la natura, da essi ritenuta cattiva secondo le loro favole, è eterna ed immutabilmente cattiva.
Secondo la dottrina cattolica, al contrario, la natura, creata buona, è stata viziata dal peccato e, di conseguenza, giustamente condannata.
Non è né strano né ingiusto pertanto che una radice condannata produca dei condannati, a meno che non intervenga la misericordia liberatrice di Colui del quale non è mancata la mano creatrice.
Questa misericordia liberatrice voi la negate ai miseri, quando asserite che i bambini non hanno un male da cui essere liberati.
Voi, che con falsa difesa opprimete la povera infanzia e la combattete con perniciosa lode, per qual motivo escludete dal regno di Dio tante sue immagini, i bambini, che nulla di male hanno meritato, ma semplicemente non sono stati battezzati?
Non facendo quello che non potevano assolutamente fare, hanno forse trascurato il loro dovere così da essere privati del regno e da essere puniti con un esilio tanto luttuoso?
Dove metterai quelli che non avranno la vita perché non hanno mangiato la carne né bevuto il sangue del Figlio dell'uomo? ( Gv 6,54 )
Per questo, come sopra ho ricordato, Pelagio sarebbe uscito condannato dal tribunale ecclesiastico se, a sua volta, non avesse condannato quelli che dicevano: "I bambini, anche senza battesimo, hanno la vita eterna".
Per quale giustizia, di grazia, può essere allontanata dal regno di Dio e dalla vita di Dio una sua immagine che in nulla ne ha trasgredito la legge?
Non vedi il disprezzo che l'Apostolo riserva a taluni che egli dichiara esclusi dalla vita di Dio, per l'ignoranza che c'è in loro a causa dell'indurimento del loro cuore? ( Ef 4,18 )
Il bambino non battezzato è soggetto o no a questa sentenza?
Se direte che non è soggetto, sarete sconfessati e puniti dall'evidenza della verità evangelica e dalla stessa lingua di Pelagio.
Dov'è infatti la vita di Dio se non nel regno di Dio, nel quale possono entrare solo coloro che sono rinati da acqua e Spirito Santo? ( Gv 3,5 )
Se, al contrario, direte che è soggetto, ammettete la pena: riconoscetene la colpa; ammettete il supplizio: riconoscetene il merito.
Nel vostro domma non troverete nulla da poter sostenere.
Se in voi c'è ancora un po' di sensibilità cristiana, sappiate riconoscere una buona volta nei bambini la propaggine della morte e della condanna, che dev'essere debitamente punita dalla giustizia o gratuitamente liberata dalla grazia di Dio.
Nella loro redenzione è possibile lodare la misericordia di Dio, mentre nella loro perdizione non è possibile accusare la verità di Dio, perché tutti i sentieri di Dio sono misericordia e verità. ( Sal 25,10 )
Quasi al pari di un medico, tu dividi, definisci, discorri sul genere, sulla specie, sulla misura e sull'eccesso della concupiscenza, asserendo che "Il genere sta nel fuoco vitale; la specie nel movimento dei genitali; la misura nell'azione coniugale e l'eccesso nella intemperanza della fornicazione".
Se dopo questa tua sottile e prolissa disquisizione, brevemente ed apertamente ti chiedessi come mai questo fuoco vitale ha radicato una guerra nell'uomo, cosicché la carne ha voglie contro lo spirito e lo spirito necessariamente deve avere desideri contro la carne, ( Gal 5,17 ) oppure come mai chi consente a questo fuoco viene ferito da una ferita mortale, lo stesso inchiostro del tuo libro, ne sono sicuro, rosso per la vergogna si trasformerebbe in minio.
Questo è il fuoco vitale, che non solo si rifiuta di seguire il volere della nostra anima, che è la vera vita della carne, ma spesso, contro la sua volontà si eccita con disordinati e turpi movimenti e, qualora lo spirito non avesse desideri contro di essa, ucciderebbe la nostra vita buona.
Dopo una lunga disquisizione arrivi a questa conclusione: "Giustamente, dunque, l'origine della concupiscenza viene situata nel fuoco vitale, perché la concupiscenza della carne deve essere attribuita a colui per cui si regge la vita carnale".
Fai questa affermazione come se tu possa provare o, per quanta sfontatezza tu abbia, possa avere l'audacia di sospettare che nella prima costituzione dell'uomo, prima che la condanna seguisse la colpa, la concupiscenza carnale esistesse già nel paradiso o che provocasse sporche battaglie contro lo spirito con i disordinati movimenti che vediamo ora.
Subito dopo aggiungi: "La colpa di questo appetito non sta nel genere, nella specie o nella misura, ma solo nell'eccesso; il genere e la specie sono opera del Creatore: la misura appartiene ad una decisione onesta, mentre l'eccesso deriva dal vizio della volontà".
Parole prive di senso suonano eleganti a te esattamente come ad uno che non pensa quello che dice.
Se la misura di questo appetito appartiene ad una decisione onesta, quale onesto coniugato vorrebbe essere mosso da questo appetito, se non quando è necessario?
Eppure quello che vorrebbe non gli è possibile.
Quale onesto casto vorrebbe essere talvolta mosso da questo appetito?
Eppure, quello che vorrebbe non gli è possibile.
Per questo motivo l'uomo esclama: … Volere il bene è alla mia portata, ma praticarlo no. ( Rm 7,18 )
Dal momento, quindi, che la concupiscenza, nel suo movimento, non trova alcuna misura nella decisione della volontà, ed in se stessa non ha alcuna moderazione al di fuori di quella che le viene imposta dalla vigile lotta dello spirito onesto, perché lodare, o uomini perversi, e non gridare a Dio: Liberaci dal male? ( Mt 6,13 )
Che ti giova l'affermare che "la libidine viene arrestata dalla debolezza", quasi che essa non venga estinta del tutto con la morte, quando l'uomo, che da essa era stato superato e soggiogato, non può più combattere, ma solo ricevere da vinto il castigo meritato?
Questa è la cosa più amara, qui è dove tu non comprendi la propaggine della morte di un combattente per cui questo movimento è tanto più malsano quanto più noi siamo sani.
Tu scrivi: "Nei coniugi la concupiscenza è usata con onestà, nei casti è frenata con la virtù".
È vero questo? Lo sai per esperienza? I coniugi non debbono frenare questo male o questo tuo bene?
A piacimento dunque, i coniugi, tutte le volte che si sentiranno solleticati, si stenderanno e si abbracceranno senza differire neppure di un'ora questa smania di giacere e l'unione dei corpi apparirà loro pienamente legittima ogni qualvolta questo tuo bene si sarà spontaneamente eccitato.
Se hai vissuto una vita coniugale di questo genere, smetti di addurre le tue esperienze nella disputa e domanda piuttosto agli altri in qual modo essa debba essere vissuta ed insegnata.
Mi meraviglierei tuttavia se non hai almeno frenato i desideri adulterini o, addirittura, se non hai neppure avvertito la necessità di farlo.
Se poi neanche la pudicizia coniugale, sia per la sfrenata sconcezza della libidine nella stessa unione, sia per la deprecabile concupiscenza, frena questa peste per non far compiere qualcosa che vada al di là del naturale uso del matrimonio, cosa significa la tua espressione: "nei coniugi è usata con onestà"?
Forse che questo appetito è sempre onesto nei coniugi e non c'è nulla che ad essi si permette solo a modo di concessione, come dice l'Apostolo? ( 1 Cor 7,6 )
Quanto meglio avresti detto: è usata con onestà dalla moderazione dei coniugi?
O hai avuto paura che si vedesse un male anche là ove i coniugi impongono con cura il freno della moderazione?
Almeno ora che vivi nella continenza, cerca di riconoscere nella quadriga di Ambrogio il cavallo cattivo e non volere più lodare col cuore o con la bocca quello che sei costretto a frenare con la virtù.
"Il quarto, l'eccesso del piacere, tu scrivi, è praticato dai dissoluti, e, poiché deriva dalla insolenza e non dalla natura, viene giustamente condannato".
Da quale insolenza deriva? Dalla dissolutezza o dalla concupiscenza?
Naturalmente, per non contraddire la tua tesi iniziale, risponderai che deriva dalla dissolutezza.
Ma tutti gli uomini ritengono che la dissolutezza è peccato solo in quanto per suo mezzo si acconsente alla concupiscenza.
E per te non è cattiva la cosa, consentendo alla quale si commette peccato?
Questo male è insito nella nostra carne, che ha voglie contro lo spirito, pur se non esiste nello spirito che non vi consente e che al contrario gli si oppone.
Grida dunque: Liberaci dal male ( Mt 6,13 ) e a questo male non aggiungere il male di una falsa lode.
Tra i dissoluti e i continenti con molta chiarezza poni la pudicizia coniugale e dici: "Essa rimprovera i primi perché hanno commesso cose illecite, e ammira i secondi che hanno disprezzato anche le lecite.
Scelto il giusto traguardo, dopo aver maledetto la barbarie di chi cade in basso e venerato il fulgore di chi risplende al di sopra di sé, placa con caste mani i focosi e loda coloro che non hanno bisogno di tale rimedio".
Mi rallegro molto della tua eloquentissima verità. Ma rifletti, ti prego, su quello che dici.
Con molta chiarezza e verità infatti dici che la castità coniugale loda la continenza in quanto non ha bisogno di tale rimedio, di cui essa stessa sente di avere avuto necessità, secondo il detto dell'Apostolo: Chi non riesce ad essere casto, si sposi. ( 1 Cor 7,9 )
Perché allora, quando affermo che la concupiscenza è una malattia, tu lo neghi pur ammettendo che ad essa è necessario un rimedio?
Se ammetti il rimedio, riconosci pure la malattia; se poi insisti a negare la malattia, nega pure il rimedio.
Arrenditi, ti prego, alla verità che talvolta parla per mezzo della tua stessa bocca: Non si offre il rimedio a chi è sano.
Giusta altresì è la tua osservazione: "Ad un attento esame, il matrimonio non può piacere se viene lodato in paragone con il male". Questo è vero.
Nel suo genere il matrimonio è senz'altro un bene, e lo è perché conserva la fedeltà al talamo; perché gli sposi si uniscono per la procreazione della prole e perché ha in orrore l'empietà della separazione.
Questi sono i beni nuziali in virtù dei quali il matrimonio è un bene, che sarebbe ugualmente esistito, come abbiamo detto e ripetuto, anche se nessuno avesse peccato.
Dopo il peccato, alle nozze si è aggiunta una lotta derivante non dalla felicità, ma dalla necessità, al fine di combattere per il proprio bene contro il male della concupiscenza, non permettendole di giungere a qualcosa di illecito, pur se, con movimenti ora lenti ora concitati, essa non cessi di istigare in tale direzione, anche quando i coniugi ne fanno buon uso per la procreazione della prole.
Chi può negare quel male se non chi rifiuta di ascoltare l'Apostolo che ammonisce: Dico questo a modo di concessione, non a modo di comando? ( 1 Cor 7,6 )
Qualora i coniugi si uniscono spinti dal piacere carnale e non dal desiderio della prole la cosa non può essere lodata, ma, intervenendo ed intercedendo il matrimonio, può essere solo tollerato a confronto con mali maggiori.
Dopo di questo, non so perché ritorni sull'esempio di Abramo e Sara a cui credo di avere risposto più che a sufficienza.
Non so cosa ti era sfuggito che hai voluto poi aggiungere quando ti è venuto in mente.
È umano e suole accadere. Vediamo di che si tratta.
"È stato un evento profetico, tu scrivi, quello che di recente si è manifestato in Africa.
Il marito e l'onore di una santa e bella donna, che era figura della Chiesa, non erano al sicuro.
Con l'aiuto di Dio, essa è stata conservata intatta".
Per evitare di fermarmi inutilmente su tutte le tue parole, vengo subito a colui al quale scrivi e rivolgi queste parole: "Caro fratello Turbanzio, unito a me nel sacerdozio, bisogna ora pregare Dio perché, anche in questo tempo, con uguali forze non indugi a sottrarre la Chiesa cattolica, sposa del suo Figlio, matura, feconda, casta e bella, dallo stupro dei manichei pirati in Africa e fuori dell'Africa".
Questa però è la nostra preghiera contro i manichei, i donatisti, gli altri eretici e quanti in Africa sono nemici del nome cristiano e cattolico.
Contro di voi invece, che per noi siete una pestilenza d'oltremare che Cristo salvatore dovrà sconfiggere, saremmo pirati usciti dall'Africa, perché da qui vi opponiamo solo il martire Cipriano, col quale potervi dimostrare che noi difendiamo l'antica fede cattolica contro la vana e profana innovazione del vostro errore? Orrendo!
Che forse nella Chiesa di Dio che è in Africa mancavano le tue preghiere quando Cipriano predicava quello che tu combatti?
Egli diceva: "Non si deve assolutamente negare il battesimo al bambino, che, nato da poco non ha alcun peccato all'infuori di quello contratto prima della nascita, quando è stato generato secondo la carne di Adamo.
A lui deve essere rimesso non un peccato personale, ma quello di un altro".2
Quando Cipriano imparava ed insegnava queste cose, mancava forse l'aiuto della tua preghiera, in virtù della quale Sara sarebbe rimasta intatta in Africa e la sua bellezza sarebbe stata salvata dallo stupro dei manichei, che, secondo te, avevano ingannato lo stesso Cipriano prima che il nome dei manichei risuonasse all'orecchio dei romani?
Cerca di capire quante mostruosità ed insanie dici contro l'antichissima fede cattolica, non avendo altro da dire.
Puoi destreggiarti come e quanto vuoi, o eresia pelagiana, che costruisci nuove macchinazioni e prepari nuove insidie contro le mura dell'antichissima verità!
"Il disputatore punico", come con spregio mi chiama il tuo difensore, il punico disputatore, non io, ma il punico Cipriano, ti immola con questa ferita e ti castiga per il domma inquinato.3
Cosa avresti detto se avessi nominato tanti vescovi dall'Africa quanti ne ho nominati dalle altre parti del mondo?
Cosa avresti detto se molti tra di essi fossero stati africani?
Uno è di qui, gli altri sono di altre terre: dal loro consenso, dall'Oriente e dall'Occidente, sei seppellito.
Nonostante ciò, sei talmente accecato dalla tua ostinazione da non renderti conto che sei tu piuttosto a voler imbrattare l'antico splendore della Chiesa, l'antica fede cioè, come la castità della bellissima nonnina Sara.
Se i manichei hanno disonorato la Chiesa di Dio per mezzo dei santi vescovi e memorabili dottori, Ireneo, Cipriano, Reticio, Olimpio, Ilario, Ambrogio, Gregorio, Basilio, Giovanni, Innocenzo, Girolamo, dimmi, Giuliano: quale Chiesa ti ha generato?
Chi ti ha partorito, attraverso l'utero della grazia spirituale, alla luce che hai abbandonato: una madre casta o una meretrice?
O forse tu, con istinto nefando, derivante non da errore, ma da furore, osi disonorare il seno della sposa di Cristo e madre tua, per difendere i dommi pelagiani?
Oppure la novella deviazione, non riuscendo a trovare altre menzogne contro la vetusta bellezza di Sara, ti ha condotto ad incriminare col blasfemo nome di manicheo l'unanime consenso di tanti gloriosi vescovi cattolici, tra cui c'è chi non ha mai sentito neppure il nome dei manichei?
Dopo questa digressione, alla quale ti ha portato non "l'impeto del dolore", come tu dici, ma del perduto pudore, torni ai deliri che erano nel tuo programma.
Con la testimonianza dell'Apostolo ( Rm 4,19 ) cerchi di comprovare quanto avevi detto sulle membra morte di Abramo e di Sara.
Basti quanto detto sopra nella maniera, a mio avviso, migliore possibile.
Quale cristiano ignora che "chi ha fatto il primo uomo dalla polvere, fa tutti gli altri dal seme"?
Da un seme, però, già viziato e condannato, che in parte resterà, secondo la verità, nel supplizio, ed in parte, in virtù della misericordia, verrà liberato dal male.
Non è dunque vero come tu credi e concludi che "l'affermazione del peccato naturale rimane soffocata nelle maglie dei tuoi lacci".
La natura, corrotta dalla volontà del primo trasgressore, non la purificano le tue parole vane per mezzo del vostro novello domma, ma la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.
Indice |
2 | Cipriano, Ep. 64, 5: PL 3, 1054s |
3 | Virgilio, Aen. 12, 946-947 |