Soliloqui |
RAGIONE - Dio, a cui ci siamo affidati, senza dubbio ci verrà in aiuto e ci libererà da queste angustie, purché crediamo e lo preghiamo con massima devozione.
AGOSTINO - In nessun caso lo farei più volentieri che a questo punto; infatti non ho mai provato un'oscurità così profonda.
Dio, Padre nostro, che ci inviti a pregare; che ci accordi ciò che ti domandiamo; poiché quando ti preghiamo, viviamo meglio e diventiamo migliori, esaudiscimi nell'affanno di queste tenebre e tendimi la tua destra.
Precedimi con la tua luce, richiamami dagli errori; sotto la tua guida, io possa rientrare in me e in te.
Amen.
RAGIONE - Sta dunque attento quanto puoi e prestami la più vigile attenzione.
AGOSTINO - Dimmi ti prego se un qualche cosa ti è stato suggerito, per non smarrirci del tutto.
RAGIONE - Sta attento.
AGOSTINO - Vedi ben che non sto facendo null'altro.
RAGIONE - Anzitutto: che cos'è il falso? Studiamolo ancora a fondo.
AGOSTINO - Mi stupirei se il falso non fosse quanto è diverso da come si manifesta.
RAGIONE - Attenzione piuttosto. Interroghiamo anzitutto i sensi.
Quello che gli occhi vedono, non è certamente detto falso, se non ha una qualche somiglianza di vero.
Ad esempio: un uomo che vediamo in sogno, non è evidentemente un vero uomo, ma è falso, proprio perché ha un'apparenza di vero.
Infatti chi vede nel sogno un cane e dice di avere sognato un uomo?
Dunque anche quello è un cane falso, per il fatto di essere simile ad un cane vero.
AGOSTINO - È proprio come dici.
RAGIONE - E se uno, quando è sveglio, vede un cavallo e crede di aver visto un uomo, non si inganna forse perché gli si è manifestato un qualcosa che aveva una somiglianza di uomo?
Infatti se non gli apparisse nient'altro che una figura di cavallo, non potrebbe certo pensare di vedere un uomo.
AGOSTINO - Accetto pienamente.
RAGIONE - Parimenti diciamo falso l'albero che vediamo dipinto, falso il volto che viene riflesso dallo specchio, falso il movimento che sembrano fare le torri agli occhi dei naviganti, falso lo spezzarsi del remo nell'acqua: tutto questo diciamo non per altra ragione, se non perché tali fenomeni sono simili al vero
AGOSTINO - Ne convengo.
RAGIONE - Ugualmente ci inganniamo ancora confondendo dei gemelli, delle uova, delle impronte fornite da un solo sigillo e molte altre simili realtà.
AGOSTINO - Ti seguo bene e ti accordo tutto ciò.
RAGIONE - Dunque la somiglianza degli oggetti, che colpisce gli occhi, è l'origine dell'errore.
AGOSTINO - Non posso negarlo.
RAGIONE - Tutta questa materia ingarbugliata, si può dividere, se non vado errato, in due categorie: quella in cui si tratta di cose di uguale grado e quella in cui si tratta di cose di grado disuguale.
Le cose sono di uguale grado quando possiamo dire indifferentemente di questa o di quella, che l'una è simile all'altra: è il caso dei gemelli e delle impronte del sigillo.
Sono invece di grado disuguale quando affermiamo la somiglianza del meno perfetto con il più perfetto.
Come accade quando uno si guarda allo specchio: giustamente non dice di assomigliare all'immagine che vi vede riflessa ma piuttosto dice che è questa immagine a rassomigliargli.
Questa seconda categoria comprende sia le impressioni ricevute dall'anima e sia le manifestazioni stesse delle cose.
Le impressioni dell'anima o provengono dai sensi, come l'illusorio movimento della torre, oppure sono frutto del lavoro che essa stessa compie sui dati ricevuti dai sensi, come i sogni dei dormienti o fors'anche le allucinazioni dei pazzi.
Gli errori, che hanno la loro origine nelle cose stesse che vediamo, sono espressi e formati sia dalla natura e sia dagli esseri viventi.
La natura produce somiglianze di valore disuguale, sia attraverso gli esseri che cosa stessa crea e sia attraverso le risultanze che produce; il primo caso è quello dei bambini che nascono simili ai loro genitori; il secondo caso è quello degli specchi di ogni specie.
Gli specchi sono certo costruiti quasi tutti dagli uomini, ma non è l'uomo a fare le immagini che essi riflettono.
Quanto poi alle azioni tipiche degli esseri viventi, esse sono pitture e altre analoghe rappresentazioni.
In questa categoria si possono includere anche quelle rappresentazioni che sono opera dei demoni, se tuttavia esse esistono veramente.
Riguardo poi alle ombre che fanno i corpi, non si è certo lontani dalla realtà se le si ritiene come simili ai corpi, anzi come dei falsi corpi; non si può infatti negare che esse rilevino dal giudizio degli occhi; riteniamo quindi giusto collocarle nella categoria delle rappresentazioni che produce la natura, mediante i riflessi che procura.
Infatti ogni corpo esposto alla luce la riflette e proietta l'ombra nella parte opposta.
Hai qualche obiezione da formulare?
AGOSTINO - Nulla di certo. Attendo però con impazienza di vedere dove miri con questo discorso.
RAGIONE - Al contrario bisogna attendere con pazienza finché tutti gli altri sensi non ci certifichino che il falso consiste in una somiglianza del vero.
Infatti anche nell'udito si verificano altrettanti casi di somiglianza: come accade quando udiamo la voce di una persona che noi non vediamo e crediamo che sia un'altra persona con un simile timbro di voce.
Fra le somiglianze di valore disuguale, possiamo citare come esempio l'eco, o persino il ronzio delle orecchie, o ancora negli orologi l'imitazione del fischio del merlo o del gracchiare del corvo, o infine le allucinazioni uditive delle persone che sognano e persino dei pazzi.
Per parte loro i musici parlano di suoni in falsetto, fenomeno che aiuta in maniera assai notevole a comprendere proprio questa verità, come ci sarà dato di vedere in seguito; basti per ora rilevare come questi suoni non differiscono, quanto a somiglianza, dalle note che essi chiamano giuste.
Segui bene l'assunto?
AGOSTINO - Con grandissimo interesse e non fatico minimamente a comprenderti.
RAGIONE - Dunque non indugiamo ulteriormente.
Ti sembra che si possa facilmente distinguere all'olfatto un giglio da un altro giglio; al gusto, il miele di timo di un alveare dal miele di timo di un altro alveare; al tatto la morbidezza delle piume del cigno dalla morbidezza delle piume di un'oca?
AGOSTINO - Non mi pare che si possano distinguere.
RAGIONE - E quando sogniamo di fiutare o gustare o toccare quelle cose, non ci inganna forse la somiglianza delle sensazioni, tanto più imperfetta quanto più irreale?
AGOSTINO - È vero.
RAGIONE - Dunque è evidente questa conclusione: nell'esercizio di tutti i nostri sensi ci capita di essere ingannati dalla seduzione di una rassomiglianza, sia che gli elementi siano di valore uguale e sia che siano di valore disuguale.
E anche quando non siamo tratti in inganno, perché sospendiamo l'assenso o riconosciamo la differenza, nondimeno chiamiamo false le cose che riconosciamo simili alle vere
AGOSTINO - Non posso dubitarne.
7.13
RAGIONE - Attento ora: ritorniamo sulle medesime idee, perché diventi più chiara la nostra dimostrazione.
AGOSTINO - Eccomi pronto, di quello che vuoi.
Ho deciso infatti una volta per tutte di sopportare questo lungo giro, né mi stancherò, tanta è la speranza di pervenire alla meta, alla quale, come avverto, stiamo tendendo.
RAGIONE - Bravo. Ma sta ben attento: quando vediamo delle uova del tutto simili, ti sembra che possiamo dire che qualcuna di esse è falsa?
AGOSTINO - Non lo credo affatto: tutte le uova se veramente sono uova, sono vere uova.
RAGIONE - Ma quando vediamo riflessa un'immagine allo specchio, da quali segni scopriamo che essa è illusoria?
AGOSTINO - Naturalmente perché non la si può toccare, non ha voce, non si muove da sé, non è viva e per altre innumerevoli particolarità che sarebbe lungo enumerare.
RAGIONE - Vedo che non vuoi trattenerti a lungo su queste cose e bisogna adattarsi un poco alla tua premura.
Non riprenderò dunque tutti gli esempi citati.
Solo dirò questo: facciamo l'ipotesi che quegli uomini che vediamo nel sonno possano vivere, parlare, essere toccati da chi è in stato di veglia e che non ci sia differenza alcuna tra essi e coloro che noi, svegli e sani di mente, vediamo e con cui parliamo: li chiameremo ancora falsi?
AGOSTINO - Come potremmo affermare questo a buon diritto?
RAGIONE - Supponiamo allora: se essi fossero veri per la sola ragione che appaiono del tutto verosimili e se non ci fosse la benché minima differenza tra loro e uomini che in realtà sono veri; se fossero falsi per la sola ragione che questa o quella differenza li manifesta come dissimili; allora la somiglianza non sarebbe madre della verità e la dissomiglianza madre della falsità?
AGOSTINO - Non ho nulla da controbattere e mi vergogno del mio temerario assenso di poco fa.
RAGIONE - Sei ridicolo, se te ne vergogni come se non avessimo scelto apposta proprio questo metodo: sono discorsi tra noi soli, che voglio chiamare e intitolare Soliloqui, parola certo nuova e forse dura, ma abbastanza idonea a rendere quanto vuol dire.
Non si può infatti cercare la verità con metodo migliore che per via di domanda e di risposta.
D'altra parte si trova raramente un interlocutore cui nella disputa pubblica non rincresce di essere confutato; cosicché quasi sempre accade che l'impuntatura con il suo immoderato clamore, rovini una discussione ben avviata, senza contare quell'esarcebazione delle anime, per lo più dissimulata, ma talora anche manifesta; invece tu, a mio giudizio, hai voluto molto pacatamente e a tutto tuo agio ricercare il vero, con l'aiuto di Dio, mediante le mie interrogazioni e le tue risposte.
Non devi dunque affatto temere di tornare indietro e di disimpegnarti, se ti sei imprudentemente compromesso.
Non ne puoi venire fuori in altra maniera.
8.15
AGOSTINO - Dici bene, ma non vedo chiaramente quale concessione sbagliata io mai abbia potuto fare, se non questa: che si può giustamente dire falso, ciò che ha una qualche somiglianza con il vero.
Però null'altro mi si presenta che meriti questa qualifica di falso.
E tuttavia sono anche costretto a riaffermare che le cose false sono così chiamate, proprio perché sono differenti dalle vere.
Donde deriva che è la dissomiglianza stessa ad essere causa della falsità.
Ecco perché sono turbato. Infatti non mi viene in mente nulla che sia originato da cause opposte.
RAGIONE - Ma se questo fosse un caso eccezionale in natura ed il solo che sia così?
Non sai forse che potresti passare in rassegna tutte le innumerevoli specie di animali, senza trovare un caso analogo a quello del coccodrillo che per mangiare muove la mascella superiore.
Non si possono d'altronde trovare cose totalmente simili che non abbiano sotto qualche aspetto una qualche differenza.
AGOSTINO - Vedo bene tutto ciò.
Quando però considero che ciò che chiamiamo falso offre contemporaneamente qualche rassomiglianza e qualche dissomiglianza rispetto al vero, non riesco più a distingure se è a causa dell'uno o a causa dell'altro che merita questo nome di falso.
Se affermerò che è a causa della dissomiglianza, non vi sarà più nulla che non possa essere chiamato falso poiché non c'è nulla che non differisca da quello che noi riconosciamo come vero.
Parimenti se affermerò che è la somiglianza a fare sì che si chiami falsa una cosa, non solo mi si rinfaccerà l'esempio delle uova, che sono vere appunto perché del tutto simili, ma anche non riuscirò a sfuggire a quanti mi vorranno constringere ad ammettere che tutto è falso perché ogni cosa - e non lo posso certo negare - ha qualche aspetto di rassomiglianza.
Ma supponi pure che io senza timore risponda a costoro che la somiglianza e la dissomiglianza contribuiscano entrambe a fare sì che una cosa possa essere chiamata falsa a buon diritto.
Quale via di scampo potrei mai avere?
Mi si forzerà senz'altro ad affermare che tutto è falso poiché tutte le cose, come ho appena detto, sono per un aspetto simili e per un altro dissimili.
Potrei anche dire che il falso è semplicemente quanto è altro da ciò che si manifesta, se non avessi paura di tutti quei mostri, che pensavo di avere infine evitato.
Un'inattesa vertigine mi risospinge infatti ad affermare che il vero è ciò che realmente è come appare; da ciò deriva che nulla può essere vero, senza che qualcuno lo riconosca tale.
Qui però debbo temere di far naufragio su scogli ben nascosti, che certo sono veri, anche se non conosciuti.
Ed infine se affermerò che il vero è ciò che è, si concluderà che non c'è più alcun posto per il falso, conclusione che a tutti ripugna.
Pertanto rinascono tutte le mie perplessità e non vedo come la mia pazienza nel sopportare tutte le tue soste, mi sia stato di grande giovamento nel condurmi più avanti.
RAGIONE - Fa attenzione piuttosto!
Infatti non potrò mai indurmi a credere che abbiamo invocato inutilmente l'aiuto di Dio.
Tentate tutte le soluzioni possibili, vedo bene che ce n'è rimasta una sola: a rigor di logica non si può dire falso se non ciò che finge di essere ciò che non è; oppure vuole assolutamente essere, mentre invece non è.
Nella prima specie di falsità sono inclusi tanto l'inganno che la finzione.
Si parla a buon diritto di inganno, allorché s'intravvede un desiderio d'ingannare; il che implica necessariamente un'anima e procede sia dalla ragione ( negli esseri ragionevoli, come l'uomo ) e sia dalla natura ( negli animali, come ad esempio la volpe ).
Chiamo invece finzione l'azione di coloro che producono simulazioni; costoro differiscono dagli ingannatori perché ogni ingannatore mira all'inganno mentre non necessariamente ogni simulatore vuole ingannare.
Così i mimi, le commedie, numerosi poemi sono pieni di finzioni, ispirate però dal desiderio di dilettare, piuttosto che da quello di ingannare.
D'altronde quasi tutti quelli che scherzano, ricorrono alla finzione.
Però a buon diritto chiamiamo ingannatore o impostore quelli, la cui azione mira a ingannare qualcuno.
Coloro invece che non agiscono per ingannare, eppure ricorrono a finzioni, senza esitazione sono da tutti chiamati operatori di finzioni, oppure, se questa parola è eccessiva, creatori di illusioni.
Hai qualche obiezione da farmi, a questo riguardo?
AGOSTINO - Continua, per favore; infatti solo ora forse hai cominciato ad insegnarmi sul falso una dottrina non falsa.
Però aspetto ancora che tu mi spieghi la categoria di cui hai detto: pretende di essere e invece non è.
RAGIONE - Ma perché aspetti? Questo caso è il medesimo, di cui abbiamo citato in precedenza molti esempi.
Forse non ti sembra che la tua figura riflessa nello specchio, voglia in qualche modo essere te stesso, mentre invece è falsa, proprio perché non è te?
AGOSTINO - È molto giusto.
RAGIONE - Tutte le pitture, tutte le immagini, tutte le creazioni artistiche non mirano forse ad essere somiglianze dell'originale?
AGOSTINO - Ne sono pienamente convinto.
RAGIONE - E le immagini che ingannano coloro che sognano o che sono pazzi, penso che ammetterai appartengano a questa categoria.
AGOSTINO - Vi rientrano senza dubbio più di ogni altra: infatti nessuna immagine tende maggiormente a confondersi con la realtà, così come la si vede da svegli ed in piena salute intellettuale; e se sono false è proprio perché non possono essere veramente ciò che pure pretendono di essere.
RAGIONE - E sul movimento delle torri, sul remo immerso nell'acqua, sulle ombre che fanno i corpi, che mai dovrei aggiungere?
È infatti evidente, a quanto mi pare, che debbano essere misurati alla stessa stregua.
AGOSTINO - È certamente evidente.
RAGIONE - Non parlo poi degli altri sensi; chiunque riflettendo un poco, riuscirà a capire che chiamiamo falso, nelle cose che colpiscono i nostri sensi, quanto pretende di essere quello che in verità non è.
10.18
AGOSTINO - Hai parlato perfettamente.
Mi stupisce però che tu abbia creduto opportuno distinguere da questa categoria i poemi, i giochi di prestigio e le altre finzioni.
RAGIONE - Perché una cosa è voler essere falso, un'altra cosa è non poter esser vero.
Ecco perché possiamo collegare le rappresentazioni degli uomini ( come commedie, tragedie, i mimi e altre simili cose ) alle opere dei pittori e degli scultori.
Un uomo dipinto, sebbene tenda alle sembianze d'uomo, non può essere un uomo vero; e così accade per le forme di vita descritte dai comici nei loro libri.
Queste immagini non vogliono certo essere false; non lo sono nella loro intenzione; lo sono per una sorta di necessità e nella misura in cui corrispondono alla volontà dell'autore.
Sulla scena Roscio per sua volontà era una falsa Ecuba, per natura un uomo vero.
Per quella stessa volontà era anche un vero tragico per la parte che recitava, ma era un falso Priamo, perché rappresentava Priamo, senza esserlo realmente.
Di qui sorge una conclusione sorprendente, che però nessuno può mettere in dubbio.
AGOSTINO - Quale dunque?
RAGIONE - Ma che altra, se non questa?
Tutte queste finzioni sono per certi aspetti vere, proprio perché sono per altri aspetti false; ciò che contribuisce a renderle vere è proprio il fatto che, per altri aspetti, sono false.
Ed ecco perché esse non potrebbero raggiungere in alcun modo la forma voluta o dovuta, se rifiutassero di essere false.
In che modo l'attore che ho appena ricordato sarebbe un vero tragico, se non volesse essere un falso Ettore, una falsa Andromaca, un falso Ercole e così via altri innumerevoli personaggi?
Come ci potrebbe essere una vera pittura, se il cavallo rappresentato non fosse falso?
Come potrebbe riflettersi nello specchio la vera immagine di un uomo, se non fosse un falso uomo?
Se dunque vi sono cose che, per essere vere sotto un certo aspetto, debbono essere false sotto un altro, perché abbiamo tanto paura del falso e desideriamo la verità come un gran bene?
AGOSTINO - Non lo so e me ne stupisco molto; ma forse è perché in questi esempi non trovo nulla che sia degno di servire da modello.
Infatti, per essere veri nella nostra individualità specifica, noi non dobbiamo affatto adattarci e assimilarci ad un'individualità esterna e divenire falsi proprio per questo, come accade agli istrioni, alle immagini riflesse nello specchio, alle vacche di bronzo di Mirone.
Dobbiamo invece cercare quella verità che non è bifronte e contraddittoria con una faccia vera e l'altra falsa.
RAGIONE - Grandi, e divine veramente, sono le cose che tu cerchi.
Se le troveremo, non ammetteremo forse che con esse si costruisce e si elabora pienamente quella verità, che dà il nome a tutto ciò che è vero, con qualunque nome lo si chiami?
AGOSTINO - L'ammetto volentieri.
RAGIONE - Procediamo. Dimmi dunque: la dialettica è vera o falsa?
AGOSTINO - Nessuno può dubitare che sia vera; però anche la grammatica è vera
RAGIONE - Lo è come la dialettica?
AGOSTINO - Non concepisco un vero più vero di un altro vero.
RAGIONE - Lo è senza dubbio ciò che non ha nulla di falso.
Mentre riflettevi poco fa, eri perplesso a causa di quelle rappresentazioni che, non so come, se non fossero false, non potrebbero essere vere.
Ignori forse che tutte quelle favolose invenzioni e quelle evidenti finzioni sono pertinenti alla grammatica?
AGOSTINO - Non lo ignoro certamente però, a mio avviso, la loro falsità non deriva dalla grammatica, poiché questa le espone così come sono.
Le invenzioni favolose sono finzioni composte per utilità e per diletto; per parte sua la grammatica è invece la disciplina che custodisce e regola la parola articolata; necessariamente quindi, per suo compito, essa deve registrare tutte le espressioni del linguaggio umano, anche le finzioni, affidate alla tradizione e alla letteratura, non per renderle false, ma per stabilire partendo da questi testi e per dimostrare una metodologia che sia vera.
RAGIONE - Molto bene; ora però non esamino se tali concetti siano stati da te ben definiti e distinti; solamente ti domando se sia la grammatica oppure la dialettica ad insegnarti a costruirli.
AGOSTINO - Non nego che la facoltà tecnica di definire con efficacia, da me usata per operare delle distinzioni in questa materia, appartenga alla dialettica.
RAGIONE - Ma la grammatica, nell'ipotesi che sia vera, non lo è appunto perché è una disciplina?
Disciplina infatti deriva da discere, cioè imparare; ora di nessuno si può dire che non sa ciò che ha imparato e ritenuto; parimenti si deve dire che nessuno ha scienza di ciò che è falso; dunque ogni disciplina è vera.
AGOSTINO - Non vedo in questa breve argomentazione nessun rischio di affermazioni pregiudiziali.
Ciò che tuttavia m'imbarazza è il timore che da essa si possa concludere che persino quelle favole siano vere, poiché le impariamo e le riteniamo a mente.
RAGIONE - Forse che per caso il maestro che ci intuiva non voleva che noi accertassimo e sapessimo quanto egli insegnava?
AGOSTINO - Anzi, insisteva con veemenza perché lo sapessimo.
RAGIONE - Forse che talora ha insistito, perché credessimo che Dedalo volasse realmente?
AGOSTINO - Questo invero mai, ma se non sapevamo bene la favola, ci faceva le mani in un tale stato che a stento potevamo stringere qualcosa.
RAGIONE - Tu neghi dunque che sia vero che questa è una favola e che Dedalo abbia acquistato tramite essa la sua fama?
AGOSTINO - No, non nego affatto che questo sia vero.
RAGIONE - Non neghi dunque di aver imparato il vero, quando hai imparato questa favola.
Se infatti il volo di Dedalo fosse vero e se i ragazzi lo imparassero e ripetessero come una finzione essi riterrebbero il falso, proprio per il fatto che sarebbe vero ciò che ripetono.
Di qui deriva quella conseguenza che poco fa ci stupiva e cioè che la favola del volo di Dedalo non potrebbe essere vera, se proprio non fosse falso che Dedalo abbia volato.
AGOSTINO - Comprendo ormai questo punto; ma aspetto che, andando oltre, ne ricaviamo profitto.
RAGIONE - E quale altro profitto mai, se non questo, di confermarci cioè nella giustezza del ragionamento, per cui abbiamo concluso che una disciplina non può essere veramente tale, se non insegna realmente il vero?
AGOSTINO - E questa conclusione che rapporto ha con il nostro ragionamento?
RAGIONE - Eccolo: voglio che mi dica perché la grammatica è una disciplina, poiché quanto la costituisce vera è ciò che la costituisce disciplina.
AGOSTINO - Non so che cosa risponderti.
RAGIONE - Non ti pare che se non ammettesse definizioni, distinzioni, divisioni in genere e parti, essa non potrebbe essere in nessun modo una disciplina?
AGOSTINO - Capisco ora quello che vuoi dire.
Infatti non mi si presenta effettivamente alcuna disciplina che non contenga definizioni, distinzioni, ragionamenti.
Determinare la natura propria di ogni elemento, evitare la confusione delle parti ordinandole ciascuna al suo posto, non omettere nulla di essenziale e non incorporare elementi eterogenei: è questo l'oggetto fondamentale che costituisce ogni disciplina.
RAGIONE - Ed è quel complesso omogeneo di cose per cui ogni disciplina è detta vera.
AGOSTINO - È ben evidente la conclusione.
RAGIONE - Dimmi ora: qual è la disciplina che insegna a ben definire, a ben dividere, a ben classificare?
AGOSTINO - È stato già detto prima: questi elementi sono contenuti nelle regole della dialettica.
RAGIONE - Così anche la grammatica è stata costituita come disciplina, e come disciplina vera, dalla medesima arte della dialettica, che tu poco fa hai difeso contro ogni rimprovero di falsità.
E la conclusione che io traggo per la grammatica è certo valida per tutte le discipline.
Infatti tu stesso hai detto, e hai avuto ragione di dire, di non conoscere nessuna disciplina che possa fare a meno di definizioni e di distinzioni e che proprio esse la costituiscono a giusto titolo come disciplina.
Ma se le discipline sono vere proprio perché sono discipline, non si potrà certo negare che è proprio in forza della verità che tutte le discipline sono vere.
AGOSTINO - Sono molto vicino ad accordartelo; vi è però ancora una cosa che mi crea difficoltà; ed è che tra le discipline computiamo anche la dialettica; ora io penso che sia piuttosto la verità a fare si che questo metodo sia vero.
RAGIONE - Ottima osservazione, che mostra quanto sia vigile!
Non vorrai però negare, io penso, che la dialettica è vera proprio perché è una disciplina.
AGOSTINO - È proprio questa la mia difficoltà: ho riconosciuto infatti che è una disciplina e che la si dichiara vera proprio per questo.
RAGIONE - Credi forse che avrebbe potuto essere una disciplina, se non usasse per ogni cosa definizioni e distinzioni?
AGOSTINO - Non ho nulla da obiettare.
RAGIONE - Ma se proprio questo è il suo compito, allora essa è una disciplina vera di per se stessa.
Chi dunque potrà stupirsi se la disciplina, per cui tutto è vero, sia la verità vera, per se stessa e in se stessa?
AGOSTINO - Non ho obiezioni che ostacolino la mia completa adesione a questa tesi.
RAGIONE - Allora fa attenzione al resto, che è poco.
AGOSTINO - Esponi quello che hai da dire, purché io comprenda e possa facilmente dichiarare il mio accordo.
RAGIONE - Sappiamo che si può dire in due modi diversi che una cosa è in un'altra.
Nel primo, quando essa vi è in modo che potrebbe esserne separata e trovarsi altrove, come questo pezzo di legno che ora è in questo luogo o come il sole nel luogo dove sorge; nel secondo modo, quando una cosa è talmente unita al soggetto da non poterne essere separata, come in questo medesimo pezzo di legno la forma e la figura che noi vediamo, come nel sole la luce, come nel fuoco il calore, come nello spirito la scienza, e altre cose del medesimo genere. Non condividi forse?
AGOSTINO - Queste affermazioni sono per me di vecchia data; infatti fin dai primi anni dell'adolescenza le ho studiate e capite con somma diligenza; interrogato ora su di esse, non posso far a meno di ammetterle, senza alcun bisogno di riflettervi.
RAGIONE - E adesso questo: non ammetti forse che quanto è inseparabile dal soggetto non può sussistere, nel caso che il soggetto perisca?
AGOSTINO - Anche questo mi sembra sia necessario ammettere, ma esaminando la cosa con attenzione, si comprende che è ben possibile che, quand'anche il soggetto sussista, questa o quella qualità che vi è attaccata non sussista più.
Il colore di questo mio corpo può mutare o sotto l'influsso della malattia o per l'età, senza che per questo il mio corpo perisca.
Questo non vale certo allo stesso modo per tutte le proprietà del soggetto, ma solo per quelle che, non costituendo esse stesse il soggetto, pure con lui coesistono.
Non è perché questo muro esiste, che acquista il colore che vediamo; parimenti se per un caso diventa nero o bianco o prende un altro colore, tuttavia non per questo non rimane e non è chiamato muro.
Ma se il fuoco perde il calore, allora non sarà più fuoco; così non potremmo conservare il suo nome a neve che non fosse bianca.
Quanto poi alla tua domanda ( se cioè la proprietà inerente a un soggetto sussista, una volta distrutto il soggetto ), chi mai potrebbe ammetterla, chi mai potrebbe ritenerla possibile?
È assurdo e assolutamente opposto alla verità che quanto non può sussistere se non nel soggetto possa esistere anche quando questo soggetto non esiste più.
RAGIONE - Allora abbiamo trovato l'oggetto della nostra ricerca.
AGOSTINO - Che dici mai?
RAGIONE - Ciò che ascolti.
AGOSTINO - Forse che è già chiaramente acquisito che l'anima è immortale?
RAGIONE - Se le affermazioni che hai concesso sono vere, lo è molto chiaramente; a meno che tu non affermi che lo spirito, anche se muore, è ugualmente spirito.
AGOSTINO - Non potrei mai affermarlo; anzi affermo che per il fatto stesso che perisce, un'anima non è più un'anima.
E non mi lascio distogliere da questa convinzione, malgrado l'insegnamento di grandi filosofi che dicono: una sostanza che dà la vita, dovunque è presente, non può ammettere in sé la morte.
Infatti, sebbene la luce, dovunque può entrare, faccia splendere quel luogo e sia inconciliabile con le tenebre per la ben nota legge dei contrari, tuttavia essa si estingue e il luogo, spenta la luce, ritorna nelle tenebre.
Essa ha resistito alle tenebre, non le ha però assorbite in alcun modo; e venendo meno, ha fatto loro posto, così come avrebbe fatto ritraendosi.
Ecco perché temo che la morte sia per il nostro corpo ciò che le tenebre sono per quel luogo, sia che l'anima se ne allontani come una luce, sia che muoia con il corpo medesimo.
Ne consegue che non è la morte fisica a garantire la sopravvivenza dell'anima.
Si deve certo desiderare un genere di morte per cui l'anima possa uscire incolume dal corpo e incamminarsi verso un luogo, se mai esiste un tal luogo, dove sia inestinguibile.
Se questo non è possibile, se l'anima è come un luce che si accende nel corpo e non può durare fuori di esso, se ogni morte è come l'estinzione dell'anima o della vita nel corpo, allora bisogna stabilire un genere di vita in cui, per quanto lo consente la condizione umana, si viva in una quiete sicura.
Non so d'altronde come ciò sia possibile, se l'anima muore.
Felici, sì, veramente felici coloro che si sono persuasi da se stessi o si sono lasciati persuadere da altri, che non si deve temere la morte, anche se l'anima deve morire.
Per me, infelice, nessun ragionamento, nessun libro ha potuto creare simile persuasione!
RAGIONE - Cessa di affliggerti: l'anima umana è immortale.
AGOSTINO - Donde lo provi?
RAGIONE - Dai principi che mi hai accordato precedentemente e non senza grandi precauzioni, a quanto mi pare.
AGOSTINO - Ricordo bene di essermi molto sorvegliato nelle risposte alle tue domande.
Ma ti prego ora di tirare le somme; vediamo a che punto siamo arrivati con un così lungo cammino; vorrei che tu non mi interrogassi più.
Se tu enumeri in breve i principi che ti ho accordato, perché le mie risposte sono nuovamente desiderate?
A che io ritardo inutilmente la mia felicità, se per caso abbiamo raggiunto un qualche buon risultato?
RAGIONE - Farò quella che vedo essere la tua volontà; porgi però somma attenzione.
AGOSTINO - Parla dunque; perché farmi morire?
RAGIONE - Se tutte le proprietà di un soggetto devono sussistere sempre, è necessario che il soggetto stesso sussista sempre; ora ogni disciplina ha l'anima come soggetto; è necessario dunque che l'anima sussista sempre, se sempre sussiste la disciplina stessa.
Ma la disciplina altro non è che la verità e la verità sussiste per sempre, come all'inizio di questo libro ci ha persuaso la ragione.
Dunque l'anima sussiste sempre e non dire che l'anima è morta; non significa proprio nulla.
Solo può negare senza contraddizione che l'anima è immortale, colui che ci convincerà di aver temerariamente ammesso precedentemente qualche principio sbagliato.
Se era sufficiente un ragionamento così breve, perché un percorso così sinuoso?
14.25
AGOSTINO - Vorrei ormai abbandonarmi alla gioia; ma ho due ragioni che mi trattengono.
La prima è che abbiamo avuto bisogno di un così lungo percorso, che abbiamo dovuto seguire una così lunga catena di ragionamenti, mentre il problema avrebbe potuto essere risolto brevemente, come ora è stato dimostrato.
Perciò sono sconvolto, per il fatto che la discussione abbia dovuto seguire tante sinuosità, quasi per farci cadere in qualche trappola.
E per seconda cosa non vedo in che modo nell'anima sussista sempre una disciplina, specialmente la dialettica, essendo tanto pochi quelli che la conoscono; costoro inoltre, per un lungo tempo, cioè dalla loro infanzia, ne sono stati privi.
Non ci è possibile dire infatti che le anime degli ignoranti non sono anime, né che essi abbiano nell'anima una scienza che essi ignorano.
Se vi è assurdità manifesta, occorre dunque o che la verità non sia sempre nell'anima oppure che questa disciplina non sia la verità.
RAGIONE - Vedi bene che non invano il nostro ragionamento ha fatto tanti giri; noi cercavamo infatti che cosa fosse la verità; e costato che neanche ora, in questa selva di cose, dopo aver percorso tutti i sentieri, non ci è stato possibile trovarla.
Che faremo dunque? Abbandoneremo forse l'impresa, aspettando che ci capiti tra mano qualche argomento di libri scritti da altri, che risponda a questa questione?
Infatti io credo che molti libri siano stati scritti prima dei nostri tempi, libri che non abbiamo potuto leggere.
D'altronde, per non fare supposizioni gratuite, sappiamo bene che anche ora queste questioni sono trattate, in prosa e in versi e da uomini i cui scritti non possono rimanere nascosti ed il cui genio ben conosciuto ci consente di sperare di trovare presso di loro quanto desideriamo trovare.
Non abbiamo forse proprio qui, davanti ai nostri occhi, quel grand'uomo che ha fatto rivivere nella sua perfezione quell'eloquenza, di cui piangevamo la morte?
Avendoci insegnato nei suoi scritti la maniera di vivere, potrà forse lasciarci ignari sulla natura della vita?
AGOSTINO - Non lo penso proprio; anzi spero molto da questo lato.
La sola cosa che mi affligge è che noi non possiamo fargli conoscere come vorremmo il nostro amore sia verso di lui e sia verso la sapienza.
Subito infatti avrebbe pietà della nostra sete e la sazierebbe più in fretta di quanto non pensi a farlo ora.
Essendo assolutamente convinto dell'immortalità dell'anima, egli ne ha la sicurezza e non sa che forse vi sono degli uomini che hanno conosciuto ormai abbastanza la miseria di questa loro ignoranza ed ai quali sarebbe crudeltà rifiutare un soccorso, specialmente quando lo domandano.
E vi è un altro uomo che, in forza della sua amicizia, è al corrente del nostro fervore.
È però tanto lontano e noi siamo attualmente in una situazione in cui difficilmente potremo rivolgerci a lui anche solo per lettera.
Ma penso che, nel tempo libero di cui usufruisce al di là delle Alpi, abbia già terminato il poema con cui scongiurare e mettere in fuga il timore delle morte, sciogliendo il torpido irrigidimento dell'anima, resa come dura da un antico gelo.
Frattanto, nell'attesa che giungano questi aiuti che ancora non sono a nostra disposizione, non è forse cosa molto vergognosa perdere il nostro tempo e lasciare la nostra anima come sospesa e legata tutta quanta ad una volontà, di cui non siamo sicuri?
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