Lettere |
Scritta nel 394.
A. esorta il nobile e istruito giovane Licenzio, già suo discepolo, a seguire la sapienza e a disprezzare il mondo ( n. 1-2 ).
A questo punto gli editori inseriscono un poemetto di Licenzio col quale questi invoca l'aiuto di A. nelle difficoltà dei suoi studi e gli chiede i libri De musica ( n. 3 ).
A., prendendo spunto dai versi di Licenzio, gli rimprovera la vita disordinata e lo scongiura di far servire a Dio e non alle passioni il brillante ingegno, ricordandogli che la verità è Cristo, il cui giogo è soave ( n. 4-6 ).
Agostino a Licenzio
Ho a stento trovato il momento per scriverti: chi lo crederebbe?
Ma tuttavia bisogna che Licenzio mi creda.
Non voglio che tu ricerchi cause e motivi che, anche se sarebbe possibile addurli, io non debbo alla fiducia che hai in me, per la quale tu mi credi.
Infatti anche la tua lettera non l'ho ricevuta tramite persone per mezzo delle quali potessi mandarti risposta.
Quanto a quello che mi hai pregato di chiedere, mi sono occupato, in una lettera, di tutto ciò che mi pareva opportuno esporre; ma che cosa abbia ottenuto lo vedrai tu.
E se non si è ancora ottenuto nulla, tornerò alla carica con maggiore energia quando lo saprò o quando tu mi avviserai di nuovo.
Ma basti ciò che ho detto fin qui per quanto riguarda le catene di questa vita che ci fanno udire il loro continuo strepito; ora ascolta in poche parole la penosa inquietudine del mio cuore riguardo alla speranza non fuggevole ch'io ho concepito di te, in che modo ti si possa aprire la via verso Dio.
Io temo, o mio Licenzio, che tu, che respingi ostinatamente e temi i vincoli della sapienza, sia inceppato con grande forza e danno tuo dalle cose mortali.
La sapienza infatti coloro che in un primo tempo avrà avvinti e domati con certe fatiche fatte a scopo di esercizio, in seguito li scioglierà e, una volta che siano stati liberati, si dona loro in godimento; e quelli che prima avrà educati con vincoli temporanei poi avvincerà con amplessi eterni; vincolo di cui non si può immaginare nulla di più piacevole né di più saldo.
I primi legami riconosco che sono un po' duri: ma gli ultimi non li potrei dire né duri, perché sono dolcissimi, né deboli perché sono saldissimi.
Che cosa [ sono ] dunque se non ciò che non si può esprimere ma tuttavia si può credere e sperare ed amare?
I vincoli di questo mondo hanno in sé un'asprezza vera, una dolcezza falsa; un dolore certo, una voluttà incerta; un duro travaglio, una quiete timorosa; una realtà piena di miseria, una speranza vuota di beatitudine.
E in questi tu introduci e collo e mani e piedi, quando brami di sottoporti al giogo di onori siffatti e ritieni le tue azioni non altrimenti fruttuose e desideri stare dove non saresti dovuto andare, non solo se fossi stato invitato, ma neppure se fossi stato costretto?
A questo punto tu forse mi darai la risposta del servo di Terenzio: Olà, tu qui spargi parole da sapiente?1
Accoglile dunque, in modo che io le sparga anziché disperderle.
In caso contrario, se io canto ma tu balli seguendo un'altra voce, neppure in questo caso io mi pento.
Giacché una canzone ha in sé una sua piacevolezza anche quando non regola su di esso i suoi movimenti colui per il quale si canta con una modulazione piena di affetto.
Nella tua lettera non mi sono piaciute alcune espressioni, ma ho ritenuto inopportuno trattarne quando mi tormenta il pensiero delle tue azioni e di tutta la tua vita.
Versi di Licenzio ad Agostino
"Mentre cerco d'indovinare la via misteriosa e profonda seguita da Varrone, la mente si smarrisce e rifugge atterrita dalla luce che la colpisce.
Non c'è da stupirsi; vana riesce l'applicazione e la cura che impiego nel leggere, dal momento che tu non sei qui a darmi una mano e il mio spirito ha paura di elevarsi da solo.
Appena il tuo affetto mi consigliò di svolgere e leggere le oscure e concise esposizioni d'un autore sì grande e a penetrare i significati misteriosi ch'egli assegnò all'armonia dei numeri ed espose che il cosmo modula dei suoni in onore del Tonante e mette in moto i movimenti regolari degli astri, il mio cuore fu avvolto da una tenebrosa caligine e l'aspra difficoltà degli argomenti riversò una specie di nebbia nell'animo mio.
Cerco quindi come insensato le forme essenziali delle cose descritte senza l'aiuto della geometria e incappo in altre tenebre ancora più dense, cioè il problema riguardante l'origine degli astri e le loro luminose rivoluzioni, di cui quel grande mostra il sito in mezzo alle nuvole.
In tal modo col mio passo vacillante caddi tanto in basso come non sarebbe caduto né colui che ci proibisce di conoscere i segreti del cielo né chi giace in fondo alle caverne dei morti.
Proteo, come raccontano le antiche favole dei Greci,2 quando non vuole svelare il futuro a coloro che ne sono ansiosi, si trasforma in cinghiale pieno di bava o in acqua corrente o in leone ruggente o in serpente sibilante: ma a me che sono angosciato per angustie molto più gravi, che cerco per il mio spirito tutto quello che v'è d'attraente, ogni specie di dolce alimento, a me rimangono nascosti i segreti di Varrone.
A chi potrei chiedere aiuto coi miei versi di supplice?
A quale ninfa o a qual fiume potrei chiedere soccorso?
Non dovrei forse invocare te, che il Signore del luminoso Olimpo ha preposto alle sorgenti, cui possono attingere i giovinetti, e ha ordinato di spandere fuori dell'animo che n'è pieno i fiumi nascosti?
Accorri immediatamente in mio aiuto, mio caro maestro, non abbandonare le mie forze vacillanti, ma comincia a rivoltare con me queste sacre zolle poiché, se le umane vicende non mi ingannano, il tempo trapassa e ci trascina verso la vecchiaia.
Il nostro Apollo riempie il tuo cuore e ti rende propizio il proprio Padre ( ch'è anche il padre degli dèi ) e ti mostra la giusta legge e la pace armata e, rimovendo il velame, ti scopre [ il segreto di ] ogni cosa.
Avevi infatti forse compiuto venti volte il lungo giro del sole, allorché fosti affascinato dalla conoscenza teoretica dell'universo, che vale più della potenza ed è più dolce d'ogni nettare; essa diede un orientamento preciso al tuo animo esitante e ti pose nel centro da cui potessi rivolger lo sguardo su tutte le cose.
Tu dunque, o valente maestro, avanza pure con gli anni arrivando a fastigi ognora nuovi nella proporzione in cui la sapienza tanto più cresce quanto più si ama; avanza per la strada per cui ti guida il magnifico figlio di Giove tonante appianando tutti gli ostacoli. ( Lc 3,5 )3
E quando [ l'ultima ] sera [ della vita ] avrà trasferito il tuo spirito nell'aurora [ sempre ] luminosa e avrà benedetto il santo fulgore, ricordati di me.
Voi però che applicate l'avido orecchio alle leggi eterne, battetevi [ allora ] il petto con le avide mani, prosternatevi a terra, scoppiate in giuste lacrime, ma tenetevi lontani da tutto ciò che è empio4, la legge di Dio è uguale per tutti: ce lo ricorda il sacerdote, ci atterriscono i fulmini futuri.5 Oh se l'aurora ancora una volta con le sue ruote apportatrici di gioia mi riportasse i giorni passati che trascorremmo nel centro dell'Italia su per gli alti monti6 anelando insieme con te alle occupazioni dello spirito e alle immacolate leggi dei buoni!
Oh, allora né i rigori del freddo coi loro bianchi ghiacci, né la furiosa tempesta degli Zèffiri, né le raffiche della Bora mi tratterrebbero dal calcare le tue orme con passi solleciti.
Basta che tu me lo ordini; anche se mi dovessi bagnare di sangue le membra, arriverò fino ai Neuri [ Sciti ] durante il solstizio, seguirò il corso dell'Istro nel cuor dell'inverno e l'ignoto Garamante7 spezzerà i vincoli che mi legano alla mia gente.
[ Verrò dove ] il fiume Ipani, fuggendo i laghi di Sampe, risuona spumeggiante sino alle spiagge scitiche dei Callipidi.
Andrò fìno alla regione dei Leuci che si estende fino all'oriente.
Per seguire i tuoi consigli mi recherò nell'altopiano deserto del vasto Casso, i cui dirupi eguagliano quelli di Epidamno, e del quale potrei contemplare la placida aurora e i cavalli del sole sciolti dal cocchio e il giorno assopito nel mezzo della notte, poiché non mi atterrisce alcuna fatica né alcuna paura, dal momento che Dio ascolta le preghiere innalzate dagl'innocenti con schiettezza di cuore.
Fin d'ora lascerei le dimore, gli orgogliosi palazzi dei Romani, le loro case echeggianti di grida gioiose e di vano trambusto e verrei una volta per sempre e senza riserve nel tuo cuore, se non mi trattenessero dal partire i preparativi per il matrimonio.
O dotto maestro credi ai miei guai e al mio sincero dolore: senza di te le vele non m'assicurano alcun porto e io vado errando lontano per il mare tempestoso della vita.
I nocchieri che abbatte il furioso vento del Sud e le raffiche mugghianti dell'Euro, sono fatti precipitare come avvolti in dense nebbie e dal turbine vengono privati dei piloti:8 ben tosto vengono sbattuti qua e là, miserelli, dai marosi scatenati: non il ponte o la prua, non le vele possono oltre resistere alle procelle e il pilota non sa più guidare, stordito com'è ed abbattuto.9
Allo stesso modo sono anch'io sballottato dal vento e travolto dalla bufera delle passioni nel mare che apporta la morte, né alcuna terra si presenta subito in mio aiuto.
Io però, mio caro maestro, ben considerando le tue schiette parole sono convinto che occorre crederti quando tu parli: [ è vero ], nelle cose umane risiede malizia ed inganno: esse tendono reti all'anima nostra.
Io, d'altronde, dimentico dei giorni passati, volgo lo sguardo solo al presente; adesso io, mio caro maestro, sono cancellato dall'animo tuo.10
Ahimè, in qual luogo andare, d'onde aprirti - come vorrei - il mio cuore?
Ma le palombe cercheranno per il loro amore un asilo sotto l'Egeo e gli alcioni, cambiando abitudine, costruiranno i loro nidi sugli alberi; la leonessa, sebbene affamata, nutrirà i vitelli che la seguiranno senza paura; la lupa da lungo tempo digiuna allatterà gli agnelli, e i buoi, lasciando le regioni del mondo loro assegnato, andranno a pascolare tra i Barcei e i sauri nell'Ircania; il giorno, interrompendo il suo corso perché sbigottito da un nuovo banchetto di Tieste, tornerà indietro verso l'Oriente11 e svanirà; le piogge daranno origine al Nilo, i daini voleranno nel cielo, i monti canteranno e i fiumi applaudiranno prima ch'io mi ponga dietro le spalle i tuoi doni, o mio maestro.
Me lo impedisce il comune amore per l'onestà che ci tiene uniti.
È qui che regna l'amicizia nella sua bellezza dopo che sia stato messo in fuga il nemico.
Poiché non per mezzo delle ricchezze fragili come il vetro né dell'oro ch'è fomite di discordia i nostri cuori si sono stretti in amichevole affetto; ad unirci non è stata la cieca sorte, che nelle difficoltà separa la gente comune, ma è stata la difficile ricerca dei segreti da te scoperti nella tua anima e pubblicati nei tuoi libri, è stata la nobile dottrina da te insegnata e le valide esposizioni contro le opinioni [ errate ].
Quantunque poi la mia mente sia presa da sgomento al considerare da presso l'altezza della tua personalità e si nasconda il volto nel trattare futili argomenti, tuttavia il nostro vincolo spirituale, il nostro ideale legame non potrebbe né romperlo né impedirlo minimamente, data la sua saldezza, neppure colui che infranse [ la barriera delle ] Alpi,12 malgrado le rocce delle loro vette, e pose l'assedio fin sotto le mura delle città italiche.
Voi, acque dell'Osso, correte lontano, ribollendo attraverso gole, a separare con la vostra larga corrente i monti Rifei dagli Arenfei o le città del Caspio dalle case dei Cimmèri; le regioni dei Meoti, cui bagna l'Ellesponto, allarghino pure la linea di separazione tra l'Europa e l'Asia.
Non è forse vero che Dodona, la quale stimola armenti di buoi su entrambi i fianchi, separa i Molossi dalla regione di Talaro e gli Arabi loro consanguinei?
Neppure durò il patto d'amicizia e di pace stabilito tra gli abitanti di Sidone e il regno dei Pelopei e i sacrileghi Frigi, sebbene nelle varie occasioni fosse stato asilo comune per tutti.
Perché infine dovrei cantare la discordia e le lotte dei fratelli e le busse date a ragione dai genitori, le escandescenze delle madri e l'orgoglio di figli?
Perfino tra gli dèi c'è un'armonia discorde e nascono tante usanze quante sono le leggi e le opinioni né tutti sono uniti da un unico amore.
Anche se Borea mi desse cento fragori e altrettanti soffi, anche se la lingua [ divenuta ] dura come l'acciaio potesse emettere suoni cupi attraverso cento bocche, non sarei in grado di ricordare la quantità di luoghi che la Natura ai suoi primordi aveva unito e poi separò, che la ghiaia sottrasse al mondo rotondo.
Lascio da parte il fatto che noi siamo oriundi di una stessa città, congiunti per lo stesso sangue di generazioni, legati dalla stessa fede Cristiana; cionondimeno noi siamo divisi da uno spazio immenso, un vasto tratto di mare si frappone tra noi tenendoci lontani l'un dall'altro; ma l'amore sfida ogni ostacolo.
L'amore non dà importanza alla gioia derivante dalla vista dell'amico e perciò ne gode anche s'egli è assente, poiché nasce dalle profondità del cuore e vede la sua sorgente nelle più riposte fibre del cuore.
Nel frattempo riceverò tutti i tuoi scritti ripieni di nobili consigli e di salutari argomenti, paragonabili anch'essi ai primi per la loro dolcezza; argomenti che tu, dopo averli meditati con mente profonda, hai dati alla luce come un miele più dolce del nettare sgorgato [ dal tuo cuore ]; essi mi ti mostreranno presente, purché tu soddisfi il mio desiderio inviandomi i libri in cui [ tratti ] la dolce musica, della quale tu conosci i segreti, poiché ardo dal desiderio di leggerli.
Esaudisci la mia preghiera; così il vero a noi possa manifestarsi alla luce della ragione e possa affluire più abbondante dell'acqua del Po e, al contrario, il contagio del mondo non arrivi alle campagne ch'io coltivo".
Se il tuo verso fosse difettoso per mancanza di ordine nei tempi, se non si attenesse costantemente alle leggi che gli sono proprie, se urtasse l'orecchio dell'uditore per irregolarità di misure, certamente ti vergogneresti e non indugeresti e non ti fermeresti finché non avessi ordinato, corretto, fissato e reso regolare il tuo verso, apprendendo e mettendo in pratica l'arte metrica con uno studio accanitissimo ed a prezzo di qualsivoglia fatica; e perché poi, quando perverti te stesso con una vita disordinata, quando tu stesso non rimani fedele alle leggi del tuo Dio e nella condotta della tua vita non agisci in armonia con gli onesti desideri dei tuoi e con questa tua stessa cultura, credi di dover gettare tutto questo dietro le spalle e disinteressartene?
Quasi che per te sia meno importante la tua persona che il suono della tua lingua e il fatto che offendi le orecchie di Dio coi tuoi costumi disordinati sia meno grave che se l'autorità dei grammatici si risentisse per le tue sillabe mal congegnate.
Tu scrivi: "Oh se l'aurora ancora una volta, con le sue ruote apportatici di letizia, mi riportasse i passati giorni che trascorremmo nel mezzo dell'Italia e su per gli alti monti anelando insieme con te alle occupazioni dello spirito e alle leggi immacolate dei buoni!
Né i rigori del freddo col loro canuto gelo né la furiosa tempesta degli Zèfiri e le raffiche di Borea mi tratterrebbero dal calcare con sollecito passo le tue orme. Basta soltanto che tu lo ordini".
Misero me se io non ordino, se non costringo e non comando, se non prego e supplico.
Ma se le tue orecchie sono chiuse alle mie invocazioni, si aprano alla tua voce, si aprano al tuo carme; ascolta te stesso, o ostinatissimo, crudelissimo, sordissimo.
Che mi serve che tu abbia una lingua d'oro e un cuore di ferro?
Con quali, non dico poesie, ma lamenti potrò piangere abbastanza sui tuoi carmi, attraverso i quali io scorgo quale anima e quale ingegno io non riesco a far mio e ad offrire in sacrificio al nostro Dio?
Tu attendi ch'io ti ordini: sii buono, sii tranquillo, sii beato; come se per me potesse spuntare un giorno più gradito di quello in cui godessi del tuo ingegno nel Signore, o se tu veramente non sapessi quanto io abbia fame e sete di te o non lo confessassi in questo stesso carme. Fa' rivivere lo spirito con cui hai scritto queste cose, dimmi adesso: Basta soltanto che tu lo ordini.
Ecco il mio ordine: donati a me, se v'è bisogno soltanto di questo; dona te stesso al mio Signore, ch'è il Signore di tutti noi, che ti ha concesso quell'ingegno.
Infatti che cosa sono io, se non tuo servo per Lui e tuo conservo sotto di Lui?
Non lo comanda forse Lui stesso?
Ascolta il Vangelo: Stava Gesù in piedi - narra - e diceva a gran voce: ( Gv 7,37 ) venite a me, o voi tutti che siete stanchi ed aggravati, ed io vi darò ristoro.
Prendete il mio giogo su di voi ed imparate da me che sono mite ed umile di cuore e troverete riposo per le anime vostre.
Giacché il mio giogo è dolce e leggero il mio carico. ( Mt 11,28-30; Ger 6,16; 1 Gv 5,3 )
Se queste parole non vengono ascoltate o arrivano a mala pena fino alle orecchie, ti aspetti forse, o Licenzio, che Agostino dia ordine al suo conservo e non pianga piuttosto che il suo Signore comandi invano, anzi non comandi, ma inviti e in certo modo preghi affinché coloro che sono travagliati abbiano da Lui ristoro?
Ma naturalmente per un collo molto forte e che abbia una enorme fiducia in se stesso il giogo del mondo è più piacevole del giogo di Cristo: eppure, anche se Egli ci costringesse ad affrontare dei travagli, pensa Chi ci costringerebbe e con quale ricompensa ci costringerebbe!
Recati in Campania e impara quale splendido fasto di questo mondo l'egregio e santo servo di Dio Paolino abbia senza esitazione strappato alla sua cervice, tanto più nobile quanto più è umile, per sottometterla, come l'ha sottomessa, al giogo di Cristo; ed ora, in tranquillità ed umiltà, egli esulta perché Lui guida il suo cammino.
Va', impara con quale ricchezza d'ingegno offra a Lui sacrifici di lode, restituendogli tutti i beni che da Lui ha ricevuti, per non perderli interamente, [ come avverrebbe ] se non li riponesse in Colui per opera del quale li possiede.
Perché sei perplesso? Perché esiti?
Perché porgi l'orecchio alle fallaci lusinghe di voluttà apportatrici di morte e lo distogli da noi?
Mentono, muoiono, conducono alla morte.
Mentono, o Licenzio; "così a noi ( come tu desideri ) il vero si manifesti alla luce della ragione, così possa affluire più copioso dell'Eridano".
Non dice il vero se non la Verità; Cristo è la Verità; ( Gv 5,6; Gv 14,6 ) andiamo a Lui per non essere travagliati.
Affinché Egli ci ristori, prendiamo sopra di noi il suo giogo ed impariamo da Lui che è mansueto ed umile di cuore e troveremo la pace per le anime nostre.
Giacché il suo giogo è dolce e leggero il suo carico. ( Mt 11,29-30 )
Il diavolo cerca di fare di te il suo ornamento.
Se tu avessi trovato per terra un calice d'oro, lo offriresti in dono alla Chiesa di Dio.
Hai ricevuto da Dio un ingegno d'oro nel senso spirituale, e lo usi per servire alle passioni, e in esso propini te stesso a Satana?
Non volerlo fare, ti scongiuro; così possa tu finalmente sentire con che animo infelice e degno di commiserazione io abbia scritto queste cose e possa avere almeno pietà di me, se ai tuoi occhi sei diventato cosa vile.
Indice |
1 | Terent., Adelph. 5, 1 |
2 | Verg., Georg. 4, 387-529; Ovid., Metam. 8, 732-37 |
3 | Pers. 4, 50 |
4 | Verg., Aen. 5, 197; Ovid., Metam. 10, 322 |
5 | Verg., Aen. 1, 230 |
6 | Verg., Aen. 8, 560; 7, 563 |
7 | Claudian., In Ol. et Prob. pan. 135 |
8 | Verg., Aen. 5, 867 |
9 | Ovid., Trist. 1, 2, 32 |
10 | Verg., Ecl. 1, 63 |
11 | Cl. Claudian., In Ol. et Prob. pan. 169-172 |
12 | Cl. Claudian., De bello Goth. 532 |