Esposizione dei Salmi |
Penso siano ben note alla vostra Santità le parole dell'Apostolo: Non di tutti è la fede. ( 2 Ts 3,2 )
Anzi, voi non ignorate che il numero degli increduli supera quello dei credenti, tanto che si trova scritto: Signore, chi ha creduto udendo il nostro messaggio? ( Is 53,1; Rm 10,16 )
Tra gli increduli occorre poi annoverare anche quei tali di cui parla l'Apostolo quando afferma: Tutti cercano il proprio tornaconto, non gli interessi di Gesù Cristo. ( Fil 2,21 )
Di loro, in un altro passo, l'Apostolo dice che predicano la parola di Dio non per amore di verità ma cercando pretesti, con animo non casto, ( Fil 1,17 ) non mossi cioè da carità pura e sincera.
Questi tali avevano in cuore sentimenti ( ben visibili attraverso il loro comportamento esterno) contrastanti con quel che predicavano.
Predicavano infatti il nome santo [ del Signore ] ma per piacere agli uomini, al segno che parlando di loro l'Apostolo dice ancora: Costoro non servono Dio ma il loro ventre. ( Rm 6,18 )
Eppure l'Apostolo consente che continuino a predicare. Sebbene infatti essi personalmente avessero fede nelle cose che la loro pratica metteva in luce ( ed erano opere di morte ), tuttavia nella predicazione annunziavano verità che, se messe in pratica con fede da chi le ascoltava, menavano a salvezza.
La loro predicazione infatti non si scostava dalla regola della fede.
Se fossero giunti a tanto, l'Apostolo li avrebbe scomunicati con le parole: Se qualcuno vi annunziasse un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema. ( Gal 1,9 )
Chi infatti predica un vangelo falsificato non annunzia Cristo, che è la verità. ( Gv 14,6 )
Riguardo invece ai predicatori di cui sopra, l'Apostolo afferma chiaramente che annunziano Cristo; lamenta solo che non lo predichino castamente, vale a dire non con animo semplice né puro, e che sono privi di quella fede sincera che opera mediante la carità.
In effetti essi annunziavano il regno dei cieli per soddisfare alle loro mire terrene e, mentre con la lingua predicavano la verità, avevano in cuore la falsità.
Scrivendo quindi di loro l'Apostolo ( ben sapendo che anche attraverso la predicazione di un Giuda il credente può conseguire la liberazione dal peccato ) lascia che continuino a predicare.
Dice: Lo si faccia per pretesto o lo si faccia per amore di verità, l'importante è che Cristo sia annunziato. ( Fil 1,18 )
Quei predicatori infatti annunziavano la verità, anche se non lo facevano per amore della verità, cioè anche se non avevano l'animo sincero.
Si tratta di quella gente che parla di cose a cui personalmente non credono e perciò ne ricavano condanna, mentre sono di utilità a coloro che il Signore istruisce per loro mezzo.
Di essi diceva un giorno: Fate le cose che dicono ma non fate quelle che essi stessi fanno; dicono infatti delle cose ma essi stessi non le praticano. ( Mt 23,3 )
E perché questo, se non perché loro stessi non credono all'utilità delle cose che insegnano?
Non molto diversi da costoro sono quegli altri che credono ma poi o per indolenza o per paura s'astengono dal predicare quello che credono.
Viene fatto di pensare, nei loro riguardi, a quel servo che, avuto il talento, si rifiutò di investirlo e dal padrone nel giudizio si sentì apostrofare: Servo cattivo e infingardo. ( Mt 25,26 )
In un'altra pagina del Vangelo si legge che molti fra i più ragguardevoli Giudei credettero in Cristo ma si rifiutavano di confessarlo pubblicamente per non essere cacciati dalle sinagoghe.
Anche costoro vengono biasimati e condannati ( Gv 12,42 ) e, parlando di loro nel seguito del racconto, l'Evangelista dice: Essi amarono la gloria degli uomini più che non la gloria di Dio. ( Gv 12,43 )
Ecco dunque che vengono disapprovati tanto coloro che non credono alla verità che predicano quanto gli altri che non diffondono la verità in cui credono.
Chi allora meriterà il nome di servo veramente fedele, se non colui a cui si dirà: Avanti, servo buono e fedele! sei stato fedele nel poco, ti darò autorità sul molto; entra nel gaudio del tuo padrone? ( Mt 25,21-23 )
Un servo di tal sorta non parla se non quando ha creduto né tace di ciò che forma l'oggetto della sua fede, per cui non gli succede di dare agli altri delle cose di cui lui stesso è sprovvisto né di venir privato delle cose che aveva per non averle erogate [ agli altri ].
Sta infatti scritto: A chi ha sarà dato, mentre a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. ( Mt 13,12 )
Il servo che in questo salmo canta Alleluia è un servo buono, che cioè offre il sacrificio di lode a quel Signore dalle cui labbra udrà l'invito: Entra nel gaudio del tuo Signore.
Esulti dunque e dica: Io ho creduto e per questo ho parlato, cioè: Io ho creduto perfettamente.
Non credono infatti in maniera perfetta coloro che si rifiutano di comunicare agli altri ciò che credono, poiché rientrano nell'ambito della nostra fede anche quelle parole: Chi mi avrà riconosciuto dinanzi agli uomini, anch'io lo riconoscerò dinanzi agli angeli di Dio. ( Mt 10,32 )
E quel servo, se fu chiamato fedele, lo fu non tanto perché aveva ricevuto dei talenti ma perché li spese bene e ne ricavò profitto. ( Mt 25,21.23 )
Così qui il salmo. Non dice: Io ho creduto e parlato; ma afferma d'aver parlato proprio per il fatto di aver creduto.
All'atto stesso di credere egli si rese conto del premio che poteva sperare se avesse parlato e della pena che doveva temere se avesse taciuto.
Dice: Ho creduto e per questo ho parlato. Tuttavia io sono stato profondamente umiliato.
Ha subito molte tribolazioni a causa della parola che custodiva fedelmente e fedelmente dispensava; per essa è stato profondamente umiliato.
Cose, queste, di cui si lasciarono spaventare quegli altri che amarono la gloria degli uomini più che non la gloria di Dio. ( Gv 12,43 )
Ma che vuol dire quel: Tuttavia io? Avrebbe dovuto dire semplicemente: Io ho creduto e per questo ho parlato e ne sono stato profondamente umiliato.
Perché aggiungere quel: Tuttavia io, se non per indicarci che le umiliazioni lanciate dai negatori ostinati della verità possono, sì, raggiungere l'uomo ma non la verità stessa che l'uomo crede e di cui parla?
Sicché l'Apostolo, parlando delle proprie catene, poteva affermare: La parola di Dio non è però incatenata. ( 2 Tm 2,9 )
Allo stesso modo il salmista, che poi si identifica con l'unica persona costituita da tutti i santi testimoni ( cioè i martiri ) di Dio, può dire: Io ho creduto e per questo ho parlato.
Tuttavia io, non la verità che io ho creduto o la parola che ho annunziato, ma io personalmente sono stato profondamente umiliato.
Io però nella mia estasi ho detto: Ogni uomo è mentitore.
Parla di estasi nel senso di spavento: quello spavento che prova l'umana debolezza di fronte alle minacce dei persecutori e quando le piombano addosso le acerbità dei tormenti e la morte.
Intendiamo così poiché in questo salmo risuona la voce dei martiri; mentre [ in astratto ] ci sarebbe anche un'altra maniera di concepire l'estasi, e la si ha non quando l'anima è fuori di sé per la paura ma quando è investita da una ispirazione derivante da una qualche rivelazione.
Io però nella mia estasi ho detto: Ogni uomo è mentitore.
Guardò alla propria miseria e ne ebbe paura, constatando come non aveva proprio nulla per confidare in se stesso.
Di fatti l'uomo, di per se stesso, è menzognero e, se è divenuto verace, lo deve alla grazia di Dio; e a questa grazia deve anche il non aver ceduto alla violenza dei nemici, i quali miravano a fargli non confessare ma piuttosto rinnegare quel che credeva.
Una tal cosa era capitata a Pietro, il quale, avendo presunto di se stesso, ebbe bisogno di imparare a sue spese che non si deve presumere dell'uomo.
Che se non si deve presumere dell'uomo, non si deve presumere nemmeno di noi stessi che siamo uomini.
Con molta esattezza pertanto il salmista, nel suo spavento, constatò che ogni uomo è mentitore.
Ciò risulta confermato dal fatto che anche coloro che non si lasciano intimorire né cadono nell'insensatezza di cedere alle persecuzioni e di diventare bugiardi si comportano così per un dono molteplice di Dio, non per le loro proprie forze.
Rimane pertanto verissima l'affermazione: Ogni uomo è mentitore.
Viceversa, Dio è verace, quel Dio che asserisce: Io ho detto che voi siete dèi e figli dell'Altissimo voi tutti; ma voi in quanto uomini morrete e come uno dei principi cadrete. ( Sal 82,6 )
Consola gli umili e li riempie non solamente di fede perché abbiano a credere nella verità ma anche di coraggio perché la predichino.
Occorre però che rimangano costantemente soggetti a Dio; né debbono prendere l'esempio da quell'uno fra i principi che fu il diavolo, il quale non perseverò nella verità e decadde.
In realtà, se ogni uomo è mentitore, solo a patto di non essere uomini sì potrà non essere mentitori.
Occorrerà cioè essere dèi e figli dell'Altissimo.
4 - [v 12.] La religiosissima schiera dei testimoni della fede pone mente a tutte queste cose.
Sa che la misericordia di Dio non abbandona l'umana fragilità: quella fragilità per timore della quale aveva sopra affermato che ogni uomo è mentitore.
Sa che Dio consola gli umili e colma i paurosi con lo spirito del coraggio, facendone rivivere il cuore anche quando sembrava già bell'e morto.
Nello stesso tempo egli impedisce che ripongano la fiducia in se stessi ma li fa sperare in colui che risuscita i morti ( 2 Cor 1,9 ) e rende eloquenti le lingue infantili. ( Sap 10,21 )
Sue infatti sono le parole: Ma quando sarete posti nelle loro mani, non preoccupatevi di come parlerete né di ciò che direte; in quel momento vi sarà suggerito ciò che dovrete dire, perché non siete voi a parlare ma è lo Spirito del Padre vostro, che parla in voi. ( Mt 10,19-20 )
Ripensando a tutte queste cose e osservando come la grazia divina l'abbia reso veritiero, colui che prima aveva sentenziato: Nel mio spavento io ho detto: ogni uomo è mentitore, ora dice: Cosa potrò io rendere al Signore per tutti i benefici che egli mi ha resi?
Non dice: " per tutti i benefici che mi ha elargiti ", ma: Per tutti i benefici che egli mi ha resi.
Dunque c'erano stati dei meriti antecedenti da parte dell'uomo, per cui la concessione dei doni divini fatta all'uomo potesse essere chiamata non elargizione gratuita ma compenso?
Ma cosa l'aveva preceduta nell'uomo se non il peccato?
Sì, veramente, Dio rende il bene invece del male, così come gli uomini rendono talvolta a Lui il male al posto del bene.
Male per bene infatti gli resero quei tali che dicevano: Ecco l'erede; venite, uccidiamolo! ( Mt 21,38 )
Il salmista cerca qualcosa da rendere al Signore ma non lo trova, se non fra quelle cose che il Signore stesso gli ha donate.
Dice: Prenderò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore.
O uomo, divenuto mentitore per il tuo peccato e riportato alla verità dalla grazia di Dio, per la quale non sei più un [ semplice ] uomo, chi ti ha porto il calice della salvezza che tu puoi tenere in mano e così essere in grado d'invocare il nome del Signore e rendergli quanto gli devi per tutti i benefici che egli ti ha fatti?
Chi te l'ha dato, se non colui che diceva: Potete bere al calice da cui io sto per bere? ( Mt 20,22 )
Chi ti ha concesso la forza di imitare i suoi patimenti, se non colui che antecedentemente ha sofferto per te?
Con ragione, dunque, è preziosa al cospetto del Signore la morte dei suoi santi.
Col suo sangue, sparso antecedentemente per la salvezza dei suoi servi, il Signore ne riscattò la morte; sicché adesso questi suoi servi non hanno più da temere di versare il loro sangue per il nome del Signore.
Tanto più che un tal gesto non torna a vantaggio del Signore, ma a loro proprio vantaggio.
Acquistato ad un prezzo così grande, lo schiavo riconosca la sua [ reale ] condizione ed esclami: O Signore, io sono tuo servo; tuo servo e figlio della tua serva.
Ecco: è stato riscattato, eppure era di famiglia.
E allora? Forse che fu comprato in sua madre, anch'essa comprata?
Ovvero, essendo uno schiavo nato in casa, fu forse catturato [ dai nemici ] quando commise il peccato di darsi alla fuga e l'essere stato comprato non è consistito se non nell'essere riscattato?
Infatti ogni uomo è figlio della schiava del Signore, in quanto ogni creatura è soggetta al suo Creatore e deve prestare un ossequio di autentico servizio a chi verissimamente le è signore.
Quando gli presta questo servizio ottiene la libertà; riceve cioè dal Signore la grazia di poterlo servire non per forza ma per scelta volontaria.
Un uomo siffatto è figlio della Gerusalemme celeste, la città superna, che è libera ed è la madre di noi tutti. ( Gal 4,26 )
Libera dal peccato ma schiava della giustizia, ella ha dei figli ancora pellegrini, ai quali dice la Scrittura: Voi siete stati chiamati alla libertà.
E ancora, rendendoli in una certa maniera di nuovo servi: Siate servi l'uno dell'altro nella carità. ( Gal 5,13 )
E finalmente: Quando eravate asserviti al peccato, non eravate sottoposti alla giustizia; ma ora affrancati dal peccato e divenuti schiavi di Dio, ne avete il frutto nella vostra santificazione, mentre il fine è la vita eterna. ( Rm 6,20-22 )
Dica dunque a Dio questo suo servo: Molti si dànno il nome di martiri e di servi tuoi, o Signore, perché hanno il tuo nome; appartenendo però a varie eresie e errori ed essendo fuori della tua Chiesa, tutti costoro non sono figli della tua serva; io invece sono e tuo servo e figlio della tua serva.
7 - [v 17.] Hai spezzato i miei legami: ti offrirò un sacrificio di lode.
Quando tu spezzasti i miei legami non c'era alcun mio merito [ a cui attribuire una tale liberazione ].
Per questo ti debbo il sacrificio di lode.
E se mi glorierò di essere tuo servo e figlio della tua serva, non mi glorierò in me ma in te, che sei il mio Signore e hai spezzato i miei legami, facendo sì che io, reduce ormai dalla fuga, mi riattaccassi a te.
8 - [v 18.] Renderò al Signore i miei voti.
Quali voti gli renderai? Quali vittime gli hai promesse? quale incenso? quale olocausto?
Ti riferisci forse a quello che menzionavi or ora dicendo: Prenderò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore?
Ovvero alle altre: Offrirò a te un sacrificio di lode? ( Sal 116,13.17 )
In realtà, chi con retto giudizio pensa alla vittima da consacrare al Signore e al voto da sciogliere in suo onore, non ha che se stesso da offrire e da rendere.
Questo è ciò che si esige da lui, ciò che si deve a Dio.
Guardata la moneta, il Signore disse: Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. ( Mt 22,21 )
Come a Cesare è da darsi [ ciò che porta ] la sua immagine, così è da darsi a Dio ciò che è immagine di Dio.
Chi poi ricorda di essere non solo servo di Dio ma anche figlio della sua serva, riconosce anche il luogo dove ha da sciogliere i suoi voti, uniformandosi a Cristo mediante la partecipazione al calice della salvezza.
Dice: Negli atri della casa del Signore.
Casa di Dio e serva di Dio sono la stessa cosa; e chi è la casa di Dio se non la totalità del suo popolo?
Sicché a ragione soggiunge: Alla presenza di tutto il suo popolo; e finalmente eccolo nominare espressamente la madre.
Cos'altro infatti è il popolo di Dio se non quanto è descritto nelle parole successive: In mezzo a te, o Gerusalemme?
Infatti l'offerta che si presenta a Dio è a lui gradita se è un'offerta di pace e gli si presenta nella pace.
Al contrario, coloro che non vogliono essere figli di quella serva [ che è la Chiesa ], amano la guerra e non la pace.
A questo punto si potrebbe pensare ( da qualcuno almeno ) che per atri della casa del Signore e per totalità del suo popolo si debbano intendere piuttosto i Giudei.
Il salmo infatti termina con le parole: In mezzo a te, o Gerusalemme, e questo nome di Gerusalemme costituisce il vanto degli Israeliti secondo la carne.
Per escludere una simile interpretazione, vogliate ascoltare il salmo che segue, costituito da quattro soli versetti.
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