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Lettera 113

Scritta tra il 409 e il 423.

Agostino raccomanda di aiutare un certo Favenzio.

A Cresconio, amatissimo signore, fratello degno d'onore ed encomiabile, Agostino augura salute nel Signore

1. Se io non m'interessassi alla questione per la quale torno a scrivere alla tua venerata persona, avrebbe ragione di farmene una colpa e rivolgermi un biasimo non solo l'Eccellenza tua, ma perfino colui ( chiunque esso sia ) che ha provocato l'arresto di Favenzio; penserebbe naturalmente che se si fosse rifugiato lui pure sotto la protezione della Chiesa e gli fosse capitata una simile disavventura, io avrei ugualmente trascurato d'interessarmi alla sua condizione critica e dolorosa.

E poi, anche se non si dovesse tener conto delle critiche della gente, che cosa potrei mai dire al Signore nostro Dio, come potrei scusarmi presso di Lui, se non facessi tutto quello che è in mio potere per la salvezza del poveretto, che si è affidato alla protezione e all'aiuto della Chiesa, della quale io sono servitore, o signore amatissimo e venerato figlio?

E siccome è difficile, anzi incredibile che tu non conosca o non possa conoscere il motivo per cui il poveretto è stato incarcerato, prego la Benignità tua d'appoggiare intanto questa mia istanza presso l'usciere giudiziario, che lo tiene agli arresti, perché si attenga a tutte le disposizioni prescritte dalla legge imperiale, cioè lo faccia interrogare dalla segreteria municipale se vuole che gli siano concessi i trenta giorni, durante i quali, sotto moderata sorveglianza, possa trattenersi nella città, ov'è detenuto, per mettere ordine nei suoi affari e provvedere al suo fabbisogno.

Se nello spazio di quei giorni, col beneplacito della tua Dignità, ci sarà possibile concludere la vertenza in base ad un'amichevole discussione, avremo motivo di rallegrarcene; se invece non ci sarà possibile, l'esito del processo sarà quel che Dio vorrà secondo il merito della causa stessa e secondo la volontà di Dio Onnipotente.

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