Lettere |
Scritta forse fra il 405 e il 407.
Agostino rimprovera un certo Paolo, forse vescovo di Catacqua, suo figlio spirituale, il quale con la sua cattiva condotta aveva gravemente scandalizzato la Chiesa, e lo esorta a comportarsi in modo degno ( n. 1-2 ).
Agostino saluta nel Signore il sinceramente amato signore Paolo, suo fratello e collega d'episcopato, cui augura con tutte le preghiere d'esser felice
Non mi accuseresti d'esser senza cuore, se non mi reputassi anche mentitore.
Poiché cos'altro pensi dei miei sentimenti quando scrivi simili cose, se non che io sia colpevole di suscitare discordia e odio detestabile?
Come se io in una faccenda così evidente, non usassi la precauzione di non essere io stesso rimproverato da Dio, mentre predico agli altri, ( 1 Cor 9,27 ) o volessi togliere la pagliuzza dal tuo occhio, lasciando stare la trave nel mio! ( Mt 7,4; Lc 6,41 )
Ebbene, non è come tu pensi.
Ecco, torno a dirti, e chiamo a testimonio Dio, che, se tu volessi a te stesso il bene che ti auguro io, già da tempo vivresti tranquillo in Cristo e, dando gloria al suo nome, procureresti gioia a tutta la Chiesa.
Vedi? T'ho già scritto che non sei solo mio fratello, ma anche mio collega.
E neppure può essere che non sia mio collega qualunque vescovo della Chiesa Cattolica, purché non sia stato condannato da nessun tribunale ecclesiastico.
Che io poi non sia in comunione con te, deriva dal fatto che io non posso adularti.
Poiché sono stato io a generarti in Gesù Cristo mediante il Vangelo, sono pure obbligato a darti, più che a chiunque altro, i sinceri e salutari rimproveri della carità anche se ti paiono pungenti.
Godo inoltre che molti siano stati ricondotti alla Chiesa Cattolica dal tuo ministero con l'aiuto del Signore, ma ciò non toglie che io non debba piangere per i molti che se ne sono allontanati.
Infatti hai inflitto una tale ferita alla Chiesa d'Ippona che non può venire rimarginata se il Signore non ti libererà da tutte le preoccupazioni e dai pesi mondani e non ti richiamerà ad un tenore di vita veramente confacente a un vescovo.
Tu però ti cacci negli impicci ogni giorno di più fino ad immischiarti anche negli affari cui pure avevi rinunciato, cosa che non si può assolutamente giustificare neppure di fronte alle leggi umane; si dice inoltre che vivi in una prodigalità non consentita dai modesti proventi della tua chiesa.
Perché allora cerchi la mia comunione mentre non hai mai voluto dare ascolto ad alcuna mia ammonizione?
Forse perché la gente getti addosso a me la responsabilità di ciò che fai?
Io però non posso più sopportare le loro lamentele.
A torto poi sospetti che siano tuoi denigratori quelli che ti sono stati contrari anche nella tua vita precedente.
Non è affatto così, né c'è da meravigliarsi che tu sia all'oscuro di tante cose.
Ma ammesso pure che ciò sia vero, essi non avrebbero dovuto trovare nella tua condotta nulla da criticare con ragione e trarne motivo di diffamare la Chiesa.
Forse penserai che io dica ciò perché non ho accettato le tue scuse.
Al contrario: te lo dico proprio perché, se non te lo dicessi, non potrei neppure io dare a Dio soddisfazione dei miei peccati.
So che hai dell'ingegno, ma l'ingegno, anche se è tardo, è sicuro quando pensa alle cose del cielo, mentre anche se è acuto, non vale nulla se s'interessa solo delle cose terrene.
L'abilità del vescovo non consiste nel trascorrere comodamente questa vita fallace.
Ciò che ora ti dico, te lo insegnerà pure il Signore Iddio: tutte le vie, attraverso le quali cercavi di usare il tuo ingegno, te le ha sbarrate Iddio per indirizzarti, se vuoi proprio capirlo, nella via a percorrere la quale ti è stato imposto il santo fardello dell'episcopato.
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