Il maestro interiore |
AG. - Ora vorrei che tu mi riassumessi ciò che abbiamo trovato con la conversazione.
AD. - Lo farò, per quanto mi è possibile.
Mi ricordo che, in primo luogo, abbiamo cercato per un po' la ragione per cui si parla e abbiamo trovato che lo si fa per insegnare o per far ricordare, poiché anche quando interroghiamo non perseguiamo altro scopo che quello di insegnare, a colui che interroghiamo, ciò che vogliamo udire.
Poi abbiamo trovato che il cantare, che pare che facciamo per diletto, non appartiene in senso proprio al discorso.
Infine abbiamo trovato che, quando preghiamo Dio, che non possiamo pensare che impari o si ricordi di qualche cosa, le parole rispondono alla funzione o di ammonire noi stessi o di far sì che altri ricordino o imparino qualche cosa per mezzo nostro.
Poi, dopo aver bene accertato che le parole sono segni e che non può essere segno ciò che non significa qualche cosa, tu mi hai proposto un verso perché io tentassi di mostrare cosa significhino le singole parole.
Il verso era: Si nihil ex tanta superis placet urbe relinqui.
Ora, di tale verso non riusciamo a trovare cosa significasse la seconda parola ( nihil ), sebbene fosse ben nota e chiara.
Giacché però mi pareva che non la inserissimo inutilmente nel parlare, ma in quanto con essa insegniamo qualche cosa all'ascoltatore, tu hai risposto che con questa parola forse si indica la disposizione dello spirito che cerca una cosa e che trova o ritiene di aver trovato che non esiste.
Ma poi, evitando con una battuta non so qual profonda questione, ne hai rimandato il chiarimento a un'altra circostanza; non credere comunque che io mi sia dimenticato dell'impegno che hai preso.
Quindi, essendo intento a spiegare la terza parola ( ex ) del verso, mi sollecitavi a mostrarti la cosa stessa significata dalla parola anziché un'altra parola del medesimo significato.
Avendo io detto che ciò era impossibile conversando, siamo venuti a parlare di quelle cose che si mostrano con il dito agli interlocutori.
Ritenevo che tali fossero tutti gli oggetti corporei, invece abbiamo trovato che lo sono soltanto gli oggetti visibili.
Quindi, non so come, siamo venuti a parlare dei sordi e dei mimi, i quali significano con i gesti, senza la voce, non solo gli oggetti che si possono vedere, ma molti altri e quasi tutto ciò che esprimiamo con le parole.
Ma abbiamo scoperto che anche i gesti sono segni.
Allora abbiamo ricominciato a cercare in che modo possiamo mostrare senza alcun segno le cose stesse che sono significate dai segni, dal momento che non si può negare che quella parete, il colore e ogni oggetto visibile che viene mostrata tendendo il dito, sono mostrati con un segno.
A questo punto, siccome dicevo sbagliando che era impossibile trovare qualche cosa di simile, ci siamo travati d'accordo nel sostenere che possiamo mostrare senza segni gli atti che non compiamo nel momento in cui ce li chiedono e che possiamo compiere dopo.
Il linguaggio però non appartiene a questo genere di cose, perché è apparso abbastanza chiaramente che, se qualcuno ci chiede cosa sia il parlare mentre stiamo parlando, è facile mostrarglielo mediante l'atto stesso.
Abbiamo così imparato che si mostrano segni con segni o, sempre con segni, cose che segni non sono, oppure, senza segno, cose che possiamo compiere dopo che ne siamo stati richiesti.
Di questi tre casi abbiamo cominciato a esaminare e discutere in modo più approfondito il primo.
Dalla discussione è risultato chiaro quanto segue: che ci sono alcuni segni che non possono essere a loro volta significati dai segni che essi significano, come è il caso del quadrisillabo "congiunzione"; che ce ne sono altri che possono esserlo, come nel caso in cui diciamo "segno" e significhiamo anche parola e diciamo "parola" e significhiamo anche segno, perché "segno" e "parola" sono tanto due segni quanto due parole.
É risultato manifesto anche che, in questa categoria in cui i segni si significano a vicenda, alcuni hanno un valore semantico non equivalente, altri sì e altri ancora hanno identico valore semantico.
Infatti il bisillabo che proferiamo dicendo "segno" significa senz'altro tutto ciò con cui una cosa è significata, invece il trisillabo che proferiamo dicendo "parola" non è un segno di tutti i segni, ma soltanto di quelli che si proferiscono mediante la voce articolata.
Da ciò appare chiaro che, quantunque la parola sia significata dal segno e il segno dalla parola, cioè il trisillabo sia significato dal bisillabo e viceversa, tuttavia il segno ha un valore semantico più esteso della parola, poiché le sue due sillabe significano più cose delle tre sillabe di "parola".
Hanno invece un valore semantico equivalente la parola in senso generale e il nome in senso generale.
Il ragionamento infatti ci ha insegnato che tutte le parti del discorso sono nomi perché ad essi si possono associare i pronomi, inoltre che di tutte le parti del discorso si può dire che denominino qualche cosa e nessuna è tale che, con l'aggiunta di un verbo, non possa dar luogo a un enunciato completo.
Ma, benché il nome e la parola abbiano un valore semantico equivalente, perché tutti i segni che sono parole sono anche nomi, non per questo tuttavia hanno un identico valore semantico.
In modo abbastanza probabile abbiamo messo in luce che sono diverse le ragioni per cui sono chiamati parole e nomi; appunto abbiamo trovato che il primo termine ( verbum ) si riferisce alla percussione ( verberatio) dell'orecchio e il secondo ( nomen ) al richiamo del ricordo (commemoratio ) nell'animo.
Lo si può comprendere peraltro dal fatto che, nel parlare molto correttamente diciamo: "Qual è il nome di questa cosa?" quando vogliamo affidarla alla memoria, e invece non abbiamo l'abitudine di dire: "Quale è la parola di questa cosa?".
Infine, fra i segni che hanno non solo un valore semantico equivalente, ma anche identico e che differiscono tra loro soltanto per il suono delle lettere, abbiamo trovato nome e ( ónoma ).
In verità mi era sfuggito che, nella categoria dei segni che si significano a vicenda, non ne abbiamo trovato nessuno che, tra le altre cose, significhi anche se stesso.
Questo è quanto ho potuto ricordare.
Tu, che in questa conversazione, penso, non hai detto nulla che non sapessi e di cui non fossi certo, ormai potrai vedere se ho riferito bene e in modo ordinato.
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