Discorsi sul Nuovo Testamento |
1.1 - A che scopo fu data la Legge
2.2 - Forse l'Apostolo parla di se stesso
3.3 - Neppure l'Apostolo fu senza concupiscenza
3.4 - Si sostiene che l'Apostolo parla della sua personale imperfezione
4.5 - L'Apostolo confessa la debolezza dell'animo suo
5.6 - Il cataplasmo al "tumore" dato all'Apostolo
5.7 - Ogni santo in questa vita è carnale e spirituale ad un tempo
6.8 - Chi è completamente carnale, chi è in parte o in tutto spirituale
7.9 - Carnale e spirituale insieme
7.10 - In accordo alla Legge
8.11 - Ignorare il peccato
9.12 - In questa vita non è concessa ai santi la perfetta osservanza della Legge
9.13 - Si tratta il medesimo argomento
10.14 - La Lotta interiore nell'uomo
10.15 - Si tratta il medesimo argomento
11.16 - Nella risurrezione solo i giusti saranno liberati dal corpo
12.17 - Il corpo dei santi immortale dopo la risurrezione
Voi che siete stati presenti al discorso, avete ascoltato la lettura di ieri tratta dalla Lettera di san Paolo apostolo; quella che oggi è stata proclamata è la continuazione di quella.
Vi si trova ancora quel difficile e pericoloso passo che abbiamo assunto ad esporre ed a svolgere per voi con l'aiuto del Signore nostro secondo le forze che egli si degna concedere, per quanto mi aiutiate voi presso di lui con religiosa affezione.
Mi dia prova di pazienza la Carità vostra, in modo che, se a causa dell'oscurità delle questioni mi è riservata una discussione difficile, almeno io abbia a parlare senza fatica.
Se poi si rende difficile l'una e l'altra cosa, costa assai fatica; e voglia il cielo che non ci si affanni senza utilità!
Ma affinché sia di profitto la nostra difficoltà, sia tranquillo il vostro ascolto.
Ieri, a quanti erano in ascolto, per quanto mi risulta, abbiamo dimostrato a sufficienza che l'Apostolo non accusa la legge.
Dice in realtà nel passo: Che diremo, dunque? Che la legge è peccato? No certamente.
Però io non ho conosciuto il peccato se non per la legge.
Infatti non avrei conosciuto la concupiscenza se la legge non avesse detto: Non desiderare.
Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me ogni sorta di desideri.
Senza la legge infatti il peccato è morto. Cioè: è nascosto, non compare.
E io un tempo vivevo senza la legge; ma sopraggiunto quel comandamento, il peccato ha preso vita.
E io sono morto; la legge, che doveva servire per la vita ( che ha infatti tanta relazione con la vita quanto: Non desiderare? ), è divenuta per me motivo di morte.
Il peccato, infatti, prendendo occasione dal comandamento, mi ha sedotto e, per mezzo di esso, mi ha dato la morte; atterrì, non estinse la concupiscenza; atterrì, non soffocò; suscitò il timore della pena, non l'amore della giustizia.
Così - dice - la legge è santa e santo e giusto e buono il comandamento.
Ciò che è bene è diventato allora morte per me? No davvero! ( Rm 7,7 )
Infatti non è morte la legge, ma il peccato è morte.
Perché allora prende occasione dal comandamento?
Ma il peccato, per rivelarsi peccato, si nascondeva infatti quando era ritenuto morto: Mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché, aggiunta la trasgressione, apparisse oltremodo peccatore o peccato per mezzo del comandamento; perché, se non ci fosse stato il comandamento, la trasgressione non si sarebbe aggiunta al peccato.
Ancora l'Apostolo dice chiaramente in un altro passo: Dove non c'è legge infatti, non c'è nemmeno trasgressione. ( Rm 4,15 )
Che dunque? Perché dubitiamo che la legge sia stata data a questo scopo: a che l'uomo scoprisse se stesso?
Infatti quando Dio non proibiva il male l'uomo non si conosceva; non si accorse che le sue forze erano deboli se non quando ricevette la legge del divieto.
Allora si conobbe, si rivelò a se stesso nei mali.
Dove fuggì lontano da sé? Infatti dovunque fugga da sé, si segue.
E a che gli giova la consapevolezza, che la coscienza rimorde, di aver conosciuto se stesso?
In questa lettura che oggi è stata proclamata parla dunque colui che ha ritrovato se stesso.
Sappiamo - dice - che la legge è spirituale; mentre io sono di carne, venduto come schiavo del peccato.
Poiché non capisco ciò che faccio.
Infatti non quello che voglio io faccio, ma ciò che detesto, questo io faccio. ( Rm 7,19 )
Si cerca di sapere con grande cura da questo passo chi debba intendersi; se è lo stesso Apostolo che parlava, oppure se egli impersonò qualche altro di cui trattava in sé, così come ha detto in un certo passo: Queste cose, fratelli, le ho applicate a modo di esempio a me e ad Apollo per vostro profitto, perché impariate nelle nostre persone. ( 1 Cor 4,6 )
Quindi, se parla l'Apostolo ( cosa che nessuno dubita ), anche quando dice: Non quello che voglio io faccio, ma ciò che detesto, questo io faccio, non di un altro, ma di se stesso egli parla; che dovremo intendere, fratelli miei?
Veramente l'apostolo Paolo non voleva, ad esempio, commettere adulterio, e commetteva adulterio?
Non voleva essere avaro, ed era avaro?
Chi di noi può avere l'ardire di rendersi responsabile di una tale bestemmia, da pensare questo dell'Apostolo?
Allora si tratta forse di qualche altro: forse sei tu, o tu sei, oppure è quello, o anche sono io.
Perciò, se è qualcuno di noi, ascoltiamo noi stessi quasi si tratti di lui e, senza adirarci, correggiamoci.
Se invece si tratta di lui, può darsi che sia egli infatti, non intendiamo così ciò che ha detto: Non quello che voglio io faccio, ma ciò che detesto, questo io faccio, quasi volesse essere casto, e fosse adultero; o volesse essere compassionevole, e fosse crudele, o volesse essere religioso, e fosse empio.
Non prendiamo in tal senso l'espressione: Non quello che voglio io faccio, ma ciò che detesto, questo io faccio.
Ma in che senso allora? Voglio non avere desideri perversi, e si trovano in me.
Che disse la legge? Non desiderare. ( Rm 7,7 )
L'uomo ascoltò la legge, riconobbe il peccato; dichiarò guerra, trovò la schiavitù.
Si tratta forse di un altro uomo, non dell'Apostolo.
Che diciamo allora, fratelli miei? L'Apostolo nella sua carne non aveva alcun desiderio perverso, che non avrebbe voluto avere, che non avrebbe assecondato, sebbene presente a provocare, ad insinuare, ad eccitare, a corrompere.
Parlo alla Carità vostra; noi ci facciamo un'idea molto alta di lui se crediamo che l'Apostolo sia stato del tutto esente dall'infermità della concupiscenza, cui doveva opporsi; e voglia il cielo che sia stato così!
Non bisogna infatti invidiare gli Apostoli, ma imitare gli Apostoli.
Nondimeno, carissimi, ascolto proprio l'Apostolo che confessa di non essere giunto a tanta perfezione di giustizia quanta noi crediamo presente negli angeli; noi ci attendiamo di diventare uguali agli angeli, se perveniamo alla mèta che desideriamo.
Che altro infatti ci promette il Signore nella risurrezione quando afferma: Alla risurrezione dei morti non prendono marito, né moglie; e nemmeno possono più morire, ma saranno uguali agli angeli di Dio? ( Mt 22,30; Lc 20,35-36 )
Dice perciò qualcuno: E tu come sai che l'apostolo Paolo non aveva ancora la perfezione e la giustizia dell'angelo?
Non voglio offendere l'Apostolo, credo solo a lui, non cerco altro testimone; non do ascolto alle congetture altrui, non bado a chi eccede nella lode.
Parlami tu di te stesso, Apostolo santo, in un passo secondo il quale nessuno dubita che tu parli di te stesso.
Poiché riguardo al passo dove hai detto: Non quello che voglio io faccio, ma ciò che detesto, questo io faccio, ( Rm 7,19 ) ci sono alcuni i quali vogliono dire che impersonavi non so chi altro che lottava, era in condizione d'inferiorità, veniva sopraffatto, fatto schiavo.
Tu dimmi di te in un passo secondo il quale nessuno mette in dubbio che parli di te.
Fratelli - afferma l'Apostolo - io non ritengo ancora di esservi giunto.
E che fai? Questo soltanto: dimentico del passato e proteso verso il futuro nell'intenzione - non dice: nella perfezione - nell'intenzione procedo verso il premio della suprema chiamata di Dio in Cristo Gesù.
Già in precedenza aveva detto: Non però che io abbia già conquistato il premio, o sia ormai arrivato alla perfezione. ( Fil 3,12-14 )
Si replica ancora e si dice: L'Apostolo si esprimeva in tal modo perché non era ancora giunto all'immortalità; non perché non era ancora pervenuto alla perfezione della giustizia.
Adesso l'hai detto: Era perciò già tanto giusto quanto gli angeli, ma non era ancora immortale come sono gli angeli.
È così dicono, è proprio così. Era tanto giusto quanto gli angeli, ma non ancora immortale come gli angeli.
Quindi, possedeva già la perfezione della giustizia, ma, procedendo verso il premio definitivo, tendeva all'immortalità.
Indicaci, o santo Apostolo, qualche altro passo ancora più chiaro, non dove dimostri di tendere all'immortalità, ma dove riconosci di essere debole.
E qui già si mormora, già si reagisce.
Ho l'impressione di ascoltare i ragionamenti di alcuni, e qui mi si dice: È certo, io so che cosa dirai; riconosce la debolezza, della carne però, non dello spirito; riconosce la debolezza, ma del corpo, e non dell'animo; non nel corpo, ma nell'animo era perfetta giustizia.
Giacché chi ignora come davvero l'Apostolo sia stato fisicamente debole, che abbia avuto un corpo mortale, come egli dice: Portiamo questo tesoro in vasi di creta? ( 2 Cor 4,7 )
A che scopo allora prendi in considerazione un vaso di creta?
Di' pure qualcosa del tesoro.
Vediamo se gli mancò qualcosa, se c'era qualcosa che per lui si poteva aggiungere all'oro della giustizia.
Ascoltiamo per non essere ritenuti ingiuriosi.
E perché a causa della grandezza delle rivelazioni - dice l'Apostolo -; per la grandezza delle mie rivelazioni io non monti in superbia. ( 2 Cor 12,7 )
Qui precisamente riconoscete all'Apostolo grandezza di rivelazioni e timore di precipitare a causa della superbia.
Così, perché tu sappia che anche lo stesso Apostolo, il quale voleva adoperarsi alla salvezza degli altri, a sua volta aveva ancora bisogno di cure; perché tu sappia che egli riceveva ancora assistenza; se stimi assai l'onore di lui, ascolta che rimedio il medico gli applicò al tumore; non ascoltare me, ascolta lui.
Ascolta lui che confessa perché tu lo senta maestro.
Ascolta: Perché io non monti in superbia per la grandezza delle mie rivelazioni.
Ecco, ormai posso dire all'apostolo Paolo: Perché tu, santo Apostolo, non monti in superbia?
Perché tu non monti in superbia, ancora devi darti pensiero?
Ancora c'è da temere perché tu non monti in superbia?
Perché tu non insuperbisca, si deve cercare ancora il farmaco a questa infermità?
Tu che mi vai dicendo? dice.
Ascolta anche tu che cosa io sia; non avere desideri di cose grandi, ma temi.
Ascolta come entra l'agnellino dove l'ariete è in tale pericolo.
Perché per la grandezza - egli dice - delle mie rivelazioni io non monti in superbia, mi è stata data una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi. ( 2 Cor 12,7 )
Quale tumore ebbe a temere chi accettò un pungentissimo cataplasmo?
Quindi di' ormai che in lui tanta era la giustizia quanta negli angeli santi.
O forse il santo angelo del cielo, per non montare in superbia, riceve come pungolo un inviato di satana dal quale sia schiaffeggiato?
Lungi da noi sospettarlo dei santi angeli.
Siamo uomini, nei santi Apostoli riconosciamo degli uomini; vasi di elezione, ma ancora fragili, ancora pellegrini in questa carne, non ancora vittoriosi nella patria celeste.
Perciò, dopo aver pregato tre volte il Signore perché gli fosse tolto un tale pungolo, non fu esaudito come voleva, ma fu esaudito in vista della salvezza; ( 2 Cor 12,7-9 ) dove egli dice: Sappiamo infatti che la legge è spirituale, mentre io sono di carne, ( Rm 7,14 ) forse non parla fuor di proposito.
È dunque carnale l'Apostolo, che diceva ad altri: Voi che avete lo Spirito correggete con dolcezza quelli che sono tali.
Si rivolge ad altri come a degli spirituali, ed egli è carnale?
Ma che cosa disse proprio agli spirituali, che non erano ancora nella perfezione celeste ed angelica, non erano ancora nella sicurezza di quella patria, ma vivevano nell'inquietudine di questo essere pellegrini? Che disse loro?
Li chiamò, certo, spirituali: Voi - dice - che avete lo Spirito, correggete con dolcezza quelli che sono tali.
E vigila su te stesso per non cadere anche tu in tentazione. ( Gal 6,1 )
Ecco, ebbe timore della debolezza in vista della tentazione per quello che aveva chiamato già spirituale; ne segue che l'uomo spirituale potrebbe essere tentato, anche se non nella mente, certamente nella carne.
È infatti spirituale perché vive secondo lo spirito, ma anche carnale quanto alla natura mortale; è spirituale e carnale ad un tempo.
Ecco l'uomo spirituale: Con la mente servo la legge di Dio.
Ecco il carnale: Con la carne, invece, servo la legge del peccato. ( Rm 7,18 )
Allora egli stesso è carnale e spirituale ad un tempo? Proprio egli stesso, finché vive quaggiù, è così.
Non ti meravigliare, chiunque tu sei chiunque cedi ai desideri carnali e li assecondi, tu che o li ritieni utili a raggiungere la sazietà della passione, o almeno è così certo che, se pure li consideri perversi, li assecondi tuttavia col cedere a loro e seguirli fin dove portano a compiere quelle cattive azioni che suggeriscono … sei completamente carnale.
Tu, e chiunque sei tale, sei completamente carnale.
Se, invece, hai certi desideri perversi, cosa che proibisce la legge, dicendo: Non desiderare, ( Rm 7,7 ) tuttavia osservi l'altra cosa che la Legge parimenti comanda: Non seguire le tue passioni; ( Sir 18,30 ) quanto alla mente sei spirituale, quanto alla carne, carnale.
Una cosa infatti è il non desiderare, altra non seguire i desideri perversi.
Non desiderare è indubbiamente proprio dell'uomo perfetto; non seguire le proprie passioni è proprio di chi combatte, di chi lotta, di chi s'impegna a fondo.
Dov'è intensa la lotta, perché si dispera della vittoria?
Quando sarà la vittoria? Quando la morte sarà assorbita nella vittoria.
Allora ci sarà il grido di chi trionfa, non ci sarà il sudore del combattente.
Qual è in futuro quel grido di chi trionfa, quando questo corpo corruttibile si vestirà d'incorruttibilità, e questo corpo mortale si vestirà d'immortalità?
Guarda il vincitore, ascolta chi esulta, attendi chi trionfa.
Allora si compirà la parola della Scrittura: La morte è stata assorbita nella vittoria.
Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è o morte, il tuo pungiglione? ( 1 Cor 15,53-55 )
Dov'è? Ecco, era, e non è più. Dov'è, o morte, la tua vittoria?
Ecco la vittoria della morte: Non quello che voglio io faccio.
Ecco la vittoria della morte: Sappiamo che la legge è spirituale, mentre io sono di carne.
Se dunque l'Apostolo parla di se stesso ( " se " dico, non confermo ), se l'Apostolo dice: Sappiamo che la legge è spirituale, mentre io sono di carne; ( Rm 7,14 ) infatti è spirituale nella mente, carnale nel corpo.
Quando interamente spirituale? Quando si semina un corpo animale, risorgerà un corpo spirituale. ( 1 Cor 15,44 )
Al presente, dunque, mentre ferve la lotta della morte, non quello che voglio io faccio; in parte spirituale, in parte carnale; spirituale nella parte migliore, carnale nella parte inferiore.
Tuttora combatto, non ho vinto ancora; è gran cosa per me non essere vinto.
Non quello che voglio io faccio, ma ciò che detesto, questo io faccio. ( Rm 7,19 )
Che fai? Ho desideri. Sebbene io non consenta alla concupiscenza, sebbene non vada dietro ai miei desideri, tuttavia avverto ancora la concupiscenza; e indubbiamente io mi trovo anche in questa parte.
Non è infatti che nella mente ci sia io e nella carne un altro.
Ma com'è? Proprio io dunque: perché io nella mente, io nella carne.
Non due nature contrarie infatti, ma, dell'una e dell'altra, un solo uomo; come uno solo è Dio che fece l'uomo.
Proprio io dunque, proprio io, con la mente servo la legge di Dio, con la carne, invece, la legge del peccato. ( Rm 7,25 )
Con la mente non consento alla legge del peccato, ma tuttavia non vorrei presente nelle mie membra alcuna legge del peccato.
Appunto perciò non vorrei, e tuttavia è presente; non quello che voglio io faccio: perché ho desideri perversi, e non voglio, non quello che voglio io faccio, ma ciò che detesto, questo io faccio. ( Rm 7,19 )
Che cosa detesto? Avere desideri perversi.
Detesto i desideri perversi, e tuttavia questo faccio con la carne, non con la mente: Ciò che detesto, questo io faccio.
Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona. ( Rm 7,16 )
Che vuol dir questo: Se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona?
Riconosceresti la legge se facessi quello che la legge vorrebbe; tu fai quello che la legge detesta: in che modo sei d'accordo con la legge?
Precisamente se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona.
E come? Perché la legge comanda: Non desiderare. ( Rm 7,7 )
Ed io che voglio? Non voglio desiderare?
Volendo quello che vuole la legge, io riconosco che la legge è buona.
Se la legge dicesse: Non desiderare, ma io volessi avere desideri perversi, non riconoscerei la legge, ma sarei del tutto separato da essa per la perversità della volontà.
Dicendo infatti la Legge: Non desiderare, ed io volessi desiderare, non riconoscerei la Legge di Dio.
Ed ora? Che dici, o legge? Non desiderare.
Anch'io non voglio desideri perversi, anch'io non voglio; non voglio quello che tu non vuoi; per questo riconosco perché non voglio quello che non vuoi.
La mia debolezza non adempie la legge, ma la mia volontà loda la legge.
Ne segue che, se ciò che non voglio, questo faccio, perciò riconosco la legge, perché non voglio quello che non vuole, non perché faccio quello che non voglio.
È infatti già un fare avere desideri perversi senza consentirvi; che nessuno ora ricerchi per sé nell'Apostolo un esempio di peccare, e dia cattivo esempio.
Non quello che voglio io faccio. Che dice infatti la legge? Non desiderare.
Ma io non voglio avere desideri perversi, neppure ne ho, sebbene io non assecondi le mie passioni, sebbene io non vada loro dietro.
Oppongo resistenza, distolgo la mente, rifiuto le armi, freno le membra; eppure avviene in me ciò che non voglio.
Non voglio con la legge quello che la legge non vuole; non voglio quello che non vuole: dunque riconosco la legge.
Per il fatto poi che con il mio " io " sono nella carne, con il mio " io " sono nella mente, però più nella mente che nella carne.
Ora, infatti, nella mente mi trovo nella parte che governa; poiché la mente governa, la carne, invece, è governata; ed io sono più dove governo che non là, dove sono governato.
Appunto perché io sono più nella mente: Ora quindi, non sono più io a farlo.
Ora quindi, che vuol dire? Ora quindi io che prima sono stato venduto schiavo al peccato, ormai redento, ricevuta ormai la grazia del Salvatore, perché mi compiaccia della legge di Dio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. ( Rm 7,18 )
Io so infatti che non abita in me; ripete così: in me, ascolta ciò che segue: Cioè nella mia carne, il bene.
Infatti ne ho il desiderio in me. Io so. Che sai? Che non abita in me, cioè nella mia carne, il bene.
Già in precedenza avevi detto: Io non riesco a capire ciò che faccio. ( Rm 7,18 )
Se non riesci a capire, com'è che sai? Ora dici: Io non riesco a capire; ora dici: Io so; non so come io debba intendere.
È forse questo quello che comprendo? Dove infatti afferma: Io non riesco a capire ciò che faccio; non riesco a capire equivale a: " non lo approvo ", " non lo accetto ", " non mi piace ", " non vi consento ", " non lo lodo ".
Effettivamente anche Cristo non approverà coloro ai quali dirà: Non vi conosco. ( Mt 7,23 )
Io non riesco a capire ciò che faccio, lo intendo anche in questo modo: " io non riesco a capire quello che non faccio ".
Non sono infatti io a farlo, ma il peccato che abita in me.
Appunto perché non lo faccio, per questo non riesco a capirlo, come è stato detto dal Signore: Colui che non aveva conosciuto peccato. ( 2 Cor 5,21 )
Che significa: non aveva conosciuto? Allora rimproverava ciò che non aveva conosciuto?
Non aveva conosciuto ciò che imputava? Se dunque non aveva conosciuto ciò che impuntava, imputava ingiustamente.
Poiché in realtà imputava con giustizia, aveva conosciuto ciò che imputava.
Eppure non aveva conosciuto peccato, perché non aveva commesso peccato.
Io non riesco a capire ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma ciò che detesto.
Ora, se faccio quello che non voglio, riconosco che la legge è buona. ( Rm 7,19-20 )
Ora quindi, ricevuta ormai la grazia, non sono più io a farlo; la mente è libera, la carne è schiava.
Non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.
Io so infatti che non abita in me, cioè nella mia carne, il bene.
C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo perfettamente.
C'è in me il desiderio, non c'è in me la capacità di attuarlo perfettamente. ( Rm 7,19-20 )
Non ha detto: " di farlo ", ma: di attuarlo perfettamente.
Non è infatti un far nulla da parte tua.
La concupiscenza si solleva, e tu non assecondi; ti piace la donna altrui, e non consenti; distogli l'attenzione, ti ritiri nel profondo di te.
Avverti all'esterno la passione che si fa violenta, metti fuori la sentenza liberando la coscienza.
Non voglio, tu dici, non lo faccio.
Considera che ne godrai; non lo faccio, ho di che compiacermi.
Mi compiaccio infatti della legge di Dio secondo l'uomo interiore. ( Rm 7,22 )
Perché tu sei così inquieta nella tua carne?
Perché suggerisci, recando scompiglio, diletti insensati, passeggeri, vani colpevoli e, quasi tu fossi loquace, me li vai presentando?
Gli insolenti mi hanno narrato i loro piaceri. Di qui deriva anche tale concupiscenza.
Mi narra i suoi piaceri, ma non secondo la tua legge, Signore. ( Sal 119,85 )
Mi compiaccio infatti della legge di Dio: non di me, ma della grazia di Dio.
Tu, concupiscenza, fai subbuglio nella carne, non ti assoggetti la mente.
Confiderò in Dio, non temerò che possa farmi la carne. ( Sal 56,5 )
Senza di me, senza di me cioè, senza il consenso della mente, la carne è in subbuglio.
Confiderò - dice - in Dio, non temerò che cosa possa farmi la carne.
Come niente quella altrui, così niente la mia. Fa nulla allora chi in sé è intento a queste cose?
Costui fa molto: quello che fa è di gran peso, però non raggiunge la perfezione.
Che vuol dire infatti portare a perfezione? Dov'è, o morte, la tua vittoria? ( 1 Cor 15,53 )
Quindi: C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo.
Infatti non quello che voglio, il bene, io faccio, ma ciò che detesto, il male, questo faccio.
E ripete: Ora, se faccio quello che non voglio, cioè ho desideri perversi, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.
Trovo dunque questa legge in me che voglio fare il bene.
Trovo che la legge è buona; la legge è un bene, la legge è un certo qual grande bene.
Come lo provo? Dal fatto che voglio adempierla.
Trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. ( Rm 7,19-20 ) E questo è mio.
Non infatti una carne non mia, o una carne di natura diversa, o una carne che abbia avuto altra origine, o anche, un'anima che ha avuto origine da Dio e una carne che ha avuto origine dal popolo delle tenebre.
Certamente no. L'infermità è incompatibile con la salute.
Un uomo giace tra la vita e la morte sulla via, viene poi curato, sono guariti tutti i suoi mali. ( Lc 10,30; Sal 103,3 )
Non quello che voglio io faccio, ma ciò che detesto, questo io faccio.
Ora se quello che non voglio, questo faccio, io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Che male?
Mi compiaccio infatti della legge di Dio secondo l'uomo interiore, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra; ( Rm 7,22-23 ) schiavo, ma quanto alla carne; schiavo, ma parzialmente.
Infatti la mente si oppone e si compiace della legge di Dio.
Così infatti dobbiamo intendere, se l'Apostolo parla di se stesso.
Ora perciò, se la mente non consente al peccato, che provoca, insinua, lusinga; se la mente non consente, poiché sono ben altre nell'intimo le sue delizie, in nessun modo paragonabili con i diletti della carne; se dunque non consente, ed esiste in me un qualcosa di morto, e qualcosa di vivo, la morte continua la lotta, ma la mente, viva, non consente.
Forse che la morte non abita in te? Forse che ciò che è morto non fa parte di te?
Ancora ti resta da lottare. Che altro c'è da attendersi da essa?
Sono uno sventurato: anche se non nella mente, tuttavia sventurato quanto alla carne.
Non che è uomo nella mente e non nella carne.
Chi mai infatti ha avuto in odio la propria carne? ( Ef 5,29 )
Sono uno sventurato, chi mi libererà dal corpo di questa morte? ( Rm 7,24 )
Che significa questo, fratelli? Sembra che desideri non avere il corpo.
Che fretta hai? Se l'unico tuo intento è non avere il corpo, la morte un giorno o l'altro verrà, e, sopraggiungendo l'ultimo giorno, indubbiamente ti libererà da questo corpo di morte.
Com'è che ti strappa gemiti come per grande angustia? Perché questo che dici: Chi mi libererà?
Sei mortale tu che parli, sei destinato a morire, tu che parli.
Un giorno o l'altro avverrà la separazione dello spirito dalla carne; a causa della brevità della vita non è mai lontano; a causa dei pericoli quotidiani, non sai quando sia.
Pertanto, sia che tu abbia fretta, sia che tu voglia indugiare, ogni vita umana è breve.
A che il tuo gemere come per un grave peso, dicendo: Chi mi libererà dal corpo di questa morte?
E aggiunge: La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro. ( Rm 7,25 )
I Pagani che infatti non hanno la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro non moriranno?
E allora, nell'ultimo giorno, non saranno sciolti dalla carne?
In quel giorno non saranno liberati dal corpo di questa morte?
Tu perché vuoi attribuire grande importanza alla grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro, per il fatto che sarai liberato dal corpo di questa morte?
Ti risponde l'Apostolo, se abbiamo colto il suo pensiero, o piuttosto perché, con l'aiuto del Signore, lo abbiamo colto davvero.
Ti risponde l'Apostolo dicendo: So quel che dico.
Tu dici che i Pagani vengono liberati dal corpo di questa morte temporale perché verrà l'ultimo giorno di questa vita, e saranno liberati temporaneamente dal corpo di questa morte.
Verrà anche il giorno quando tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la voce di lui; e ne usciranno quanti fecero il bene, per una risurrezione di vita: ecco i liberati dal corpo di questa morte.
Quanti fecero il male per una risurrezione di condanna: ( Gv 5,28-29 ) ecco al corpo di questa morte.
Il corpo di questa morte ritorna all'empio, né se ne libererà mai.
Allora non sarà eterna la vita, ma la morte sarà eterna, ma morte eterna, perché eterna la pena.
Tu, o Cristiano, prega quanto puoi, erompi in un grido, e di': Sono uno sventurato, chi mi libererà dal corpo di questa morte?
Ti si risponde: Sei reso sicuro non di te, ma del tuo Signore; sei reso sicuro del pegno che hai.
Spera il regno di Cristo con Cristo, già possiedi quale pegno il sangue di Cristo.
Di', di': Chi mi libererà dal corpo di questa morte?
Così che ti si risponda: La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro. ( Rm 7,25 )
Non sarai infatti liberato dal corpo di questa morte in modo che tu non abbia questo corpo.
L'avrai, ma non già di questa morte. Sarà lo stesso, ma non sarà lo stesso.
Sarà lo stesso, perché la carne sarà la stessa; non sarà lo stesso, perché non sarà mortale.
Così, in tal modo, sarai liberato dal corpo di questa morte, perché questo corpo mortale si rivesta d'immortalità e questo corpo corruttibile si rivesta d'incorruttibilità. ( Gv 5,28 )
Da chi? Per mezzo di chi? La grazia di Dio, per Gesù Cristo Signore nostro.
Poiché, se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti.
Come tutti muoiono in Adamo: è la ragione per cui tu gemi.
Tutti muoiono in Adamo: di qui il motivo per cui gemi, di qui il fatto che combatti con la morte, di qui viene il corpo di questa morte.
Ma, come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. ( Gv 5,29 )
Riceverai la vita, una volta ricevuto il corpo immortale, quando puoi dire: Dov'è, o morte, la tua vittoria? ( 1 Cor 15,53 )
Sarai liberato dal corpo di questa morte, tuttavia non per tuo merito, ma per la grazia di Dio, per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro.
Rivolti al Signore …
Indice |