Lettere |
Promemoria. Agostino saluta nel Signore i fratelli Alipio e Pellegrino
Il sei di marzo a Mazaco in Numidia ci fu il concilio dei vescovi della Numidia, al quale io non potei intervenire sia a causa di altre faccende, sia a causa del freddo che la Santità vostra sa che io sopporto assai difficilmente.
Ora, nel concilio si levarono tante lamentele per la penuria di chierici a causa della legge - che li obbliga a restituirli agli obblighi civili propri della loro condizione sociale -, che i fratelli convenuti al concilio si videro costretti a inviare dei messi alla corte imperiale.
Uno di essi, Pietro, nostro fratello e collega di episcopato, si disponeva a mettersi in mare partendo dal nostro porto, mi chiese di scrivere alla Carità vostra; se vi trova nella condizione che possiate, per la misericordia di Dio, aiutare in qualche modo questa faccenda - che dev'essere oggetto di particolare attenzione - il Signore li avrà assistiti non poco nei loro sforzi.
Quando infatti noi tutti riflettiamo [ su questa penuria di chierici ], ciò che ci angustia di più è che, quando si adoravano gl'idoli, non mancò abbondanza di uomini, che godevano di varie immunità, con i quali completare il numero dei servi di quei culti empi e moltiplicarli fino al superfluo.
Noi invece ci troviamo nelle strette di sì grandi difficoltà che non si trova, o a stento si trova, una categoria d'uomini da cui avere la possibilità di ordinare dei chierici, soprattutto nelle città ove ci sono sia delle persone di rango curiale sia dei cittadini comuni che presso di noi - come sanno le Santità vostre - non li si può distinguere dai membri dei collegi, quando invece si potrebbe provvedere a tutte le necessità fissando quanti uomini tra tutti i componenti una comunità sia permesso ordinare.
Al fatto da cui poi dipenda l'indebolirsi degli ordini ai nostri giorni non si riflette abbastanza: la causa sta evidentemente nel fatto che mancano dei " difensori " che in qualche modo li proteggano dalla malvagità dei potenti che li calpestano, e che siano capaci di fare rispettare le leggi promulgate in loro favore contro coloro che li disprezzano, , ripeto, sostenuti da una posizione sociale conveniente ed eletti dai propri concittadini presso i quali godano d'una buona reputazione, di modo che in loro si trovi onestà e autorità.
Quando questi mancano alle città o ai territori appartenenti alle suddette città, invano noi ci affliggiamo per gli sventurati ai quali non possiamo venire in aiuto.
In realtà noi siamo disprezzati dai disonesti poiché sanno che noi, legati come siamo dalla nostra professione ecclesiastica, non possiamo fare nulla per cui possano correre pericolo o venire puniti.
Se infatti vogliamo respingere la loro prepotenza usando il potere della Chiesa, si lamenteranno di noi presso le autorità da cui dipendono, con il pretesto che noi ostacoliamo le necessità [ finanziarie ] dello Stato e facilmente sono creduti e senza pericolo dicono tutto ciò che vogliono sapendo bene che in un processo, nemmeno per la nostra difesa, ci è permesso di svelare le loro azioni a coloro che possono venirne a conoscenza e punirli.
Se d'altra parte noi, di nostra iniziativa, eleviamo lagnanze contro di loro, appariremo come se avessimo preso la parte di accusatori.
Così avviene che noi, solo alla meglio, possiamo soccorrere e difendere pochissimi di quelli che cercano rifugio in chiesa; al contrario, tutti gli altri, di gran lunga più numerosi, che sono trovati di fuori, vengono spogliati essi stessi e vengono saccheggiati i loro beni mentre noi siamo addolorati e non siamo in grado di soccorrerli.
Ecco perché i nostri fedeli d'Ippona vogliono avere - e io più di tutti - un " difensore ", ma non sappiamo se possiamo ottenere un funzionario; se è possibile tutti noi vogliamo nostro figlio Ursus, genero di Glicerio; se, [ il difensore ] può essere solo una persona privata, pensiamo che possa ricoprire questa carica uno dei nostri figli, sia Eusebio che Eleusino, ancorché anche tra i curiali della città si possano trovare persone adatte per la loro specchiata condotta e sagacia, qualora si accordasse loro un grado sociale grazie al quale avessero una sufficiente autorità.
Ho scritto ciò alla Venerazione vostra affinché, se il Signore ve ne darà la possibilità, non vi rincresca di perorare anche questa causa.
Oltre a ciò Onorio, vescovo della provincia [ ecclesiastica ] di Cesarea, a te, fratello Alipio, ben noto, dopo la morte del nostro fratello Deuterio di santa memoria, con grande scandalo della Chiesa è reclamato dagli abitanti di Cesarea per essere stabilito come vescovo.
Alcuni religiosi scrissero a noi per mostrarci quanto male ne deriverebbe, se la cosa si effettuasse.
Nel frattempo, in quella città s'erano adunati dei vescovi per sbrigare quella faccenda, affinché il popolo eleggesse colui che desiderassero fosse ordinato ma, per le gravi violenze d'una folla rissosa, furono costretti a insediarvi Onorio come vicegerente del vescovo locale finché non fosse consultata la Sede Apostolica e il vescovo della Chiesa Cartaginese, affinché l'ordinazione venisse compiuta qualora le due suddette autorità l'avessero voluta; ma non potranno volerla in alcun modo contro il Concilio di Nicea e altri concili di vescovi.
Nel frattempo scrivemmo ai vescovi [ della provincia Cesariense ] che non avevamo inviato loro la risposta data dalla Sede Apostolica al nostro rapporto perché ancora non vi è stato stabilito il vescovo metropolitano e in questa occasione cercammo, per quanto potevamo, d'indurli ad astenersi dal fare, a proposito d'Onorio, quanto reclama una folla tumultuante.
Alla nostra lettera rispose in verità un piccolo numero di vescovi, ma in modo assai positivo.
In effetti ci giunse la risposta di quindici vescovi, sebbene portasse la firma di uno solo, ma all'inizio porta anche il nome del primate che però noi sapevamo essere assente; i vescovi avevano ritenuto tuttavia doveroso aggiungere il suo nome poiché egli aveva scritto che alcuni di loro si radunassero nella città di Castello affinché redigessero una pronta risposta alla nostra lettera.
Essi scrissero anche al suddetto vescovo Onorio perché o abbandonasse Cesarea o altrimenti i chierici non sarebbero rimasti in comunione con lui ed egli sapesse che non si doveva rimanere in comunione con lui; nello stesso tempo inviarono anche una lettera analoga ai fedeli, pur esortando i chierici a reclamare un vescovo tale da poter essere ordinato per loro senza contravvenire alla norma ecclesiastica.
Ma i fedeli e soprattutto i poveri, appena si cominciò a leggere la lettera, insorsero in una terribile rivolta.
Sebbene questi fatti fossero avvenuti in sua assenza - in effetti dopo aver ricevuto la nostra lettera egli se ne andò subito via di lì e venne da noi, ed era con noi ad Ippona allorché dettai queste righe, promettendomi di non fare nient'altro se non ciò che volessimo noi - Onorio tuttavia mi disse che non si sarebbe potuto staccare da loro, se non avesse giurato di tornare presso di loro qualora i Padri avessero dato ai loro delegati una risposta conforme alla loro volontà.
Riguardo però ai suoi intrighi non è necessario dire quanto se ne chiacchieri, poiché ciò forse non può essere provato.
Le Santità vostre riferiscano ciò al papa Bonifacio sebbene, con l'aiuto del Signore, non ci sia affatto da temere che in una faccenda di tal genere sia necessario usare dei raggiri con una persona siffatta.
I difensori di Onorio vogliono appoggiare la sua causa con gli esempi di trasgressione della disciplina [ ecclesiastica ] raccogliendoli da qualunque parte possono, dove nel passato simili fatti talora sono accaduti, come se siffatte trasgressioni dovessero essere moltiplicate a questo scopo e non fossero piuttosto da reprimere e non ci si dovesse premunire contro di esse perché non abbiano a ripetersi nell'avvenire, soprattutto quando nella Sede Apostolica è posta una persona in cui non c'è alcun intrigo.
E poiché si reclamano atti illeciti in rovina della disciplina ecclesiastica, quei difensori cercano anche di portare questo argomento - anzi fanno di esso come la chiave di volta della causa che difendono -, che cioè il detto Onorio era stato ordinato vescovo in una comunità dipendente dalla Chiesa di Cartenna.
Ma ciò avvenne in modo che il predecessore del nostro fratello Rustico, il quale allora governava quella Chiesa, approvò che quello avesse ancora lì la sua cattedra come vescovo, e ciò avvenne per volontà di colui che aveva il potere d'impedirlo.
Prima del suddetto Onorio aveva occupato quella cattedra suo padre e di lì era stato trasferito a Cesarea e al proprio posto aveva ordinato suo figlio.
Ecco perché [ i fautori di Onorio ] credono che ancora adesso sia loro permesso di fare ciò che fecero a proposito di suo padre e anche perché il vescovo Rustico ha reclamato che gli sia restituita la suddetta comunità ma, come tu sai, egli reclamava solo alcune e non la Chiesa madre su cui Onorio era stato stabilito vescovo.
Essi hanno infatti una lettera del fratello Rustico che si dice abbia indirizzato alle dette " parrocchie " per far sapere loro che d'ora in poi apparterrebbero alla diocesi di Cartenna, come se Onorio fosse stato confermato in una sede migliore.
Ma il fratello Rustico ci ha risposto ch'erano state diffuse false dicerie e afferma che la lettera in loro possesso non è sua.
Tuttavia, anche se la cosa fosse vera, bisognerebbe in ogni caso correggere piuttosto la volontà di Rustico, il quale desidera cambiare quanto è avvenuto sotto il suo predecessore, anziché permettere un atto che nessuno ignora essere illecito.
D'altra parte è stata scritta una lettera a nome dei fedeli di Cesarea - ma non sappiamo se l'hanno scritta proprio essi - al primate della provincia, poiché vorrebbero, per una faccenda di pubblico interesse, inviare il detto vescovo Onorio alla corte imperiale affinché con i suoi buoni uffici si possa provvedere alle loro necessità; gliela inviarono inoltre perché gli concedesse una lettera di raccomandazione aggiungendo che, qualora non l'avesse voluta concedere, l'avrebbero costretto ugualmente ad attraversare il mare anche senza la sua raccomandazione.
Ma il primate non la concesse e costui ci ha dichiarato che non voleva attraversare il mare per una faccenda d'interesse pubblico ma che desiderava ardentemente, in una faccenda d'interesse privato, rendere cioè le spese del processo a Felice o al vecchio chiamato Quieto, che ci aveva presentato in pubblico una denuncia scritta contro di lui.
Noi però facevamo in modo che, se fosse stato possibile, la vertenza venisse composta alla nostra presenza, a condizione tuttavia che Onorio inviasse ai fedeli di Cesarea - affinché scegliessero un vescovo - una lettera come volevamo fosse inviata da lui.
Io però sono assai preoccupato per coloro che di lì ci hanno inviato una lettera sul conto di lui, per paura che attraversi il mare e provochi azioni penali da parte della Corte imperiale contro di essi poiché, quando a Cesarea si venne a sapere ch'essi mi avevano scritto, una enorme folla rivoltosa si mise a gridare contro di loro dicendo che il vescovo li aveva dichiarati eretici e aveva redatto dei processi verbali nei loro riguardi; e siccome essi avevano voluto averne una copia ma egli non glie l'aveva data, sentirono dire che i processi li aveva portati via con lui; ma alle domande rivoltegli da noi ha risposto di non aver redatto alcun processo verbale.
Io sono tuttavia molto ansioso poiché quei fedeli nella loro lettera mi hanno chiesto di prendere a cuore questa faccenda per evitare che dei fedeli cattolici subiscano qualche azione penale.
Certo, i suoi fautori - come ce lo ha riferito lui stesso - gli hanno scritto ad Ippona che la lettera riguardante il dovere di allontanarlo dalla Chiesa di Cesarea, che porta i nomi di quindici vescovi e che ci è stata inviata di lì, è falsa.
A dire il vero anche noi siamo perplessi al riguardo, per il fatto che non vi si legge la firma del primate, il cui nome è posto all'inizio della lettera, in cui c'è una sola firma e non si capisce di chi sia.
È perciò assai difficile che possa concludersi qui la questione, che per l'animosità delle persone e la stessa necessità, è giocoforza venga conclusa piuttosto da una sentenza della Sede Apostolica.
A questo riguardo non ho alcuna preoccupazione, poiché non ho alcun dubbio sulla giustezza del verdetto che sarà eventualmente pronunciato da quella Sede.
Ma - come ho già detto - mi turba il pericolo di azioni penali [ che possano correre ] delle persone, il timore che dei cattolici possano [ essere presi ] per degli eretici e subire dei danni; il Signore nella sua misericordia voglia allontanare questo pericolo sia per opera della vostra Carità, sia specialmente per l'istanza e la più che legittima e misericordiosa vigilanza della stessa Sede Apostolica.
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