Contro la lettera di Mani |
Che farò con animi miserrimi degenerati dall'errore e avviluppati dalla consuetudine?
Infatti questi uomini non sanno quello che dicono, quando dicono queste cose, perché non stanno attenti.
Vi prego, nessuno vi fa fretta, nessuno vi spinge alla contesa, nessuno vi insulta per gli errori passati, se non chi non abbia fatto esperienza della divina misericordia sì da essere esente da errori: soltanto facciamo in modo che gli errori una buona volta finiscano.
Prestate un attimo di attenzione, senza animosità e amarezza.
Tutti siamo uomini; non odiamo noi stessi, ma gli errori e le falsità.
Vi supplico, prestatemi un attimo di attenzione.
O Dio delle misericordie, aiuta coloro che capiscono, e accendi la luce interiore in coloro che cercano la verità.
Cosa infatti capiamo, se non comprendiamo che ciò che è retto è meglio di ciò che è storto?
Vi chiedo dunque, se accogliete con calma e umiltà: se qualcuno deformasse il lato retto della terra delle tenebre, il quale è aggiunto al lato retto della terra della luce, non gli toglierebbe una certa bellezza?
È necessario che ammettiate, se non volete latrare a vuoto, che non solo viene sottratta a quello la bellezza se viene deformato, ma anche quella bellezza che ha potuto avere in comune con il lato retto della terra della luce.
Dunque sottraendo la bellezza e rendendo deforme una cosa retta, in modo da rendere discorde ciò che concordava, e in contraddizione ciò che corrispondeva, forse che si sottrarrebbe di lì qualche sostanza?
Così dunque imparate che il male non è una sostanza, ma come nel corpo con il cambiamento della forma in peggio, si perde, o meglio diminuisce la bellezza, ed è detto, sordido ciò che prima era detto bello, e dispiace il corpo che prima era piaciuto: così nell'animo il decoro di una retta volontà, per il quale si vive piamente e rettamente, è reso depravato quando la volontà si cambia in peggio; da tale peccato l'anima viene resa misera, essa che nell'onestà della retta volontà raggiungeva la beatitudine, senza che vi sia aggiunta o sottratta alcuna sostanza.
Quindi pensate anche a questo: anche se concediamo che per altri motivi il lato della terra delle tenebre sia male, perché oscuro, perché tenebroso, o qualsiasi altro attributo può essere aggiunto, tuttavia non è male per il fatto che sia retto.
Come dunque concedo che nel suo colore vi sia qualcosa di male, così è necessario che anche voi concediate che vi sia qualcosa di bene nella sua linearità.
È illecito pertanto allontanare da Dio creatore ciò che vi è di bene, per quanto poco sia; dobbiamo credere che da lui proviene ogni bene che si trova in qualunque natura, per non errare in modo molto pericoloso.
In che modo dunque Mani dice che questa terra è il sommo male, nella rettitudine del cui lato io trovo, per quanto attiene al corpo, un bene di non piccola bellezza; e vuole che quella sia del tutto estranea all'onnipotente e ottimo Dio, quando non troviamo a chi altro deve essere attribuito questo stesso bene che riconosciamo in essa, se non all'autore di tutti i beni?
Ma era male, dice, anche quel lato. Supponi che sia male: sarebbe certamente peggio se non fosse retto, ma distorto.
In che modo dunque è il sommo male, ciò di cui puoi pensare qualcosa di peggiore?
Quindi è necessario vi sia qualcosa di buono, mancando il quale una cosa qualsiasi si rende peggiore.
Invece mancando la rettitudine si rende peggiore quel lato.
La rettitudine vi introduce dunque qualcosa di bene.
E mai tu mi dirai da dove l'introduce, se non ti sarai rivolto a quello, dal quale grandi o piccole che siano, ammettiamo tuttavia che derivino tutte le cose buone.
Ma ora dal problema di questo lato passiamo ad altri aspetti della questione.
Abitavano, dice, in quella terra corpi di fuoco, stirpi pestifere.
Quando dice, abitavano, vuol farci intendere senz'altro che erano corpi animati e viventi.
Ma perché non sembri che vogliamo cavillare su una parola, occupiamoci di tutti questi abitanti di quella terra, in che modo egli distribuisca in cinque parti gli esseri viventi.
Qui c'erano tenebre infinite, dice, che avevano origine in numero incalcolabile dalla stessa natura con i loro feti: al di là di esse c'erano acque fangose e torbide con i loro abitanti; all'interno di queste c'erano venti orribili e fortissimi con il loro Principe e i loro genitori.
Di dietro invece c'era la regione ignea e corruttibile con i suoi duci e nazioni.
In ugual modo nella parte interiore c'era una stirpe piena di caligine e di fumo, nella quale dimorava l'immane Principe e duce di tutti, che aveva intorno a sé innumerevoli principi, di tutti i quali egli era mente e origine: e queste furono le cinque nature della terra pestifera.
Consideriamo che le cinque nature sono quasi parte di un'unica natura, che egli chiama terra pestifera.
Sono queste: tenebre, acque, venti, fuoco, fumo; tali cinque nature le ordina, in modo che restino esterne alle altre le tenebre, dalle quali comincia a contare.
Dentro le tenebre pone le acque; dentro le acque i venti; dentro i venti, il fuoco; dentro il fuoco, il fumo.
E queste cinque nature avevano ciascuna i propri tipi di abitanti, che parimenti sono cinque.
Domando infatti se un solo genere di abitanti era in tutte le cinque nature, o se generi diversi, come diverse sono le nature stesse.
Rispondono che erano diversi, e insegnano così da altri libri che le tenebre ebbero serpenti; le acque animali acquatici, come i pesci; i venti animali volanti, come gli uccelli; il fuoco quadrupedi, come i cavalli, i leoni, e altri animali di tale tipo; il fumo bipedi, come gli uomini.
Chi dunque organizzò queste cose? Chi le distribuì e le distinse? Chi diede il numero, le qualità, le forme, la vita?
Infatti tutte queste cose di per se stesse sono buone, né si trova altri a cui possano essere attribuite, se non derivano da Dio autore di tutti i beni.
Infatti non come i poeti sono soliti descrivere il caos, o presentarcelo in qualche modo, ossia come una qualche informe materia senza specie, senza qualità, senza misura, senza numero e peso, senza ordine e distinzione, un non so che di confuso, e del tutto mancante di ogni qualità; per cui alcuni dottori greci lo chiamano άποιον: non dunque così costoro si sforzano di presentarci questa che chiamano terra delle tenebre; ma in modo del tutto diverso e di gran lunga difforme e contrario aggiungono e allineano il lato verso il lato: contano cinque nature, le distinguono, le ordinano, le enunciano nelle loro qualità; né permettono che esse siano deserte ed infeconde, ma le riempiono con i relativi abitanti; ad esse attribuiscono forme che siano adatte e appropriate ai loro abitanti, e, ciò che supera ogni cosa, la vita.
Enumerare tante cose buone, e dire che sono aliene da Dio autore di ogni bene, questo significa non riconoscere nelle cose il così grande bene dell'ordine, né in sé il così grande male dell'errore.
Ma queste stirpi, dice, che abitano quelle cinque nature, erano crudeli e pestifere.
Come se io avessi lodato in queste la crudeltà e la peste!
Ecco io con te biasimo le qualità che tu accusi essere malvage: loda tu con me le qualità che tu stesso in quelle ricordi buone; così ti accorgerai di voler stabilire, quale sommo ed estremo male, beni misti ai mali.
Biasimo qui con te la peste: loda qui con me la salute.
Infatti quelle stirpi, senza alcuna salute, non avrebbero potuto essere generate, o essere nutrite, o abitare quella terra.
Biasimo qui con te le tenebre: loda qui con me la fecondità.
Tu definisci infatti le tenebre innumerevoli; e tuttavia aggiungi con i loro feti.
Quantunque le tenebre non sono corporee; e tutto questo nome è assenza della luce, come la nudità è mancanza del vestito, e la vacuità mancanza della pienezza del corpo; e per questa ragione le tenebre non hanno potuto generare niente, quantunque la terra tenebrosa, cioè carente di luce, avrebbe potuto generare qualcosa.
Ma tralasciamo del tutto questo discorso.
Tuttavia quando i feti nascono, la loro costituzione è adatta alla salute, ed una certa concordia armoniosa ordina e riunisce nell'unità le membra dei nascenti, proporzionate reciprocamente tra loro nella concordia della misura.
Chi non capisce che si devono degnare di maggior lode tutte queste cose, che di biasimo le tenebre?
Biasimo qui con te il fango torbido delle acque: loda qui con me la stessa forma e qualità delle acque, e le membra ben proporzionate dei natanti che vi abitano, la vita che tiene unito e regge il corpo, ed ogni temperamento accordato alla vigoria del proprio genere.
Sebbene infatti tu biasimi le acque fangose e torbide, tuttavia per il fatto stesso che tu dici che tali acque possono generare e conservare i propri esseri animati, non puoi sottrarre la bellezza di qualsiasi corpo, e l'armonia delle parti con cui sono formati e sottomessi in una sola qualità; perché se l'avrai sottratta, non vi sarà alcun corpo: tutte queste qualità, se sei uomo, senti che devono essere lodate.
E per quanto tu esageri la crudeltà di quegli abitanti, e le lacerazioni e le devastazioni negli assalti, tuttavia non togli loro gli armoniosi contorni delle forme, per i quali i loro singoli corpi sono a sé sottomessi con l'uguaglianza delle membra, e il temperamento della salute, ed il timone dell'anima che dirige le parti del proprio corpo nell'unità dell'amicizia e della concordia: se avrai considerato queste qualità con buon senso, vedi che sono da lodare, più di quanto siano da biasimare quelle che dispiacciono.
Biasimo qui con te l'orrore dei venti: loda qui con me la natura degli stessi venti, respirabile e nutrice, e la forma del corpo, sviluppata e diffusa con la corrispondenza delle parti: grazie a tutte queste condizioni avevano potuto generare, nutrire e tenere in salute i propri abitanti; e di questi abitanti, come per le cose che sono state lodate dal ragionamento precedente per tutti gli esseri animati, tu loda l'agilità dei movimenti e la facilità di passaggio da dove vogliono e attraverso dove vogliono, e in volo l'andamento concorde delle ali ed il loro movimento mai eguale.
Biasimo qui con te la corruzione del fuoco: loda qui con me il fuoco che genera e alimenta, e che dona la conveniente temperatura a coloro che nascono, temperatura necessaria affinché si sviluppino e si perfezionino con le proprie armonie e lineamenti e possano vivere e abitare qui; tu sai bene che tutte queste cose devono essere ammirate e lodate non solo nella sede del fuoco, ma anche negli stessi abitanti.
Biasimo qui con te l'oscurità del fumo, e l'immanità del principe che in quello, come tu dici, dimorava: loda qui con me il fatto che nello stesso fumo nessuna parte tu puoi trovare dissimile dalle altre.
Da ciò deriva che esso custodisce nel suo genere la congruenza delle parti e la proporzione tra queste, affinché ciò che esiste sia in una certa unità: unità che nessuno, che consideri con prudenza, manca di lodare con ammirazione.
Che dire del fatto che tu concedi anche al fumo la forza e potenza di generare, quando anche ad esso attribuisci principi che lo abitano, sicché - cosa che non vediamo mai qui - là il fumo sia fecondo e offra una salubre dimora per i suoi abitanti?
Per il fatto di avere avvertito nello stesso principe del fumo la sola enormità che hai biasimato, forse che non avresti dovuto fare attenzione alle altre cose che ti avrebbero costretto a lodare la sua natura?
Aveva infatti anima e corpo; quella vivificante, questo ispirato di vita; quella che domina, questo che obbedisce; quella che va avanti, questo che segue; quella che congiunge, questo che non si allontana; quella che si muove in armonia, questo che è rafforzato da una armoniosa compagine di membra.
Forse che ti muove alla lode verso questo unico principe, o la pace ordinata, o l'ordine pacificato?
Ciò che è detto di uno, è lecito pensarlo di altri.
Ma davvero era verso gli altri feroce e immane?
Non lodo ciò, ma tutte le altre cose a cui non vuoi badare.
Se uno capisce e considera tali qualità, una volta che è stato ammonito, anche se ha creduto a Mani senza discernimento, si accorge senza dubbio che nel parlare di queste nature, egli parla di cose buone, ma non somme ed increate - come è Dio considerato come unica Trinità - né di quelle che sono create e ordinate in modo sublime - come sono gli Angeli santi e le beatissime potestà -.
Egli sta parlando invece di nature infime, ma buone perché ordinate secondo la norma del proprio genere nella scala più bassa della realtà.
Anche gli ignoranti capiscono che devono essere biasimati tali esseri, nel momento in cui vengono comparati a quelli superiori; e nel momento in cui si considera ciò che di bene manchi ad essi e ciò che vi sia, la mancanza di bene prende il nome di male.
Ed io certamente, per questo motivo, disputo così di queste nature, perché sono nominate quelle che ci sono note in questo mondo.
Conosciamo infatti le tenebre, le acque, i venti, il fuoco, il fumo; conosciamo anche gli animali che strisciano, quelli che nuotano, quelli che volano, i quadrupedi, i bipedi; in tutti questi eccetto le tenebre che, come ho detto, non sono nient'altro che assenza di luce, le quali sono percepite dagli occhi nel momento in cui non vedono nulla, come il silenzio dalle orecchie nel momento in cui non odono; non perché le tenebre hanno una qualche esistenza, ma perché non c'è luce; lo stesso vale per il silenzio, non perché esiste, ma perché non c'è suono; eccettuando dunque le tenebre in questo elenco, le altre sono nature, e ben note a tutti; nessuno che sia prudente allontana da Dio autore di tutti i beni la loro specie che, qualunque essa sia, è lodevole e buona.
Infatti è smascherato come del tutto falso quel Mani, in qualsiasi modo abbia voluto ordinare le nature che ha conosciuto nelle sue fantasticherie, ossia nella gente delle tenebre.
Primo, perché le tenebre non possono generare nulla, come è stato detto.
Ma quelle tenebre non erano - dice - come queste che hai conosciuto.
Donde allora mi ammaestri riguardo a quelle?
Forse che per caso proprio tu, tanto chiacchierone nel promettere l'insegnamento, mi vuoi costringere a credere?
Piuttosto fa' in modo che io creda.
So questo almeno: se non avevano una qualche specie, come queste attuali non hanno, non hanno potuto generare niente; se invece ce l'avevano, erano migliori.
Tu invece, quando dici che non sono state tali, desideri che siano credute come se fossero peggiori.
Potresti dire anche che il silenzio, che è per le orecchie come le tenebre per gli occhi, abbia generato colà alcuni animali sordi o muti; come nel caso in cui ti si dicesse che il silenzio non è una qualche natura, tu risponderesti: " Ma quel silenzio non è tale, quale conosci qui "; cosicché di tutto tu dici ciò che vuoi a quelli che una volta hai ingannato, affinché ti credessero.
Sebbene si sia potuto ben comprendere che quanto avviene nei primi inizi del loro nascere lo abbia indotto a pensare che i serpenti siano nati nelle tenebre; tuttavia ci sono serpenti che vedono tanto acutamente, e in tal modo esultano per la presenza della luce, da risultare un autorevolissimo testimone contro ciò che lui dice.
Quindi è stato facile a costui studiare gli esseri che nuotano nell'acqua, e a quelli trasferire le sue immaginazioni; così anche per quanto riguarda gli esseri che volano nei venti, poiché la forza di questa aria più densa nella quale volano gli uccelli è detta vento; non so invero da dove gli sia venuto in mente di immaginare nel fuoco i quadrupedi.
E tuttavia non ha detto ciò senza un motivo, ma non è stato abbastanza attento, e ha commesso un errore di troppo.
Infatti sono soliti dare la ragione che i quadrupedi sono voraci e si accendono molto nell'amplesso.
Ma molti uomini sono per la loro voracità superiori a qualsivoglia quadrupede, uomini che certamente sono bipedi; esseri che non del fuoco, ma del fumo dice che sono figli.
Invero non si trova facilmente qualche animale più vorace delle oche; le quali o le ponga nel fumo, perché sono bipedi; o nell'acqua, perché amano nuotare; o nei venti, perché sono pennuti, e ogni tanto volano: al fuoco certamente, secondo la sua classificazione, non sono pertinenti.
Ma per quanto riguarda il fervore dell'amplesso, credo che egli abbia osservato i cavalli che nitriscono, e spesso dopo aver roso i freni sono rapiti verso le femmine.
Per la fretta di scrivere quello che ha visto, non presta attenzione al passero di muro, in comparazione del quale qualsiasi stallone sarebbe trovato del tutto frigido.
Invero se si chiede a costoro del perché abbiano classificato i bipedi nel fumo, essi rispondono che il genere dei bipedi è nobile e superbo; dicono infatti che di qui gli uomini traggono origine : e poiché il fumo si alza in aria in volute e come se fosse gonfio, seguendo un ragionamento non del tutto assurdo hanno ritenuto che questo sia simile ai superbi.
Osservazione che ha dovuto essere sufficiente nell'offrire una qualche similitudine nei confronti degli uomini superbi, oppure nel formare o nel capire l'allegoria; tuttavia non basta questo motivo per credere che i bipedi viventi siano nati nel fumo e dal fumo.
Infatti sarebbero dovuti nascere anche nella polvere, perché spesso essa si alza nel cielo in un cerchio e in un'altezza non minore; e nelle nuvole, poiché generalmente evaporano dalla terra in un modo tale, che da lontano rendono incerti coloro che cercano di capire se si tratti di fumo o di nuvole.
Infine, perché è stata fatta una discussione riguardo a coloro che vi abitano, sulla resistenza dell'abitare nell'acqua e nel vento, dal momento che vediamo anche che vivono nell'acqua esseri che nuotano, nel vento esseri che volano?
Invece il fuoco e il fumo non hanno atterrito quell'uomo mentitore, in modo che si vergognasse di mettere degli abitanti in quel luogo in cui niente di più assurdo potrebbe mettere. Infatti il fuoco incendia e corrompe il quadrupede, e il fumo soffoca e uccide i bipedi.
O costui certamente è costretto a riconoscere di aver descritto con un aspetto migliore le nature nella stirpe delle tenebre, quando invece vuole che colà tutte le cose siano credute peggiori.
Dal momento che lì il fuoco generava e nutriva il quadrupede, e lo conservava senza danno o addirittura in modo del tutto adeguato.
Similmente anche il fumo aveva educato e conservato per il principato i suoi bipedi nati nel grembo mitissimo, non solo senza molestia, ma in modo vitale ed amorevole.
Così queste menzogne vengono mostrate attraverso l'osservazione degli eventi che accadono nel mondo; ma concepite da un senso carnale non molto diligente e scrupoloso, partorite dall'immaginazione, e prodotte e scritte con temerarietà, hanno aumentato il numero degli eretici.
Ma bisogna piuttosto spingerli in quel senso, affinché capiscano - se sono in grado di capire - quanto è detto secondo verità nella Cattolica, che Dio è l'autore di tutte le nature; di questa nozione trattavo prima, quando dicevo: " Biasimo con te la peste, la cecità, il torbido pantano, l'orribile ardore, la corruttibilità, l'immanità dei principi, e cose simili a queste; loda tu con me la specie, la distinzione, l'ordine, la pace, l'unità delle forme, le congruenze e le armoniose somiglianze delle membra, le emissioni vitali e i nutrimenti, il giusto equilibrio della salute, il regime e il governo dell'anima, e la sottomissione dei corpi, la somiglianza e la concordia delle parti nelle singole nature che abitavano, o erano abitate, e altre cose di tal genere ".
Così si possono rendere conto - soltanto se vogliano ponderare la questione senza ostinazione - che essi mescolano cose buone e cattive, quando parlano di quella terra, dove hanno creduto che vi sia stato il solo e sommo male; pertanto se si tolgono quelle qualità che sono enumerate come mali, rimangono quei beni che sono lodati senza alcun biasimo; se invece vengono tolti gli stessi beni, non rimane alcuna natura. Da ciò vede - chi può vedere - che ogni natura, in quanto è natura, è bene; se da un solo e medesimo essere, nel quale si trova sia ciò che lodo io, sia ciò che biasima lui, si tolgono quelle qualità che sono buone, non resterà nessuna natura; se invece si tolgono quelle che ripugnano, rimarrà una natura incorrotta.
Fa' in modo che le acque non siano fangose e torbide, rimarranno acque pure e tranquille; togli dalle acque la concordia delle parti, non saranno acque.
Se dunque, tolto quel male, rimane la natura più pura, invece sottratto il bene non rimane alcuna natura: questo costituisce la natura, ossia ciò che ha di bene; ciò che invece ha di male, non è una natura, ma è contro natura.
Togli dai venti l'orrore e l'impeto eccessivo che a te dispiace, puoi pensare venti leggeri e moderati; togli dai venti la somiglianza delle parti, per la quale il loro corpo è tenuto nell'unità ed è in sé moderato affinché sia un corpo, non ci sarà alcuna natura che tu possa pensare.
È lungo continuare a parlare anche delle altre cose; ma è chiaro, per coloro che giudicano senza alcuna faziosità, che, quando si parla di queste nature, si aggiungono ad esse alcune qualità per le quali dispiacciono; tolte queste qualità, le nature rimangono migliori.
Donde si capisce che quelle, in quanto sono nature, sono buone; viceversa quando ad esse avrai detratto tutto ciò che hanno di bene, non saranno nature.
State attenti inoltre, voi che volete giudicare rettamente, anche a quel principe smisurato; se a costui si sottrae la grandezza smisurata, osservate quante cose lodevoli rimarranno: la compagine del corpo, la congruenza qui e lì delle membra, l'unità della forma, e la pace delle parti connesse tra loro, l'ordine e la disposizione dell'anima che dirige e vivifica e del corpo che serve ed è vivificato.
Se vengono sottratte tutte queste buone qualità - anche qualcuna che per caso non ho enumerato - non rimane affatto alcuna natura.
Ma voi forse potreste rispondere che quelle qualità cattive non possono essere sottratte a tali nature, e perciò devono essere accettate come proprie delle nature stesse.
Adesso non vi si sta chiedendo ciò che possa o non possa essere sottratto: ma certamente è una luce non piccola per comprendere che tutte le nature, in quanto sono nature, sono buone, perché le nature buone possono essere pensate senza quei mali, invece senza quei beni nessuna natura può essere pensata.
Infatti posso pensare le acque senza l'intorbidamento provocato dal fango: invece senza la pace delle parti congiunte, nessuna specie del corpo si presenta all'animo, né può essere percepita in alcun modo; e perciò quelle acque fangose non hanno potuto esistere senza questo bene, bene per il quale accadeva che qualche natura corporea potesse esistere.
Infatti quando voi dite che da tali nature non possono essere sottratte le cattive qualità, vi si risponde che ugualmente da tali nature non possono essere sottratte quelle buone.
Poiché dunque voi volete chiamare mali naturali queste cose a causa dei mali che ritenete non possano essere sottratti, viceversa convincetemi del perché, a causa di quei beni che non possono essere sottratti, non volete chiamarle beni naturali.
Resta che mi chiediate ( infatti questa suole essere l'ultima parola ) donde derivino quei mali, che io stesso affermavo essere disdicevoli.
Risponderò forse, se prima voi mi avrete detto donde siano quei beni, che anche voi mi costringete a lodare, se non volete essere di animo del tutto illogico.
Ma perché io faccio questa domanda, dal momento che io e voi ammettiamo che tutte le nature, quali e quante sono buone, derivano da un unico Dio, che è sommamente buono?
Resistete dunque da voi stessi a Mani, il quale così ritenne che fossero in una immaginaria terra delle tenebre tali e tanti beni che abbiamo ricordato e giustamente lodato ( la pace e la concordia delle parti in un'unica natura, la salute e il vigore degli esseri animati, e le altre cose che ormai è tedioso ripetere ) che si è sforzato di separarle da quel Dio che è riconosciuto come autore di tutti i beni.
Infatti non ha visto quei beni, mentre ha badato solo a quanto dispiaceva.
È come se qualcuno, atterrito dal ruggito di un leone, e capendo che questo sta trascinando e dilaniando il corpo di un animale qualsiasi o di un uomo che è riuscito a catturare, fosse preso da tanto timore per una certa debolezza puerile d'animo, che pensando alla sola ferocia e crudeltà del leone, ignorando e tralasciando del tutto di considerare le altre caratteristiche della belva, gridasse, certo tanto più esageratamente quanto più per timore, che la natura di quell'animale non è soltanto un male, ma un grande male.
Ma se domata la ferocia il leone fosse reso mansueto, soprattutto se prima non era stato per niente atterrito da quella belva, allora si riterrebbe sicuro ed intrepido nel considerare e lodare la bellezza del leone.
Della qual cosa io niente dirò, se non ciò che è del tutto attinente alla questione, cioè che può accadere che una natura dispiaccia per qualche carattere e da ciò nasca contrarietà nei suoi confronti; essendo chiaro come sia molto meglio l'esemplare di una belva vera e viva, anche quando sparge il terrore nelle selve, piuttosto che lodarne sulla parete dipinta una imitata e finta.
Dunque Mani non ci inganni in questo errore, né ci renda ciechi nel considerare le specie delle nature, quando in quelle a tal punto rimprovera alcune qualità, da costringere che dispiacciano interamente, poiché interamente non può rimproverarle; ed in questo modo ricomponendo l'animo e l'equo giudizio, chiediamo ora da dove derivino con quei beni i mali, che io pure dicevo di disapprovare.
Cosa che più facilmente vedremo, se avremo potuto riportare tutti i mali in un solo termine.
Indice |