La Penitenza |
Capitolo 1
Nel libro precedente abbiamo trattato non pochi argomenti che incoraggiano a far penitenza.
Poiché, tuttavia, è possibile aggiungerne ancora molti altri, è nostra intenzione proseguire nel banchetto cui è stato dato inizio, perché non sembri che abbiamo lasciato rosicchiati per metà i cibi apprestati dal nostro argomentare.
É necessario esercitare la penitenza con zelo, ma anche con tempestività.
Ciò, ad evitare che il padre di famiglia della parabola evangelica, il quale piantò l'albero di fico nella sua vigna, non venga a ricercare su di esso il frutto e, non trovandolo, dica al vignaiolo: « Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? »
L'albero verrebbe abbattuto, se non lo impedisse il vignaiolo che dice: « O padrone, lascialo ancora quest'anno, finché io gli zappi attorno e vi metta il concime »; soltanto nel caso che il rimedio riesca inutile, il fico venga allora reciso.
Spargiamo, perciò, anche noi il concime su questo campo di cui siamo i proprietari.
Seguiamo l'esempio degli agricoltori operosi, i quali senza vergogna nutrono la terra con grassa fanghiglia e cospargono i campi di sporca cenere allo scopo di raccogliere più abbondanti i frutti.
L'Apostolo insegna come concimare, quando dice: « Stimo spazzatura tutti i beni del mondo, al fine di guadagnare Cristo ».
Egli « sia nella cattiva che nella buona fama » si è guadagnato di riuscire a lui gradito.
Aveva infatti letto che Abramo, mentre ammetteva di essere polvere e cenere, si procurò con la sublime umiltà la grazia di Dio; così anche che Giobbe, sedendo in mezzo alla cenere, ottenne di nuovo tutto ciò che aveva perduto.
Ancora, aveva letto il vaticinio di David: Dio solleva « l'indigente dalla polvere » e rialza « il povero dall'immondizia ».
Confessiamo, dunque, anche noi al Signore i nostri peccati senza rossore.
Certamente, incute vergogna il mettere a nudo le colpe, ma questa vergogna, appunto, ara il suo podere, recide le spine eterne, toglie via i pruni, fa prosperare i frutti che ritenevi morti per sempre.
Segui le orme di chi arando convenientemente il suo terreno si procacciò frutti eterni.
L'Apostolo dice: « Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, preghiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo ».
Anche tu, se arerai in questo modo, spargerai semi spirituali.
Ara, per stroncare il peccato, per procurarti il frutto.
L'Apostolo ha arato per recidere nel suo io lo stato d'animo del persecutore.
Quale incoraggiamento più grande ci poteva essere dato da Cristo perché aspirassimo al nostro miglioramento, quanto il convertire e assegnarci come maestro chi era stato persecutore?
Capitolo 2
Tuttavia, anche se confutati dal manifesto esempio di Paolo e dei suoi scritti, i Novaziani si ostinano a muovere cavilli.
L'autorità della parola dell'Apostolo, affermano, è loro di garanzia.
A prova, adducono il passo della lettera agli Ebrei: « Quelli che furono una volta illuminati, gustarono il dono celeste, diventarono partecipi dello Spirito Santo e gustarono la buona parola di Dio e le meraviglie del mondo futuro, è impossibile che, caduti, si rinnovino una seconda volta, di nuovo crocifiggendo il Figlio di Dio e pubblicamente trionfando ».
Sarebbe forse in Paolo incoerenza tra parola e azione?
Egli ha rimesso la colpa al peccatore di Corinto in virtù della penitenza: come avrebbe poi potuto ripudiare la sua decisione?
Ovviamente, giacché mai avrebbe potuto demolire il suo edificante insegnamento, dobbiamo ritenere che non ha espresso un concetto antitetico, ma soltanto diverso.
Noi diciamo antitetico un pensiero che è in contrasto con se stesso; diverso, invece, un pensiero che ha una sua ragione di essere.
Non è, dunque, da considerare antitetico un concetto che non è in opposizione bensì a sostegno di un altro.
Una volta trattato il tema relativo alla necessità di perdonare chi esercitasse la penitenza, l'Apostolo non poteva tacere di chi ritiene che il battesimo debba ripetersi.
Prima, quindi, è stato necessario rassicurarci che, se alcuni cadessero in colpa postbattesimale, sarebbe stato loro perdonato, affinché, disperando essi nell'indulgenza, la stolida illusione di ripetere il battesimo non li conducesse fuori di strada.
Successivamente, ha creduto necessario convincerci con logica argomentazione che il battesimo non deve essere rinnovato.
L'Apostolo si è riferito, dunque, al battesimo.
Lo desumiamo agevolmente dalle parole con cui ha espresso l'impossibilità « che, caduti, si rinnovino in forza della penitenza ».
Ci rinnoviamo, infatti, in virtù del battesimo.
Mediante questo sacramento nasciamo una seconda volta, come asserisce lo stesso Paolo: « Siamo stati sepolti con lui nella morte mediante il battesimo, perché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova ».
In altro passo: « Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l'uomo nuovo creato secondo Dio ».
Ancora: « La tua gioventù sarà rinnovata come quella dell'aquila ».
L'aquila, infatti, dopo la morte rinasce dalle sue ceneri, così come noi, una volta morti al peccato, di nuovo, in virtù del sacramento del battesimo, nasciamo a Dio, di nuovo siamo creati.
Uno solo, perciò egli insegna, è il battesimo.
Appunto, in altro luogo afferma: « Una sola fede, un solo battesimo ».
É evidente, in chi viene battezzato è crocifisso il Figlio di Dio.
Mai la nostra carne avrebbe potuto cancellare il peccato, se non fosse stata crocifissa in Cristo.
Perciò, sta scritto: « Tutti noi che siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella sua morte ».
Più avanti: « Se, infatti, siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua resurrezione; sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui ».
Dice ai Colossesi: « Siete stati sepolti con lui nel battesimo, in lui siete anche stati risuscitati ».
Così sta scritto, affinché crediamo che Cristo medesimo viene crocifisso in noi, perché in virtù sua i nostri peccati siano mondati ed egli, che è il solo a poter rimettere le colpe, affigga alla croce il documento scritto del nostro debito.
Trionfa in noi sui Principati e Potestà, giacché sta scritto: « Ha fatto pubblico spettacolo dei Principati e Potestà, trionfando su di loro in se medesimo ».
Dunque, ciò che afferma nella lettera agli Ebrei: « É impossibile che, caduti, si rinnovino in forza della penitenza, una seconda volta crocifiggendo il Figlio di Dio e trionfando pubblicamente », bisogna credere che è stato detto a proposito del battesimo in cui crocifiggiamo in noi il Figlio di Dio, affinché per opera sua il mondo sia crocifisso a noi.
E meniamo, in certo senso, un trionfo mentre assumiamo una morte simile alla sua.
Infatti « ha fatto pubblico spettacolo » sulla croce « dei principati e Potestà » e ha su di loro trionfato, affinché anche noi, a somiglianza della sua morte, trionfassimo sui Principati, con il sottrarci per sempre al loro giogo.
Una sola volta Cristo è stato crocifisso, una sola volta « è morto al peccato »: non ci sono, dunque, più battesimi, ma uno soltanto.
Che dire poi a proposito di questo insegnamento relativo ai battesimi, del quale Paolo ha parlato nel passo che precede quello in esame?
Poiché nella legge ne erano consentite varie forme, a ragione biasima coloro che indagano le verità elementari del Verbo e trascurano ciò che è perfetto.
Ci ammaestra che sono state completamente distrutte tutte le specie di battesimi della legge e che uno è il battesimo nei sacramenti della Chiesa.
Pertanto, ci esorta ad abbandonare le verità elementari del Verbo e a mirare al perfetto.
Dice: « Questo intendiamo fare, se Dio lo permette ».
Senza l'aiuto del Signore, nessuno può raggiungere la perfezione.
Potrei ancora dire a chi sostiene che il passo si riferisce alla penitenza: « le cose impossibili all'uomo, non lo sono a Dio ».
Quando vuole, il Signore può perdonare i peccati, anche quelli che disperiamo possano essere rimessi.
Dunque, Dio può rimettere ciò che appare a noi impossibile ad ottenersi.
Sembrava anche cosa assurda che il peccato fosse cancellato con il lavacro.
Naaman Siro, appunto, non credette che in questo modo potesse essere sanata la lebbra che lo tormentava.
Dio, però, che ci ha fatto dono di una così grande grazia, diede concretezza a ciò che appariva irrealizzabile.
Parimenti, sembrava impossibile che venissero rimessi i peccati ad opera della penitenza.
Eppure Cristo concesse questa potestà agli Apostoli ed essi la trasmisero all'ufficio sacerdotale.
L'impossibile è diventato realtà.
L'Apostolo, tuttavia, ci fa comprendere con il suo veritiero argomentare che egli ha inteso parlare del battesimo, perché nessuno avesse in animo di ripetere il sacramento.
Capitolo 3
Né, d'altra parte, l'Apostolo si sarebbe schierato contro l'insegnamento così limpido di Cristo, il quale a proposito del peccatore che fa penitenza si è valso di una similitudine.
Infatti, il giovane « partito alla volta di un paese straniero », dilapidò l'intero patrimonio ricevuto dal padre, menando vita dissipata.
Poi, costretto a nutrirsi di ghiande, sentì vivo il rimpianto dei pani del genitore.
Eppure fu ritenuto degno dell'anello, dei calzari e, per giunta, del sacrificio di un vitello, sacrificio simbolo della passione del Signore mediante la quale ci è stato elargito il sacramento celeste.
Bene a proposito è detto « partito alla volta di un paese straniero », giacché si era tenuto lontano dai sacri altari.
Il che significa, vivere segregato dalla Gerusalemme celeste, dall'abitazione civica, per così dire, e familiare dei santi.
Perciò l'Apostolo afferma: « Dunque, non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio ».
Sta scritto: « Dilapidò il suo patrimonio ».
A proposito, è detto lo « dilapidò », giacché la fede del giovane vacillava nelle opere.
La « fede » è « fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono ».
É la solida base su cui poggia interamente la nostra speranza.
Né appaia strano che languisse per fame chi sentiva mancanza del cibo divino.
Sentendone, appunto, privazione, disse: « Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre ho peccato contro il cielo e contro di te ».
Non comprendete forse che ci è detto con chiarezza che se siamo esortati a pregare, è, appunto, per renderci meritevoli del sacramento?
Voi, Novaziani, vorreste, invece, privarci del frutto della penitenza?
Togli al timoniere la speranza dell'approdo: si aggirerà senza meta nel mezzo delle onde.
Nega la corona al lottatore: neghittoso se ne starà sdraiato nell'arena.
Priva il pescatore del provento della pesca: subito smette di gettare le reti.
Pertanto, chi soffre la fame della sua anima, come potrebbe con devozione pregare Dio, se non avesse fede nel divino nutrimento?
Il figliol prodigo dice: « Ho peccato contro il cielo e contro di te ».
Confessa il peccato che cagiona morte, affinché non crediate che sia a ragione ripudiato chi fa penitenza di una qualsiasi colpa.
Ha peccato « contro il cielo », cioè, contro il regno celeste o contro l'anima sua; ha commesso peccato mortale, e al cospetto di Dio al quale è detto: « Ho peccato contro te solo e ho fatto ciò che è male innanzi a te ».
Eppure così prontamente si guadagna il perdono, che , al suo ritorno, quando si trovava « ancora lontano », il padre muove a lui incontro e « lo bacia » con il bacio simbolo della santa pace.
Comanda che « si porti la lunga veste », l'abito, cioè, nuziale, senza il quale si è scacciati dal banchetto.
Gli « pone al dito l'anello », il pegno della fede, il contrassegno dello Spirito Santo.
Ordina che siano portati « i calzari ».
Infatti, chi è sul punto di celebrare la Pasqua del Signore e sta per mangiare l'agnello deve necessariamente avere il piede al riparo dagli assalti degli spiriti del male e dai morsi del serpente.
Comanda che sia sacrificato « il vitello », poiché « Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato ».
Ogni volta che assumiamo il sangue di Cristo, annunciamo la morte del Signore.
Come egli si è immolato per tutti una sola volta, così, ogni volta che ci sono rimessi i peccati, assumiamo il sacramento del suo corpo, per riscattarci dalle colpe mediante il suo sangue.
La parola del Signore ha stabilito senza possibilità di equivoco che la grazia del sacramento deve essere restituita alle persone che si sono macchiate di colpe quanto vuoi infamanti, purché ne facciano ammenda con cuore contrito e con confessione sincera.
É ovvio, dunque, che voi Novaziani non avete possibilità di legittimare la vostra condotta.
Capitolo 4
Siamo a conoscenza che siete soliti muoverci obiezioni, perché sta scritto: « Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonata.
A chiunque parlerà male del Figlio dell'uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro ».
Eppure, sulla base di questo passo, ogni vostra obiezione è distrutta, annientata.
Sta scritto: « Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonato agli uomini ».
Perché voi non perdonate?
Perché stringete legami che non sciogliete?
Perché intrecciate nodi che non allentate?
Perdonate, almeno, gli altri ed emettete pure verdetto di condanna nei riguardi di persone che voi sulla base del testo del Vangelo ritenete che non possano mai più ottenere clemenza, giacché hanno peccato contro lo Spirito Santo.
Vediamo, però, quali persone sono queste che il Signore incatena, considerando i passi che precedono quello in esame, così da avere idee più chiare al riguardo.
I Giudei dicevano: « Costui scaccia i demoni in nome di Beelzebub, principe dei demoni ».
Gesù ha risposto: « Ogni regno discorde cada in rovina, e nessuna città o famiglia discorde può reggersi.
Ora se Satana scaccia Satana, egli è discorde con se stesso.
Come potrà, dunque, reggersi il suo regno?
E se io scaccio i demoni in nome di Beelzebub, i vostri figli in nome di che li scacciano? »
Possiamo constatare che si allude alle persone che andavano dicendo che Gesù scacciava i demoni ad opera di Beelzebub.
Il Signore ha loro risposto che l'eredità di Satana era passata a chi paragonava il Salvatore di tutti al demonio e riponeva la grazia di Cristo nel regno del diavolo.
Poiché ci convincessimo che aveva alluso a questa bestemmia, ha aggiunto: « Razza di vipere, come potete dire cose buone voi che siete cattivi? »
Pertanto afferma che non può toccare il perdono alle persone che così bestemmiano.
Simone, depravato dalla pratica della magia, si era illuso di potersi procurare con il denaro la grazia che Cristo dava mediante l'imposizione della mano e l'infusione dello Spirito Santo.
Pietro, pertanto, gli dice: « Non v'è parte né sorte alcuna per te in questa cosa, perché il tuo cuore non è retto, davanti a Dio.
Pentiti, dunque, di questa tua iniquità e prega il Signore se mai ti sia perdonato questo pensiero.
Ti vedo, infatti, chiuso nei lacci dell'iniquità e in file amaro ».
Puoi constatare che Pietro avvalendosi dell'autorità apostolica condanna chi bestemmiava contro lo Spirito Santo nella folle vanità di essere mago.
Maggiormente lo reputa colpevole in quanto mostrava di non avere pura consapevolezza della fede.
Nonostante ciò, non lo privò della speranza del perdono, anzi lo invitò al pentimento.
Il Signore, dunque, ha risposto alla bestemmia dei Farisei.
Non concede loro la grazia che proviene dalla sua potestà e che consiste nella remissione delle colpe.
Essi, infatti, pensavano che il celeste potere del Signore si fondasse sul soccorso del diavolo.
Afferma anche che erano soggetti allo spirito del male, poiché gettavano il seme della discordia nella Chiesa del Signore.
Con le sue parole allude agli eretici, agli scismatici di ogni tempo, ai quali nega il perdono.
Se ogni colpa ricade sul singolo che la commette, quella degli scismatici fa risentire i suoi effetti su tutti.
Soli si propongono di annullare la grazia di Cristo, riducono a brandelli le membra della Chiesa per amore della quale Gesù ha patito e ci ha fatto dono dello Spirito Santo.
Infine, perché sappiate che parla dei rei di scisma, sta scritto: « Chi non è con me, è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde ».
A maggior chiarimento ha aggiunto: « Perciò, dico a voi: qualunque peccato o bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata ».
Quando dice: « Perciò, dico a voi », non ha manifestato forse il proposito che noi comprendessimo ciò soprattutto?
A ragione ha aggiunto: « L'albero buono produce buoni frutti, il cattivo, invece, frutti cattivi ».
Una comunità di malvagi non può produrre che frutti cattivi.
L'albero, dunque, è la Chiesa, i frutti dell'albero buono i figli della medesima.
Ritornate, dunque, nel grembo della Chiesa, se mai ve ne siete allontanati sacrilegamente.
Ai peccatori che si convertono è assicurato il perdono.
Sta scritto: « Chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato ».
Il popolo dei Giudei che diceva nei riguardi di Gesù: « Egli ha un demonio », « Scaccia i demoni nel nome di Beelzebub », e che ha crocifisso il Signore, è chiamato al battesimo dalla parola di Pietro, perché si alleggerisca dell'ignominioso peso di infamia così grande.
Non dobbiamo stupirci se voi che ripudiate la vostra salvezza, la neghiate agli altri, siano pure costoro che vi domandano di fare penitenza gente della vostra risma.
L'ineffabile misericordia del Signore, a mio giudizio, non avrebbe rifiutato neppure a Giuda il perdono, se avesse fatto atto di pentimento, non al cospetto dei Giudei, ma di Cristo.
Dice: « Ho peccato, poiché ho tradito il sangue innocente ».
La risposta: « Che ci riguarda? Veditela tu ».
Parlate forse diversamente voi, quando chi ha commesso una colpa anche minore vi confessa il proprio peccato?
Che altro rispondete se non: « Che ci riguarda? Veditela tu ».
Parole del genere comportano la corda, e il castigo è tanto più ferale quanto minore è la colpa.
Ma se essi non intendono convertirsi, fatelo almeno voi che, commettendo colpe di natura diversa, siete precipitati in basso dalle alte vette dell'innocenza e della fede.
Abbiamo « un buon Padrone » che è disposto a perdonare tutti.
Ti ha invitato per bocca del profeta, dicendo: « Io, io cancello i tuoi peccati e non ne conserverò ricordo.
Tu, però, siine memore e lasciamoci giudicare ».
Capitolo 5
Muovono, tuttavia, cavilli a proposito delle parole dell'Apostolo, poiché ha detto « se mai », e pensano che Pietro non abbia affatto garantito la remissione dei peccati al penitente.
Ma si soffermino un po' a considerare di chi parla.
Simone non credeva secondo fede, ma tramava soltanto frodi.
Anche il Signore a chi gli dice: « Ti seguirò », risponde: « Le volpi hanno le loro tane ».
Se, dunque, il Signore in persona ha vietato che chi egli vedeva subdolo lo seguisse, quale stupore che l'Apostolo non abbia assolto chi dopo il battesimo si è allontanato da Dio e, come egli ha detto, era avvinto nei lacci dell'infamia?
Questa sia risposta sufficiente alle obiezione dei Novaziani.
Io, d'altra parte, sono dell'opinione che né Pietro abbia dubitato, né che, trattandosi di questione così importante, si debba togliere ad essa ogni credito per il condizionamento causato da un solo vocabolo.
Ammettiamo che Pietro si sia mostrato reticente: non forse anche Dio che dice al profeta Geremia: « Sta' nell'atrio della casa del Signore e riferisci a tutte le città di Giuda, che vengono per adorare nel tempio del Signore, tutte le parole che ti ho comandato di annunziare loro; non tralasciare neppure una parola: forse presteranno ascolto e torneranno »?
Si affermi, dunque, che Dio ignorava il futuro.
In verità con quel vocabolo non si esprime affatto l'idea del dubbio.
É da notare che un uso del genere è frequente nelle divine Scritture, data la semplicità del loro linguaggio.
Il Signore, ad esempio, dice ad Ezechiele: « Figlio dell'uomo, ti invierò alla casa di Israele, da coloro che mi hanno amareggiato, essi e i loro padri sino ad oggi, e dirai loro: Il Signore dice queste parole, se mai ascolteranno e ne proveranno terrore ».
Dio ignorava se si sarebbero convertiti o meno?
L'espressione, quindi, non è sempre di chi dubita.
Del resto, anche gli antichi sapienti di questo mondo, i quali fanno consistere tutta la loro valentia nella scrupolosa scelta delle parole, non hanno impiegato in tutti i passi delle loro opere in senso dubitativo il vocabolo che in latino suona « forte », in greco « tacha ».
Ad esempio, affermano che il primo dei loro poeti dicesse: « La forse vedova », nel senso: « Presto sarà vedova ».
In altro passo: « Forse, infatti, tutti gli Achei facendo impeto ti uccideranno ».
Non poteva certo dubitare che se tutti gli Achei avessero fatto impeto contro un solo uomo, questi non sarebbe stato sopraffatto dalla moltitudine dei nemici.
Ma noi dobbiamo avvalerci di esempi nostri, non già altrui.
Trovi, appunto, nel Vangelo che il Figlio medesimo fa dire al Padre, dopo che i servi da lui inviati alla sua vigna erano stati feriti: « Manderò il Figlio mio dilettissimo, forse avranno rispetto di lui ».
In altro passo, il Figlio dice a proposito della sua persona: « Voi non conoscete né me né il Padre mio; se, infatti, conosceste me, forse conoscereste anche il Padre mio ».
Se Pietro, dunque, si è espresso mediante le parole medesime che Dio ha usate senza che ne derivasse detrimento alla sua sapienza, perché non ammettere che anche l'Apostolo le abbia impiegate senza che la sua fede subisse limitazione?
D'altronde, non avrebbe potuto avanzare dubbi sul dono di Cristo, giacché il Signore gli aveva concesso la potestà di rimettere i peccati.
Maggiormente, perciò, gli incombeva l'obbligo di non dare adito ai sottili cavilli degli eretici.
Scopo, infatti, di costoro è unicamente il rendere vana la speranza degli uomini, per ingenerare nelle persone che sono in preda della disperazione la persuasione che è necessario ripetere il battesimo.
Gli Apostoli, però, conformemente a quanto aveva loro insegnato Cristo, si sono fatti maestri di penitenza, hanno assicurato il perdono, hanno rimesso il peccato.
Così anche David, il quale ha detto: « Beati coloro le cui colpe sono rimesse e i cui peccati sono coperti; beato l'uomo cui il Signore non ha addebitato il peccato ».
Ha detto beato colui la cui colpa è rimessa mediante il battesimo, e colui il cui peccato è coperto dalle opere buone.
Chi esercita la penitenza deve non solo lavare la colpa con le lacrime, ma occultare con azioni migliori e ricoprire quasi le infamie del passato, perché non gli sia addebitato il peccato.
Copriamo, dunque, le nostre iniquità con le opere compiute dopo aver peccato.
Emendiamo le colpe con le lacrime, perché il Signore ci oda mentre ci lamentiamo, così come ascoltò Efraim che piangeva.
Dio medesimo ha detto: « Ho prestato ascolto, ho udito Efraim rammaricarsi ».
E ha ripetuto le parole medesime di Efraim che si lamentava: « Tu mi hai castigato e io ho subito il castigo; come un torello non sono stato domato ».
Il torello, infatti, ruzza, abbandona la greppia, perciò Efraim « come un torello, non è stato domato ».
Se ne sta lontano dalla greppia, giacché ha abbandonato « la greppia del Padrone » e, seguendo Geroboamo, ha adorato i vitelli.
Calamità questa che il profeta Aronne aveva vaticinato che sarebbe accaduta: il popolo, cioè, dei Giudei sarebbe caduto nell'apostasia.
Perciò, facendo penitenza dice: « Convertimi e io mi convertirò, poiché tu sei il mio Padrone; poiché mi sono pentito dopo il mio smarrimento e, dopo che ti ho conosciuto, ho pianto sui giorni della confusione; mi sono umiliato al tuo cospetto, giacché ho provato l'onta ignominiosa e ti ho testimoniato ».
Possiamo constatare che si debba esercitare la penitenza, con quali parole, con quali lacrime.
Egli chiamò addirittura « giorni della confusione » quelli del peccato.
Regna, infatti, confusione quando Cristo è ripudiato.
Umiliamoci, dunque, innanzi a Dio.
Non rimaniamo nella soggezione della colpa.
Vergognamoci al ricordo dei nostri peccati e non meniamone vanto quasi fossero bravura alla maniera di alcuni che si esaltano perché il pudore è stato da loro debellato e la giustizia soffocata.
La nostra conversione sia tale che proprio noi che non conoscevamo Dio possiamo testimoniare agli altri e il Signore commosso da questo nostro mutamento d'animo, risponda: « Dalla mia giovinezza tu sei, o Efraim, il figlio mio caro, il figlio, per così dire, prediletto.
Me ne ricorderò sempre più vivamente, giacché le mie parole sono impresse in lui.
Perciò, ha detto il Signore, mi sono mostrato sempre sollecito nei suoi riguardi e avrò misericordia di lui ».
Quale pietà ci promette, lo dice più innanzi: « Ho reso ebbra l'anima tutta che era sitibonda e ho saziato l'anima tutta che era affamata: perciò, mi sono destato e ho guardato; il mio sonno mi pare soave ».
Intendiamo chiaramente che il Signore garantisce a tutti i suoi sacramenti.
Perciò, tutti facciamo ritorno a lui.
Capitolo 6
Ma se essi non intendono convertirsi, fatelo almeno voi, che commettendo colpe di natura diversa, siete precipitati in basso dalle alte vette dell'innocenza e della fede.
Abbiamo un buon Padrone che è disposto a perdonare tutti.
Ti ha invitato, per bocca del profeta, dicendo: « Io, io cancello i tuoi peccati e non ne conserverò ricordo.
Tu però, siine memore affinché possiamo sottoporci a giudizio ».
Dice: « Io non ne conserverò il ricordo, tu, invece, siine memore », cioè: « Non richiamo alla memoria le colpe che ti ho rimesse, quasi avvolte, per così dire, nell'oblio ».
Invece, « Tu siine memore ».
Dice: « Io non ne conserverò il ricordo » in virtù della grazia concessa, « Tu siine memore » per il miglioramento conseguito.
Siine memore e tieni presente che ti è stato condonato il peccato, non perché, quasi persona senza macchia, ne meni vanto e, col volerti giustificare, ti renda maggiormente colpevole.
Se desideri essere perdonato, confessa la tua colpa.
Una confessione fatta con cuore contrito scioglie i nodi del peccato.
Puoi vedere che cosa « Dio, il tuo Dio » pretende da te: che tu conservi il ricordo della grazia avuta e non ne meni vanto « quasi che non l'abbia ricevuta ».
Puoi constatare con quale garanzia di perdono ti esorta ad attestare la colpa.
Bada, perciò, che coll'opporre resistenza ai divini precetti non abbia a precipitare nella irreligiosità dei Giudei.
Ad essi il Signore dice: « Abbiamo intonato un canto per voi e non avete danzato, abbiamo cantato nenie lamentose, e non avete pianto ».
Un parlare comune questo, ma sublime il riposto significato.
La necessità è, quindi, che non ci si lasci fuorviare dalla banale interpretazione del passo e si creda che ci siano imposti istrionici atteggiamenti di danza sfrenata e teatrali stravaganze: comportamento questo peccaminoso anche nella prima adolescenza.
Dio ha comandato la danza che David eseguì davanti all'arca del Signore.
Tutto ciò che conferisce prestigio alla religione è consentito.
Non si deve, perciò, provare vergogna di qualsiasi forma di ossequio che dia contributo alla scrupolosa osservanza del culto di Cristo.
Non si parla, pertanto, della danza che si accompagna a lussuria raffinata, ma che ci mette in grado di muovere il corpo senza indolenza e di non lasciare che le membra impoltriscano a terra e perdano ogni vitalità a causa dell'appesantito incedere dei passi.
Paolo danzava spiritualmente allorché agile entrava in lizza per il nostro bene.
Egli non apprezzava i traguardi raggiunti, desiderava nuove mete, puntava diritto al premio di Cristo.
Tu anche, sul punto di ricevere il battesimo, sei esortato a levare le mani al cielo, ad avere più agili i piedi per poter ascendere all'eterno.
Questa è la danza alleata della fede e compagna della grazia.
Questo, dunque, l'arcano significato.
« Abbiamo intonato per voi un canto, quello del Nuovo Testamento, e non avete danzato », non avete innalzato l'animo alla grazia spirituale.
« Abbiamo cantato nenie lamentose e non avete pianto », cioè, non vi siete pentiti.
Il popolo dei Giudei giacque nell'abbandono appunto perché non fece penitenza e rifiutò la grazia: penitenza della quale era stato banditore Giovanni, grazia di cui era stato elargitore Cristo.
Questa la dona, per così dire, il Padrone, quella l'annunzia il servo.
La Chiesa custodisce l'una e l'altra.
É così in grado di conseguire la grazia e di non ripudiare la penitenza.
L'una, infatti, è dono di chi elargisce con generosità, l'altra è rimedio atto a guarire chi ha peccato.
Geremia non ignorò quale portentoso farmaco fosse la penitenza.
Nei Lamenti fece ad essa ricorso in favore di Gerusalemme.
Con queste parole ci fa vedere la città che fa penitenza: « Amaramente ha pianto nella notte, le lacrime scendono sulle guance; nessuno le reca conforto fra tutti i suoi amanti.
Le strade di Sion sono in lutto ».
Ha aggiunto: « Per tali cose io piango » e « gli occhi miei si sono offuscati per le lacrime, perché chi mi confortava è lontano da me ».
Possiamo notare che Gerusalemme stimava dolorosissimo questo insieme di mali, perché mancava chi la confortasse nell'afflizione.
Come voi, dunque, o Novaziani, pensate di togliere persino il conforto con il negare la speranza di una penitenza fruttuosa?
Prestino attenzione le persone che fanno penitenza, come debbano attendervi, con quale ardore d'animo, con quale interiore sconvolgimento, con quale mutamento di cuore: « Guarda, o Signore, quanto sono in angoscia; le mie viscere sono agitate » dal mio pianto, « il mio cuore è sconvolto dentro di me ».
Hai appreso quale debba essere l'ardore dell'animo, quale la fede del cuore.
Impara ora come debba regolarti nel comportamento esteriore.
Il profeta dice: « Gli anziani della figlia di Sion siedono a terra in silenzio, hanno cosparso di cenere il loro capo, si sono cinti di sacco, hanno fatto curvare a terra le vergine elette di Gerusalemme.
I miei occhi si sono consunti per le lacrime », si sono offuscati, « le mie viscere sono sconvolte », la mia gloria « è stata sparsa a terra ».
Anche il popolo di Ninive così pianse e riuscì ad evitare il preannunziato sterminio dei suoi abitanti.
La penitenza è farmaco di tale efficacia che abbiamo l'impressione che Dio medesimo muti consiglio.
Dipende, perciò, da te soltanto il sottrarti al castigo.
Il Signore vuole essere pregato, esige fede, suppliche in suo onore.
Tu sei uomo, eppure pretendi di essere pregato per elargire il perdono.
Pensi, dunque, che Dio sia disposto a concederti misericordia senza che tu lo solleciti?
Il Signore in persona pianse su Gerusalemme affinché, pur non essendo essa disposta, ottenesse il perdono in virtù delle lacrime di Dio.
Egli vuole che piangiamo per evitare il castigo.
É scritto nel Vangelo: « O figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse ».
David, pianse e ottenne che la divina pietà allontanasse la morte dal popolo che periva.
Allorché, infatti, gli fu proposto di scegliere tra tre cose, optò per quella che gli permettesse maggiormente di fare tesoro della pietà del Signore.
E tu ti vergogni di piangere le tue colpe, quando David ha comandato persino ai profeti di versare lacrime per il bene dei popoli?
Anche Ezechiele ebbe l'ordine di piangere su Gerusalemme e ricevette il volume al cui inizio è scritto: « Lamenti, canti, guai ».
Due argomenti tristi e uno piacevole.
Chi, infatti, piangerà di più su questa terra, sarà salvo nella vita futura.
« Il cuore dei saggi è in una casa in lutto, il cuore degli stolti in una casa in festa ».
Il Signore in persona dice: « Beati voi che piangete, perché riderete ».
Capitolo 7
Versiamo, dunque, lacrime finché c'è tempo, perché ci sia assicurata l'eterna felicità.
Temiamo il Signore, sollecitiamone la pietà con il confessare le nostre colpe.
Poniamo rimedio ai nostri errori, riparo ai falli, affinché non si dica anche di noi: « Ohimè o anima, l'uomo pio è scomparso dalla terra, non c'è tra gli uomini chi è disposto ad emendarsi ».
Perché provi vergogna di confessare le tue colpe innanzi al Signore?
Egli dice: « Confessa le tue infamie, affinché sii giustificato ».
Agli occhi di chi è tuttora nella colpa è fatto balenare il premio della giustificazione.
Infatti, chi ammette spontaneamente le colpe è giustificato.
« Il giusto nel proemio del suo discorso accusa se stesso ».
Il Signore sa tutto, vuole, però, sentire la tua voce, non già per punire ma per perdonare.
Non vuole che il diavolo si faccia gioco di te, ti accusi di tenere celate le colpe.
Previeni il tuo accusatore.
Se ti accusi da te stesso, non dovrai temere alcun accusatore.
Se ti denunzierai da te medesimo, morto che tu sia, risusciterai.
Cristo verrà al tuo sepolcro.
Se vedrà che Marta, la solerte massaia, versa lacrime per te e così Maria, la quale piamente, come la santa Chiesa, ascoltava la parola di Dio e « scelse per sé la parte migliore », proverà pietà.
Vedendo che moltissimi piangono la tua morte dirà: « Dove lo avete deposto? », cioè, in quale ordine di peccatori, in quale grado di penitenti?
Lasciatemi vedere chi piangete, perché egli in persona mi commuova con le sue lacrime.
Che io veda se è definitivamente morto al peccato di cui si invoca il perdono.
La gente gli dice: « Vieni e vedi ».
Che significa « vieni »?
Venga la remissione dei peccati, la vita dei morti, la loro resurrezione, « venga il tuo regno » a questo peccatore.
Gesù, dunque, verrà e comanderà che sia tolta la pietra, che il reo si è posta da se stesso sulle spalle.
Cristo avrebbe potuto agevolmente smuovere il sasso con una parola di comando.
La natura insensibile non è davvero sorda ai suoi ordini.
Mediante l'occulta potenza di un miracolo avrebbe potuto facilmente spostare la pietra sepolcrale.
Alla sua morte, infatti, moltissime tombe di morti si spalancarono, d'un tratto essendosi smosse le pietre.
Ma ordinò agli uomini di togliere il sasso, affinché, nella realtà, da una parte, gli increduli credessero in ciò che era innanzi ai loro occhi e vedessero il morto risuscitare, nella tipologia, d'altra parte, perché intendessero che ci elargiva la grazia di liberarci dal peso dei peccati, i macigni, per così dire, che schiacciano i rei.
É compito nostro smuovere i pesi, è ufficio di Cristo ridonare la vita, fare uscire dai sepolcri le persone sciolte dai lacci della colpa.
Vedendo il grave peso che opprime il peccatore, Gesù versa lacrime.
Non permette che la Chiesa pianga da sola.
Ha pietà della prediletta e dice a chi è morto: « Vieni fuori », cioè, tu che sei immerso nel buio della coscienza, nella sozzura dei misfatti, vieni fuori come da una prigione di delinquenti, metti a nudo la tua colpa per ottenere giustificazione.
Infatti, « ci si confessa con la bocca in vista della salvezza ».
Se tu, chiamato da Cristo, ammetterai il tuo peccato, subito si infrangeranno i serrami, si spezzeranno tutti i legami, anche se il cadavere in putrefazione emani forte fetore.
La salma di Lazzaro che era morto da quattro giorni mandava cattivo odore nella tomba.
Ma Cristo, « la cui carne non vide corruzione » rimase per tre giorni nel sepolcro.
Non conobbe, infatti, i vizi della carne, la cui sostanza consta dei quattro elementi originari.
Il fetore del cadavere è forte quanto vuoi, ma svanisce del tutto appena il santo profumo si spande.
Ecco, il defunto riacquista la vita.
Si ordina alle persone che tuttora vivono nel peccato di sciogliere i lacci, di liberare il volto del defunto dal sudario con cui occultava la verità della grazia ricevuta.
Viene impartito il comando di togliergli il sudario dal viso, di denudargli il volto, giacché il reo ha ricevuto il dono del perdono.
Chi ha ottenuto la remissione dei peccati non ha motivo di vergognarsi.
Tuttavia, nonostante la grazia ineffabile del Signore e il sublime miracolo, frutto della sua divina munificenza, in un momento che doveva essere di generale letizia, i sacrileghi erano in fermento.
Tenevano consiglio contro Cristo, tramavano l'uccisione di Lazzaro.
Non vi accorgete, dunque, che voi, o Novaziani, siete destinati ad essere i degni successori di quei sacrileghi, gli eredi della loro spietatezza?
Anche voi siete sdegnati, promuovete riunioni contro la Chiesa.
Vedete, infatti, che nel suo grembo i morti ritornano alla vita, risuscitano, quando il perdono dei peccati è stato loro elargito.
Pertanto, per quanto dipende da voi, volete uccidere, in forza dell'odio, le persone risorte a nuova vita.
Ma Gesù non revoca i benefici concessi.
Li rende più grandi con la sua munificenza.
Subito è tornato a visitare chi aveva risuscitato e, per festeggiarne la resurrezione, lieto viene alla cena, che la Chiesa gli ha imbandita.
Chi era morto prende parte al banchetto, come appunto sta scritto, tra i commensali di Cristo.
Le persone tutte che vedono con l'occhio puro della mente e che non conoscono odio - la Chiesa vanta, appunto, figli di tale specie - si meravigliano che chi ieri e l'altro ieri era nel sepolcro è ora tra coloro che siedono a mensa insieme a Gesù.
Maria in persona unge i piedi di Cristo.
I piedi, giacché uno dei deboli è stato strappato a morte.
Tutti, infatti, formano il corpo di Gesù, ma senz'altro, alcuni sono le membra superiori.
L'Apostolo che diceva: « Voi cercate una prova che Cristo parla in me », era la bocca di Cristo.
Così anche i profeti per mezzo dei quali il Signore annunziava il futuro.
Oh, fossi io degno di essere il suo piede e Maria mi cospargesse del prezioso profumo, mi ungesse, mi rendesse indenne dal peccato!
Il caso di Lazzaro si ripete ogni qual volta un peccatore, anche se emani fetore, è reso mondo dal balsamo della fede preziosa.
Fede che consegue grazia così grande, che quella casa in cui il giorno precedente il morto mandava cattivo odore tutta intera è pregna di buon profumo.
La casa di Corinto mandava fetore, quando leggiamo: « Si parla di adulterio tra voi quale neppure tra i pagani ».
C'era puzzo, giacché un poco di lievito aveva alterato tutta la pasta.
Tuttavia, comincia a sentirsi il buon profumo, quando è detto: « Se avete perdonato qualcosa a qualcuno, anche io la perdono; infatti anche io se ho perdonato qualcosa, l'ho perdonata per il vostro bene nel nome di Cristo ».
Pertanto, liberato il peccatore, ci fu grande gioia nella casa.
La dimora intera mandò buon odore in virtù del soave profumo della grazia.
Perciò, consapevole di aver cosparso tutti del balsamo dell'apostolica benedizione, egli dice: « Siamo innanzi a Dio il buon profumo di Cristo fra quelli che si salvano ».
Tutti sono lieti allorché il profumo si è sparso.
Il solo Giuda non è d'accordo.
Così anche ora chi è sacrilego, chi è traditore, si mostri pure contrariato, muova biasimi.
Gesù, però, rimprovera Giuda, giacché costui non intende quale medicina portentosa sarebbe stata la morte di Cristo e non comprende il senso riposto di una sepoltura così importante.
Il Signore, infatti, ha patito, è morto per riscattarci dalla morte.
Egli giudica prezzo sublime della sua passione l'essere il peccatore assolto dalle colpe ed innalzato a ineffabile grazia, così che tutti vengano e dicano, levando lodi al Signore: « Mangiamo e facciamo festa, perché costui era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato ».
Se qualche pagano obietterà: « Perché mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori? » gli rispondiamo: « Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati ».
Capitolo 8
Fai vedere, dunque, al medico la tua piaga, perché tu sia curato.
Se non gliela mostrerai, egli la conosce, ma desidera ascoltare la tua voce.
Netta le tue cicatrici con le lacrime.
In questa maniera, appunto, la donna di cui è parola nel Vangelo, si è mondata dal peccato, dal fetore della sua iniquità.
Si è resa libera dalla colpa, nel lavare i piedi di Gesù con le lacrime.
Volesse il cielo, o Gesù, che tu mi destinassi a lavare i piedi che hai imbrattati mentre incedevi entro di me!
Oh, potessi tu concedermi di nettarli nel sudiciume con cui li ho infangati con il mio cattivo operare!
Ma donde attingere l'acqua viva con cui lavarli?
Non ho a disposizione l'acqua, bensì le lacrime.
Oh, potessi con esse purificare me stesso, mentre lavo i tuoi piedi!
Come fare, perché tu dica di me: « Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato »?
Ben di più avrei dovuto amare, lo ammetto, e fin troppo mi è stato condonato.
Sono stato, infatti, chiamato al sacerdozio dopo essere vissuto sino a quel momento tra il frastuono delle cause forensi e le beghe paurose della pubblica amministrazione.
É mio timore, pertanto, apparire ingrato, se dimostrerò un amore minore, giacché molto di più mi è stato condonato.
Ma non posso stimare tutti all'altezza della donna la quale, meritatamente, è stata preferita anche a Simone che offriva il pranzo al Signore.
Essa ha, infatti, dato lezione alle persone che intendono lucrarsi il perdono.
Ha baciato i piedi di Cristo, li ha lavati con le lacrime, asciugati con i capelli e cosparsi di olio profumato.
Il bacio simboleggia la carità.
Il Signore ha detto: « Mi baci egli con il bacio della sua bocca ».
I capelli cosa altro significano se non che tu sappia che è necessario invocare il perdono dopo aver disprezzato ogni prestigio che derivi dalle insegne delle alte cariche di questo mondo, e che ti getti bocconi al suolo, e che, prostrato, cerchi pietà?
L'unguento simboleggia il profumo del buon mutamento d'animo.
David era re, eppure diceva: « Ogni notte inonderò di pianto il mio letto, irrorerò di lacrime il mio giaciglio ».
Meritò, pertanto, una grazia ineffabile: tra i suoi discendenti fu scelta la Vergine che doveva, partorendo, dare alla luce Cristo.
La peccatrice pentitasi, dunque, meritatamente per i motivi detti è lodata nel Vangelo.
Tuttavia, se non siamo in grado di uguagliarla, Gesù sa venire in soccorso dei deboli.
Se non c'è la donna che possa apprestare il banchetto, offrire l'unguento, portare con sé « la fonte dell'acqua viva », Cristo in persona viene alla tomba.
Volesse il cielo che ti degnassi di accostarti a questo mio sepolcro, o Gesù, e mi lavassi con il tuo pianto!
I miei occhi, infatti, si sono inariditi, le mie lacrime non bastano a lavare le mie colpe.
Se piangerai per me, sarò salvo.
Se sarò degno che tu per un poco versi lacrime per me, mi chiamerai fuori dalla tomba del corpo e dirai: « Esci fuori ».
Pronunzierai queste parole, affinché i miei pensieri non siano in catene nel carcere della carne, ma ne escano fuori verso Cristo, possano spaziare alla luce, così che io non mediti le opere delle tenebre, ma della luce.
Chi ha in animo di peccare, non altro desidera che farsi schiavo della sua coscienza.
Chiama, dunque, fuori il tuo servo.
Anche se avvinto dai legami del peccato, con i piedi incatenati, con le mani strette da nodi, anche se per sempre sepolto ai pensieri e alle « opere morte », se mi chiamerai, uscirò fuori libero.
Sarò « uno tra quelli che siedono a mensa » al tuo banchetto.
Tutta la tua casa emanerà la fragranza del prezioso profumo, se custodirai chi ti sei degnato di riscattare.
Si dirà: Costui non è stato allevato nel seno della Chiesa, non è stato domato da fanciullo, ma, a forza, è stato trascinato fuori dai tribunali, strappato dalle follie del secolo.
Avvezzo ad ascoltare la voce del banditore, si è assuefatto al cantico del salmista.
Ecco, tiene fede al sacerdozio, non già per suo merito, ma in virtù della grazia di Cristo, e siede tra i convitati della mensa celeste.
Preserva, o Signore, il tuo dono.
Custodisci il bene che mi hai elargito, anche se da esso rifuggissi.
Ero consapevole, infatti, di non meritare di essere chiamato vescovo, giacché mi ero votato al secolo.
Ma « per grazia » tua « sono ciò che sono ».
Sono senza dubbio l'infimo di tutti i vescovi, l'ultimo per merito.
Tuttavia, poiché mi sono sobbarcato a qualche travaglio per la tua santa Chiesa, custodisci questo frutto.
Non permettere che chi già sull'orlo della perdizione è stato da te chiamato al sacerdozio, ora, che è tuo ministro, soccomba.
Mi hai chiamato, perché impari a condolermi di tutto cuore dei travagli del peccatore.
Virtù questa davvero grande.
Sta appunto scritto: « Non gioire dei figli di Giuda nel giorno della loro sventura, non dire parole altezzose nel giorno della loro angoscia ».
Mi hai chiamato, perché, ogni volta che si tratta della colpa di un lapso, senta di lui pietà e non lo riprenda con durezza, bensì provi dolore e pianga.
Ciò, affinché, nel momento in cui verso lacrime su di un altro, pianga su me stesso e possa dire: « Tamar è più giusta di me ».
É ammissibile che una giovinetta sia caduta nel peccato, ingannata e tratta alla rovina dalle circostanze che sono incentivo al cattivo operare.
Però, se pecchiamo quando siamo avanti negli anni, la legge della carne muove guerra in noi a quella dello spirito, ci rende schiavi del peccato, ci induce a fare, insomma, ciò che non vorremmo.
La giovinetta ha, almeno, come giustificazione gli anni, io nessuna.
Essa deve imparare, io insegnare.
Perciò, « Tamar è più giusta di me ».
Incolpiamo qualcuno di cupidigia del denaro?
Domandiamo prima se non abbiamo operato anche noi dimostrando la medesima bramosia.
Allora ognuno di noi dica: « Tamar è più giusta di me ».
Infatti « l'attaccamento al denaro è la radice dei mali »: insensibilmente, come radice che si estende sotto terra, fa il nostro corpo sua preda.
Ci siamo adirati contro qualcuno: un laico, e non un vescovo, può essere perdonato per aver agito sotto l'impulso dell'ira.
Rimproveriamoci da noi stessi, diciamo: « Chi è incolpato di essere iracondo è più giusto di me ».
Parlando così ci metteremo nella condizione che Gesù o qualcuno dei discepoli non dica di noi: « Tu osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?
Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello ».
Non vergogniamoci, perciò, di ammettere che la nostra colpa è più grave di quella di chi, a nostro giudizio, deve essere sottoposto ad accusa.
Così, appunto, si è espresso Giuda che muoveva rimproveri a Tamar: richiamandosi alla mente la propria colpa, dice: « Tamar è più giusta di me ».
Affermazione che ha un profondo senso riposto e, a un tempo, suona insegnamento morale.
Non fu attribuita colpa a Giuda, giacché si accusò da se stesso, prima che altri lo denunziasse.
Che io, dunque, non gioisca per la colpa di nessuno, bensì ne provi dolore!
Sta scritto: « Non gioire troppo della mia sventura, mia nemica!
Se sono caduta, mi rialzerò; se siedo nelle tenebre, il Signore sarà la mia luce.
Sopporterò lo sdegno del Signore, perché ho peccato contro di lui, finché egli mi renda ragione.
Emetterà il verdetto su di me, mi farà uscire alla luce e vedrò la sua giustizia.
La mia nemica lo vedrà, sarà coperta di vergogna, lei che mi diceva: Dove è il Signore Dio tuo?
I miei occhi la vedranno e sarà calpestata come fango della strada ».
Giustamente, poiché chi esulta per la rovina degli altri, tripudia per la vittoria del diavolo.
Addoloriamoci, dunque, allorché sentiamo che è andato in perdizione un uomo « per cui Cristo è morto » che non trascura neppure « la pagliuzza nella messe ».
Dio voglia che questa « pagliuzza nella messe », il vuoto gambo del mio frutto, non sia gettata via da lui, ma raccolta!
Infatti, dice: « Ahimè! Sono diventato come chi raccoglie la pagliuzza nella messe e chi racimola alla vendemmia ».
Oh, possa egli mangiare in me almeno le primizie della sua grazia, anche se i frutti ulteriori non debbano riuscirgli graditi!
Capitolo 9
Sia, dunque, nostro convincimento che bisogna fare penitenza e che ad essa tiene dietro il perdono.
Una remissione, tuttavia, frutto di fede e non, per così dire, di un nostro credito.
C'è profondo divario tra il rendersi meritevoli di qualche cosa e l'arrogarsene il diritto.
La fede ottiene in forza quasi di obbligazione scritta, la presunzione, invece, è propria di chi è arrogante e non già di chi domanda.
Perché tu sia nella condizione di ottenere ciò in cui speri, prima devi far fronte al tuo pegno.
Comportati da onesto debitore, così che per pagare la cambiale non debba far ricorso ad altro prestito, bensì possa soddisfare, mediante le ricchezze che ti provengono dalla fede, all'interesse del debito contratto a tuo nome.
Ha maggiore possibilità di pagare chi è debitore di Dio che dell'uomo.
Questi esige denaro in cambio di denaro, e il debitore non sempre lo ha pronto.
Dio si accontenta, invece, della buona disposizione d'animo che è in tuo potere attestare.
Non è povero chi è debitore del Signore, tranne che non si renda indigente da se stesso.
Non ha da vendere, possiede, però, i mezzi con cui pagare.
Le preghiere, le lacrime, i digiuni, sono le ricchezze del buon debitore e beni più sostanziosi che se uno offra senza fede il denaro ricavato dalla vendita di proprietà.
Povero era Anania, allorché, venduto il podere, consegnava agli Apostoli il denaro che, lungi dal liberarlo dal debito contratto innanzi a Dio, doveva implicarlo in nodi stretti.
Ricca era, invece, la vedova, la quale mise due piccole monete nella cassa delle offerte.
Di lei è detto: « Questa vedova, povera, ha messo più di tutti ».
Dio non domanda denaro, ma schiettezza di fede.
La colpa, credo, può essere mitigata mediante elargizioni ai poveri, purché la fede aggiunga credito ai donativi.
A che offrire le proprie sostanze, se l'ardore di carità non si accompagna all'oblazione?
Alcuni non mirano che a soddisfare alla vanità personale, a conseguire la fama che può derivare dall'essere munificente.
É loro intento apparire persone virtuose agli occhi del popolino, poiché hanno elargito tutte le sostanze.
Vanno in cerca del premio del secolo presente, non mettono, però, in serbo quello del futuro.
Se, infatti, « hanno già ricevuto la loro ricompensa » su questa terra, non possono sperare in quella dell'aldilà.
Altri, dopo aver donato i beni alla Chiesa in seguito a impulso precipitoso e non già a matura riflessione, hanno ritenuto opportuno di revocare la donazione.
Sia l'uno che l'altro modo di comportarsi non è stato per loro redditizio, in quanto il primo, dettato da inconsulto consiglio, l'altro, informato a sacrilegio.
Alcuni, poi, si pentono di aver spartito gli averi con i poveri.
Ma chi esercita la penitenza non deve affatto avere rincrescimento in materia, perché non abbia a pentirsi di essersi pentito.
Non pochi, infatti, per timore dell'eterno castigo, consapevoli delle loro colpe, domandano di fare penitenza e, una volta ammessi, si tirano indietro per la vergogna di doverla esercitare pubblicamente.
Essi, a mio parere, hanno domandato di fare penitenza delle malefatte e la fanno, invece, delle buone opere da loro compiute.
Alcuni, ancora, invocano la penitenza, ma allo scopo unico di essere reintegrati nella comunione dei fedeli.
Non desiderano mondarsi, ma stringere con lacci il ministro di Dio.
Non sgravano la loro coscienza, fanno violenza a quella del sacerdote, cui è stato comandato: « Non date le cose sante ai cani e non buttate le vostre perle davanti ai porci ».
Si deve, cioè, vietare che persone imbrattate di immonde iniquità siano riammesse alla santa comunione.
Osservate queste persone: sono lì a passeggiare.
Indossano abiti nuovi, mentre sarebbe stato loro conveniente essere in gramaglie, lamentarsi per avere infangato la veste della grazia battesimale.
Le donne si sovraccaricano le orecchie di grosse, preziose perle: sono costrette, addirittura, a piegare le nuche, mentre bene avrebbero dovuto tenerle basse per amore di Cristo e non dell'oro, e versare, a un tempo, lacrime su se stesse per aver perduto la perla preziosa, la celeste.
Altri sono convinti che pentirsi significhi escludersi dai divini sacramenti.
Sono giudici fin troppo spietati di se stessi.
Si assegnano il castigo, rifiutano il rimedio.
Sarebbe stato, invece, opportuno che si dolessero della pena inflittasi, poiché a causa di essa rimangono defraudati dalla divina grazia.
Altri, giacché è data speranza di fare ammenda delle colpe, credono che sia loro implicitamente concessa facoltà di continuare a peccare a piacimento.
Ma la penitenza è rimedio del peccato, non già incentivo.
Il farmaco è necessario alla ferita, non viceversa.
Domandiamo il rimedio per curare la piaga, non già desideriamo questa per avere modo di applicarvi il medicamento.
Fragile è, d'altra parte, la speranza che si affida al tempo.
Ogni tempo è sempre incerto, né tutte le speranze gli sopravvivono.
Capitolo 10
Forse qualcuno potrebbe tollerare che tu provi vergogna di invocare Dio e non, invece, di pregare l'uomo, e che tu abbia ritegno di supplicare il Signore, cui il tuo modo di operare non sfugge, e non, invece, di fare palesi le tue colpe all'uomo, cui possono rimanere nascoste?
Non vuoi che, se preghi, ci sia gente che lo sappia e possa riferirlo?
Eppure, se si tratta di dare soddisfazione all'uomo, non ti accosti forse a un gran numero di persone, le scongiuri perché interpongano i buoni uffici, ti prostri alle ginocchia, baci i piedi, metti innanzi i figli innocenti, perché invochino pietà per il padre?
Ostenti, tuttavia, neghittosità a fare ciò nella Chiesa, a supplicare Dio, a ricercare il patrocinio dei fedeli, perché preghino per te.
Nella Chiesa si arreca disonore col non confessare le colpe, giacché tutti siamo peccatori.
In essa merita di più chi è più umile, ed è più giusto chi maggiormente disprezza se stesso.
La madre Chiesa pianga per la tua salvezza e lavi la tua colpa con le lacrime.
Cristo ti veda nella tua afflizione e dice: « Beati voi che piangete, perché riderete ».
Egli gradisce che più persone preghino per una sola.
Nel Vangelo, mosso a pietà delle lacrime della vedova, poiché erano moltissimi a piangere per lei, ne richiamò il figlio alla vita.
Esaudì prontamente Pietro che pregava affinché Dorcade risuscitasse, poiché i poveri gemevano per la morte della donna.
Perdonò subito l'apostolo che aveva versato amarissime lacrime.
Se anche tu piangerai in tal maniera, Cristo rivolgerà a te gli occhi e la colpa sarà cancellata.
L'esercizio del dolore allontana la morbosa cupidigia del peccare, la seduzione della colpa.
Ci travagliamo per le iniquità perpetrate e, intanto, teniamo lontane quelle che potremmo commettere.
Dalla condanna della colpa scaturisce una disciplina dell'innocenza.
Nulla, perciò, ti distolga dall'esercitare la penitenza.
Ne sei partecipe con i santi, e voglia il cielo che tu riesca ad emulare il loro pianto!
David « si nutriva di cenere come di pane; mescolava il pianto alla sua bevanda ».
Ora maggiormente gioisce, poiché versò più abbondantemente le lacrime.
Dice: « Fiumi di lacrime discesero dai miei occhi ».
Giovanni pianse molto e, come dice, gli furono rivelati i misteri di Cristo.
Non così la donna che travolta dal peccato, non versò lacrime come avrebbe dovuto: se la spassava, indossava abiti di porpora e scarlatto, faceva sfoggio di molto oro e di pietre preziose.
Meritatamente, pertanto, si strugge nel travaglio di un pianto senza fine.
Alcuni sono convinti che si possa più volte fare penitenza.
Essi « sono presi da desideri indegni di Cristo ».
Se attendessero, infatti, alla penitenza di tutto cuore, non crederebbero alla necessità di doverla ripetere.
« Uno solo è il battesimo », una sola è la penitenza, quella, s'intende, che si fa in pubblico.
Ogni giorno, infatti, dobbiamo pentirci del peccato, ma, mentre la penitenza giornaliera è dei peccati più lievi, la pubblica è delle colpe di maggiore entità.
Mi sono imbattuto più spesso in persone che hanno conservato la loro innocenza che non in gente che abbia atteso a pentirsi con coerenza.
Credi forse che si possa parlare di penitenza là dove si intriga in vario modo per ottenere cariche, regna il bere sfrenato, viene praticato l'accoppiamento carnale?
Bisogna dire con decisione addio al secolo, abbandonarsi al sonno meno di quanto la natura esiga, alternarlo con lamenti, romperlo a mezzo con gemiti, riservarlo alla preghiera.
É necessario, insomma, vivere come se fossimo per sempre morti al nostro modo di condurre l'esistenza terrena.
L'uomo deve rinnegare se stesso, trasformarsi radicalmente, come la tradizione racconta a proposito di un giovane.
Costui, dopo aver amato una cortigiana, partì alla volta di un paese lontano.
Cancellata che ebbe dall'animo la passione, ritornò e si imbatté nella donna che aveva amata.
Essa, meravigliata che il giovane non le rivolgesse neppure la parola e pensando, quindi, di non essere stata riconosciuta, incontratolo di nuovo, gli disse: « Sono io », e l'altro: « Ma io non sono più io ».
Il Signore, perciò, a ragione dice: « Chi vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua ».
I morti e sepolti con Cristo non devono, quasi fossero ancora in vita, avere l'animo rivolto alle cose di questo mondo.
Paolo dice: « Non toccate, non prendete tutte le cose destinate a scomparire con l'uso.
L'uso di per sé della vita cagiona, infatti, la corruzione dell'innocenza.
Capitolo 11
La penitenza, dunque, è un bene.
Se essa non esistesse, tutti differirebbero la grazia del battesimo alla vecchiaia.
A una ipotesi assurda del genere, valga come risposta che è preferibile possedere un qualcosa da rattoppare che non avere da ricoprirsi.
Ma nemmeno gli abiti rappezzati una sola volta possono ancora essere usati come nuovi, quelli, invece, cuciti e ricuciti finiscono con il logorarsi del tutto.
Il Signore, quando dice: « Fate penitenza, perché il regno dei cieli è vicino », ha sufficientemente ammonito coloro che rinviano la penitenza.
Ignoriamo in quale ora viene il ladro, non sappiamo se la nostra anima ci sarà richiesta la notte stessa.
Dio scacciò Adamo dal paradiso subito dopo la colpa.
Non frappose indugi, ma, perché facesse penitenza, lo privò delle delizie e, immediatamente, lo rivestì di una tunica di pelle, non già di seta.
Quale giustificazione c'è perché tu debba rinviare?
Forse quella di commettere un maggior numero di peccati?
Dunque, perché Dio è buono, tu vuoi essere malvagio, e « ti prendi gioco dei tesori della sua bontà e pazienza »?
La mitezza del Signore dovrebbe, al contrario, essere per te incitamento a pentirti.
Appunto, il santo David dice a tutti: « Venite, adoriamo e prostriamoci innanzi a lui e piangiamo al cospetto di nostro Signore che ci ha creati ».
Il medesimo David, come sai, versa lacrime sul peccatore che è morto senza pentirsi.
In un caso del genere non rimane altro che provare forte dolore e piangere.
Egli dice: « Figlio mio Assalonne, figlio mio Assalonne »!
Chi è definitivamente morto va pianto senza alcuna riserva.
A proposito degli esuli, che, raminghi dagli aviti confini fissati dalla legge di Mosè, si erano infangati dei peccati di questo mondo, odi che canta: « Sui fiumi di Babilonia, là sedemmo e piangemmo al ricordo di Sion ».
Il salmista vuole insegnare che la stirpe dei rei di apostasia deve provvedere al ravvedimento, quando i colpevoli sono ancora in condizione di avere tempo a disposizione e in situazione suscettibile di mutamento.
Perciò, ricorre all'esempio dei Giudei trascinati in miseranda schiavitù come prezzo della colpa.
Non c'è dolore maggiore di quello che prova chi nella schiavitù del peccato si ricorda dei supremi beni dai quali è decaduto, ha tralignato.
Si è, infatti, allontanato dal meraviglioso, sublime proposito di approfondire la conoscenza di Dio, per rivolgersi a ciò che è materiale, effimero.
Adamo pensò di nascondersi, non appena avvertì la presenza di Dio. Tentò di celarsi, quantunque lo ricercasse, lo chiamasse con parole che dovevano trafiggere il cuore di lui che si nascondeva: « Adamo, dove sei? »
Cioè, perché ti celi, perché ti occulti, perché eviti il Signore che desideravi vedere?
La colpa rimorde la coscienza al punto tale che, anche senza il giudice, si punisce da se stessa e desidera occultarsi.
Non riesce, però, a celarsi agli occhi di Dio.
Nessuno che sia in colpa deve arrogarsi, quindi, il diritto, l'uso illecito dei sacramenti.
Sta scritto: « Hai peccato? Fermati ».
Lo dice anche David nel salmo cui si è accennato: « Appendemmo le nostre cetre ai salici di quella terra ».
Più avanti: « Come cantare il cantico del Signore in terra straniera? »
Se la carne combatte con lo spirito ed è riluttante a lasciarsi guidare dall'anima, ad ubbidirle, è terra straniera che non è dissodata dal lavoro del contadino e non produce, pertanto, i frutti della carità, della pazienza, della pace.
Perciò, meglio fermarsi, quando non si è in grado di attendere alle opere della penitenza, affinché nell'esercitarla non capiti di agire in modo da dovere ancora ad essa far ricorso.
Se, infatti, non è stata una sola volta bene usata e opportunamente praticata, non si ricava alcun frutto dalla penitenza cui si è atteso e ci è tolta la possibilità di valercene successivamente.
Quando la carne oppone resistenza, è necessario, allora, che lo spirito sia rivolto a Dio.
Se le opere vengono meno, la fede porti soccorso.
Se le seduzioni della carne o le potestà nemiche incalzano, lo spirito sia assorto in Dio.
Quando, infatti, la carne sferra il suo attacco, corriamo i pericoli più gravi.
Eppure alcuni, con tutte le loro forze, fanno violenza all'anima, tentando di privarla di ogni sostegno.
Perciò, è detto: « Distruggete, distruggete, anche le sue fondamenta ».
David, appunto, mosso a pietà da lei esclama: « Figlia infelice di Babilonia! ».
Senz'altro è sventurata, giacché è ormai figlia di Babilonia, non più di Dio.
Invoca in suo favore l'intervento di chi possa guarirla: « Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà sulla pietra ».
Beato, cioè, chi spezzerà contro Cristo i pensieri caduchi, peccaminosi, e fiaccherà tutti gli impulsi non conformi a ragione, in virtù di una cosciente autocritica: chi, ad esempio, in balia di un amore adulterino possa tenere lontano lo struggente desiderio del congiungimento carnale con una prostituta e rinunziare alla passione per guadagnarsi Cristo.
Dunque, abbiamo appreso innanzi tutto che occorre fare penitenza, e ciò quando la bramosia di peccare si è spenta; ancora, che nella schiavitù del peccato dobbiamo essere rispettosi, non già arroganti.
A Mosè che desiderava sempre più addentrarsi nella conoscenza del mistero celeste, è detto: « Togliti i sandali dai piedi ».
A maggior ragione è necessario, quindi, che noi liberiamo i piedi della nostra anima dai legami del corpo e sciogliamo i passi dai nodi che ci avvincono a questo mondo.