Lettere |
Scritta forse nello stesso tempo.
Il papa Innocenzo ai Padri del concilio di Cartagine: li loda d'averlo consultato su questioni controverse ( n. 1-2 ); ne conferma la dottrina e la sentenza contro l'eresia pelagiana, cancrena della Chiesa, poiché avversa la grazia e ripone la salvezza nel libero arbitrio che causò, la caduta del genere umano ( n. 3-7 ).
La Chiesa deve scomunicare cotesti eretici, pronta però a riaccoglierli nel suo seno se emendati ( n. 8-9 ).
Innocenzo ad Aurelio e a tutti gli altri santi Vescovi suoi dilettissimi fratelli che parteciparono al Concilio di Cartagine, salute nel Signore
Nel cercare la soluzione di questioni teologiche che devono essere trattate con ogni sollecitudine dai vescovi e soprattutto da un concilio autentico, legittimo e cattolico, vi siete attenuti agli esempi dell'antica tradizione e alla disciplina ecclesiastica.
In tal modo voi avete rafforzato realmente il vigore della nostra religione prima col formulare i vostri decreti non meno di adesso col chiedere il nostro parere, poiché avete riconosciuto doveroso sottoporli al nostro giudizio, ben sapendo che cosa è dovuto alla Sede Apostolica, nella quale tutti noi, che ( successivamente ) la occupiamo, desideriamo seguire lo stesso Apostolo, dal quale deriva l'episcopato stesso e tutta l'autorità dei vescovi.
Seguendo lui, noi sappiamo non solo condannare il male ma anche approvare il bene, come ( approviamo ) appunto il fatto che, osservandole nel vostro ufficio episcopale, voi non pensate che siano da calpestare le regole stabilite dai nostri antenati per volere non umano ma divino.
Alla stregua di tali regole tutte le questioni trattate nelle diverse regioni per quanto si voglia distanti e remote non si dovevano considerare definite prima che fossero sottoposte all'esame di questa Sede, affinché fosse convalidato dalla sua autorità ogni decreto anche giustamente promulgato e affinché dalla stessa Apostolica Sede tutte le altre Chiese particolari ( in modo che, per così dire tutte le acque sgorgassero dalla loro sorgente nativa cioè le acque della pura sorgente si spandessero incorrotte attraverso le diverse regioni del mondo intero ) attingessero le norme con cui stabilire che cosa comandare, quali persone correggere, quali invece dovesse evitare l'acqua riservata ai corpi puri come se fossero lorde di fango che non si può nettare.
Vi ringrazio quindi, fratelli carissimi, d'avermi fatto recapitare la vostra lettera per le mani di Giulio, nostro fratello e collega d'episcopato.
Voi infatti, oltre a prendervi cura delle Chiese cui siete preposti, mostrate la vostra sollecitudine per il bene di tutti i fedeli chiedendoci di decidere per tutte le Chiese di tutta la terra ciò che giovi a tutte quante affinché la Chiesa, consolidata nelle sue proprie norme e rinvigorita anche da questo decreto emanato per giusta decisione, stia in guardia dagli eretici e non possa cadere sotto il dominio d'individui i quali, armati contro la fede, o meglio contro se stessi, delle loro perverse sottigliezze, discutendo sotto la maschera, della fede cattolica, come se esalassero un veleno mortifero, cercano di distruggere tutta la dottrina della fede cristiana al fine di traviare e corrompere le menti di quanti pensano rettamente.
Bisogna dunque correre subito ai ripari perché il male esecrando non s'infiltri più a lungo negli animi; faremo così come il medico il quale, quando s'accorge che il nostro corpo terreno è afflitto da qualche malattia, considera come una grande prova della propria arte qualora un malato, dato per spacciato, torni sano col soccorso dell'opera propria; se, invece vede una ferita che va in cancrena, impiega fasciature e ogni altro rimedio con cui possa rimarginarsi: ma se la ferita, rimanendo sempre allo stesso stato, non potrà esser guarita, il medico amputa col ferro la parte nociva perché non corrompa col marciume il resto del corpo e questo rimanga integro e intatto.
Si deve asportare il male che al pari d'un bubbone s'è infiltrato di soppiatto nel corpo interamente sano e puro ( della Chiesa ) per evitare che, venendo estirpato troppo tardi, l'infezione di esso penetri poi fin quasi nelle viscere in modo che non sia più possibile eliminarlo.
Che cosa potremmo ormai attenderci, che sia conforme alla fede, da costoro i quali credono che sia dovuto a loro stessi il fatto d'esser buoni senza riconoscerlo dono di Colui, dal quale ricevono ogni giorno la grazia?
Tali individui d'altronde si mettono ormai da se stessi fuori della grazia di Dio, convinti di poter conseguire senza il suo aiuto quel che a stento meritano d'ottenere quelli che lo chiedono a lui.
Che vi può essere infatti di più iniquo, di più pagano, di più ignaro di tutta la religione, di più funesto per le anime, cristiane, che rifiutare d'attribuire il merito dei progressi fatti ogni giorno nella grazia a Colui al quale ci si confessa d'essere debitori della vita?
Sarai dunque più capace di procurare il tuo bene tu che non Colui il quale ha fatto sì che tu esistessi?
Se tu inoltre credi d'essergli debitore del fatto che vivi, come mai non credi d'essergli debitore del fatto che vivi in tale maniera con l'ottenere la sua grazia quotidiana?
E mentre tu neghi che abbiamo bisogno dell'aiuto divino, come se noi fossimo pienamente perfetti in virtù delle nostre capacità, come mai invochiamo il suo aiuto su di noi, dal momento che possiamo esser tali da noi stessi?
A chi nega la necessità dell'aiuto di Dio vorrei chiedere se siamo noi a non meritarcelo oppure è Iddio a non potercelo accordare.
Forse che non c'è nulla che ci obblighi a domandarglielo?
Ora, le stesse opere di Dio attestano ch'egli può accordarlo e noi non possiamo negare d'aver bisogno del suo aiuto quotidiano.
In realtà o noi attiriamo il suo aiuto su di noi con la nostra vita santa per vivere ancor più santamente oppure, se ci allontaniamo dal bene avendo idee perverse, ne abbiamo ancor più bisogno per tornare sulla retta via.
Che cosa infatti pare tanto micidiale, tanto idoneo a farci precipitare nel male ed esporci a tutti i pericoli se, convinti che ci basta soltanto d'aver avuto il libero arbitrio nella nascita, noi non domandassimo più nulla al Signore, se dimentichi cioè del nostro Creatore rifiutassimo di riconoscere la sua potenza per far mostra della nostra libertà, come se Dio, che nella nostra nascita ci ha dotati del libero, arbitrio, non avesse ormai più nulla da dirci?
In tal modo noi daremmo prova d'ignorare che, se non scende in noi la grazia di Dio implorata con ferventi preghiere, invano ci sforzeremo di vincere i falli derivanti dalla sozzura terrena e dal corpo mondano dal momento che a resistere ci fa capaci non il libero arbitrio ma solo l'aiuto di Dio.
Se infatti proclama d'aver bisogno dell'aiuto di Dio colui che a buon diritto non lo chiederebbe qualora gli fosse di maggiore utilità il libero arbitrio - dato che quel santo e già eletto dal Signore ( Sal 89,20; 1 Sam 13,9.14 ) non aveva bisogno di nulla e tuttavia rivolge a Dio la sua preghiera implorando: Sii tu colui che m'aiuta; non abbandonarmi e non allontanare da me il tuo sguardo, o Dio, mio Salvatore ( Sal 27,9 ) -, come mai noi invochiamo per noi il libero arbitrio, mentre egli implora l'aiuto di Dio?
Noi diciamo che ci basta la natura umana, egli invece scongiura Dio che non lo abbandoni?
Ma come non riconosciamo chiaramente che cosa dobbiamo chiedere nelle nostre preghiere, mentre Davide, il quale era, come abbiamo già detto, un sì gran santo, scongiura Dio di non allontanare da lui il suo sguardo?
Orbene, gli eretici che affermano l'inutilità della grazia, devono necessariamente biasimare le preghiere del Salmista.
Davide infatti dovrebbe essere accusato di non sapere come si debba pregare e perfino di non conoscere la propria natura poiché, anche ammesso che sapesse che la natura ha in se stessa la capacità di fare il bene, come mai si prostra davanti a Dio in preghiera e lo scongiura non solo d'aiutarlo ma d'aiutarlo continuamente e non gli basta d'invocarne l'aiuto incessante ma gli chiede che non volga altrove il suo sguardo lontano da lui e in tutto il Salterio esalta e invoca l'aiuto di Dio?
Se dunque un si gran personaggio ha riconosciuto non solo ch'è necessario implorare continuamente l'aiuto di Dio ma ha voluto insegnarci a chiederlo anche per noi, come mai Pelagio e Celestio, mettendo da parte l'argomento contrario dei Salmi e rigettando l'insegnamento in essi contenuto, sperano di convincere qualche fedele che noi non dobbiamo né cercare l'aiuto di Dio né che ne abbiamo bisogno, mentre tutti i santi attestano che non possono far nulla senza di esso?
Il primo uomo, dopo aver provato con suo danno ciò che può il libero arbitrio, abusando dei beni ricevuti da Dio, cadde e sprofondò nell'abisso della prevaricazione senza trovare alcun mezzo per rialzarsi e sarebbe rimasto eternamente schiacciato sotto il peso dei rottami di quella libertà da cui era stato ingannato, se in seguito non lo avesse rialzato la venuta di Cristo in virtù della sua grazia.
Egli purificando l'uomo nella rigenerazione ad una vita nuova, con l'acqua del battesimo non solo cancellò ogni peccato trascorso e, rendendo salda la sua condizione affinché procedesse più rettamente e più costantemente nella via del, bene, non gli negò tuttavia la grazia per l'avvenire.
Sebbene infatti egli avesse redento l'uomo dai suoi peccati derivanti dalla sua origine, tuttavia, sapendo che poteva ancora peccare, si riservò motti mezzi per poterlo rialzare dai peccati che avrebbe commessi in seguito e ricondurlo sulla retta via.
Egli ci offre ogni giorno dei rimedi; se noi non riporremo in essi intera la nostra fiducia, non potremo affatto, pur con tutti i nostri sforzi, vincere gli umani difetti.
Succede inevitabilmente che noi col soccorso della grazia riusciamo vincitori, mentre senza di esso noi rimaniamo vinti.
Ora, io potrei dire ancora di più, se non risultasse che voi avete detto tutto sull'argomento.
Chiunque pertanto sembra condividere l'opinione dei suddetti eretici, secondo la quale noi non avremmo bisogno dell'aiuto di Dio, si dichiara nemico della fede cattolica e ingrato verso i benefici di Dio.
Persone di tal fatta non sono neppure degne della nostra comunione, da loro macchiata con una dottrina siffatta.
Ecco la ragione: mentre esse nella loro vita si attengono spontaneamente alle proprie tesi, si sono allontanate di molto dalla vera religione.
Dal momento che tutta l'essenza della nostra fede consiste in ciò e inoltre nelle preghiere quotidiane non facciamo altro se non impetrare la divina misericordia, come potremmo sopportare chi va blaterando e spargendo simili errori?
Qual razza d'errore si enorme - mi domando io - acceca la mente di tali individui che, per il fatto che essi non hanno sensazione d'alcuna grazia di Dio, poiché non ne sono degni ovvero non la meritano, non considerano qual beneficio concede a ciascun altro la grazia di Dio?
Costoro sono certo pienamente meritevoli d'essere totalmente ciechi dal momento che si sono tolta da se stessi perfino la possibilità di credere di poter essere distolti dai loro errori mediante l'aiuto di Dio.
Sicuro: negando questo aiuto essi ne hanno privato non tanto gli altri quanto se stessi.
Costoro quindi devono essere attaccati e allontanati dal seno della Chiesa per evitare che l'errore, penetrando in molti cervelli, aumenti ancora e divenga inguaribile.
Ora, se rimarranno a lungo impuniti, essi indurranno senz'altro molti altri nella loro erronea opinione e trarranno in inganno le anime semplici o, meglio, imprudenti ancora attaccate alla fede cattolica poiché, vedendoli ancora nel seno della Chiesa, crederanno che abbiano idee conformi alla retta fede.
Venga dunque asportata dal corpo sano la piaga malsana affinché allontanata l'esalazione contagiosa del terribile morbo, le parti ancora illese perdurino più riparate dal pericolo e il gregge si conservi più puro dopo essere stato purgato dal contagio di un morbo siffatto.
Tutto il corpo della Chiesa conservi illibata la purezza della sua dottrina che voi avete seguita e mantenete come noi abbiamo conosciuto dal vostro decreto proclamato contro gli eretici e che anche noi approviamo e manteniamo con voi.
Se però essi invocheranno su di sé l'aiuto di Dio, che finora hanno negato, e riconosceranno d'averne bisogno al fine di purgarsi dal funesto errore in cui erano precipitati per la perversità della loro mente, vengano assolti dalla scomunica come se fossero fatti uscire alla luce dalle tenebre più nefaste; prima però allontanino e respingano da sé tutte le idee false dalle quali lo sguardo della loro mente era completamente offuscato e oscurato perché non vedessero la verità; condanniamo inoltre tutti gli errori da essi finora sostenuti e siano disposti una buona volta a sentire retti ragionamenti dopo essersi emendati, per quanto è possibile, della suddetta eresia e si abbandonino volentieri e si sottomettano ai consigli della verità per guarire dai loro errori.
Se agiranno così, sarà possibile ai vescovi prestar loro il proprio aiuto e curar tali piaghe coi rimedi che la Chiesa non suole mai rifiutare, allorché si ravvedono, a quanti sono caduti nell'eresia.
In tal modo, tirati fuori dai loro precipizi, saranno ricondotti all'ovile del Signore. ( Gv 10,16 )
Fuori di esso, privi di una sicurezza e d'una difesa così potente, rimarrebbero esposti a tutti i pericoli, a tutti i morsi laceranti dei lupi, ai quali non potrebbero resistere con l'erronea dottrina con cui avevano solo potuto aizzarli contro se stessi.
Le vostre deliberazioni e le numerose citazioni della nostra S. Scrittura sono la prova che è stata data una risposta sufficiente agli eretici e siamo del parere che non dobbiamo aggiungere altro poiché siamo sicuri che voi, né per causa di qualche svista né a bella posta, non avete tralasciato nulla di ciò con cui i novatori sono costretti a riconoscere d'essere stati confutati e dimostrati colpevoli.
Ecco perché noi non aggiungiamo alcun'altra citazione [ della S. Scrittura ], poiché il vostro rapporto n'è pieno ed è evidente che tanti dotti vescovi hanno detto tutto quello che si poteva dire, come pure non dovete avere alcun dubbio d'aver tralasciato qualcosa che potesse giovare alla causa da voi difesa.
( E d'altra mano ): State bene, fratelli.
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