Esposizione della lettera ai Galati |
45 Si può ricercare il motivo per cui l'Apostolo nella presente Lettera faccia menzione del solo amore verso il prossimo, dicendo che con esso si adempie la legge, e come mai nella Lettera ai Romani, trattando lo stesso problema, possa affermare: Chi ama il prossimo adempie la legge.
Infatti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare malamente e ogni altro precetto si riassume in questa parola: Ama il prossimo tuo come te stesso.
L'amore al prossimo esclude ogni cattiveria; quindi pieno adempimento della legge è l'amore. ( Rm 13,8-10 )
Se pertanto l'amore non raggiunge la perfezione se non nel duplice precetto dell'amore di Dio e del prossimo, come fa l'Apostolo a menzionare, e nella nostra Lettera e in quest'altra, soltanto l'amore del prossimo?
Non sarà forse perché gli uomini possono dire il falso riguardo all'amore di Dio, essendo più rare le prove da cui lo si dimostra, mentre riguardo all'amore del prossimo è più facile convincerli che ne sono privi ogniqualvolta si comportano da iniqui con il proprio simile?
È pertanto nella logica delle cose che per amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente occorre amare anche il prossimo come se stessi, poiché tale è il precetto di colui che si vuol amare con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente.
Inoltre, chi potrebbe amare come se stesso il prossimo, cioè tutti gli uomini, se non chi ama Dio, il quale insieme col precetto d'amare il prossimo ci dà anche il dono di attuarlo?
Se dunque il rapporto fra i due comandamenti è tale che non si può realizzare l'uno senza l'altro, quando si tratta delle opere di giustizia è sufficiente, almeno in via ordinaria, dei due menzionarne uno solo e più opportunamente quello da cui con più facilità si ricava una prova convincente.
Per questo motivo anche Giovanni dice: Chi non ama il fratello che vede, come può amare Dio che non vede? ( 1 Gv 4,20 )
C'erano infatti alcuni che bugiardamente asserivano di avere l'amore di Dio, mentre di fatto non l'avevano, come risultava dall'odio che nutrivano verso i fratelli: quell'odio che, capitando nella vita e nei comportamenti di ogni giorno, è un criterio facile per formarsi un giudizio.
E prosegue: Se vi mordete e sbranate a vicenda, badate a non consumarvi a vicenda.
Per il vizio della litigiosità e dell'invidia si sviluppavano, più che per altri motivi, delle dispute perniciose in seno alla comunità.
Parlavano male gli uni degli altri e ciascuno voleva affermare il suo prestigio e riportare insulse vittorie, non ricordando che con simili atteggiamenti ogni società umana, scissa in fazioni, si logora e finisce.
Ora, come potranno evitare questi vizi se non camminando secondo lo Spirito e non attuando i desideri della carne?
In realtà il dono primario e grande dello Spirito è l'umiltà e la mitezza del cuore.
Ne fa fede l'esclamazione del Signore, che ho già riportata: Imparate da me, poiché io sono mite ed umile di cuore, ( Mt 11,29 ) e così pure quanto dice il profeta: Su chi si poserà il mio Spirito se non su chi è umile e pacifico e teme le mie parole? ( Is 66,2 )
46 Continua: La carne ha desideri contrari a quelli dello spirito e lo spirito desideri contrari a quelli della carne.
Sono infatti due princìpi in contrasto fra loro, sicché voi non fate quel che vorreste.
Ritengono alcuni che in questo versetto l'Apostolo insegni che l'uomo non abbia il libero arbitrio della volontà.
Non sanno capire come in queste parole egli tratti, invece, di coloro che rigettano la grazia della fede ricevuta, per la quale soltanto si riesce a camminare secondo lo spirito e a non attuare i desideri carnali.
In effetti, se si ricusa di conservare una tale grazia, non è possibile praticare ciò che pur si vorrebbe.
L'uomo vorrebbe, sì, compiere le opere della giustizia prescritte dalla legge, ma è vinto dalla concupiscenza della carne, seguendo la quale si allontana dalla grazia della fede.
È quanto dice nella Lettera ai Romani: La sapienza della carne è nemica verso Dio: non è soggetta alla legge di Dio, anzi nemmeno lo potrebbe. ( Rm 8,7 )
Perfezione della legge è infatti la carità e a questa carità, che è spirituale, si oppone la sapienza della carne, che va alla ricerca dei vantaggi temporali.
Come potrebbe dunque una tal sapienza essere soggetta alla legge di Dio?
Come potrebbe, dico, praticare volonterosamente e docilmente la giustizia senza provare resistenze?
Quand'anche facesse dei tentativi, viene necessariamente sopraffatta quando si accorge di poter con l'iniquità ricavare vantaggi temporali più grandi che non con la pratica della giustizia.
C'è infatti una prima vita dell'uomo ed è quella che precede la legge.
In essa non ci sono proibizioni per alcuna malvagità o azione cattiva, e l'uomo non oppone in alcun modo resistenza alle proprie voglie disordinate in quanto non c'è chi glielo proibisca.
C'è poi una seconda vita dell'uomo, ed è quella sotto la legge e prima della grazia.
In essa ci sono le proibizioni, e l'uomo tenta di astenersi dal peccato ma è vinto perché non ama ancora la giustizia per amore di Dio e della stessa giustizia ma, se la vuole, è per raggiungere beni terreni.
Se pertanto da un lato vede la giustizia e dall'altro un qualche vantaggio temporale, viene attirato dal prepotere del desiderio terreno e abbandona la giustizia, che cercava di rispettare in vista di quel vantaggio che invece ora vede di dover perdere se vuol restare nella giustizia.
C'è infine una terza condizione di vita, ed è quella sotto la grazia: nella quale nessun tornaconto materiale si antepone alla giustizia.
Ciò non può ottenersi senza la carità spirituale, insegnata dal Signore col suo esempio e donata per sua grazia.
In questo stato di vita, sebbene rimangano i desideri della carne derivanti dalla mortalità del corpo, essi tuttavia non riescono ad assoggettare l'anima perché consenta al peccato.
In tal modo nel nostro corpo mortale non regna il peccato, ( Rm 6,12 ) anche se in esso, per il fatto di essere mortale, il peccato continua ancora ad abitare.
C'è dunque per l'uomo in grazia un primo momento, in cui il peccato non regna in noi, ed è quando con l'anima siamo sotto la legge di Dio, sebbene con la carne siamo ancora sotto la legge del peccato; ( Rm 7,25 ) siamo cioè ancora schiavi di quella condizione penale da cui insorgono i desideri cattivi, che però noi non assecondiamo.
Verrà poi un secondo momento quando ogni desiderio cattivo sarà estinto completamente.
In realtà, se abita in noi lo Spirito di Gesù, colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti darà la vita anche ai nostri corpi mortali mediante lo Spirito che abita in noi. ( Rm 8,11 )
Al presente dunque è necessario che realizziamo la condizione di chi è sotto la grazia: che cioè attuiamo quel che vogliamo con lo spirito, anche se la cosa ci rimane impossibile a livello carnale.
Non dobbiamo pertanto obbedire ai desideri del peccato prestandogli le nostre membra perché ne faccia armi di iniquità. ( Rm 6, 13 )
Non possiamo, è vero, far sì che tali desideri non esistano, non essendo ancora in quella pace eterna dove tutto l'uomo raggiungerà la completa perfezione; cessiamo tuttavia di essere sotto la legge, dove l'anima è colpevolmente in potere della prevaricazione.
Qui l'anima è resa schiava dalla concupiscenza carnale che la costringe a consentire al peccato, mentre noi siamo sotto la grazia, dove non c'è più alcuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù. ( Rm 8,1 )
La condanna infatti non è per chi combatte ma per chi si lascia vincere.
47 Procedendo dunque con perfetta logica può aggiungere: Se siete condotti dallo spirito, non siete più sotto la legge.
Da ciò è dato comprendere che sono sotto la legge coloro il cui spirito ha, sì, desideri contrari alla carne ma non così forti da impedir loro di fare quel che non vorrebbero.
Costoro non sono invincibilmente stabili nell'amore per la giustizia ma sono vinti dalla carne ribelle:6 carne che non soltanto contrasta con la legge dello spirito ma rende l'uomo schiavo della legge del peccato, che risiede nelle sue membra mortali. ( Rm 7,23 )
Chi infatti non è guidato dallo spirito è, conseguentemente, guidato dalla carne.
Ora chi si lascia guidare dalla carne merita condanna, non chi involontariamente subisce la resistenza della carne.
Dice pertanto: Se al contrario siete guidati dallo spirito, non siete più sotto la legge, nel senso che anche sopra non aveva detto: " Camminate nello spirito e siate esenti dalle concupiscenze della carne ", ma: Non sarete portati a soddisfare. ( Gal 5,16 )
Infatti, l'essere del tutto esenti da tali brame non è più un combattere ma godere il premio della lotta sostenuta: premio che si consegue perseverando nella grazia fino alla vittoria.
Allora soltanto infatti il corpo non dovrà più lottare contro le concupiscenze della carne quando, trasformato, avrà raggiunto la condizione dell'immortalità.
48 Incomincia ora ad elencare le opere della carne, per far comprendere che, se si consente ai desideri carnali e si compiono opere come queste, si è guidati non dallo spirito ma dalla carne.
Dice: Le opere della carne sono note. Esse sono la fornicazione, l'impurità, l'idolatria, la magia, le inimicizie, le contese, le risse, le gelosie, le discordie, le eresie, le invidie, le ubriachezze, i bagordi e altre simili.
Riguardo a queste opere vi ammonisco, come del resto vi ho già ammoniti, che chi le compie non possederà il regno di Dio.
Compiono tali opere coloro che consentendo alle voglie della natura, fermamente risolvono di compierle, anche se di fatto a compierle non riescono.
Viceversa è di coloro che, pur esperimentando tali moti istintivi, rimangono fermi nella carità, in essi preponderante, e non solo non abbandonano all'istinto le membra del corpo per compiere l'azione cattiva ma non gli prestano neppure il minimo consenso.
Costoro non compiono le opere della carne, e pertanto potranno possedere il regno di Dio.
Nel loro corpo mortale infatti non regna il peccato, che li assoggetta alle sue voglie, anche se esso vi abita in quanto il corpo è appunto mortale.
In un corpo così fatto non è estinto l'impulso derivante dalla condizione naturale per cui nasciamo soggetti alla morte e nemmeno quello che ci deriva dal nostro stesso esistere, in quanto col peccare abbiamo noi stessi accresciuto il male derivante dalla nostra origine di peccato e di dannazione.
Una cosa infatti è non peccare e un'altra non avere il peccato: non pecca colui sul quale il peccato non regna, cioè colui che non obbedisce ai desideri del peccato, mentre chi è totalmente esente da tali desideri non solo non pecca ma non ha più in sé il peccato.
Questa mèta può essere raggiunta sotto molti aspetti anche in questa vita; nella sua completezza tuttavia dobbiamo attendercela con la speranza per dopo la resurrezione e la trasfigurazione della carne.
Possono sconcertare le parole: Riguardo a tali opere vi ammonisco, come del resto vi ho ammoniti, che chi le compie non possederà il regno di Dio.
Se infatti si va a cercare dove si trovi un tale ammonimento, ci si accorge che in questa Lettera non c'è.
Può darsi quindi che ciò avesse detto quand'era fra loro di persona o, forse, aveva risaputo che anche ai Galati era giunta la Lettera da lui inviata ai Corinzi.
In questa Lettera scrive: Non ingannatevi! Né i fornicatori né gli idolatri né gli adulteri né gli effeminati né i sodomiti né i ladri né gli avari né gli ubriaconi né i maldicenti né i rapinatori possederanno il regno di Dio. ( 1 Cor 6,9-10 )
49 Dopo aver enumerato le opere della carne, per le quali ci si chiude il regno di Dio, nella nostra Lettera Paolo aggiunge l'elenco delle opere dello Spirito, che egli chiama " frutti " dello Spirito.
Dice: Frutto invece dello Spirito è la carità, la gioia, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la fedeltà, la dolcezza, la temperanza; e aggiunge: Riguardo ad opere di questo genere non esiste legge.
Ci fa capire, con ciò, che sono sottoposti alla legge coloro nei quali non regnano queste virtù a differenza di coloro nei quali esse regnano e che usano della legge in modo rispondente alla legge stessa.
Costoro non sentono la legge come un'imposizione coercitiva, in quanto la giustizia esercita in loro un'attrattiva più forte e preponderante.
Così viene detto anche nella Lettera a Timoteo: Noi sappiamo che la legge è buona purché se ne faccia un uso legittimo.
Devi dunque sapere che essa non è stata data per chi è giusto ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e per i peccatori, per gli scellerati e i profanatori, per i patricidi e i matricidi, per gli omicidi, i fornicatori, i sodomiti, i sequestratori, i mentitori, gli spergiuri e i rei d'ogni delitto contrastante con la sana dottrina. ( 1 Tm 1,8-10 )
È sottinteso che per tutti costoro è data la legge.
Quanto dunque ai frutti dello Spirito, essi regnano nell'uomo in cui non regna il peccato.
Essendo buoni, essi regnano quando attirano talmente l'anima da sorreggerla nelle tentazioni impedendole di consentire rovinosamente al peccato.
Se infatti un qualcosa ci attrae, in tale direzione necessariamente noi agiamo.
Ecco, per esempio, presentarcisi una donna di seducente bellezza.
Essa eccita in noi l'attrattiva a fornicare; ma, se ci attrae di più la bellezza interiore e l'incanto trasparente della castità, che è in noi per la grazia derivante dalla fede in Cristo, noi viviamo in castità e agiamo castamente.
Non regnando in noi il peccato, che ci fa obbedire alle sue voglie, ma la giustizia, mediante la carità facciamo con profondo diletto le opere di giustizia che sappiamo essere accette a Dio.
E quanto detto della castità e della lussuria intendo applicarlo a tutto il resto.
50 Non sorprenda il fatto che, elencando in questa Lettera le opere della carne, non le riduca allo stesso numero che nella Lettera ai Corinzi né segua lo stesso ordine.
Così non è da stupirsi se i beni arrecati dallo Spirito, in confronto con i vizi della carne, siano meno di numero e non vengano tutti contrapposti direttamente come la castità e la lussuria, la purezza e l'impurità, per cui anche gli altri siano in netto contrasto fra loro.
L'Apostolo non si proponeva infatti di insegnare il numero delle cose che elenca ma in qual maniera si debbano evitare i vizi e desiderare le virtù.
Parlando di carne e di spirito intendeva insegnare la necessità di convertirsi dalla pena del peccato e dal peccato stesso alla grazia e santità che ci vengono dal Signore.
In nessun modo deve succedere che noi, dimenticando la grazia che ci sostiene nel tempo - quella grazia che il Signore ci ha ottenuta con la sua morte - ci precludiamo l'arrivo all'eterna quiete, dove il Signore vive per noi.
Né deve succedere che noi, non comprendendo la pena temporale - nella quale il Signore ha voluto sottometterci per la mortalità della carne -, incorriamo nella pena eterna, preparata per chi con irriducibile superbia si solleva contro il Signore.
Ricordate le molteplici opere della carne, l'Apostolo soggiunge: E altre cose simili, per far vedere che non le voleva elencare tutte e determinarne il numero esatto, ma esporle con libertà di linguaggio.
La stessa cosa fa con i frutti dello Spirito, parlando dei quali non dice: " Riguardo a questi doni non c'è legge ", ma: Riguardo a cose di questo genere non esiste legge.
Ciò vale cioè e per le opere elencate e per tutte le altre dello stesso genere.
51 A chi poi considera le cose con attenzione, l'opposizione tra le opere della carne e quelle dello Spirito presentata nella Lettera non apparirà né priva di ordine né confusa.
Se c'è una qualche oscurità è perché le une, di numero inferiore, sono ad una ad una contrapposte alle altre un po' più numerose.
Ma dal fatto che a capo dei vizi della carne pone le fornicazioni, mentre a capo delle virtù dello spirito la carità, come potrà un esperto delle sacre Scritture non sentirsi richiamato a scrutare con maggior attenzione tutto il rimanente?
Se infatti la fornicazione è un amore che sottraendosi alle leggi del matrimonio vagabonda al seguito di una sfrenata voglia libidinosa, chi mai in vista di una fecondità spirituale sarà così vincolato dalla legge quanto l'anima unita a Dio, al quale quanto più stabilmente aderisce tanto più è incorrotta?
Ora questa adesione si ottiene mediante la carità.
A buon diritto quindi alla fornicazione si contrappone la carità, che è la sola custode della castità.
Quanto alle impurità, consistono tutte in quei vari turbamenti che l'anima concepisce dalla radice della fornicazione.
Ad esse si oppone il godimento della pace.
La massima fornicazione dell'anima è poi l'idolatria, a motivo della quale si accese in passato una guerra furibonda contro il Vangelo e i riconciliati con Dio, e di tal guerra le ultime fiamme, per quanto deboli, si riaccendono anche ai nostri giorni né durano poco.
Con essa pertanto è in contrasto la pace, con la quale siamo riconciliati con Dio.
Conservando la pace con Dio e con gli uomini, vengono guariti in noi anche i vizi della magia, delle inimicizie, delle contese, delle gelosie, delle risse e delle discordie.
Perché finalmente si possano trattare con la giusta moderazione gli altri, fra cui viviamo, combattono la pazienza per sopportarli, la dolcezza per curarli, la bontà nel perdonarli.
Quanto al resto, contro le eresie lotta la fede, contro l'odio la mansuetudine, contro le ubriachezze e i bagordi la continenza.
52 Non si deve pensare che siano la stessa cosa l'invidia e la gelosia, anche se sono difetti vicini fra loro.
Per questa vicinanza capita spesso di prendere l'uno invece dell'altro: si prende per invidia la gelosia e per gelosia l'invidia.
Siccome però nella nostra Lettera viene assegnato un posto diverso all'una e all'altra, si esige da noi una distinzione.
In effetti la gelosia consiste in quella tristezza interiore che si ha quando uno riesce ad ottenere una cosa che due o più bramavano ma che non può ottenersi se non da uno solo.
Medicina che guarisce questo vizio è la pace, per la quale, se desideriamo cose che possono essere raggiunte da tutti coloro che le desiderano, spinge questo stesso desiderio a formare l'unità.
L'invidia è, viceversa, quella tristezza interiore che proviamo vedendo un immeritevole raggiungere una mèta, anche se da noi non desiderata.
A guarire questo vizio c'è la mitezza, per la quale ci si rimette al giudizio di Dio e non si oppone resistenza alla sua volontà.
Si ama quindi pensare all'accaduto come a un bene per l'altro e non a quanto egli, a nostro avviso, ne fosse indegno.
53 Coloro poi che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso - dice proseguendo - la propria carne con le sue passioni e concupiscenze.
E come l'hanno crocifissa se non mediante il timore casto, che dura in eterno, ( Sal 19,10 ) con cui cerchiamo di non offendere colui che amiamo con tutto il cuore, con tutta l'anima e tutta la mente?
Non si identificano infatti il timore con cui l'adultera teme di essere controllata dal marito e il timore con cui la moglie casta teme d'essere abbandonata dal marito.
Alla prima è gravosa la presenza del marito, alla seconda l'assenza.
Pertanto il primo timore è segno e frutto di corruzione, e vorrebbe che il mondo presente non passasse mai; il secondo timore è casto e dura per l'eternità.
Con questo timore desidera essere crocifisso il profeta quando dice: Trafiggi con chiodi le mie carni mediante il tuo timore. ( Sal 119,120 )
E questa è la croce di cui dice il Signore: Prendi la tua croce e seguimi. ( Mt 16,24 )
54 Dice ancora: Se viviamo dello spirito, camminiamo anche secondo lo spirito.
È scontato che il nostro vivere è in conformità con ciò che seguiamo e così pure che noi seguiamo quel che amiamo.
Se pertanto sono in contrasto i due princìpi, la giustizia con i suoi precetti e la carne con i suoi vizi, qualora noi volessimo amarli tutti e due, in pratica seguiremo quello che amiamo di più.
Se li amiamo entrambi in uguale misura, non ne seguiremo nessuno ma o per timore e contro voglia saremo trascinati nell'una delle due parti, ovvero, se è pari anche il timore, resteremo necessariamente nel mezzo del pericolo, sbattuti qua e là dall'alternarsi dell'onda del piacere e del timore.
Abbia quindi la vittoria nei nostri cuori la pace di Cristo! ( Col 3,15 )
Si leveranno allora preghiere e gemiti, e la destra della misericordia di Dio, chiamata in soccorso, non mancherà di accettare il sacrificio del cuore contrito, anzi susciterà in esso, più forte, la divina carità in vista del pericolo da cui si è stati liberati.
Ora i giudaizzanti erano in errore poiché non potevano negare di dover seguire lo Spirito Santo, assertore di libertà e guida alla libertà, mentre senza accorgersene, ad opera della carne erano rivolti alle opere servili e tentavano di camminare in senso contrario.
Per questo non dice: "Se viviamo dello spirito, seguiamo lo spirito", ma: Camminiamo secondo lo spirito.
Essi infatti riconoscevano che è necessario servire lo Spirito Santo ma poi volevano seguirlo non con lo spirito ma con la carne, non accogliendo spiritualmente la grazia di Dio ma riponendo la speranza della salvezza nella circoncisione corporale e in altre pratiche somiglianti.
55 Prosegue: Non siamo vanagloriosi, invidiandoci e provocandoci a vicenda.
Successione veramente magnifica, direi anzi, divina!
Prima li ha equipaggiati contro coloro che volevano sedurli e renderli schiavi della legge; ora li mette in guardia da un altro pericolo.
Una volta che sono stati ben premuniti e hanno deciso di rispondere alle calunnie degli uomini carnali, essi non debbono mettersi a litigare fra loro e, liberi ormai dalla legge con i suoi gravami, non debbono rendersi schiavi di insulse cupidigie per una ricerca smodata di vanagloria.
56 In nessun'altra occasione si palesa che un uomo è diventato spirituale quanto nell'intervenire sul peccato del prossimo, quando cioè si sa mirare più alla sua liberazione che non alle ingiurie, più all'aiuto da arrecargli che non alle insolenze; e a tal fine si prendono tutte le iniziative che ci sono consentite.
Ecco le parole dell'Apostolo: Fratelli, se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che siete spirituali, riprendete una tale persona.
Non si deve tuttavia pensare che sia buono l'intervento quando lo si fa sgarbatamente sconvolgendo il colpevole e irridendo al suo peccato o quando per superbia lo si aborrisce ritenendolo inguaribile.
Per questo aggiunge: In spirito di mansuetudine, badando a te stesso, affinché tu stesso non abbia ad essere tentato.
Nulla infatti inclina talmente alla misericordia quanto il pensiero del proprio pericolo.
A tal fine, mentre impone loro di non mancare al dovere della correzione fraterna, proibisce la smania delle contese.
Non sono in realtà pochi gli uomini che, se scossi dal sonno, si mettono a litigare o, se viene loro imposto di evitare le liti, si mettono di nuovo a dormire.
Riflettendo dunque sul comune pericolo, conservino in cuore la pace e la carità.
Quanto poi al tono della voce, se cioè si debbano usare parole aspre o dolci, lo si deve regolare come richiede la salvezza di colui che si sta correggendo.
È quanto dice l'Apostolo in un altro passo: Il servo del Signore non dev'essere litigioso ma mite con tutti, abile nell'insegnare, paziente. ( 2 Tm 2,24 )
E perché nessuno ritenga che per essere tale egli debba omettere di correggere l'errore del prossimo, vedi cosa aggiunge: Riprendendo, dice, con moderazione chi nutre opinioni contrastanti. ( 2 Tm 2,25 )
In che senso con moderazione? In che senso riprendendo?
Non forse perché nel cuore conserviamo inalterata la dolcezza e con essa condiamo l'amaro della medicina usata nelle parole della correzione?
Sono persuaso che non abbiano senso diverso le altre parole della stessa Lettera: Annunzia la parola, insisti opportunamente [ e ] inopportunamente.
Rimprovera, esorta, redarguisci con pazienza e dottrina. ( 2 Tm 4,2 )
L'intervento inopportuno si oppone evidentemente a quello opportuno, e non si dà medicina che rechi la guarigione se non usata nel modo opportuno.
Esiste un modo diverso di suddividere la frase, e cioè leggere: Insisti opportunamente, e poi proseguire, con senso differente: Inopportunamente rimprovera, collegando poi a questa espressione tutto il resto: Esorta, redarguisci con grande pazienza e dottrina.
Ne risulterebbe questo significato: Tu sarai ritenuto opportuno quando insisti per costruire; quando viceversa col rimprovero dovrai demolire, anche se sembrerai importuno non angustiarti se è a tal gente che sei importuno.
In questa interpretazione i due termini che seguono si possono riferire separatamente ai due precedenti, e cioè: Esorta quando insisti opportunamente, rimprovera quando redarguisci inopportunamente.
Poi vengono gli altri due, che concernono lo stesso tema ma vi si riferiscono con ordine inverso: Con grande pazienza, nel sopportare lo sdegno di coloro dei quali abbatti l'edificio; e con dottrina, quando incrementi l'alacrità di coloro che costruisci.
Ci si può comunque attenere alla distinzione usuale, e cioè: Insisti opportunamente e, se in tal modo non ottieni il risultato, anche inopportunamente.
In detta accezione il senso sarebbe questo: Tu non devi assolutamente farti sfuggire l'occasione favorevole e, se ti si dice di agire anche inopportunamente, lo devi intendere nel senso che sei importuno a colui che non ascolta di buon grado quanto dici contro di lui.
Occorre però che la cosa a te si manifesti opportuna e che tu abbia in vista il motivo dell'amore e con animo mite, umile e fraterno ti proponga di curare la salute del tuo prossimo.
Sono molti infatti coloro che, ripensando in un secondo momento alle cose udite e riconoscendo quanto fossero giuste, provano nel loro intimo rimorsi gravi e laceranti e, sebbene quando lasciarono il medico sembravano infuriati, col passare del tempo la parola udita penetra con tutto il suo vigore nel profondo della loro anima e ne sono guariti.
Ora questo risultato non si otterrebbe certamente se, di fronte a uno che si trova in pericolo per avere le membra incancrenite, stessimo lì ad aspettare che accetti volentieri d'essere o bruciato o amputato.
Un'attesa di questo genere non se la consentono nemmeno i medici del corpo, sebbene intervengano solo in vista di una ricompensa terrena.
In effetti dove mai si troverà qualcuno che senza farsi legare riesca a sopportare il bisturi o le scottature praticate dal chirurgo, essendo raro, e molto, il caso di chi consenta soltanto a farsi legare?
I più oppongono resistenza e gridano di preferire la morte anziché essere curati in quella maniera, tanto che [ i medici ] debbono legarli in tutte le membra lasciando libera, sì e no, solo la lingua.
Nel fare ciò non seguono né la volontà propria né quella del malato riluttante, ma le esigenze dell'arte medica, e così, per quante siano le grida e le invettive del paziente, né si commuove la sensibilità né si ferma la mano del medico.
Quanto invece ai ministri della medicina celeste, a volte mossi dalla trave dell'odio, vogliono scorgere la pagliuzza nell'occhio del fratello, ( Mt 7,3 ) ovvero giudicano più tollerabile assistere alla morte di chi pecca che non subire la parola di chi si indigna.
Le quali cose non accadrebbero se, nel curare l'anima del fratello, avessimo uno spirito così fermo come lo sono le mani dei medici quando intervengono sulle membra altrui.
57 Ne segue che mai dobbiamo intervenire a correggere il peccato altrui senza avere prima esaminato la nostra coscienza, sottoponendola a severo controllo, e senza avere ottenuto dinanzi a Dio la chiara risposta che ciò facciamo mossi dall'amore.
Senti invece che il tuo cuore è ferito dagli improperi, dalle minacce o anche dalle persecuzioni di colui che intendi correggere?
Sebbene abbia la convinzione di poterlo guarire con il tuo intervento, non devi pronunziare parola finché non sia tu stesso guarito.
Non deve succedere che, consentendo ai tuoi moti istintivi, tu finisca col fargli del male e presti la tua lingua al peccato ( Rm 6,13 ) perché diventi arma di iniquità ricambiando il male col male e la maledizione con la maledizione. ( 1 Pt 3,9 )
In effetti ogni parola che pronunzi col cuore ferito è scatto rabbioso di chi vuol punire, non benevolenza di chi vuol emendare.
Ama e di' quel che ti pare! Se penserai e intenderai essere uno che mediante la spada della parola di Dio vuol liberare l'uomo dall'assedio dei vizi, non saranno certo di maledizione le tue parole, anche se suonassero come una maledizione.
Capita spesso, è vero, e potrebbe capitare anche a te che ti decida ad intervenire mosso da amore e che inizi il tuo intervento sempre con amore.
Tuttavia, nel tradurre in atto l'iniziativa, di fronte alla resistenza [ dell'altro ] ecco che si inocula nel tuo interno qualcosa che ti distoglie dal proposito di colpire solo il vizio rendendoti anche nemico della persona.
Dovrai in seguito lavare con le lacrime questa polvere, e il ricordo ti sarà molto più salutare della superbia che ci fa inorgoglire di fronte ai peccati del nostro simile per cui nell'atto stesso di correggerlo cadiamo in peccato.
È infatti spontaneo che la stizza di chi ha peccato ci ecciti all'ira più che non la sua miseria alla misericordia.
58 Portate i pesi gli uni degli altri e così adempirete la legge di Cristo, ovviamente la legge della carità.
Chi ama il prossimo infatti adempie la legge.
Ora l'amore del prossimo era inculcato come il massimo dei precetti anche nel Vecchio Testamento ( Lv 19,18 ) e di esso dice l'Apostolo, in un altro testo, che è il compimento di tutti i comandamenti della legge. ( Mt 5,17 )
Ne segue che anche la Scrittura data all'antico popolo eletto era una legge di Cristo, una legge che, non adempiuta in antico mediante il timore, dopo la venuta di Cristo si adempie mediante la carità. ( Rm 13,8-9 )
Pertanto la stessa Scrittura e lo stesso comandamento si chiamano Vecchio Testamento quando gravano su uomini schiavi, bramosi di beni terreni; si chiamano Nuovo Testamento quando sollevano in alto uomini liberi, ardenti d'amore per i beni eterni.
59 Dice continuando: Se uno crede d'essere qualcosa, mentre è un nulla, inganna se stesso.
Non lo seducono coloro che lo elogiano ma è lui che inganna se stesso, perché, pur essendo egli più presente a sé di quanto non lo siano gli altri, preferisce andare a cercare se stesso negli altri anziché dentro di sé.
Ma cosa dice l'Apostolo? Ciascuno esamini le sue opere e così troverà la gloria in se stesso e non negli altri.
Dentro di sé - dice - cioè nella sua coscienza, e non nell'altro che lo loda.
E prosegue: Ciascuno porterà il proprio peso.
Ne consegue che i nostri panegiristi non alleggeriscono i pesi che gravano sulla nostra coscienza; e voglia il cielo che non li facciano aumentare!
In effetti, per paura che contrariandoli vediamo diminuire le loro lodi, spesso trascuriamo di rimproverarli e con ciò di guarirli; a volte anzi ostentiamo vanitosamente le nostre risorse personali anziché dare esempio di pazienza.
Per non parlare delle finzioni e menzogne che si dicono per cattivarsi il plauso della gente.
E c'è forse cecità più grave di quella che per conseguire una stupidissima gloria induce l'uomo a correre dietro a menzogne umane, disprezzando Dio testimone dei cuori?
Quasi che si possa stabilire un confronto fra l'errore di colui che ti crede buono e l'errore che commetti tu quando cerchi di piacere agli uomini per falsi beni e non ti accorgi che dispiaci a Dio per un vero male!
60 Quanto viene appresso lo ritengo facilissimo a comprendersi.
È un precetto ormai invalso nell'uso quello che impone al catechizzato l'obbligo di fornire del necessario il predicatore della parola di Dio.
Occorreva peraltro esortare alle opere buone somministrando il necessario al Cristo bisognoso in attesa di stare alla sua destra insieme con gli agnelli.
L'amore fatto sbocciare in loro dalla fede doveva produrre più opere buone di quante non ne avesse prodotte il timore della legge.
Una cosa di questo genere nessuno poteva comandarla con maggior credibilità che non l'apostolo Paolo, il quale, sostentandosi con il lavoro delle proprie mani, non voleva tali prestazioni. ( At 18,3; At 20,34; 1 Cor 4,12; 1 Ts 2,9; 2 Ts 3,8 )
In forza d'un tale comportamento egli poteva mostrare a tutti con somma autorità che la sua esortazione mirava più all'utilità di chi faceva l'offerta che non di coloro ai quali essa veniva fatta.
61 Aggiunge: Non ingannatevi! Dio non si lascia prendere in giro.
L'uomo mieterà quello che avrà seminato.
Lo dice consapevole delle ingiurie in mezzo alle quali hanno da soffrire, da parte di uomini perversi, coloro che sono diventati saldi nella fede delle cose invisibili: ai quali, se è dato vedere la semina delle loro opere, non è dato vederne il raccolto.
A loro infatti non è promesso come raccolto quello che si miete quaggiù, poiché chi è giusto per la fede ottiene la vita. ( Ab 2,4 )
E continua: Chi semina nella carne, dalla carne miete la corruzione, riferendosi a chi ama i piaceri più che non Dio.
Semina infatti nella carne colui che in tutte le cose che fa, comprese le opere che potrebbero sembrare buone, agisce per ottenere un bene materiale.
Al contrario, colui che semina nello spirito dallo spirito raccoglie la vita eterna.
La semina nello spirito si ha quando, mossi dalla fede, serviamo la giustizia mediante la carità e non obbediamo ai desideri peccaminosi che insorgono dalla carne mortale.
Il raccolto della vita eterna poi l'avremo quando, ultima nemica, sarà distrutta la morte e la nostra mortalità sarà assorbita dalla vita e il nostro corpo corruttibile sarà rivestito d'incorruttibilità.
Al presente quindi siamo nel terzo stadio, cioè sotto la grazia.
Esperimentando brame che provengono dal corpo animale, noi seminiamo nelle lacrime ma, siccome a tali brame noi resistiamo e non consentiamo, mieteremo nella gioia quando, trasformato anche il nostro corpo, da nessuna parte del nostro essere dovremo subire molestie o pericoli di tentazione.
Nel seme infatti dobbiamo vedere incluso anche il nostro corpo animale, di cui dice l'Apostolo in un altro testo: Viene seminato un corpo animale e, in riferimento alla raccolta aggiunge: Risorgerà un corpo spirituale. ( 1 Cor 15,26 )
A questa affermazione s'accorda quanto detto dal profeta: Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia. ( Sal 126,5 )
Al riguardo teniamo ben presente che seminare, cioè compiere un'opera buona, è più facile che perseverare in essa.
Quando si lavora, ci consola il raccolto, ma a noi esso è promesso solo per la fine, e quindi occorre la perseveranza, come è detto: Chi persevererà sino alla fine sarà salvo, ( Mt 10,22 ) e come grida il profeta: Attendi il Signore e agisci da uomo forte; si rafforzi il tuo cuore e attendi il Signore. ( Sal 27,14 )
È quello che dice ora l'Apostolo: Non stanchiamoci di fare il bene e, se non ci saremo stancati, a suo tempo mieteremo.
Finché dunque abbiamo tempo, facciamo del bene a tutti, specialmente ai congiunti per la fede.
Chi pensiamo voglia indicare se non i cristiani?
A tutti gli uomini infatti e con lo stesso amore si deve augurare la vita eterna ma non a tutti si possono prestare le stesse attenzioni e i servizi derivanti dall'amore.
62 L'Apostolo ha insegnato che le opere della legge, anche quelle necessarie per la salvezza e concernenti il retto vivere, possono praticarsi soltanto con la forza dell'amore, che deriva dalla fede, e non mediante il timore servile.
Ora torna al punto di partenza di tutta la questione.
Dice: Vedete con che sorta di lettere vi scrivo di proprio pugno.
Li premunisce affinché nessuno, facendo passare come di Paolo qualche altra lettera, li inganni trovandoli sprovveduti.
E continua: Coloro che amano vantarsi della carne vi costringono a praticarvi la circoncisione, ma questo è solo per non subire persecuzioni a motivo della croce di Cristo.
In effetti, i giudei perseguitavano aspramente coloro che sembrava volessero abbandonare le pratiche tradizionali come la circoncisione.
L'Apostolo però non li teme. Lo dimostra con chiarezza sottoscrivendo [ la Lettera ] di proprio pugno e a caratteri ben marcati.
Se ne deduce che quanti costringevano i pagani a farsi circoncidere agivano ancora sotto la spinta del timore, come gente inclusa nel regime della legge.
Infatti, pur facendosi circoncidere, costoro non osservano la legge.
Egli chiama " osservanza della legge " il non uccidere, non commettere adulterio, non dire falsa testimonianza e tutti gli altri precetti riguardanti la buona condotta.
I quali precetti - ha affermato antecedentemente - non possono adempiersi se non mediante la carità e la speranza dei beni eterni, che si ottengono attraverso la fede.
Qui dice: Vogliono farvi circoncidere per vantarsi della vostra carne.
Essi non solo non vogliono essere perseguitati dai giudei, che in nessuna maniera tolleravano che la legge fosse aperta anche ai pagani, ma intendono farsi belli dinanzi a loro conquistando numerosi proseliti.
I giudei infatti, per conquistare un solo proselita, percorrono la terra e il mare, come aveva detto il Signore. ( Mt 23,15 )
Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per il quale il mondo è a me crocifisso e io lo sono per il mondo. Dice: Il mondo è a me crocifisso, cioè: Non mi tiene impegolato; e: Io lo sono per il mondo, cioè: Non consento che mi accalappi.
In questa maniera il mondo non può nuocermi e io dal mondo non ho nulla da desiderare.
Gloriandosi della croce di Cristo, il cristiano non intende piacere per motivi umani; né teme le persecuzioni dell'uomo carnale avendole affrontate per primo colui che si lasciò crocifiggere per dare l'esempio a quanti avrebbero calcato le sue orme.
63 Né la circoncisione conta alcunché né l'incirconcisione.
Ribadisce sino alla fine la ben nota indifferenza delle cose, per cui nessuno avrebbe dovuto ritenere che egli aveva agito con simulazione nel far circoncidere Timoteo, né lo sarebbe stato il circoncidere qualsiasi altro, se gli si fosse presentata analoga motivazione.
In effetti non la circoncisione in se stessa reca danno ai credenti ma il riporre in simili pratiche la speranza della salvezza.
Risulta anche dagli Atti degli Apostoli che i giudaizzanti volevano inculcare la circoncisione proprio nel senso che i pagani passati alla fede, senza le pratiche legali non si sarebbero potuti salvare. ( At 15,1 )
Ora l'Apostolo rigetta come perniciosa non l'opera in sé ma la falsità di questa dottrina, e dice: Né la circoncisione conta alcunché né l'incirconcisione ma la nuova creatura.
Chiama nuova creatura la vita nuova ottenuta per la fede in Gesù Cristo.
Nota la parola creatura e come difficilmente si trovino chiamati con tal nome quelli stessi che credendo avevano ottenuto l'adozione a figli.
Tuttavia in un altro passo dice [ l'Apostolo ]: Se c'è dunque una nuova creatura in Cristo, le cose di prima sono passate.
Ecco, tutte le cose sono state rinnovate. E tutto questo proviene da Dio. ( 2 Cor 5,17-18 )
In un testo precedente aveva detto: La stessa creatura sarà liberata dalla schiavitù della morte, e un po' dopo: Né soltanto lei ma anche noi stessi, che possediamo le primizie dello Spirito. ( Rm 8, 21.23 )
Qui non pone i credenti sotto il nome di " creatura ". Alla stessa maniera talvolta li chiama " uomini ", talaltra " non uomini ".
In un passo della Lettera ai Corinzi li rimprovera perché sono ancora uomini dicendo: Non siete forse ancora uomini e non vi comportate forse alla maniera umana? ( 1 Cor 3,3-4 )
Allo stesso modo parla del Signore risorto.
In qualche testo, come all'inizio di questa Lettera, lo chiama " non uomo ", dicendo: Non dagli uomini né ad opera dell'uomo, ma da Gesù Cristo, ( Gal 1,1 ) mentre altrove lo definisce " uomo ", come nel passo: Infatti uno è Dio e uno il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù. ( 1 Tm 2,5 )
Quanti poi - continua - avranno rispettato questa norma, saranno su di loro la pace e la misericordia, come su tutto l'Israele di Dio.
Saranno, cioè, su tutti coloro che nella verità si preparano alla visione di Dio, non su coloro che, pur chiamandosi Israeliti, gravati da cecità carnale rifiutano di vedere Dio e, respingendo la sua grazia, si contentano di restare asserviti alle realtà temporali.
64 Continuando dice: D'ora in poi nessuno mi infastidisca!
Non vuole che alcuno con turbolenze e contese venga a infastidirlo ancora su un problema trattato diffusamente nella Lettera ai Romani e in questa Lettera stessa.
Io porto nel mio corpo le stigmate del Signore Gesù Cristo.
Vuol dire: Io ho nella mia carne altre lotte e ostilità, che si accaniscono contro di me nelle varie persecuzioni che subisco.
Si chiamano stigmate le impronte che rimangono sul servo che ha subito castighi, come quando, ad esempio, un servo per una mancanza o colpa è stato messo in ceppi o è stato sottoposto a qualche altra punizione simile.
Di lui si dice che ha le stigmate, e nel diritto alla manomissione è valutato di meno.
L'Apostolo ama dire stigmate quasi fossero segni di pene a lui derivate dalle persecuzioni che subiva.
Egli era ben convinto che tali sofferenze gli erano mandate per riparare la colpa della sua persecuzione, per avere cioè perseguitato la Chiesa di Cristo.
Questo infatti aveva detto il Signore in persona ad Anania, che temeva Saulo persecutore dei cristiani. Io gli mostrerò - disse - tutte le cose che dovrà patire per il mio nome. ( At 9,16 )
In realtà avendo egli conseguito la remissione dei peccati per la quale era stato battezzato, tutte quelle sofferenze non miravano alla sua perdizione ma gli giovavano accrescendo la corona della vittoria.
65 La conclusione della Lettera è come una firma ben nota a tutti. Egli la usa anche in altre lettere.
La grazia del nostro Signore Gesù Cristo sia col vostro spirito, fratelli. Amen!
6 | Retract. 1, 23,5 |