Omelie sulle Beatitudini |
La mia mente, quando guarda dalla sublime voce del Signore, come dalla sommità di una montagna, alla profondità inesauribile dei suoi pensieri, prova la stessa impressione che è verosimile esperimentino coloro che da una altissima vetta si rivolgono all'infinita vastità del mare aperto.
Infatti, come in molti luoghi di mare è possibile vedere un monte spaccato, eroso dalla parte del mare a picco dalla cima in profondità, il cui limite superiore si proietta come una punta e incombe sull'abisso ( questo è appunto ciò che è verosimile esperimenti colui che intravvede, da simile punto di osservazione, da una così grande altitudine, il mare profondo ), così ora l'anima mia ha le vertigini sospese a questa grande parola del Signore: « Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio ».
Dio è promesso in premio alla contemplazione di coloro che si sono purificati nel loro cuore.
« Nessuno ha mai visto Dio » ( Gv 1,18 ), stando a quanto dice il grande Giovanni.
Anche Paolo, quella mente sublime, conferma quello stesso verdetto quando dice: « Nessuno lo vide, né può vederlo » ( 1 Tm 6,16 ).
Questa è infatti quella roccia liscia e scoscesa, che mostra di non offrire alcun appiglio ai nostri pensieri, quella roccia che anche Mosè, nella sua dottrina, rivelò essere così inaccessibile da rendere impossibile alla nostra mente di avvicinarsi: ogni incertezza è eliminata dall'aff ermazione: « Non è infatti possibile che qualcuno veda il Signore e viva » ( Es 33,20 ).
Ma in verità il vedere il Signore è vita eterna.
D'altra parte i pilastri della fede, Giovanni, Paolo, Mosè, dichiarano che questo è impossibile.
Ti rendi conto della vertigine da cui l'anima è trascinata nella profondità delle considerazioni contenute in questo discorso?
Se da una parte Dio è vita e chi non vede Dio non ha lo sguardo rivolto alla vita, d'altra parte la testimonianza dei profeti e degli apostoli ispirati è che non si può vedere Dio.
A che cosa si riduce la speranza degli uomini?
Ma il Signore sostiene la speranza che cade, come fece con Pietro, che ripose sulla superficie dell'acqua solida e resistente ai passi, mentre rischiava di sprofondare.
Se anche sopra di noi giungesse la mano del Logos e, mentre siamo instabili sull'abisso delle riflessioni, ci confermasse in un altro pensiero, noi usciremmo dalla paura aggrappandoci con forza al Logos che ci conduce per mano; egli dice infatti: « Beati i puri di cuore perché vedranno Dio ».
La promessa è così grande da superare il più alto limite della beatitudine.
Cos'altro potrebbe desiderare, dopo tale bene, colui che tutto ha nel contemplato?
Infatti, nell'uso abituale della Sacra Scrittura, « vedere » significa la stessa cosa che « avere »; come nel passo: « Possa tu vedere i beni di Gerusalemme » ( Sal 128,5 ), l'espressione « possa tu vedere » sta per « possa tu trovare », e nel passo: « Sia tolto di mezzo l'empio, perché non veda la gloria di Dio » ( Is 26,10 ), per « non vedere » il profeta intende il non partecipare.
Dunque colui che ha visto Dio, grazie a questo « vedere » ebbe tutto quello che è compreso nell'elenco dei beni: la vita infinita, l'incorruttibilità eterna, la beatitudine immortale, il regno senza fine, la gioia incessante, la luce vera, la dolce voce dello Spirito, la gloria inaccessibile, l'esultanza perpetua, insomma, ogni bene.
Ciò che dunque è proposto alla speranza nella promessa di beatitudine è di tale natura e di così grande entità.
Poiché il modo in cui si realizza il vedere è stato indicato prima nell'essere puri di cuore, la mia mente, di nuovo, prova le vertigini, per paura che la purezza di cuore sia forse tra le cose per noi impossibili, o che trascendono la nostra natura. Se infatti grazie ad essa si vede Dio e Mosè e Paolo non lo videro, poiché è stato affermato che né loro né altri possono vederlo, sembra qualche cosa di impossibile ciò che ora il Logos propone nella beatitudine.
Che vantaggio traiamo noi dal sapere come si può vedere Dio, se alla conoscenza non si unisce la possibilità di realizzarla?
Sarebbe come dire che l'esser beati consiste nel trovarsi in cielo, poiché là si vedranno cose che non si possono vedere in questa vita.
Sarebbe infatti utile, per gli ascoltatori, imparare che l'essere là è fonte di beatitudine, se fosse indicato un mezzo per il passaggio in cielo.
Finché sussiste l'impossibilità della salita, che vantaggio porta la conoscenza della beatitudine celeste, dal momento che procura solo la nostra afflizione, poiché abbiamo imparato di quali beni siamo stati privati per l'impossibilità della salita?
Forse, dunque, il Signore ci esorta a qualche cosa che è fuori dalla portata della nostra natura e trascende la misura delle facoltà umane con la grandezza del precetto? Non è possibile!
Egli, infatti, non ha ordinato di divenire volatili a coloro che per natura non hanno le ali, né di vivere nell'acqua a coloro per cui fissò una vita terrestre.
Se dunque in tutti gli altri casi la legge è adatta alle possibilità di chi la riceve e non esercita nessuna costrizione forzosa sulla natura, penseremo, di conseguenza, che neppure ciò che è indicato nella beatitudine è fuori dalla speranza.
Ci renderemo conto, invece, che anche Giovanni, Paolo e Mosè e qualsiasi altro come loro, non sono stati respinti da questa superiore beatitudine che consiste nel vedere Dio.
Certo non sarà respinto colui che disse: « Sia su di me la corona di giustizia che mi darà il Giusto Giudice » ( 2 Tm 4,8 ), né colui che reclinò il capo sul petto di Gesù ( Gv 21,20 ), né colui che ascoltò dalla voce divina queste parole: « Ti conobbi prima di ogni altra cosa » ( Es 33,17 ).
Se dunque non c'è dubbio che siano beati coloro che proclamano la conoscenza di Dio superiore alla nostra facoltà, se d'altra parte la beatitudine consiste nel vedere Dio e questo dipende dall'essere puri di cuore, non è dunque impossibile la purezza di cuore attraverso cui è possibile divenir beati.
Come si può allora affermare che dicono la verità coloro che, seguendo Paolo, mostrano la conoscenza di Dio superiore alla nostra capacità e che la voce del Signore non li contraddice promettendo di esser visto nella purezza?
A me pare sia bene che di questa cosa si debba, prima di tutto, in breve, rendersi conto perché cammin facendo ci sia l'osservazione del soggetto proposto.
La natura divina, quale essa sia in definitiva in se stessa secondo l'essenza, supera ogni comprensione, essendo inaccessibile ed irraggiungibile per i pensieri e le congetture e non è ancora stata scoperta tra gli uomini una facoltà per la percezione dell'incomprensibile né un accesso alla comprensione dell'impossibile.
Perciò il grande apostolo chiamò anche imperscrutabili ( Rm 11,33 ) le vie di Dio, significando con questa parola che quella via che conduce alla conoscenza di Dio è inaccessibile ai ragionamenti; come anche nessuno mai di coloro che ci hanno preceduto in questa vita ha indicato una qualche traccia di comprensione sicuramente razionale per la conoscenza della realtà che supera la conoscenza.
Essendo tale per natura Colui che è superiore ad ogni natura, si vede e si percepisce in un altro modo l'invisibile e l'indescrivibile.
Molti sono i modi di tale percezione.
É infatti possibile vedere, per congettura, Colui che ha fatto nella sapienza tutte le cose grazie alla sapienza che si manifesta nel tutto.
Come nelle opere create dall'uomo la mente riconosce, in un certo qual modo, il creatore del prodotto che gli è dinnanzi, poiché egli ha lasciato l'impronta della sua arte nel lavoro, e quel che si può vedere, poi, non è la natura dell'artista, ma solo la scienza artistica che egli ha lasciato nel prodotto; così, anche considerando l'ordine della creazione, ci formiamo una nozione non dell'essenza, ma della sapienza di Colui che ha fatto tutto sapientemente.
Se consideriamo poi la causa della nostra vita, che Egli giunse a creare l'uomo non per necessità, ma per volontà buona, di nuovo, anche in questo caso, noi diciamo di aver contemplato Dio, avendo compreso non la sua essenza, ma la sua bontà.
Così, anche tutte le altre considerazioni che elevano il pensiero all'essere superiore e sublime, tutte le considerazioni di tal genere le chiamiamo concezioni di Dio, poiché ciascuno di questi alti concetti ci porta Dio davanti agli occhi.
Infatti la potenza e la purezza, il permanere nel medesimo stato, l'esser privo di commistione con il proprio contrario e tutti i concetti di tal genere, formano nell'anima una rappresentazione concettuale divina e alta.
Si è dunque mostrato, in ciò che è stato detto, che il Signore dice il vero quando promette che i puri di cuore vedranno Dio e che Paolo non mente quando rivela, con i suoi propri scritti, che nessuno ha mai visto Dio né lo può vedere.
Infatti Colui che è invisibile per natura, diviene visibile attraverso la sua attività, in quanto viene contemplato in certe sue proprietà.
Ma il senso della beatitudine non intende solo questo, cioè poter conoscere analogicamente l'operatore dall'operare della sua potenza.
Anche i sapienti di questo mondo, infatti, potrebbero giungere parimenti alla percezione della sapienza e potenza superiore attraverso l'armonia del cosmo.
A me pare, però, che la grandezza della beatitudine suggerisca un altro consiglio a coloro che sono in grado di ricevere la visione di ciò che desiderano.
Il pensiero che mi è venuto in mente diventerà più chiaro con un esempio.
La salute del corpo è un bene per la vita dell'uomo, ma per essere felici non basta solo saper parlare della salute, ma vivere in salute.
Se infatti uno, esponendo le lodi della salute, si prendesse del cibo che genera malattia e cattivi umori, che cosa avrebbe acquistato dalle lodi della salute, dal momento che è afflitto dalle malattie?
Così noi penseremmo anche a proposito del discorso in questione, poiché il Signore non ha detto che l'esser felici è conoscere qualche cosa di Dio, ma è possedere Dio in se stessi.
Egli dice infatti: « Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio ».
A me pare che egli non proponga Dio come visione faccia a faccia, a colui che ha purificato l'occhio della sua anima, ma che la grandezza della sua parola ci suggerisca ciò che il Logos presenta altrove in modo più scoperto quando dice: « Il Regno dei cieli è dentro di voi » ( Lc 17,21 ).
Questo perché impariamo che colui che ha purificato il suo cuore da ogni creatura e dalla disposizione passionale, vede nella propria bellezza l'immagine di Dio.
A me pare che il Logos, nelle poche parole che ha detto, abbia espresso un simile consiglio: « O uomini, quanti avete il desiderio di contemplare ciò che per essenza è bene, poiché avete ascoltato che la maestà di Dio è esaltata sopra i cieli e la sua gloria è inesplicabile, la sua bellezza indicibile, la sua natura incomprensibile, non disperate di poter vedere ciò che desiderate.
Infatti la misura che ti è concessa della concezione di Dio è in te.
Così Colui che ti ha creato, immediatamente, per natura, ti ha connaturato un siffatto bene.
Dio, infatti, ha impresso come delle immagini dei beni della propria natura nella tua costituzione, avendole impresse anticipatamente con una forma di incisione come fossero cera.
Ma il vizio, che ha velato l'impronta divina, rende vano per te il bene che è rimasto turpemente coperto.
Se tu dunque, con la sollecitudine della vita, detergerai nuovamente il sudiciume che si è incrostàto nel tuo cuore, risplenderà per te la bellezza divina.
É la stessa cosa che accade al ferro; quando viene liberato dalla ruggine che lo riveste, grazie ad una cote, ciò che poco prima era nero riluce vibrando di splendore al sole.
Così accade anche all'uomo interiore che il Signore chiama « cuore »; dopo che sia stata raschiata via la sporcizia rugginosa che con mala corrosione è fiorita sulla forma, riprenderà di nuovo la sua somiglianza con l'archetipo e sarà buono.
Ciò che infatti è simile al bene è sicuramente buono.
Dunque, colui che volge lo sguardo a se stesso, in se stesso guarda ciò che desidera.
Così diviene felice il puro di cuore, poiché guardando la propria purezza nell'immagine vede l'archetipo.
Come avviene per coloro che guardano il sole in uno specchio, sebbene essi non guardino fissamente il cielo, essi vedono il sole nello splendore dello specchio in modo per nulla inferiore a coloro che guardano lo stesso disco solare.
Così, dice il Signore, anche se voi siete spossati dalla osservazione della luce, se correte di nuovo verso la grazia dell'immagine che è stata forgiata per voi dall'inizio, avete in voi stessi ciò che cercate.
La divinità, infatti, è purezza, assenza di passioni ed estraneità ad ogni male.
Se dunque ciò e in te, Dio certamente è in te.
Quando il tuo pensiero è purificato da ogni vizio, libero da passione, estraneo ad ogni macchia, tu sei felice per la chiarezza della vista, poiché, purificato, hai percepito ciò che è invisibile a coloro che non sono purificati e, rimossa la caligine materiale dagli occhi dell'anima, guardi splendente nel cielo puro del tuo cuore la beata visione.
La purezza, la santità, la semplicità, tutti i riflessi luminosi di tal genere della natura divina, attraverso cui si contempla Dio.
Ora, da quanto si è detto, noi non dubitiamo che le cose stiano così.
Il discorso però si rivolge ancora alla difficoltà sollevata all'inizio, con la stessa perplessità.
Come infatti è certo che colui che è in cielo partecipa delle meraviglie celesti, ma l'impraticabile modo della salita ci rende nullo il guadagno che traiamo da ciò su cui siamo d'accordo, così non c'è dubbio che dalla purificazione del cuore si genera la beatitudine, ma come si possa purificare il cuore da queste macchie, sembra presentare la stessa difficoltà dell'ascesa al cielo.
Quale scala di Giacobbe troveremo dunque, quale carro infuocato, a somiglianza di quello che sollevò il profeta Elia al cielo, dal quale il nostro cuore, sollevato alle meraviglie superiori, scrollerà via questo peso terrestre?
Se infatti uno considera le necessarie affezioni dell'anima, riterrà assurdo e impossibile l'allontanamento dei mali ad esse congiunti.
Fin dall'inizio, la nostra generazione ha inizio dalla passione, la crescita procede attraverso la passione e nella passione la vita termina; il male si è in un certo senso mescolato alla nostra natura, tramite coloro che da principio accolsero la passione, i quali con la loro disobbedienza stabilirono la malattia.
Come la natura dei viventi si trasmette con la successione dei discendenti di ciascuna specie, cosicché ciò che è nato, secondo la legge di natura, è la stessa cosa di chi lo ha generato, così l'uomo nasce dall'uomo, colui che è soggetto alla passione da chi è soggetto alla passione, il peccatore dal peccatore.
Dunque il peccato coesiste, in un certo qual modo con i generati, poiché con essi viene partorito, cresce ed ha termine con la fine della vita.
Ma che la virtù sia per noi difficile da raggiungere, tra mille pene e sudori, venendo compiuta a stento con sforzo e fatica, lo abbiamo imparato in molti passi della Sacra Scrittura, quando abbiamo ascoltato che la strada del regno è angusta, procede per strettoie, mentre è larga, declinante e rapida quella che conduce con il vizio la vita alla rovina.
La Sacra Scrittura non definisce interamente impossibile la vita superiore, quando espone nei sacri libri le meraviglie di uomini tanto grandi.
Ma poiché nella promessa di vedere Dio il senso è duplice ( uno è quello di conoscere la natura che trascende l'universo, l'altro è quello di unirsi ad essa tramite la purezza di vita ) la voce dei santi definisce la prima forma di conoscenza impossibile, mentre, per quanto riguarda il secondo significato, il Signore lo promette alla natura umana nel presente insegnamento, quando dice: « Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio ».
Come sia possibile diventare puri, lo puoi imparare quasi in ogni insegnamento evangelico.
Infatti, percorrendo con ordine i precetti, scoprirai con chiarezza la purezza di cuore.
Distinguendo, infatti, in due specie il vizio, quello che consiste nelle azioni e quello che consiste nei pensieri, Egli punì la prima specie, l'ingiustizia che si manifesta nelle opere, con l'antica legge, mentre ora fa volgere la legge ad un'altra forma del peccato, non punendo l'azione cattiva, ma preoccupandosi nei riguardi del suo stesso inizio.
Infatti, allontanare il vizio dalla libera scelta, è rendere estranea, con molta superiorità, l'esistenza alle opere malvagie.
Poiché il vizio ha molte parti e varie specie, Egli oppose, con i suoi precetti, il rimedio proprio a ciascuna delle cose vietate.
Poiché il morbo dell'ira è abituale, per lo più, durante tutta l'esistenza, Egli inizia la cura da ciò che maggiormente predomina, prescrivendo tra i primi precetti l'astensione dall'ira.
« Ti è stato insegnato - Egli dice - nella legge più antica « non uccidere »; ora impara ad allontanare dall'anima l'ira contro i tuoi simili ».
Egli, infatti, non rifiutò del tutto l'ira.
Qualche volta, in effetti, è possibile far uso anche per il bene di questo impeto dell'anima.
Quel che il precetto reprime è essere adirato contro il fratello senza nessuna finalità buona.
Egli dice infatti: « Ognuno di coloro che si adirano con il fratello invano » ( Mt 5,22-24 ).
L'aggiunta « in vano » mostra come sia opportuno, spesso, l'uso dell'ira, quando la passione ribolle per la punizione del peccato.
La parola della Sacra Scrittura attesta che questa forma d'ira fu in Finea, quando con l'uccisione dei trasgressori della legge placò la minaccia di Dio, mossa contro il suo popolo ( Nm 25,1ss ).
E, ancora, il Signore va oltre la cura dei peccati commessi per il piacere e con il precetto allontana lo stolto desiderio dell'adulterio dal cuore.
Così troverai che il Signore, negli insegnamenti successivi, raddrizza tutte le cose, una per una, opponendosi a ciascuna delle forme del vizio con i suoi precetti.
Proibisce di sfidare ingiustamente, non permettendo neppure l'autodifesa.
Bandisce la passione dell'avidità, ordinando a colui che è stato derubato di spogliarsi anche di ciò che gli è rimasto.
Egli cura la paura comandando di essere sprezzanti contro la morte.
Insomma, troverai che, grazie a ciascuno dei precetti, la parola incisiva del Signore come un aratro estirpa le radici malvagie del peccato dal profondo del nostro cuore; attraverso quei precetti è possibile purificarsi dai frutti irti di spine.
Il Signore, dunque, è benefattore della nostra natura in entrambi i modi: sia perché ci promette il bene, sia perché ci offre l'insegnamento utile per raggiungere lo scopo propostoci.
Se poi giudichi faticoso lo sforzo per il bene, paragonalo al modo contrario di vita e scoprirai quanto sia più penoso il vizio, se tu ti rivolgi non al presente, ma a ciò che accadrà dopo.
Colui che infatti abbia avuto notizia della geenna non si asterrà più con fatica e sforzo dai piaceri peccaminosi, ma la sola paura instillata dai ragionamenti, sarà sufficiente a bandire le passioni.
Piuttosto è opportuno che chi considera ciò che è stato ascoltato insieme a ciò che è taciuto, da lì concepisca più veemente il desiderio.
Se infatti beati sono i puri di cuore, miseri senza dubbio sono gli immondi di spirito perché guardano il volto dell'avversario.
Se poi l'impronta divina stessa è impressa nell'esistenza virtuosa, è chiaro che la vita viziosa diviene forma e volto dell'avversario.
Ma, certamente, se Dio è chiamato, seguendo considerazioni differenti, secondo ciascuna delle cose che si concepiscono come bene: luce, vita, incorruttibilità ed ogni concetto di questo genere, senza dubbio, per contrasto, ciò che si oppone a ciascuno di questi concetti, sarà dedicato allo scopritore del vizio: tenebre, morte, corruzione e tutte quelle cose che sono dello stesso genere e simili a queste.
Avendo dunque imparato attraverso cosa prendono forma i vizi e la vita virtuosa, poiché ci è offerto di poter scegliere liberamente per gli uni o per l'altra, fuggiamo la forma del diavolo, deponiamo la maschera malvagia, riassumiamo l'immagine divina e diventiamo puri di cuore per essere beati, poiché si è formata in noi l'immagine divina per lo stile di vita puro, in Cristo Gesù nostro Signore, a cui è la gloria nei secoli dei secoli.
Amen.
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