Lettere |
Scritta verso la fine del 413.
Agostino fa sapere a Ceciliano che lo ama come prima ( n. 1-2 ) e non lo reputa affatto connivente nell'empia e crudele perfidia perpetrata dal Conte Marino nell'uccidere i due fratelli Marcellino e Apringio ( n. 3-7 ), di cui il primo era di costumi integerrimi e provvisto di tutte le più splendide virtù cristiane ( n. 8-9 ); afferma infine che Ceciliano deve detestare l'immane delitto dell'amico ed aiutarlo a pentirsi e lo esorta a diventare cristiano ( n. 10-14 ).
Agostino saluta nel Signore Ceciliano, signore meritamente famoso e figlio degnissimo dell'onore a lui dovuto
Il rimprovero fattomi nella tua lettera mi riesce tanto più gradito quanto più è pieno di carità.
Se dunque tentassi di scusarmi del mio silenzio, che altro potrei tentare di fare se non dimostrare che non avevi motivo di risentirti contro di me?
Ma siccome apprezzo in te il fatto che ti sei sentito offeso del mio silenzio, mentre io avevo creduto che non avesse importanza in mezzo alle tue preoccupazioni, perderei la mia causa, se mi sforzassi di giustificarmi.
Se tu infatti non ti fossi indignato perché io non ti avevo scritto, sarebbe stato segno che non mi stimi un fico, dal momento che ti sarebbe indifferente se io parlo o taccio.
Ma poiché te la sei avuta a male che io non t'ho scritto, la tua non è vera collera.
Non mi dolgo quindi tanto di non averti inviato una mia lettera, quanto mi fa piacere che tu l'abbia desiderata.
Per me infatti è un motivo d'onore, non di tristezza, il fatto che io abbia meritato d'esser rimproverato di non aver dato conforto con nessuna lettera ad un vecchio amico e ( cosa che io devo riconoscere anche se tu non devi dirlo ) personaggio si ragguardevole e importante, che vive in contrade lontane dalla patria e oppresso dalle brighe dello Stato.
Ti chiedo quindi perdono, mentre ti ringrazio di non avermi ritenuto indegno del tuo rimprovero a cagione del mio silenzio.
Ora infatti ho la prova per credere alla tua benevolenza più grande del prestigio della tua personalità in quanto, pur in mezzo a tante importanti cure, non private ma pubbliche, ossia rivolte al bene di tutti, tu reputi che le mie lettere non ti sono di peso ma ti riescono perfino gradite.
Allorché mi fu recapitata da certi fratelli la lettera del santo papa Innocenzo, per spiccati meriti venerando, lettera che per chiari indizi era stata spedita dall'Eccellenza tua, pensai che non mi era stata recapitata contemporaneamente alcuna tua lettera perché, occupato in affari più gravi, non avevi voluto impegnarti a scrivere e a rispondere.
Mi sembrava naturale che, siccome ti eri degnato d'inviarmi la lettera di quel santo uomo, ne ricevessi insieme anche una tua.
Avevo perciò stabilito di non importunare eccessivamente la tua mente con una mia lettera, salvo che fossi costretto a raccomandare qualcuno, a cui non avrei potuto dir di no, per il mio dovere d'interporre i miei uffici.
È mia abitudine d'esser condiscendente con tutti; è per così dire una professione certamente importuna ma per nulla biasimevole.
Ho fatto quindi così, raccomandando alla tua Benignità un mio amico e, ho già ricevuto da lui una risposta di ringraziamento e anch'io ti ringrazio a, mia volta.
Se poi avessi sospettato qualcosa di male sul tuo conto, soprattutto in rapporto alla faccenda che trapelava, dalla tua lettera anche se non era, accennata esplicitamente, non ti avrei scritto affatto una lettera per chiederti un favore per me o per chiunque altro.
O avrei taciuto, aspettando l'occasione d'incontrarti di persona, oppure, - se avessi pensato necessario trattare la questione per lettera, avrei fatto piuttosto così, ma lo avrei fatto in modo che non avresti potuto sopportare il mio dolore.
Era stato perpetrato l'empio ed efferato delitto di quell'individuo, presso il quale insistemmo con tutte - le forze, aiutati anche dalla preoccupazione. che condividevi con me, perché non colpisse con quel dolore il nostro cuore e non rovinasse la sua coscienza con un delitto si nefando, ma tutto fu inutile.
Dopo quel misfatto partii subito da Cartagine senza far trapelare la mia partenza, per evitare che i fedeli radunati in gran folla e paurosi di cadere sotto la sua spada, mi trattenessero con, loro pianti e gemiti violenti, persuasi che la mia presenza potesse recare loro qualche giovamento, di modo che potessi indurmi a intercedere per l'incolumità fisica di essi presso colui che non potevo redarguire come meritava, per la sua anima.
Ma la loro incolumità fisica era protetta a sufficienza dalle pareti della chiesa. lo però mi vedevo stretto in dolorose angustie, per non potermi mostrare come avrei voluto a quell'individuo ed essere inoltre costretto a fare cose non degne di me.
Mi affliggevo anche assai della sorte del venerabile mio collega nel vescovado, capo di una diocesi così importante, a cui si diceva che incombesse il dovere di mostrarsi umile, anche dopo l'inganno così infame di quell'individuo, per risparmiare la vita degli altri.
Lo confesso: non avendo la forza di soffrire una iattura simile con la dovuta costanza d'animo, me ne partii.
Questo sarebbe anche adesso il motivo del mio silenzio con te, come fu al momento della mia partenza, se io credessi che tu eri d'accordo con quel sanguinario per spingerlo a compiere nefande vendette.
Credono ciò quelli che non sanno come e quante volte hai parlato con me, e le cose che mi hai dette allorché eravamo preoccupati e ansiosi di far si che quanto più intima era l'amicizia con cui ti era legato, quanto più spesso ti recavi da lui, quanto più frequenti erano i tuoi colloqui con lui da solo a solo, tanto più tenesse in conto la tua stima e non procurasse a coloro, che si dicevano tuoi nemici, una fine così miseranda da lasciar credere che tra voi non si concertava altro che questo.
Per me io non lo credo né lo credono i miei fratelli che ti ascoltarono mentre parlavi con me e da ciò che udirono e da ogni cenno videro gli indizi della tua bontà.
Ma io ti scongiuro di perdonare a quanti non lo credono: sono uomini, e nel cuore dell'uomo vi sono tante pieghe così nascoste che anche i sospettosi, sebbene giustamente colpevoli, credono perfino di meritare lode, perché sono guardinghi.
Orbene, motivi di sospettare ce n'erano.
Sapevamo che tu avevi ricevuto una gravissima offesa da parte di uno di coloro che quello scellerato aveva fatto arrestare sui due piedi.
Si diceva che anche il fratello di colui con la morte del quale è stata perseguitata la Chiesa, ti avesse risposto con non so quale espressione cruda e aspra.
Si pensava che ti fossero tutti e due sospetti allorché, dopo esser stati citati in giudizio, se n'erano andati, ecco che all'improvviso, mentre tu eri rimasto lì e parlavi ancor più in segreto - così si diceva - con quel tale, fu dato l'ordine di arrestarli.
La gente parlava della vostra amicizia non recente, ma di antica data.
L'intimità esistente tra voi e quel parlare prolungato da soli a soli confermava la diceria.
Straordinario era allora il potere di quell'energumeno.
Era notoria la facilità con cui si poteva calunniare.
Non costava molto prezzolare uno, il quale, con la promessa della impunità, dicesse tutto ciò che colui voleva che si dicesse.
In quella circostanza tutto contribuiva a far si che quello scellerato eliminasse una persona qualsiasi, anche in base alla deposizione di un solo testimonio e senza correre personalmente alcun pericolo sotto il pretesto di un crimine odioso e verisimile.
Io frattanto, poiché correva voce che l'autorità ecclesiastica potesse liberare i due fratelli, ero ingannato con false promesse: m'era stato detto che quel farabutto non solo voleva, ma insisteva che s'inviasse un vescovo alla Corte imperiale, affinché intercedesse per loro con la promessa che non si sarebbe aperta l'istruttoria della causa contro quei due finché non fosse fatto un passo a loro favore.
Alla fine, il giorno precedente alla loro esecuzione, venne da me l'Eccellenza tua e mi desti una speranza, che prima non mi avevi mai fatto balenare, che quel tale avrebbe potuto graziarli, quando ti disponevi a partire.
Gli avevi detto infatti in tono serio e prudente che il suo conversare con te così assiduamente e familiarmente più che d'onore, ti era di peso e serviva solo a far si che, dopo aver concertato e approvato tra voi il piano di sopprimere quei due, nessuno avrebbe dubitato di quanto doveva accadere in seguito.
Mentre mi riferivi di aver detto così, t'interrompesti dirigendoti verso il luogo dove si celebravano i misteri dei fedeli, e, con mia grande meraviglia, giurasti di aver pronunziato queste testuali parole, sicché non solo allora, ma ancora adesso dopo quella morte orrenda e inaspettata, nel rievocare tutti i tuoi gesti, mi sembrerebbe d'essere molto sfacciato se pensassi male di te anche solo un poco.
Dicevi anzi che quell'individuo era rimasto talmente impressionato dalle tue parole, da prometterti la salvezza di quei poveretti, come dono amichevole e benaugurante di buon viaggio.
In conseguenza, assicuro tua Grazia, che il giorno seguente in cui venne alla luce il nefando aborto partorito da quello sciagurato, quando all'improvviso mi fu annunziato che quei due erano stati condotti dal carcere davanti a lui giudice, benché provassi un vivo turbamento, pure, in considerazione di quanto mi avevi dichiarato il giorno prima e che il giorno seguente sarebbe stata la festa solenne del beato Cipriano, pensai che avesse scelto anche il giorno in cui concederti il favore che gli avevi insistentemente chiesto e che, volendo colmare di gioia improvvisa tutta la Chiesa di Cristo, avesse voluto recarsi al luogo del martirio di cosi gran Santo, per apparire più glorioso per la bontà e per il perdono che per il potere di uccidere; quand'ecco si precipita verso di me all'improvviso un messaggero e mi annuncia l'esecuzione di quei due prima ancora che avessi la forza di chiedere l'esito dell'interrogatorio.
Era stato predisposto anche il luogo nelle immediate vicinanze; un luogo non destinato ai supplizi umani, ma piuttosto all'abbellimento della città.
Si crede con ragione che alcuni giorni prima quell'assassino vi aveva fatto uccidere alcuni, perché l'esecuzione di quei due non costituisse un'odiosa novità.
Era un piano escogitato perché fossero strappati all'intervento della Chiesa, qualora non solo se ne ordinasse la immediata uccisione, ma anche si scegliesse per l'esecuzione un luogo vicinissimo.
Così quel criminale mostrò chiaro di non aver avuto paura d'infliggere una tortura alla Madre, della quale aveva temuto l'intervento, quello cioè della santa Chiesa, tra i cui fedeli, battezzati nel suo grembo, sapevamo con certezza che c'era anche lui.
Dopo l'esito, dunque, di un piano così nefando, dopo ch'erano stati fatti da noi tanti passi e che tu, sebbene non fossi complice, il giorno prima ci avevi rassicurati della salvezza di quei due infelici, chi tra la gran massa del popolo non avrebbe tenuto per certo che anche tu ci avevi burlati mentre a quelli era stata tolta la vita?
Tu quindi, come ho già detto, egregio amico, anche se io non lo credo, perdona a coloro che lo credono.
Sarebbe assolutamente contrario ai miei sentimenti e alla mia condotta, qualunque essa sia, intercedere presso di te o di sollecitare da te un favore per alcuno, se ti credessi autore di un delitto si enorme e di una crudeltà tanto efferata.
Tuttavia, lo confesso apertamente, se anche dopo quanto è successo continuate ad essere legati da amicizia così stretta, come prima, sia detto senza offenderti, esprimerò senza riguardi il mio dolore; mi costringete a credere ciò che non avrei voluto.
Ma è naturale che io non creda neppure a ciò dal momento che non credo alle suaccennate chiacchiere fatte sul conto tuo.
L'amico tuo, usando del suo potere in un modo così inatteso, non ha infierito tanto contro la vita di quelle due vittime, quanto contro la tua reputazione.
E non parlo così perché, dimenticando i miei sentimenti e la mia carica, io voglia rinfocolare il tuo rancore contro di lui, ma per esortarti ad avere per lui un'amicizia più sincera.
Chi si comporta coi cattivi in guisa da farli pentire della loro malvagità, sa anche provvedere al loro bene con l'indignazione: come i cattivi ci nuocciono con l'adularci, così i buoni giovano con l'avversarci.
In realtà quel ribaldo ferì gravemente e più profondamente la propria anima con la stessa spada con cui uccise gli altri nella sua tracotanza.
Comprenderà ciò e ne sperimenterà gli effetti dopo questa vita, se non la emenderà col pentimento e se non saprà trar vantaggio dalla pazienza di Dio.
Spesso Dio nei suoi impenetrabili disegni permette che la vita presente anche dei buoni sia stroncata dai cattivi, perché non si creda che è un male subire tali scelleratezze.
Che male, infatti, può arrecare la morte carnale a chi è carnale per natura?
E che cosa fanno quelli che cercano di evitare la morte se non di ritardarla un poco?
Ciò che nuoce a coloro che muoiono, proviene dalla vita, non dalla morte.
Se nell'ora della morte la loro anima è di quelle cui soccorre la grazia di Cristo, la loro morte non è l'occasione di una vita buona, ma l'occasione di una vita migliore.
La condotta del fratello maggiore sembrava conformarsi di più all'amore del nostro mondo che a quella di Cristo; tuttavia dopo il suo matrimonio aveva corretto in gran parte la vita passata di giovane mondano.
Forse tuttavia Dio non volle se non per la sua bontà, che morisse in compagnia del fratello.
Quest'altro invece era vissuto conforme ai precetti religiosi nei sentimenti e nella pratica cristiana.
La reputazione che l'aveva preceduto, quando venne a difendere la causa della Chiesa, lo accompagnò anche dopo la sua venuta.
Quanta era l'integrità dei suoi costumi, la sua fedeltà nell'amicizia, il suo zelo per la dottrina ( di Cristo ), la sua sincerità nella religione, la sua castità nel matrimonio, il suo equilibrio nel giudicare, la sua pazienza verso i nemici, la sua affabilità verso gli amici, la sua umiltà coi santi e la sua carità verso tutti, la sua premura nel rendere servigi, il suo ritegno nel richiederli, il suo amore per le buone azioni, il suo dolore per le cattive.
Quanta dignità nella sua onestà, quanto prestigio nella sua autorità, come gli stava a cuore la pietà, quanta tenerezza nel soccorrere, quanta bontà nel perdonare, quanta fede nel pregare!
Con quanta modestia parlava di ciò che conosceva essere utile alla salvezza dell'anima, con quanta diligenza ricercava ciò ch'era dannoso ignorare!
Quanto disprezzava i beni, presenti, quanto sperava e bramava i beni eterni!
Avrebbe abbandonato ogni attività nel mondo per arruolarsi nella milizia di Cristo se non ne fosse stato impedito dal vincolo matrimoniale, quando, già stretto da questo legame, aveva cominciato a bramare uno stato migliore ma non gli era ormai lecito abbandonare quello in cui si trovava, sebbene fosse inferiore.
Un giorno, suo fratello, quando ambedue erano già in prigione, gli disse: " Se io soffro ciò in castigo dei miei peccati, per quali colpe sei ridotto in questa condizione tu, di cui conosciamo la condotta così scrupolosamente e fervorosamente cristiana? ".
" Se è vera la testimonianza che tu dài alla mia vita - gli rispose Marcellino - ti pare forse che Dio m'accordi un piccolo favore col farmi sopportare queste sofferenze in modo che - anche nel caso che io giunga a dovere spargere tutto il mio sangue - io possa espiare quaggiù i miei peccati, e non mi siano riservati per il giudizio futuro? ".
A questo punto qualcuno potrebbe forse credere ch'egli avesse coscienza di qualche peccato occulto d'impudicizia.
Paleserò quindi ciò che il Signore Dio, a mia grande consolazione, volle che udissi e apprendessi chiaramente dalla sua bocca.
Siccome siffatte colpe sono comuni tra gli uomini, ero anch'io preoccupato della stessa cosa e parlando da solo a solo con lui, già detenuto nel carcere, gli chiesi se non avesse qualche peccato per causa del quale dovesse placare Dio con una più notevole e singolare penitenza.
Egli allora, da persona di straordinaria verecondia, sebbene arrossisse ascoltando il mio sospetto per quanto falso, accolse tuttavia.
il mio ammonimento con somma gratitudine; poi con un sorriso pieno di gravità e di modestia prese la mia destra con tutt'e, due le sue mani e: " Giuro, - disse - per i Sacramenti che mi sono portati da codesta mano, che non mi sono, mai unito con altra donna eccetto che con mia moglie, né prima né dopo il matrimonio ".
Qual male dunque lo incolse nella morte e non piuttosto un immenso bene, dal momento che, ricco di tante virtù, è passato da questa vita al Cristo senza la cui grazia le virtù sono inutili?
Non ti parlerei delle virtù di Marcellino, se credessi che ti senti offeso dagli elogi che ne faccio.
Ma poiché non lo credo, non credo affatto neppure ch'egli sia stato messo a morte non dico per tuo incitamento, ma nemmeno per tua volontà o per tuo desiderio.
Tu pertanto quanto più sei innocente di quel delitto, tanto più sinceramente giudicherai con noi che Marino è stato più crudele verso la propria anima che verso il corpo della vittima, dal momento che è giunto allo scopo della sua macchinazione con l'assassinio di Marcellino dopo aver disprezzato non solo me stesso ma le sue promesse, tante accorate suppliche e ammonimenti tuoi, dopo aver infine tenuto in nessun conto persino la Chiesa di Cristo e Cristo stesso nella sua Chiesa.
Si deve forse paragonare la carica del giudice col carcere della sua vittima, dal momento che quello raggiungeva eccessi di furore nell'alta sua carica, mentre questi, pur rinchiuso nel carcere, era pieno di gioia?
Un criminale è tormentato dal proprio rimorso più di chi soffre in orribili tenebre e nelle pene di un carcere e dell'inferno.
Ed anche a te qual danno mai ha potuto arrecare?
Anche se ha leso la tua reputazione, non ha tuttavia potuto distruggere la tua innocenza.
Sennonché anche la tua reputazione è intatta non solo presso quanti ti conoscono meglio di me ma anche presso di me che sono stato testimone della tua sollecitudine unita alla mia, diretta a scongiurare quell'orrendo delitto; sollecitudine mostrata con tanto affetto, che ho visto in certo qual modo coi miei occhi i sentimenti invisibili del tuo cuore.
Tutto il male che ha fatto quello scellerato lo ha fatto a se stesso: ha inferto un colpo mortale alla propria anima, alla propria vita, alla propria coscienza; infine con la sua bestiale crudeltà ha rovinato la sua stessa fama che, perfino i più perversi desiderano di avere buona.
Più si è sforzato e si è rallegrato di piacere ai malvagi, più si è reso odioso a tutti i buoni.
La prova più lampante che quell'assassino non avesse alcuna necessità di commettere un crimine si atroce, come egli ha fatto finta d'averla per sembrare con quel pretesto d'essere un gentiluomo, è il fatto ch'egli non riuscì gradito nemmeno a colui del quale osò accampare gli ordini per giustificarsi.
Il santo diacono Quinziano ch'era stato assegnato come compagno del vescovo da noi inviato ( presso la Corte imperiale ) a intercedere per i due fratelli, potrebbe riferire all'Eccellenza tua come ai giudici imperiali parve opportuno di non concedere loro neppure il perdono per non esser tacciati di convivenza in un delitto, ma solo un pro-memoria con l'ordine di non dar loro alcuna molestia e di lasciarli andar liberi.
Marino quindi ha procurato alla Chiesa senza necessità un dolore atroce anche se vi fu spinto da altri motivi che io suppongo, ma che non è bene esporre in una lettera.
Eppure nel seno della Chiesa s'era rifugiato suo fratello allorché temeva per la sua vita; solo così poté ritrovarlo vivo e chiamarlo come consigliere di si atroce delitto.
Ed egli stesso, allorché era incorso nell'odio del suo patrono aveva chiesto il rifugio inviolabile della stessa Chiesa e non poté esser negato neppure a lui.
Se gli vuoi bene, detesta il suo operato; se non vuoi che sia punito in eterno, inorridisci del suo delitto.
Solo così renderai servizio alla tua fama e alla sua vita, poiché se uno ama in lui ciò che Dio ha in odio, non solo odia lui, ma anche se stesso.
Stando così le cose, io non credo che tu sia l'autore o il complice d'un delitto si barbaro né che tu m'abbia ingannato con maliziosa crudeltà.
Dio tenga lontana dalla tua vita e dalla tua condotta una simile sciagura.
Non voglio però neppure che la vostra amicizia sia tale per cui quello possa trar vanto del suo delitto per la propria perdizione e vengano confermati i sospetti della gente, ma al contrario sia tale che lo spinga a un pentimento si vivo quale è richiesto come ( efficace ) medicina per le orrende ferite da lui inferte.
Tu infatti sarai tanto più amico di lui, quanto più sarai nemico dei suoi misfatti.
Sarei curioso di sapere nella risposta dell'Eccellenza tua ove ti trovavi il giorno del delitto, come venisti a saperlo, che cosa hai fatto in seguito, che cosa hai detto a quell'assassino appena lo hai visto e che cosa t'ha risposto poiché, dopo la mia precipitosa partenza da Cartagine il giorno successivo, non ho saputo da te più nulla di ciò che riguarda questa faccenda.
Mi dici nella tua lettera che sei costretto a credere che io non mi rechi a Cartagine per non vederti; sei tu piuttosto a costringermi con queste parole a spiegarti i motivi della mia assenza.
Uno di essi è che non posso più sopportare la fatica che sarei obbligato a sopportare in quella città e che, se volessi spiegarla, bisognerebbe che allungassi di altrettanto questa lettera, poiché alla debolezza della mia complessione, nota a quanti mi conoscono un po' intimamente, s'è aggiunta pure l'età, malattia, questa, comune a tutti gli uomini.
Un altro motivo è che ho deciso, se Dio me ne concederà la grazia, d'impiegare interamente a coltivare gli studi relativi alle scienze ecclesiastiche tutto il resto del tempo libero dalle occupazioni richieste dal governo della diocesi, alla quale sono consacrato per obbligo personale.
Con questi miei studi penso - se piacerà alla divina misericordia, - di poter giovare un po' anche ai posteri.
Se vuoi proprio che ti dica tutta la verità, c'è, una gola cosa che sopporto a malincuore ed è che, pur avendo tu un'età già avanzata e pur menando una vita onesta, vuoi rimanere ancora catecumeno, come se i cristiani battezzati non fossero capaci d'amministrare la cosa pubblica tanto più fedelmente e tanto meglio quanto più fedeli e migliori essi sono.
Quale scopo vi proponete di raggiungere fra tante preoccupazioni e fatiche se non il bene dei cittadini?
Se infatti non miraste a questo scopo, sarebbe meglio dormire notte e giorno anziché vegliare nelle fatiche imposte dallo Stato, se queste non dovessero recare alcuna utilità ai cittadini.
Non dubito affatto che l'Eccellenza tua… ( la lettera finisce qui in tronco ).
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