La fede e il simbolo
È stato scritto ed è stato confermato dalla saldissima autorità dell'insegnamento apostolico che il giusto vivrà in virtù della fede. ( Ab 2,4; Gal 3,11 )
Tale fede richiede da parte nostra l'impegno conforme sia del cuore che della lingua.
L'Apostolo infatti dice: Con il cuore si crede per ottenere giustizia, con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. ( Rm 10,10 )
Occorre pertanto che ci ricordiamo sia della giustizia sia della salvezza.
Dal momento che siamo destinati a regnare in una giustizia eterna, non riusciamo ad essere immuni dalla malizia dell'età presente se non ci adoperiamo anche per la salvezza del prossimo, professando con la bocca la fede che coltiviamo con il cuore.
Dobbiamo provvedere con pia e prudente vigilanza perché tale fede non ci venga intaccata in qualche punto dalle ingannatrici sottigliezze degli eretici.
Per questo la fede cattolica è fatta conoscere ai fedeli per mezzo del Simbolo, ed è affidata alla loro memoria, per quanto la materia lo consenta, in un testo molto breve.
In tal modo i principianti e i lattanti, cioè coloro che sono rinati da poco in Cristo e che non sono ancora fortificati da una frequentazione assidua e spirituale delle Sacre Scritture e dalla loro conoscenza, sono posti in condizione di credere, con l'aiuto di poche formule, ciò che dovrà poi essere loro esposto con ampi discorsi mano a mano che progrediranno e si disporranno a comprendere la dottrina divina sulla solida base dell'umiltà e della carità.
La maggior parte degli eretici, dunque, hanno cercato di nascondere il loro veleno sotto le stesse brevi formule contenute nel
Simbolo; ma ai loro tentativi la divina misericordia ha resistito e resiste mediante l'opera di uomini spirituali,
( 1 Cor 2,15
) i quali si sono resi meritevoli non solo di ricevere e di credere alla fede cattolica espressa in quelle formule,
ma anche, grazie alla rivelazione di Dio, di comprenderla e di conoscerla. È stato scritto infatti: Se
non crederete, non comprenderete. (
Is 7,9b
)
Dunque, la chiarificazione della fede serve a difendere il Simbolo, però non nel senso che essa, per il fatto che deve essere appresa e mandata a memoria, sia destinata a prendere il posto del Simbolo in coloro che ricevono la grazia di Dio, ma nel senso che possa custodire le verità contenute nel Simbolo contro le insidie degli eretici con l'autorità della Chiesa cattolica e con una difesa più solida.
Alcuni, infatti, hanno cercato di persuadere che Dio Padre non è onnipotente; non perché hanno osato affermarlo apertamente, ma perché nel loro insegnamento lasciano ritenere che così pensino e così credano.
Quando, infatti, sostengono l'esistenza di una realtà che Dio onnipotente non avrebbe creato, dalla quale tuttavia avrebbe formato questo mondo, a cui concedono che sia magnificamente ordinato, finiscono con il negare l'onnipotenza di Dio al punto di escludere che abbia potuto creare il mondo se, per formarlo, si fosse servito di un'altra realtà che esisteva già e che egli non aveva creato.
In ciò naturalmente si adeguano all'abitudine carnale di vedere i manovali, i muratori e gli operai di ogni genere, i quali non possono rendere operativa la loro arte senza l'aiuto di materiali già pronti.
Così pensano che il creatore del mondo non sia onnipotente, dal momento che non avrebbe potuto creare il mondo, se non fosse ricorso, come materia, ad una realtà da lui non creata.
D'altro canto però, se concedono che Dio onnipotente è l'artefice del mondo, devono necessariamente ammettere che ha fatto dal nulla ciò che ha creato.
Infatti, dato che è onnipotente, non ci può essere nulla di cui non sia stato creatore.
Poiché, anche se ha fatto qualcosa da qualcos'altro, come è il caso dell'uomo dal fango, non lo ha assolutamente fatto da ciò che egli stesso non aveva creato, perché la terra da cui proviene il fango l'aveva creata dal nulla.
E se avesse fatto il cielo stesso e la terra, vale a dire l'universo con ciò che ne fa parte, ricavandolo da qualche materia, come sta scritto: Tu che hai fatto il mondo da una materia invisibile ( Sap 11,18 ) oppure " informe ", come riportano alcuni manoscritti, in nessun modo si deve credere che quella stessa materia, da cui è stato tratto il mondo, anche se informe, anche se invisibile e di quale che fosse la sua natura, abbia potuto essere per se stessa, come se fosse coeterna e coesistente con Dio.
Al contrario, la sua natura, quale che fosse la condizione in cui si trovava per poter essere in qualunque modo e poter assumere forme di cose ben distinte, l'aveva solo in quanto ricevuta da Dio onnipotente, grazie al quale esiste non solo ogni cosa che è formata, ma anche ogni cosa che può divenire tale.
Tra ciò che è formato e ciò che può divenire tale c'è questa differenza, che quello formato ha già ricevuto una forma e quello che può divenire tale invece può riceverla.
Ma colui che garantisce alle cose la loro forma è lo stesso che garantisce loro la possibilità di essere formate, poiché da lui procede e in lui risiede la forma bellissima ed immutabile di tutti gli esseri.
Per questo, appunto, egli è l'unico che consente a qualsiasi cosa non soltanto di essere bella, ma anche di poter essere tale.
Di conseguenza, a pieno diritto noi crediamo che Dio ha creato tutte le cose dal nulla, poiché, anche se il mondo è stato tratto da qualche materia, questa stessa materia è stata creata dal nulla, in modo che, per un dono perfettamente ordinato di Dio, dapprima essa divenisse capace di ricevere le forme e poi fossero formate tutte le cose che furono formate.
Abbiamo detto ciò perché nessuno pensi che le sentenze delle divine Scritture siano tra loro in contraddizione, poiché vi è scritto sia che Dio ha creato tutte le cose dal nulla sia che il mondo è stato tratto da una materia informe.
Dunque, in quanto crediamo in Dio Padre onnipotente, dobbiamo pensare che non esiste nessuna creatura che non sia stata creata dall'Onnipotente.
Ora, Dio ha creato tutte le cose per mezzo del Verbo, e il Verbo è chiamato anche Verità, ( Gv 14,6 ) Potenza e Sapienza di Dio. ( 1 Cor 1,24 )
È chiamato con molti altri nomi, che fanno pensare che il Signore Gesù Cristo, cioè il nostro liberatore e guida, che è proposto alla nostra fede, è il Figlio di Dio.
Infatti, quel Verbo per mezzo del quale tutte le cose sono state create, non l'avrebbe potuto generare se non colui che ha creato tutte le cose per mezzo suo.
3.3. Noi crediamo anche in Gesù Cristo, Figlio unigenito di Dio Padre, cioè Figlio unico, nostro Signore.
Non dobbiamo tuttavia intendere tale Verbo alla maniera delle nostre parole, le quali, una volta proferite dalla nostra bocca mediante la voce, passano attraverso l'aria percuotendola e non permangono più a lungo del tempo in cui risuonano.
Quel Verbo invece rimane sempre, senza mutare: di lui infatti, allorché si parlava della Sapienza, fu detto: Pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova. ( Sap 7,27 )
D'altra parte però è detto Verbo del Padre perché il Padre si manifesta mediante lui.
Come dunque noi, con le nostre parole, facciamo in modo che, quando diciamo qualcosa di vero, il nostro animo si manifesti a chi ci ascolta e qualunque segreto nascondiamo nel nostro cuore, mediante tali segni, sia portato alla conoscenza altrui, così quella Sapienza che Dio Padre ha generato, poiché per mezzo suo vengono rivelati alle anime che ne sono degne i segreti più intimi del Padre, in modo del tutto appropriato è chiamata il suo Verbo.
C'è comunque una grandissima differenza tra il nostro animo e le parole mediante le quali cerchiamo di mostrare l'animo stesso.
Invero noi non generiamo le parole che risuonano, ma le proferiamo e nel far ciò il corpo funge da strumento.
Ora, c'è una grandissima differenza tra l'anima e il corpo: Dio invece, nel generare il Verbo, generò quello che è egli stesso, e non già dal nulla o da qualche materia già creata e costituita, ma generò da se stesso quello che è egli stesso.
E questo è quanto anche noi cerchiamo di fare quando parliamo, se consideriamo attentamente l'inclinazione della nostra volontà; però non quando mentiamo, ma quando diciamo il vero.
A che altro, infatti, aspiriamo se non a trasferire la nostra stessa anima, se fosse possibile, nell'anima di chi ci ascolta perché la conosca e la osservi bene, cioè a far sì che, pur rimanendo in noi stessi e senza distaccarci da noi stessi, tuttavia forniamo un indizio tale per cui l'altro faccia la nostra conoscenza e, per quanto ci è consentito, dalla nostra anima sia prodotta, per così dire, un'altra anima con la quale si riveli?
Facciamo ciò adoperandoci con le parole, con il suono stesso della voce, con l'espressione del volto e con i gesti del corpo; sono tanti, infatti, gli espedienti ai quali ricorriamo quando desideriamo mostrare ciò che è dentro di noi.
Ma poiché non siamo in grado di produrre un tale effetto, e quindi l'animo di chi parla non riesce a farsi conoscere completamente, per questo in noi resta aperta la porta perfino alle menzogne.
Dio Padre invece, che voleva e poteva mostrarsi in tutta la sua verità alle anime destinate a conoscerlo, per mostrare se stesso generò un essere che fosse identico a se stesso: e questo essere viene anche chiamato la sua Potenza e Sapienza, perché è per mezzo di Lui che ha fatto e disposto tutte le cose.
È per questo che di Lui si dice: Si estende da un confine all'altro con forza, e governa con soavità tutte le cose. ( Sap 8,1 )
Il Figlio di Dio non è fatto dal Padre e neppure è diseguale da lui.
E quindi il Figlio unigenito di Dio non è stato fatto dal Padre, perché, come dice l'Evangelista: Tutto è stato fatto per mezzo di lui; ( Gv 1,3 ) neppure è stato generato nel tempo perché, essendo eternamente sapiente, Dio ha con sé eternamente la sua sapienza; e neppure è diseguale dal Padre, cioè inferiore a Lui in qualche cosa, poiché anche l'Apostolo afferma: Pur essendo di natura divina, non pensò che fosse un'usurpazione l'essere uguale a Dio. ( Fil 2,6 )
Da questa fede cattolica pertanto sono esclusi anche coloro che dicono che il Figlio è il medesimo del Padre.
Essi non tengono presente il fatto che il Verbo non potrebbe essere presso Dio ( Gv 1,1-2 ) se non fosse presso Dio Padre: chi è solo, infatti, non è uguale a nessuno.
Sono esclusi anche coloro che dicono che il Figlio è una creatura, sebbene non come le altre.
Per quanto eminente concepiscano questa creatura, se è una creatura, è stata prodotta e fatta.
Produrre, infatti, è la medesima cosa che creare; sebbene nell'uso della lingua latina si adoperi talora creare per generare, invece non è così in quella greca, in cui essi sono distinti.
Noi latini, infatti, chiamiamo creatura quella che i greci chiamano κύσμα ( essere creato ) o κύσιν ( creazione ) e, quando vogliamo esprimerci in modo chiaro, non diciamo " creare " ma " produrre ".
Se dunque il Figlio è una creatura, per quanto eminente sia, è stato fatto.
Noi, invece, crediamo in colui per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte e non in colui per mezzo del quale sono state fatte le altre cose: in questo caso, infatti, non possiamo prendere " tutte le cose " in un senso diverso da quello di " qualunque cosa che è stata fatta ".
Ma poiché il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, ( Gv 1,14 ) la stessa Sapienza, che è stata generata da Dio, si è degnata anche di farsi uomo tra gli uomini.
A questo evento si riferisce quella famosa sentenza: Il Signore mi ha creato all'inizio delle sue vie. ( Pr 8,22 )
L'inizio delle sue vie, infatti, è il capo stesso della Chiesa, cioè Cristo, che si è rivestito di umanità perché, attraverso Lui, ci fosse dato un modello per la nostra vita: questo modello è la via sicura per giungere a Dio.
Noi, infatti, non potevamo farvi ritorno che attraverso l'umiltà, dal momento che eravamo caduti a causa della superbia, come era stato detto ai nostri progenitori.
Mangiate [ il frutto ] e sarete come dèi. ( Gen 3,5 )
Di questa umiltà, cioè della via attraverso la quale avremmo dovuto ritornare, il nostro stesso Redentore si degnò di mostrarci l'esempio in se stesso, lui che non pensò che fosse un'usurpazione l'essere uguale a Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo, ( Fil 2,6-7 ) al punto che fu fatto uomo all'inizio delle sue vie, Lui, il Verbo, per mezzo del quale tutte le cose furono fatte.
Per la qual cosa, in quanto è unigenito, non ha fratelli; invece, in quanto è primogenito, si è degnato di chiamare fratelli tutti coloro che, in seguito e in virtù della sua primogenitura, rinascono nella grazia di Dio che li adotta come figli, ( Lc 8,21 ) come dà in custodia l'insegnamento apostolico. ( Eb 2,11 )
Così il Figlio è, per sua natura, l'unico nato dalla stessa sostanza del Padre, che è quello che è il Padre: Dio da Dio, Luce da Luce.
Noi invece non siamo luce per natura, ma siamo illuminati da questa luce perché possiamo risplendere di sapienza.
Egli era, dice l'Apostolo, la vera luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. ( Gv 1,9 )
Alla fede nelle realtà eterne, perciò, noi aggiungiamo anche la vita e l'azione temporale che nostro Signore si è degnato di sostenere per noi e di portare a compimento per la nostra salvezza.
Infatti, per quello che è, in quanto è unico Figlio di Dio, di Lui non si può dire: Egli fu, oppure: Egli sarà, ma soltanto: Egli è; poiché ciò che è stato ormai non è più e ciò che sarà ancora non è.
Egli pertanto è immutabile, senza origine o variazione nel tempo.
Del resto, penso che non abbia altra provenienza il fatto che suggerì tale nome a Mosè suo servitore.
Infatti, quando gli chiedeva da chi dovesse dire che era mandato, qualora il popolo al quale era inviato lo accogliesse con disprezzo, ricevette questa risposta da colui che gli stava parlando: Io sono colui che sono; quindi aggiunse: Questo dirai ai figli di Israele: Colui che è mi ha inviato a voi. ( Es 3, 14 )
Da ciò, confido, ormai apparirà ben chiaro alle anime spirituali che nessuna natura può essere contraria a Dio.
Se infatti egli è, e questa parola si può dire in modo appropriato soltanto di Dio, egli non ha nulla che gli sia contrario.
Infatti ciò che veramente è, resta tale in modo immutabile, poiché ciò che è suscettibile di mutamento è stato qualcosa che non è più e in seguito sarà ciò che ancora non è.
Se, appunto, ci venisse chiesto che cosa sia contrario al bianco, risponderemmo: il nero; se ci venisse chiesto che cosa sia contrario al caldo, risponderemmo: il freddo; se ci venisse chiesto che cosa sia contrario a ciò che è veloce, risponderemmo: ciò che è lento, e così per qualunque cosa.
Ma, se ci viene chiesto che cosa sia contrario a colui che è, la risposta corretta è: ciò che non è.
Ma, come ho già detto, in virtù della bontà di Dio, la nostra natura, soggetta a mutamenti, fu assunta dalla Sapienza immutabile di Dio, mediante una missione temporale, per la nostra salvezza e redenzione.
Per questo noi aggiungiamo la fede negli atti salvifici compiuti per noi durante la vita terrena, credendo nel Figlio di Dio che è nato dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo.
Per il dono di Dio, cioè per lo Spirito Santo, infatti ci è stata elargita un'umiltà così grande da parte di un Dio così grande, al punto che si è degnato di assumere tutta intera la natura umana nel seno della Vergine: egli dimorò nel corpo materno conservandolo intatto; ne uscì lasciandolo incontaminato.
A questa sua missione temporale gli eretici tendono insidie in molti modi.
Ma colui che si rimetterà alla fede cattolica in modo da credere che la natura umana tutta intera - vale a dire corpo, anima e spirito - è stata assunta dal Verbo di Dio, sarà abbastanza premunito contro di loro.
Dal momento infatti che questa assunzione fu compiuta per la nostra salvezza, bisogna guardarsi dal pensare, qualora si credesse che qualche aspetto della nostra natura non sia incluso in questa assunzione, che non rientri nella nostra salvezza.
Ora l'uomo, all'infuori della disposizione delle membra, che è assegnata in modo diverso alle diverse specie di esseri viventi, non differisce dall'animale se non perché possiede un'anima razionale, che è chiamata anche mente.
Come, dunque, potrebbe essere sana una fede per la quale si crede che la sapienza di Dio ha assunto quello di nostro che abbiamo in comune con l'animale, mentre non ha assunto quello che in noi è illuminato dalla luce della sapienza, e che è proprio dell'uomo?
Cristo nacque dalla Vergine Maria.
Sono ugualmente da detestare coloro che negano che nostro Signore Gesù Cristo abbia avuto Maria per madre in terra.
La sua missione ha reso onore ad entrambi i sessi, quello maschile e quello femminile, e ha mostrato come appartenesse a Dio prendersi cura non soltanto del sesso che ha assunto, ma anche di quello per mezzo del quale lo ha assunto, prendendo la natura dell'uomo e nascendo da una donna.
Né ci deve indurre ad escludere l'apporto della madre di Cristo quello che da lui fu detto: Che ho da fare con te, o donna?
Non è ancora giunta la mia ora! ( Gv 2,4 )
Voleva farci comprendere che, in quanto Dio non aveva madre, si preparava a mostrare la persona della maestà divina col mutare l'acqua in vino.
Invece, per quello che riguarda la sua crocifissione, egli fu crocifisso in quanto uomo.
E era quella l'ora che non era ancora giunta, quando fu detto: Che ho da fare con te, o donna?
Non è ancora giunta la mia ora, quella cioè nella quale ti riconoscerò.
Fu allora infatti che, come uomo crocifisso, riconobbe sua madre nella sua natura di uomo e la affidò in modo del tutto umano al suo dilettissimo discepolo. ( Gv 19, 26-27 )
E non spinga a pensare diversamente il fatto che, quando gli fu annunziata la venuta della madre e dei suoi fratelli, egli rispose: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? ( Mt 12,48 )
Ma piuttosto ci insegni quale è il nostro ministero, con il quale offriamo la parola di Dio ai nostri fratelli, e che non dobbiamo riconoscere i parenti, se la loro presenza ci è di impedimento.
Se qualcuno, infatti, ritenesse che non abbia avuto una madre su questa terra per il fatto che disse: Chi è mia madre?, dovrebbe essere costretto anche ad escludere che gli Apostoli abbiano avuto dei padri in questa terra, poiché li ammaestrò dicendo: Non chiamate nessuno 'padre' sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è in cielo. ( Mt 23, 9 )
4.10 E non indebolisca in noi questa fede il pensiero che sia nato da viscere femminili, di modo che sembri che una siffatta generazione, poiché è ritenuta spregevole da uomini spregevoli, si dovesse evitare a nostro Signore.
Non per nulla, infatti, l'Apostolo dice in modo molto giusto: Ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini ( 1 Cor 1,25 ) e tutto è puro per i puri. ( Tt 1,15 )
Coloro che la pensano così dovrebbero dunque osservare i raggi di questo sole, che di certo non considerano come una creatura di Dio ma che adorano come Dio stesso: vedrebbero che essi si diffondono dappertutto sopra i fetori delle cloache e su qualunque oggetto ripugnante, operando secondo la propria natura e senza restarne affatto contaminati, malgrado che la loro luce visibile sia per sua natura in più stretta relazione con le lordure visibili.
A maggior ragione, dunque, il Verbo di Dio, che non è né corporeo né visibile, non poteva essere contaminato col nascere da un corpo femminile, nel quale, insieme all'anima e allo spirito, aveva assunto la carne umana, congiunzione che comunque non vieta alla maestà del Verbo di abitare ben in disparte rispetto alla fragilità del corpo umano!
Da ciò deriva con evidenza che in nessun modo il Verbo di Dio avrebbe potuto essere macchiato dal corpo umano dal quale non è macchiata la stessa anima dell'uomo.
L'anima, infatti, è macchiata dal corpo non quando lo guida e lo vivifica, ma quando si abbandona al desiderio dei suoi beni mortali.
Se, dunque, essi volessero evitare all'anima le macchie, dovrebbero temere piuttosto queste sacrileghe menzogne.
Ma sarebbe stata ben poca l'umiltà di nostro Signore se si fosse risolta nel nascere per noi: vi aggiunse anche che si degnò di morire per noi mortali.
Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce, ( Fil 2,8 ) affinché nessuno di noi, pur potendo non temere la morte, non avesse orrore di un genere di morte ritenuto dagli uomini sommamente disonorevole.
Noi perciò crediamo in colui che fu crocifisso e sepolto sotto Ponzio Pilato: il nome del giudice andava aggiunto per l'individuazione delle date.
In verità, quando si pensa a quella sepoltura, si evoca anche quel monumento sepolcrale del tutto nuovo, che doveva fornire la testimonianza della sua resurrezione ad una vita nuova, come il seno verginale lo aveva fatto per la sua nascita.
Infatti, come in quel monumento sepolcrale non era stato sepolto nessun altro morto ( Gv 19,4 ) né prima né dopo di lui, così in quel seno nessuna creatura mortale era stata concepita né prima né dopo di lui.
Crediamo anche che il terzo giorno egli resuscitò dai morti, primogenito dei fratelli che lo seguiranno e che egli adottò come figli di Dio, ( Ef 1,5 ) e si degnò di renderli suoi compartecipi e suoi coeredi.
Crediamo che è salito al cielo, in quel luogo di beatitudine che promise anche a noi quando disse: Essi saranno come gli angeli nel cielo, ( Mt 22,30 ) in quella città che è madre di tutti noi, la Gerusalemme eterna del cielo. ( Gal 4,26 )
D'altra parte, capita spesso che alcuni, o empi pagani o eretici, si urtino perché crediamo che un corpo terreno sia stato assunto in cielo.
I gentili, per lo più, cercano di opporsi a noi con gli argomenti dei filosofi, sostenendo che è impossibile per un oggetto che appartiene alla terra essere in cielo.
Ma questo avviene perché non conoscono le nostre Scritture e non sanno che fu detto: Si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale. ( 1 Cor 15,44 )
Infatti, non è stato detto così come se il corpo si tramuti in spirito e diventi esso stesso spirito; poiché anche il nostro corpo attuale, per il fatto che è detto " animale ", non è stato tramutato in anima e non è diventato anima.
Ma con corpo spirituale si deve intendere un corpo che è così sottomesso allo spirito da essere adatto per la dimora celeste non appena ogni fragilità e bruttura terrena si saranno trasformate e mutate in purezza e stabilità celeste.
Questa è la trasformazione della quale parla anche l'Apostolo: Risuscitiamo tutti, ma non tutti saremo trasformati. ( 1 Cor 15,51 )
E questa trasformazione avverrà non in peggio ma in meglio, come insegna ancora l'Apostolo quando dice: E noi saremo trasformati. ( 1 Cor 15,52 )
Cercare però dove e come si trovi in cielo il corpo del Signore è una curiosità del tutto vana: si deve soltanto credere che è in cielo.
Non si addice alla nostra fragilità dissolvere i segreti del cielo; invece si addice alla nostra fede coltivare sentimenti alti e nobili intorno alla dignità del corpo del Signore.
Noi crediamo anche che siede alla destra del Padre.
Non per questo, tuttavia, bisogna immaginare Dio Padre delimitato quasi in forma umana, di modo che a coloro che riflettessero su di lui venga in mente un lato destro o un lato sinistro; e neppure bisogna ritenere, per il fatto che si dice che il Padre siede, che lo faccia ripiegando i ginocchi, per non incappare in quell'atto sacrilego, condannato dall'Apostolo in coloro che hanno cambiato la gloria del Dio incorruttibile con l'immagine dell'uomo soggetto a corruzione. ( Rm 1,23 )
È cosa empia, infatti, introdurre simili rappresentazioni di Dio in un tempio cristiano; perciò lo è molto di più introdurle nel cuore, in cui risiede il vero tempio di Dio, se è purificato dalle cupidigie terrene e dall'errore.
Quando, dunque, si dice " alla destra " di Dio si deve intendere nella suprema beatitudine, dove regnano la giustizia, la pace e la gioia; così come quando si dice che " i capri sono posti alla sua sinistra ", ( Mt 25,33 ) si deve intendere nell'infelicità a causa delle iniquità, che hanno procurato loro sofferenze e tormenti.
Di conseguenza, quando si dice che Dio siede, non si allude ad una posizione delle membra, ma al suo potere di giudice supremo, di cui non è mai priva la sua maestà nell'attribuire sempre la giusta ricompensa secondo i meriti, anche se nel giudizio finale sarà il Figlio unigenito di Dio nel suo irresistibile splendore che apparirà molto più manifestamente davanti agli uomini, in qualità di giudice dei vivi e dei morti.
Infine crediamo che ritornerà a tempo opportuno per giudicare i vivi e i morti.
Con questi termini si possono intendere i giusti e i peccatori; ma sono anche chiamati vivi coloro che troverà in terra ancora in vita e morti invece coloro che risusciteranno al momento della sua venuta.
Questa disposizione dei tempi non vale soltanto per il presente, come avviene per la sua generazione in quanto Dio, ma anche per il passato e per il futuro.
Infatti nostro Signore fu in terra, ora è in cielo e apparirà nel suo splendore come giudice dei vivi e dei morti.
Ritornerà, infatti, così come ascese al cielo, secondo la testimonianza autorevole degli Atti degli Apostoli. ( At 1,11 )
Di questa disposizione si parla nell'Apocalisse, dove sta scritto: Queste cose le dice colui che è, che fu e che verrà. ( Ap 1,8 )
Esposte e affidate alla nostra fede, sia la generazione divina di nostro Signore che la sua missione umana, si aggiungono alla nostra professione, per rendere perfetta la nostra fede intorno a Dio, lo Spirito Santo, che non è di natura inferiore al Padre e al Figlio, ma, per così dire, consustanziale e coeterna, poiché questa Trinità non è che un solo Dio.
E questo non va inteso nel senso che il Padre è il medesimo del Figlio e dello Spirito Santo, ma nel senso che il Padre è il Padre, il Figlio è il Figlio e lo Spirito Santo è lo Spirito Santo e questa Trinità è un solo Dio, come sta scritto: Ascolta, Israele: il Signore è il tuo Dio, il Signore è uno solo. ( Dt 6,4 )
Tuttavia, se fossimo interrogati su ciascuno di essi e ci fosse domandato: " Il Padre è Dio? ", risponderemmo: " Sì, il Padre è Dio ".
Se ci venisse chiesto se il Figlio è Dio, risponderemmo di sì.
E qualora la stessa domanda ci venisse rivolta sullo Spirito Santo, dovremmo rispondere che non è altro che Dio.
Dobbiamo comunque guardarci bene dal prendere tutto ciò nel senso in cui fu detto degli uomini: Voi siete dèi. ( Sal 82,6 )
Non sono infatti dèi per loro natura coloro che sono stati fatti e creati dal Padre per mezzo del Figlio con il dono dello Spirito Santo.
È proprio la Trinità che viene designata dall'Apostolo quando dice: Poiché da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose. ( Rm 11,36 )
Pertanto, se saremo interrogati su ciascuno di essi, risponderemo che è Dio colui su cui la domanda verte, che si tratti del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo.
Nessuno tuttavia dovrà pensare che noi adoriamo tre dèi.
Non c'è da meravigliarsi che si dicano tali cose sulla natura ineffabile, dal momento che anche per le cose che osserviamo con gli occhi del corpo e che discerniamo mediante i sensi del corpo accade qualcosa di simile.
Infatti, qualora fossimo interrogati sulla sorgente, non potremmo rispondere che è essa stessa il fiume; come pure, qualora fossimo interrogati sul fiume, non potremmo chiamarlo sorgente.
Inoltre: l'acqua da bere, attinta dalla sorgente o dal fiume, non potremmo chiamarla né sorgente né fiume; tuttavia l'acqua costituisce il nome comune di questa trinità e, se siamo interrogati sui singoli, per ciascuno rispondiamo che è acqua.
Infatti, se chiedo se nella sorgente ci sia l'acqua, mi si risponderà che c'è l'acqua.
E ancora: se chiediamo se nel fiume ci sia l'acqua, ci si risponderà che non vi è altro che l'acqua.
Come pure non potrà essere diversa la risposta relativamente all'acqua da bere.
Pur tuttavia non parliamo di tre acque, ma di una soltanto.
Senza dubbio, occorre guardarsi bene dal pensare l'ineffabile sostanza della maestà divina alla stessa maniera di questa sorgente visibile e corporea del fiume e dell'acqua da esso attinta.
In questi casi infatti quell'acqua, che ad un dato momento è nella sorgente, si riversa nel fiume senza restare in se stessa e quando poi, attinta dal fiume o dalla sorgente, diviene bevanda, non rimane più nella sede da cui viene attinta.
Così può accadere che la stessa acqua serva a designare ora la sorgente, ora il fiume, ora l'acqua da bere; nella Trinità invece abbiamo detto che non può accadere che il Padre sia talora il Figlio e talora lo Spirito Santo.
È come nell'albero dove la radice non è altro che la radice, il tronco non altro che il tronco e i rami non possiamo chiamarli che rami; infatti, ciò che chiamiamo radice non può essere chiamato tronco o rami, e neppure il legno che appartiene alla radice può trovarsi, con qualche passaggio, ora nella radice, ora nel tronco, ora nei rami, ma soltanto nella radice.
Pertanto, rimane valida la regola del denominare, per la quale legno è la radice, legno è il tronco e legno sono i rami, senza che tuttavia si parli di tre legni ma di uno soltanto.
È un caso simile a quello in cui, se tra questi tre elementi si riscontra una qualche difformità, si può parlare senza alcuna assurdità di tre legni, in considerazione della loro diversa solidità.
Di certo, invece, tutti concludono che, se si riempiono tre tazze con acqua attinta da una sola sorgente, si può parlare di tre tazze, ma non di tre acque.
L'acqua, infatti, è una soltanto, malgrado che, qualora tu sia interrogato sul contenuto delle singole tazze, risponderesti che in ciascuna di esse c'è l'acqua, senza che, in questo caso, sia avvenuto alcun passaggio dall'una all'altra, come quello dalla sorgente al fiume, di cui abbiamo parlato in precedenza.
Sono stati proposti questi esempi del mondo fisico non per una loro conformità alla natura divina, ma per mostrare che l'unità esiste anche nelle realtà visibili, di modo che si comprenda che può accadere che tre oggetti, non soltanto considerati singolarmente ma anche insieme, siano chiamati con un solo ed unico nome.
Nessuno quindi si meravigli e reputi cosa assurda che noi diciamo Dio il Padre, Dio il Figlio, Dio lo Spirito Santo, senza intendere tuttavia che in questa Trinità vi siano tre dei, ma un solo Dio ed un'unica sostanza.
Del Padre e del Figlio si sono occupati uomini dotti e spirituali in molti libri.
In tali libri, per quanto è consentito di farlo da parte di uomini ad altri uomini, si sono sforzati di mostrare in che modo il Padre e il Figlio non sono un solo individuo ma una sola realtà, che cosa è propriamente il Padre e che cosa è il Figlio: l'uno è colui che genera, l'altro colui che è generato; l'uno non proviene dal Figlio, l'altro proviene dal Padre; l'uno è il principio dell'altro per cui è detto anche capo del Cristo, ( 1 Cor 11,3 ) sebbene anche Cristo sia principio ( Gv 8, 25 ) ma non del Padre, e l'altro è la sua vera immagine, ( Col 1,15 ) benché in nulla dissimile e assolutamente eguale, cioè senza alcuna differenza.
Questa dottrina è trattata da costoro più ampiamente di quanto non facciamo noi, in quanto si ripromettono di illustrare la professione della fede cristiana nella sua interezza.
Pertanto, poiché è il Figlio, dal Padre ha ricevuto di essere tale, mentre il Padre non ha ricevuto da Lui di esser tale.
In quanto poi ha assunto la natura umana suscettibile di mutare, vale a dire la condizione di creatura capace di cambiare in meglio, lo ha fatto nel corso della sua missione temporale, per un'ineffabile misericordia.
Su di Lui nelle Sacre Scritture si trovano molti testi formulati in modo che hanno indotto in errore le empie menti degli eretici, bramosi di insegnare prima ancora di conoscere, al punto da ritenere che egli non è uguale al Padre e neppure della stessa sostanza.
Tali passi, per esempio, sono:
Perché il Padre è più grande di me, ( Gv 14,28 )
e: Capo della donna è l'uomo, capo dell'uomo è Cristo, capo di Cristo è Dio; ( 1 Cor 11,3 )
oppure: Allora anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa; ( 1 Cor 15,28 )
come pure: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro, ( Gv 20,17 ) e alcuni altri dello stesso genere.
Ma tutti questi testi non sono stati scritti per significare un'ineguaglianza di natura e di sostanza, altrimenti sarebbero falsi questi altri:
Io e il Padre siamo una cosa sola, ( Gv 10,30 )
Chi ha visto me, ha visto anche mio Padre, ( Gv 14,9 )
inoltre: Il Verbo era Dio: ( Gv 1,1 )
non fu creato, infatti, colui per mezzo del quale furono create tutte le cose; ( Gv 1,3 )
e ancora: Non pensò che fosse un'usurpazione l'essere uguale a Dio, ( Fil 2,6 ) e altri simili.
Questi testi sono stati scritti, in parte, per indicare la sua condizione dopo l'assunzione della natura umana; per questo è detto: Spogliò se stesso, ( Fil 2,7 ) tuttavia non già perché la divina Sapienza sia mutata, dal momento che è assolutamente immutabile, ma perché volle manifestarsi agli uomini in tanta umiltà.
Questi testi dunque, sulla base dei quali gli eretici tessono calunnie, sono stati scritti, in parte, per mostrare la sua condizione, in parte, per indicare che, siccome il Figlio deve al Padre ciò che è, deve senz'altro a Lui anche che è uguale o pari al Padre, mentre il Padre non deve a nessuno quello che è.
Intorno allo Spirito Santo invece ancora non si è ricercato da parte dei dotti e dei grandi commentatori delle divine Scritture con tanta ampiezza e profondità, che si possa facilmente comprendere ciò che è suo proprio, e in virtù di cui avviene che non possiamo chiamarlo né Figlio né Padre, ma soltanto Spirito Santo.
Di lui non affermano altro che è il dono di Dio, ma in modo che crediamo che Dio non può fare un dono inferiore a se stesso.
Pur tuttavia sono attenti a dichiarare che lo Spirito Santo non è generato dal Padre, come invece avviene del Figlio - Cristo infatti è unico -; né dal Figlio, come fosse il nipote del sommo Padre.
Non per questo si può dire che ciò che è non lo debba a nessuno, ma lo deve al Padre dal quale tutto proviene.
Occorre dire tutto ciò per non ammettere due principi senza principio, cosa che è assolutamente falsa e del tutto assurda, e che non va imputata alla fede cattolica ma all'errore proprio di alcuni eretici.
Alcuni di quei dotti, tuttavia, hanno spinto la loro indagine fino a credere che lo Spirito Santo sia lo stesso elemento comune che intercorre tra il Padre e il Figlio, ossia, per così dire, la divinità che i greci chiamano θεότπυα.
E così, poiché il Padre è Dio e il Figlio è Dio, la divinità stessa in virtù della quale essi sono tra loro uniti - il Padre in quanto genera il Figlio e il Figlio in quanto resta congiunto al Padre - lo renderebbe uguale a colui dal quale egli è generato.
Questa divinità dunque, che essi vogliono che sia intesa anche come l'amore e la carità che hanno l'uno per l'altro, dicono che viene chiamata Spirito Santo.
A sostegno della loro opinione portano molte testimonianze delle Scritture sia quella per cui fu detto: Perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato, ( Rm 5,5 ) sia molte altre dello stesso genere.
E, per il fatto stesso che siamo riconciliati con Dio per mezzo dello Spirito Santo, per cui questo è chiamato anche dono di Dio, essi esigono come definizione adeguata che la carità di Dio è lo Spirito Santo.
In effetti, noi non siamo riconciliati con lui se non per mezzo dell'amore, grazie al quale siamo chiamati anche figli di Dio: ( 1 Gv 3,1 ) non siamo più sotto il timore come degli schiavi, perché l'amore perfetto scaccia via il timore; ( 1 Gv 4,18 ) e abbiamo ricevuto lo Spirito della libertà, nel quale gridiamo: Abbà, Padre. ( Rm 8,15 )
E, una volta riconciliati e riammessi nell'amicizia di Dio mediante la carità, ( Rm 5,8-10 ) potremo conoscere tutti i segreti di Dio.
Appunto perciò dello Spirito Santo è detto: Egli vi guiderà alla verità tutta intera. ( Gv 16,13 )
Per lo stesso motivo la fermezza nel predicare la verità, della quale furono riempiti gli Apostoli nella discesa dello Spirito Santo, ( At 2,4 ) è giustamente attribuita alla carità; la sfiducia infatti proviene dal timore, che invece è escluso dalla perfetta carità.
Lo Spirito Santo, dunque, è pure detto dono di Dio, ( Ef 3,7 ) perché nessuno può godere di quello che conosce se anche non lo ama.
Ora, godere della sapienza di Dio non è niente altro che essere unito a Lui attraverso l'amore.
Pertanto, lo Spirito è detto Santo perché tutto ciò che viene sancito lo è in modo irrevocabile, e non vi è dubbio che il termine " santità " deriva da sancire.
Ma i sostenitori di questa concezione si servono soprattutto di quel passo in cui è scritto: Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito, ( Gv 3,6 ) perché Dio è Spirito. ( Gv 4,24 )
In questo passo, infatti, è affermata la nostra rigenerazione, la quale non proviene dalla carne secondo Adamo, ma dallo Spirito Santo secondo Cristo.
Per questo motivo, dal momento che nel passo citato viene fatta esplicita menzione dello Spirito Santo in quanto è detto: poiché Dio è Spirito, quei dotti fanno osservare che non è detto poiché lo Spirito è Dio, ma poiché Dio è Spirito, di modo che, a loro avviso, in questo testo la stessa divinità del Padre e del Figlio, vale a dire lo Spirito Santo, è chiamata Dio.
A questa si aggiunge un'altra testimonianza, offerta dall'apostolo Giovanni: poiché Dio è amore. ( 1 Gv 4,16 )
Anche in questo caso, infatti, non è detto: l'amore è Dio, ma Dio è l'amore, perché si comprenda che la stessa divinità è amore.
È indubbio che, in quella enumerazione di argomenti tra loro connessi, dove si dice: Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio, ( 1 Cor 3,22-23 ) e ancora: Capo della donna è l'uomo, capo dell'uomo è Cristo, capo di Cristo è Dio, ( 1 Cor 11,3 ) non si fa alcuna menzione dello Spirito Santo.
Ma ciò dipende, dicono quei dotti, dal fatto che, per così dire, in quegli argomenti, che pure sono tra loro connessi, non si è soliti enumerare l'elemento stesso che fa la connessione.
Per questo, appunto, sembra che i lettori più attenti riconoscano un'indicazione della Trinità stessa anche in quel passo in cui è detto: Poiché da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose: ( Rm 11,36 ) da lui, come da colui che a nessuno deve quello che è; grazie a lui, come per indicare un mediatore; per lui, come per richiamare colui che li contiene, ovvero che li congiunge unendoli insieme.
A questa concezione si oppongono coloro i quali ritengono che questa comunione, che chiamiamo sia divinità sia amore sia carità, non è di tipo sostanziale.
Richiedono pertanto che lo Spirito Santo sia loro esposto secondo le modalità proprie della sostanza, e non comprendono che non si sarebbe potuto dire " Dio è amore " qualora l'amore non fosse una sostanza.
Di certo, costoro nel loro giudizio sono guidati da ciò che di solito avviene con le realtà fisiche: infatti, se due corpi sono uniti in modo da essere vicendevolmente l'uno accanto all'altro, il legame che li unisce non è di per sé un corpo, poiché, una volta separati i corpi che erano uniti, non resta nulla, né si capisce come i corpi in questione, per così dire, si sono separati e allontanati.
Ma costoro piuttosto dovrebbero purificare i loro cuori, per quanto è possibile; solo allora saranno in grado di vedere che nella sostanza divina non c'è nulla di simile, come se in essa una cosa sia la sostanza e un'altra ciò che si aggiunge alla sostanza senza essere tale, ma che è sostanza tutto ciò che in essa può essere compreso.
In verità, tutte queste cose sono facili a dirsi e a credersi, mentre non è affatto possibile vedere come effettivamente stiano, se non si ha il cuore puro.
Perciò, che sia questa la concezione vera oppure un'altra ancora, occorre mantenere una fede salda, in modo da poter dire che Dio è il Padre, Dio è il Figlio, Dio è lo Spirito Santo, che non sono tre dèi ma che questa Trinità è un solo Dio, che non sono diversi per natura ma di una medesima sostanza, né che il Padre talora è il Figlio e talora lo Spirito Santo ma che il Padre è sempre il Padre, il Figlio è sempre il Figlio e lo Spirito Santo sempre lo Spirito Santo.
Inoltre, sulle verità invisibili guardiamoci dal fare sconsideratamente affermazioni come persone che sanno; facciamole piuttosto come credenti.
Infatti, tali verità possono essere viste soltanto con il cuore purificato e colui che le vede in questa vita, come fu detto, in parte e in modo confuso, ( 1 Cor 13,12 ) non può far sì che le veda anche il suo interlocutore, se è impedito dalle impurità del cuore.
Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio. ( Mt 5,8 )
Quando è stato detto: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente, ( Lc 10,27 ) non ci è stato comandato di amare Dio soltanto ma anche il prossimo, perché è detto: Amerai il prossimo tuo come te stesso. ( Lc 10,27 )
Se, dunque, questa fede non comprende anche un'assemblea e una società degli uomini in cui la carità fraterna possa operare, essa darà meno frutti.
10.21 - La Chiesa cattolica
Noi crediamo pure nella Santa Chiesa, indubbiamente in quella cattolica.
Anche gli eretici e gli scismatici chiamano chiese le loro assemblee.
Ma gli eretici, poiché hanno idee errate intorno a Dio, tradiscono la fede stessa; gli scismatici a loro volta, con le loro ingiuste separazioni, rompono con la carità fraterna, benché credano le stesse verità che noi crediamo.
Perciò la Chiesa cattolica non comprende né gli eretici, perché ama Dio, né gli scismatici, perché ama il prossimo.
E perdona facilmente i peccati del prossimo, perché implora per se stessa il perdono da parte di colui che ci ha riconciliati con Lui, cancellando tutte le nostre colpe passate e chiamandoci ad una vita nuova.
Ora, però, fino a che non possederemo questa vita nel suo grado perfetto, non possiamo essere immuni dai peccati.
È importante, peraltro, sapere di quali peccati si tratti.
Non è comunque ora che si deve trattare della differenza fra i peccati; occorre piuttosto assolutamente credere che in nessun modo ci saranno perdonati i peccati, se saremo stati inflessibili nel non concedere il perdono agli altri. ( Mt 6,15 )
È per questo che crediamo anche nella remissione dei peccati.
Tre sono gli elementi di cui l'uomo è costituito: lo spirito, l'anima e il corpo.
Si dice anche che siano due, perché l'anima è spesso nominata insieme con lo spirito; infatti la sua parte razionale, di cui sono privi gli animali, si chiama spirito ed è per noi la cosa principale.
Il principio vitale che ci unisce al corpo, invece, si chiama anima.
Infine, il corpo di per sé è il nostro ultimo elemento, poiché è visibile.
Ora questo insieme di elementi creati geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; ( Rm 8,22 ) lo spirito, tuttavia, ha già dato i primi frutti mediante la fede in Dio e ha dimostrato di essere di buona volontà.
Lo spirito è chiamato anche mente, quando di lui l'Apostolo dice: Con la mente servo la legge di Dio; ( Rm 7,25 ) o, parimenti, in un altro passo: Dio stesso mi è testimone, al quale rendo culto nel mio spirito. ( Rm 1,9 )
L'anima invece, fino a che desidera i beni carnali, è chiamata carne: una parte di essa, infatti, fa resistenza allo spirito, non per sua natura ma per la consuetudine che ha con i peccati.
È per questo che è detto: Con la mente servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato. ( Rm 7,25 )
Questa consuetudine si è poi trasformata in una tendenza naturale in seguito alla generazione mortale che dobbiamo al peccato del primo uomo.
Per questo è scritto: Un tempo anche noi siamo stati per natura figli d'ira, ( Ef 2,3 ) vale a dire sotto la sanzione che ci ha fatto servire la legge del peccato.
L'anima, invece, conserva la perfezione della sua natura quando è sottomessa al suo spirito e lo segue come esso segue Dio.
Per questo è detto: L'uomo animale non comprende le cose dello Spirito di Dio. ( 1 Cor 2,14 )
Tuttavia l'anima, ai fini delle buone azioni, non si sottomette allo spirito con la stessa sollecitudine con cui lo spirito si sottomette a Dio ai fini della vera fede e della buona volontà; inoltre, talora assai lentamente è frenato l'impulso per cui si perde nei legami carnali e temporali.
Ma, dal momento che anch'essa si purifica, riacquistando la stabilità della propria natura sotto il dominio dello spirito, che è per essa il suo capo come lo è Cristo per lui, non si deve disperare che anche il corpo sia restituito alla propria natura; senza dubbio, però, non altrettanto sollecitamente dell'anima e neppure per quest'ultima altrettanto sollecitamente dello spirito, ma nel tempo opportuno, cioè al suono dell'ultima tromba, quando i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati. ( 1 Cor 15,52 )
Crediamo anche nella resurrezione della carne, non soltanto perché sarà rinnovata l'anima, la quale ora, per effetto degli appetiti carnali, è chiamata " carne ", ma anche perché questa carne visibile che è tale per natura e dalla quale l'anima prese il nome non per la sua natura ma per gli appetiti carnali, questa carne visibile dunque, che è propriamente detta carne, si deve credere senza dubbio che risorgerà.
Sembra infatti che l'apostolo Paolo la mostri quasi con il dito, quando dice: È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità.
Quando infatti dice " questo " è come se tendesse il dito verso di esso: in realtà, ciò che è visibile può essere mostrato mediante il dito.
L'anima, del resto, potrebbe anche essere detta corruttibile, poiché si corrompe per effetto dei suoi perversi costumi.
È necessario che questo corpo mortale si vesta di immortalità: ( 1 Cor 15,53 ) nel leggere queste parole ci si riferisce alla stessa carne visibile, perché è come se il dito dell'Apostolo fosse di continuo teso verso di essa.
L'anima infatti, come può essere detta corruttibile a causa dei suoi perversi costumi, per lo stesso motivo può essere detta mortale.
Di certo, la morte dell'anima consiste nell'allontanarsi da Dio ( Qo 10,12 ) e questo, secondo le Sacre Scritture, fu il suo primo peccato commesso in Paradiso.
Dunque, secondo la fede cristiana che non può trarre in inganno, il corpo risorgerà.
E se a qualcuno la cosa sembra incredibile, vuol dire che pone attenzione alla condizione attuale della carne e non considera invece quella futura; infatti, nel tempo della trasformazione angelica, essa non sarà più carne e sangue, ma soltanto corpo.
Nel parlare della carne, in effetti, l'Apostolo dice: Altra è la carne degli animali, altra quella degli uccelli, altra quella dei pesci, altra quella dei serpenti.
Vi sono corpi celesti e corpi terrestri. ( 1 Cor 15,39-40 )
In verità, non ha detto: " carne celeste ", ma: corpi celesti e corpi terrestri; ogni carne, infatti, è anche corpo, ma non ogni corpo è anche carne.
Lo si vede in primo luogo nelle realtà terrestri; il legno, infatti, è un corpo, ma non è carne; invece il corpo dell'uomo o dell'animale è sia corpo che carne.
Nelle realtà celesti, invero, non c'è affatto carne, ma corpi semplici e lucidi, che l'Apostolo chiama spirituali e che altri invece chiamano eterei.
Non per questo è in contraddizione con la resurrezione della carne ciò che dice quando afferma: La carne e il sangue non possederanno il regno di Dio; ( 1 Cor 15,50 ) ma preannuncia quale sarà in futuro ciò che ora è carne e sangue.
Chiunque non crede che questa carne possa trasformarsi nella natura descritta, dovrà esser condotto alla fede per gradi.
Se, infatti, gli chiedi se la terra può trasformarsi in acqua, data la vicinanza che c'è tra i due elementi, la cosa non gli sembrerà incredibile; ancora, se gli chiedi se l'acqua può trasformarsi in aria, risponderà che neppure questo è assurdo, poiché si tratta di elementi vicini.
E se gli si chiede se l'aria può trasformarsi in un corpo etereo, cioè celeste, sarà la vicinanza stessa tra gli elementi che lo indurrà ad assentire.
Se, dunque, per gradi concede che possa avvenire che la terra si trasformi in un corpo etereo, perché non dovrebbe credere che, con la partecipazione della volontà di Dio per la quale un corpo umano poté camminare sulle acque, questa trasformazione può aver luogo molto rapidamente, in un batter d'occhio, come è scritto, ( 1 Cor 15,52 ) senza alcuno di tali gradi, al modo stesso in cui per lo più il fumo si trasforma in fiamma con straordinaria rapidità?
La nostra carne in effetti viene certamente dalla terra; ma i filosofi, i cui argomenti sono assai spesso usati per opporsi alla resurrezione della carne, in quanto asseriscono che non vi può essere nessun corpo terreno in cielo, ammettono che qualsiasi corpo può trasformarsi e mutarsi in qualsiasi altro.
Una volta avvenuta questa resurrezione del corpo, noi, liberati dalla condizione del tempo, godremo di una vita eterna in una carità ineffabile e in una duratura stabilità.
Allora, infatti, avverrà quanto è scritto: La morte è stata ingoiata per la vittoria.
Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione? ( 1 Cor 15,54-55 )
10.25 Questa è la fede che, con brevi formule, è offerta dal Simbolo ai nuovi cristiani perché la conservino.
Queste brevi formule sono presentate ai fedeli affinché, credendo, si sottomettano a Dio, sottomessi a lui vivano rettamente, vivendo rettamente purifichino il loro cuore e, una volta purificato il cuore, comprendano ciò che credono.