Discorsi tenuti nel Natale del Signore |
Dilettissimi, le verità riguardanti il mistero della presente solennità sono a voi note per averle frequentemente ascoltate.
Però, come la luce visibile provoca piacere agli occhi sani, così ai cuori integri dona gaudio eterno la nascita del Salvatore, della quale non dobbiamo tacere benché non sia possibile farne una degna illustrazione.
Infatti, siamo persuasi che il passo biblico: « Chi potrà narrare la sua generazione? » si riferisce non soltanto al mistero secondo cui il Figlio di Dio è coeterno al Padre, ma anche a questa nascita con la quale il Verbo si è fatto carne.
Perciò il Figlio di Dio, in quanto Dio, ha dal Padre e con il Padre uguale e identica natura; è Creatore e Signore dell'universo; in ogni luogo è tutto presente e tuttavia supera ogni cosa.
Egli nel corso dei tempi, che per sua disposizione trascorrono, ha eletto questo giorno per nascere dalla beata vergine Maria lasciando incontaminato il di lei cuore e così portare la salvezza al mondo.
La verginità di Maria non fu violata nel parto, come non era stata offesa nel concepimento.
E tutto questo avvenne affinché si adempisse quello che era stato annunciato dal Signore per mezzo del profeta che disse: Ecco la Vergine concepirà e darà alla luce un figlio e lo chiameranno con il nome di Emmanuele che vuol dire « Dio con noi ».
La santa Vergine con tale straordinario parto diede alla luce una persona che aveva veramente la natura umana e la natura divina.
Ambedue le sostanze ritennero ciascuna le sue proprietà, ma non in modo che vi sia in esse distinzione di persone; d'altra parte la creatura è stata assunta nell'unità del suo Creatore, non nel senso che costui sia l'ospite e l'altra l'abitazione, ma in modo che una natura sia strettamente unita con l'altra.
E benché quella assunta resti distinta da quella che assume, tuttavia ambedue convergono in un'unità perfetta, tanto che uno e identico è il Figlio, che in quanto vero uomo si professa inferiore al Padre e in quanto vero Dio si rivela uguale al Padre.
La cecità della eresia ariana, dilettissimi, non poté scorgere questa unità, per la quale il Creatore si congiunge alla sua creatura.
Per questo, non credendo che l'Unigenito di Dio è della stessa gloria e della stessa sostanza del Padre, asserì che la divinità del Figlio fosse inferiore.
Le prove, poi, di questa asserzione le trasse dagli aspetti della sua condizione di schiavo.
Invece l'unico Figlio di Dio per mostrare che in lui la natura umana non costituisce una persona distinta, né appartiene ad un'altra persona, essendo in perfetta unione con essa, afferma: « Il Padre è più grande di me »; come pure, ad essa unito, dice: « Io e il Padre siamo una cosa sola ».
Egli, secondo la natura di servo, assunta nell'ultima serie dei secoli per la nostra restaurazione, è inferiore al Padre; invece secondo la natura di Dio, in cui era ab aeterno, è uguale al Padre.
Nella bassezza umana è stato fatto da una donna ed è nato sotto la legge; nella divina maestà rimase come Verbo di Dio « per il quale furono fatte tutte le cose ».
Perciò colui che nella natura di Dio ha creato l'uomo, abbassandosi alla natura di servo, si è fatto uomo: ma dell'una e dell'altra natura si dice che è Dio per la potenza della persona assumente, e allo stesso modo si afferma che è uomo per la bassezza della natura assunta.
Ambedue le nature conservano, ciascuna, senza diminuzione, le proprietà.
Come la natura di Dio non cambia la natura di servo, così neppure questa diminuisce la natura divina.
Dunque il mistero del Verbo onnipotente in quanto è unito alla natura debole, permette di dire, a causa della natura che è propria dell'uomo, che il Figlio è inferiore al Padre.
Ma la divinità che è una nella Trinità ed è propria del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, esclude qualunque congettura di ineguaglianza.
Ivi l'eternità non ha niente di temporaneo; la natura nulla ha di disuguale.
Ivi una è la volontà, uguale la potestà.
Ivi non sono tre dei, ma è un Dio solo; è ivi unità reale che non soffre separazione, perché non vi può essere differenza di sorta.
Dunque il vero Dio è nato nella natura integra e perfetta del vero uomo: tutto nella sua natura, tutto nella nostra: diciamo nostra la natura creata da Dio all'inizio e che egli ha assunto per restaurarla.
Perché ciò che il menzognero v'introdusse e che l'uomo, ingannato, accolse, non ebbe nel Salvatore alcuna traccia.
Egli si è, bensì, sottomesso e ha preso parte alle umane debolezze, ma non per questo è stato partecipe dei nostri delitti.
Assunse la natura di servo senza la macchia del peccato: sublimò la natura umana e non abbassò quella divina.
Lo svuotamento con cui egli, l'invisibile, si rese visibile, fu un atto di misericordiosa condiscendenza, non un esaurimento della sua potestà.
É disceso a noi per chiamarci dalle catene della colpa originale e dagli errori mondani all'eterna beatitudine.
Era impossibile per noi ascendere fino a lui, perché, nonostante che molti uomini ricercassero la verità con amore, eravamo ingannati dall'astuzia dei demoni con diverse e incerte congetture.
L'umana ignoranza era tratta in differenti e opposte sentenze da una scienza falsa.
Per togliere questo scherno, per il quale le menti erano schiave del diavolo che insolentiva, non bastava la dottrina della legge; come pure i soli oracoli dei profeti non potevano restaurare la nostra natura.
Alle istituzioni morali era necessario aggiungere la verità della redenzione: bisognava che l'origine umana, corrotta fin dall'inizio, esordisse nuovamente nella rigenerazione.
Per la riconciliazione doveva essere offerta un'ostia che avesse la nostra natura e fosse estranea alla propagazione del peccato.
Tutto questo, poi, doveva avvenire in modo che la volontà di Dio, il quale si è compiaciuto di distruggere il peccato del mondo nella nascita e nella passione di Gesù Cristo, fosse riferita alle generazioni di tutti i secoli; e doveva accadere, inoltre, in modo che i misteri, anziché procurarci turbamento per il loro variare secondo i tempi, ci dessero maggior convinzione per il fatto che la fede, di cui viviamo, non fu diversa in nessuna età.
Dunque, cessino dalle accuse quei mormoratori sacrileghi che parlano contro la divina economia e si lamentano per un preteso ritardo della nascita del Signore.
Costoro pensano che non sia stata disposta anche per i tempi precedenti l'opera che è stata compiuta nell'ultima età del mondo.
Tutto al contrario, l'incarnazione del Verbo, quando ancora doveva avvenire, produsse la stessa salvezza che elargisce ora quando si è già realizzata.
Perciò il mistero della salvezza umana non è mancato in nessuna epoca.
Gli apostoli hanno predicato quello che i profeti hanno profetato: non è stato compiuto troppo tardi quello che sempre è stato creduto.
Ma la sapienza e la benignità divina, procrastinando l'opera della salvezza, ci ha resi più capaci della sua vocazione.
Lo scopo di questo indugio era di allontanare, ora che è tempo del Vangelo, qualunque dubbio dal mistero preannunciato lungo tanti secoli con tanti prodigi, con tanti oracoli e con tante sacre istituzioni.
In tal modo la natività del Salvatore, che doveva superare le proporzioni di tutti i precedenti prodigi e la capacità di ogni umana intelligenza, avrebbe suscitato in noi una fede tanto più stabile quanto più antica e sicura era la predicazione che l'aveva preceduta.
Perciò errano coloro i quali pensano che Dio ha cambiato il piano circa le cose umane, o che troppo tardi ha provveduto con misericordia agli uomini.
Invece egli fin dalla creazione del mondo istituì il principio di salvezza, uno e identico per tutti.
Infatti la grazia di Dio, con cui sono stati sempre giustificati i santi, dalla nascita del Salvatore ha ricevuto solo un incremento, non il suo inizio.
In realtà il mistero di così grande misericordia che già ha riempito il mondo, è stato efficacissimo anche nelle sue figure; perciò ne hanno ricevuto eguale grazia e quelli che l'hanno creduto quando era stato appena promesso, e quelli che l'hanno accolto ora che è stato compiuto.
Per questo, dilettissimi, è nostro dovere di celebrare la natività del Signore non con svogliatezza o in allegria mondana, ma con professione di pietà, perché abbondanti ricchezze della divina benignità sono state profuse in noi.
Infatti, per la nostra vocazione alla eternità, non solo ci sono utili le istituzioni precedenti dell'antica Alleanza, ma la stessa Verità che è apparsa con un corpo visibile.
Però la celebrazione della festa sarà fatta con diligenza e come si conviene, se ciascuno si fissa bene in mente di quale corpo è membro e a quale capo è congiunto, e fa in modo di non essere inadatto alla stretta compagine del sacro edificio.
Dilettissimi, considerate, e, illuminati dallo Spirito santo, con sapienza riflettete, chi sia colui che ci ha uniti a sé e chi abbiamo accolto in noi stessi.
Infatti, allo stesso modo che egli nascendo si è fatto carne nostra, così noi nella rigenerazione siamo diventati suo corpo.
Perciò noi siamo il tempio di Cristo e il tempio dello Spirito Santo.
Per questo l'apostolo raccomanda: « Glorificate e portate Dio nel vostro corpo ».
Egli presentandoci il modello della sua umiltà e della sua mitezza, ci ha iniziati a questa virtù con la redenzione, dandocene egli stesso l'assicurazione: « Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi, e io vi darò completo riposo.
Prendete su di voi il mio giogo, e imparate da me perché sono dolce e umile di cuore, e troverete pace per le anime vostre ».
Abbracciamo, dunque, il giogo, non pesante né molesto, della verità che ci guida, e rendiamoci simili alla umiltà di colui alla cui gloria vogliamo essere conformi.
Gesù Cristo, nostro Signore, ci aiuti e ci guidi al possesso delle sue promesse, perché è, nella sua grande misericordia, potente a distruggere i nostri peccati e a rendere perfetti in noi i suoi doni; il quale vive e regna nei secoli dei secoli.
Amen.
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