Discorsi su argomenti vari |
1 - Il timore di Dio è base di fortezza, ma l'amore scaccia il timore
2 - L'amore di Dio e del prossimo elimina il timore
3 - Come Epicurei e Stoici professano di aver vinto dolore e timore
4 - C'è un timore che viene vinto, e un timore che dura sempre
Non dubito, o miei cari fratelli, che nel vostro cuore sia ben radicato quel timore di Dio che vi permetterà di giungere a vera e solida fortezza.
Comunemente si dice forte uno che non ha paura di nessuno: ma è una falsa fortezza quella che non pone in primo luogo il timore di Dio.
Temendo si presta ascolto, prestando ascolto si ama e amando non si ha più timore: allora uno sarà veramente forte, forte non per durezza della sua superbia, ma per la sicurezza che viene dalla giustizia.
Lo dice anche la Scrittura: Nel timore del Signore è la fiducia del forte. ( Pr 14,26 )
Quando si teme la pena che viene minacciata, si impara ad amare il premio che viene promesso; e così il timore del castigo fa conservare una buona condotta di vita e la buona condotta procura tranquillità di coscienza la quale libera dal timore del castigo.
In conclusione chi vuol essere libero da timore impari a temere: vivendo temporaneamente l'inquietudine del timore, potrà godere poi la tranquillità per sempre.
Giovanni dice: Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore. ( 1 Gv 4,18 )
Questa la parola di Giovanni, una parola di verità.
Se tu dunque non vuoi avere paura, esamina se già possiedi quella carità perfetta che la caccia via.
La pretesa di liberarsi dalla paura prima di aver raggiunto la perfezione di carità, rivela che si è ancora gonfi di superbia, non animati dalla carità.
Come chi ha il fisico sano, quando ha fame prende del cibo, non fa il difficile, così chi ha un animo retto caccia via la paura con l'amore, non cercando falsi vanti.
Indaga dunque bene la tua coscienza, se non vuoi avere più paura.
E non accarezzarne la superficie: scendi dentro, penetra nell'intimo del tuo cuore indagando attentamente se non vi scorre una vena di velenoso amore del mondo, se non sei ancora sensibile agli allettamenti del piacere carnale, se non ti compiaci di vuote ostentazioni, se non ti affanni ancora in occupazioni vane.
Vedi se, esplorando i penetrali della tua coscienza, puoi osare riconoscerti puro e libero da atti parole pensieri cattivi; e qualora tu non sia più tormentato da attaccamento al male, guarda se non viene mai meno in te lo zelo per la giustizia.
Se questo esame dà risultato positivo, allora puoi essere davvero contento, devi essere contento di non sentire alcuna paura.
Te ne avranno reso libero, ci auguriamo, l'amore volto a Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, e l'amore che volgi al tuo prossimo come a te stesso, ( Mt 22,37.39 ) dandoti da fare perché anch'esso con te ami Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente.
Infatti l'amore che si volge anche a se stessi non deve far diminuire l'amore di Dio: solo così si può dire di amare se stessi in modo retto.
Se non avverti più in te gli stimoli delle passioni - cosa che nessuno oserebbe attribuire a proprio vanto -, ma hai ancora radicato in te l'amore di te stesso, e di te stesso ti compiaci, proprio questo tuo essere libero da timore dovrebbe essere motivo di forte paura.
Non può valere a scacciare la paura un amore qualunque, ma solo il retto amore che volgiamo totalmente a Dio e per questo anche al nostro prossimo, cercando di coinvolgerlo nello stesso amore di Dio.
Fare oggetto di compiacimento se stessi non è amore retto, ma è vanità della superbia.
L'Apostolo ha colpito con il suo giusto rimprovero chi ha tale atteggiamento. ( 2 Tm 3,1-5 )
Dunque, come si è detto, la carità perfetta scaccia il timore, ( 1 Gv 4,18 ) ma si può parlare di caritas solo a proposito di qualcosa che vale; e poiché l'uomo senza Dio non ha alcun valore, chi ama se stesso per se stesso, al di fuori di Dio, volge il suo amore a una cosa da nulla.
É bene dunque ammonirlo: Non montare in superbia, ma temi. ( Rm 11,20 )
Chi, montato in superbia, non ha timore, rischia la propria rovina, lasciandosi trascinare dal vento della superbia, privo di solido fondamento.
Chi ama e vanta solo se stesso, non può essere mite e buono, e nella sua dura superbia non sa dire: Io mi glorio nel Signore, ascoltino gli umili e si rallegrino. ( Sal 34,3 )
Il non aver paura di nulla non costituisce per se stesso un bene: può essere la mira di un animo spietato piuttosto che di un animo retto e puro.
Faccio l'esempio di un ladro di grande audacia che è tanto più pericolosamente spietato quanto più volge la sua forza a fini perversi.
Proprio la sua puntigliosa volontà di essere senza paura gli fa intraprendere azioni ardimentose in cui dare la misura della sua sicurezza e anche man mano accrescerla: quanto più ardimentose le intraprese, tanto più audace chi le compie senza paura.
In conclusione non va cercato come valore positivo un atteggiamento che si riscontra anche in un uomo pessimo.
Sono quindi da irridere quei filosofi pagani, tra cui gli epicurei, i quali ritengono bene venale la giustizia stessa, e sua ricompensa il piacere dei sensi: il sapiente secondo loro deve essere giusto proprio per acquistare o conservare il piacere dei sensi.
Anche costoro si vantano di essere forti e di non aver paura di niente, perché ritengono che la divinità non si curi delle cose degli uomini, e non credono che un'altra vita ci attenda al termine di questa.
E quando in questa vita li colga qualche avversità, essi si ritengono difesi di contro a essa per la possibilità di conservare nel ricordo quel piacere di cui non possono più godere sensibilmente: il piacere che in tal modo provano nella mente permette loro di conservare anche contro l'attacco del dolore fisico la felicità che era data dal piacere sensibile.
Anche a proposito degli epicurei si può dunque dire che l'amore caccia via il timore; ( 1 Gv 4,18 ) ma in questo caso l'amore è quello del piacere volgare, anzi di una turpe finzione.
Quando infatti l'assalto del dolore scaccia il piacere dai nostri organi sensibili, solo una finta immagine di esso può restare nell'animo: l'uomo menzognero si attacca a quella vana finzione con tutte le forze del suo cuore per mitigare la durezza della sua sofferenza.
Sono parimenti da irridere gli stoici: epicurei e stoici sono le due scuole filosofiche che, come leggiamo negli Atti degli Apostoli, osarono sollevare il loro fumo contro la luce del nostro Paolo. ( At 17,18 )
Anche gli stoici vantano la propria fortezza e, gonfi di superbia, professano l'insensibilità alla paura come principio assoluto, non per il piacere sensibile, ma per la virtù stessa dell'animo.
Non guariti dalla sapienza, ma induriti nell'errore, essi sono tanto più malati quanto più sono convinti di essere loro stessi in grado di risanare l'animo malato.
Essi ritengono segno di sanità dell'animo del sapiente il fatto che non provi neppure pietà: se provare pietà è soffrire, uno non deve neppure provare pietà, perché se uno, dicono, prova pietà, soffre, e se soffre, non è sano.
Questa è davvero stolta cecità!
Perché non ammettere l'inverso, che uno soffre meno quanto meno è sano?
É cosa infatti ben diversa l'assenza di dolore per la perfetta sanità che sarà propria del corpo e dell'anima dei santi nella risurrezione dei morti.
Ma a questa essi non credono, perché hanno dei maestri ignoranti, avendo come unici maestri se stessi.
L'assenza di dolore dovuta a sanità è cosa ben diversa da quella dovuta a insensibilità.
Come però, secondo la sanità fisica propria della nostra condizione mortale, il nostro corpo, se è sano, avverte dolore quando viene punto, così anche un animo che sia in condizioni normali, se viene colpito dalla miseria di qualcuno che soffre, ne condivide la miseria provando pietà.
E come il corpo, quando è reso insensibile da una sofferenza più forte, o addirittura è morto, separato dallo spirito, non prova dolore neanche se viene punto, così è dell'animo di costoro.
Essi vanno filosofando senza Dio, ma sarebbe meglio dire che stanno soffocando: l'animo ha vita dal soffio di Dio così come il nostro corpo è animato dallo spirito.
Costoro dunque che non provano dolore e non hanno paure, devono badare se invece che sani, come pretendono di essere, non sono morti.
Tornando al cristiano, egli deve avere in sé il timore finché l'amore di Dio, divenuto in lui perfetto, non abbia cacciato via il timore: deve credere e capire di essere in cammino, lontano dal Signore, finché vive nel corpo che è soggetto a corruzione e grava sull'anima.
Il timore va diminuendo con l'avvicinarsi della patria alla quale siamo diretti: è grande in chi è lontano dalla meta, minore in chi vi si è avvicinato, sparisce in chi vi arriva.
Da un lato il timore conduce ad amare, dall'altro l'amore giunto a perfezione caccia via il timore.
Mentre però il cristiano non deve aver paura di coloro che possono ucciderlo nel corpo perché essi non hanno nessun potere su di lui, deve avere paura di colui che ha il potere di gettarlo nella geenna corpo e anima. ( Mt 10,28; Lc 12,4-5 )
Ma vi è poi un altro timore di Dio che è puro e dura in eterno: ( Sal 19,10 ) è un timore che, appunto in quanto dura sempre, non viene eliminato dall'amore.
Non invano dopo timore di Dio sono state aggiunte le precisazioni: puro e che dura sempre, perché quel timore che viene eliminato con l'amore, punge l'anima proprio perché non vada perduto qualcosa che si apprezza nella creatura, o la salvezza stessa e il riposo corporale, o qualcosa di simile che ci aspetta dopo la morte.
Per questo si temono le pene dell'inferno e le dolorose torture della geenna.
Invece il timore casto che dura sempre, consiste nella paura che l'anima ha di abbandonare Dio e di essere da lui abbandonata.
Di questo parlerei più ampiamente, se il mio discorso già troppo lungo non mi costringesse ad aver riguardo delle mie forze senili e della vostra probabile stanchezza di ascoltare.
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